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Truffa: il vice direttore di filiale di una banca può proporre querela


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

In tema di truffa contrattuale, ove il reato sia commesso con condotte aventi ad oggetto la stipula di contratti conclusi mediante rapporti intrattenuti non direttamente con la persona giuridica titolare del patrimonio aggredito, ma con sue articolazioni (quali le agenzie o le filiali degli istituti di credito), la facoltà di proporre querela deve essere riconosciuta non solo ai rappresentanti legali della società, ma anche ai soggetti che in quella specifica articolazione, in ragione dell'organizzazione interna dell'ente e dei ruoli in esso rivestiti, sono contrattualmente obbligati a vigilare sulle attività svolte nei contatti con il pubblico e a garantire la tutela del patrimonio aziendale. (Fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto la facoltà di proporre querela a un vice direttore di filiale, che aveva la responsabilità delle operazioni concluse con i terzi in nome dell'istituto di credito, il quale, in tale veste, era venuto a conoscenza del tentativo dell'imputata di versare sul proprio conto un assegno falsificato - Cassazione penale , sez. II , 07/03/2023 , n. 25134).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 07/03/2023 , n. 25134

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Ancona, con la sentenza impugnata in questa sede, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Pesaro in data 20 novembre 2019 nei confronti di B.R.D., assolvendo l'imputata dai delitti di falso in scrittura e di ricettazione, confermando il giudizio di responsabilità in relazione all'imputazione di tentata truffa e rideterminando il trattamento sanzionatorio.


2. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputata deducendo con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione all'art. 97 c.p.p., commi 4 e 5, art. 179 c.p.p., comma 1, lett. c); nel corso del giudizio di primo grado il difensore nominato d'ufficio, per effetto della rinuncia del difensore di fiducia, aveva richiesto termine a difesa, ai sensi dell'art. 108 c.p.p., richiesta che non era stata accolta provvedendo a sostituire il difensore con il sostituto nominato ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 4; ciò aveva comportato un'evidente lesione dei diritti di difesa, poiché in quell'udienza era stata dichiarata l'assenza dell'imputata e, dopo l'apertura del dibattimento, erano stati ammessi i mezzi di prova, pregiudicando la possibilità di formulare richieste di riti alternativi; né rilevava la circostanza che alla successiva udienza era stato nuovamente aperto il dibattimento per il mutamento della persona fisica del magistrato decidente; era errata inoltre la qualificazione della nullità realizzatasi quale nullità di ordine generale a regime intermedio (come tale, non tempestivamente dedotta come affermato dalla sentenza impugnata), in quanto l'illegittima sostituzione del difensore d'ufficio nominato ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 1 comportava un'ipotesi di nullità assoluta per difetto di assistenza e rappresentanza dell'imputata.


2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 120 c.p., art. 337 c.p.p., n. 3 e vizio di motivazione, per aver riconosciuto la titolarità del diritto di querela al vice direttore della filiale dell'istituto di credito ove l'imputata aveva presentato i documenti per aprire il conto ed incassare il titolo falsificato; il funzionario non aveva seguito personalmente la pratica, non aveva avuto contatti con l'imputata e, pertanto, non aveva assunto alcuna posizione di garanzia delle attività dell'istituto bancario.


3. La Corte ha proceduto all'esame del ricorso con le forme previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, applicabili ai sensi del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito, con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato.


Dagli atti risulta che alla prima udienza fissata per il 19 luglio 2019 il Giudice aveva nominato difensore di ufficio dell'imputata (per effetto della rinuncia del difensore di fiducia) ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 1, l'Avv. R., che aveva formulato richiesta ex art. 108 c.p.p. di termine a difesa; il Giudice, anziché provvedere su tale richiesta, aveva nominato - in sostituzione del difensore di fiducia - altro difensore ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 4, procedendo alla costituzione delle parti, all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle prove richieste dalle parti.


Pacifica la violazione dell'art. 108 c.p.p., va subito riaffermato il principio più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale "la mancata concessione del termine a difesa previsto dall'art. 108 c.p.p. determina una nullità generale a regime intermedio (in quanto attiene all'assistenza dell'imputato e non all'assenza del difensore), che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 182 c.p.p., comma 2, dal difensore presente - e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell'atto che nega il termine o lo concede in misura che si sostiene incongrua - sicché essa non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione" (Sez. 1, n. 13401 del 05/02/2020, Boulbaba, Rv. 278823 - 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 5773 del 10/01/2019, Ciervo, Rv. 275523 - 0; Sez. 2, Sentenza n. 48817 del 23/10/2013, Pagano, Rv. 257505 - 0; Sez. 1, n. 11030 del 25/02/2010, Del Gaudio, Rv. 246777 - 0). Non si trattava, come ritiene il ricorrente, di nullità assoluta per assenza del difensore; l'eccentrica nomina di un difensore in sostituzione del difensore di fiducia non aveva fatto venir meno la nomina del difensore di ufficio già intervenuta, come del resto attestato dall'assistenza prestata all'imputata nella successiva udienza dal medesimo difensore nominato d'ufficio.


Ne' può invocarsi, come sostenuto dal ricorrente, che dalla nullità sia derivata "una concreta lesione del diritto di difesa", poiché l'illegittimo provvedimento assunto all'udienza del 21 luglio 2019 aveva precluso al difensore di ufficio nominato la possibilità di valutare con l'imputata la scelta di un rito alternativo.


Risulta, infatti, che il processo, senza che fosse svolta alcuna attività istruttoria, veniva differito all'udienza del 20 novembre 2019, quando per la mutata persona fisica del Giudice monocratico, il dibattimento veniva nuovamente aperto, in presenza del difensore di ufficio Avv. R. che nessuna eccezione di nullità sollevava in quella sede; per effetto della rinnovazione disposta ai sensi dell'art. 525 c.p.p., anche in quell'udienza la richiesta di riti alternativi poteva essere proposta (v. nella motivazione Sez. 6, n. 2085 del 04/05/2000, La Penta, Rv. 217024 - 0); sicché alcun pregiudizio concreto si era realizzato in conseguenza della nullità verificatasi nel corso della precedente udienza.


1.2. Anche il secondo motivo è infondato.


Il diritto di querela è riconosciuto dall'art. 120 c.p. alla persona offesa.


Non v'e' dubbio che in relazione a talune categorie di reati la qualifica di persona offesa può essere riconosciuta a più soggetti: e ciò sia perché la posizione giuridica protetta dalla norma penale, in relazione a specifiche circostanze di fatto, è comune a più soggetti (art. 122 c.p.); sia in quanto la norma incriminatrice che regola la specifica fattispecie mira a tutelare più beni giuridici, con l'effetto di riconoscere la qualità di persona offesa a più soggetti (ovvero, a più categorie di soggetti).


Secondo una consolidata tradizione giuridica, dottrinale e giurisprudenziale, la persona offesa dal reato è il "soggetto passivo" dell'illecito penale, cioè il titolare del bene giuridico specificamente protetto dalla norma incriminatrice, la cui lesione od esposizione al pericolo rappresenta l'elemento costitutivo della singola fattispecie di reato.


Considerando la struttura del fatto tipico del delitto di truffa, il bene giuridico protetto è quello dell'integrità patrimoniale del soggetto che, quale conseguenza dall'altrui condotta fraudolenta, è indotto a compiere atti di disposizione patrimoniale; il che implica, allo stesso tempo, la tutela del bene giuridico rappresentato dalla correlata libertà di poter disporre del patrimonio senza subire illecite intromissioni.


Di certo nelle ipotesi in cui il patrimonio esposto a pericolo o pregiudicato dalla condotta illecita fa capo a singole persone fisiche, è agevole l'individuazione della persona offesa (o delle persone offese). Nell'ipotesi in cui il patrimonio aggredito (o aggredibile) sia quello di una persona giuridica, e in particolar modo se tale soggetto risulti organizzato in modo complesso, occorre considerare se la qualità di persona offesa debba essere riconosciuta in via esclusiva all'ente, in quanto titolare del patrimonio (e quindi alla persona fisica che possieda i necessari poteri di rappresentanza: art. 337 c.p.p., comma 3), o se anche altri soggetti siano egualmente titolari della facoltà di proporre la querela in relazione a condotte di truffa dirette all'aggressione del patrimonio dell'ente.


E' stato autorevolmente affermato che l'individuazione del diritto di querela, in capo al titolare "formale" della posizione giuridica protetta dalla norma incriminatrice, non esclude la possibilità che il medesimo diritto possa essere riconosciuto ad altri soggetti che, pur non ricoprendo la medesima posizione formale, siano di fatto titolari del medesimo interesse tutelato dalla norma (Sez. Unite, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255975 - 0).


Così, in fattispecie in cui la condotta di truffa si è realizzata mediante attività relazionali e contrattuali non gestite direttamente dal titolare del patrimonio, ma da altri soggetti incaricati di svolgere le attività d'impresa in luogo del titolare formale (l'addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato; oppure il gestore dell'esercizio commerciale che abbia commercializzato i beni oggetto del reato in nome e per conto dell'impresa fornitrice dei beni stessi) è stato riconosciuto il diritto di proporre querela anche a tali soggetti (Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016, Filannino, Rv. 268382 - 01; Sez. 2, n. 37012 del 30/06/2016, Miari, Rv. 267914 - 01).


Sulla scorta di tali premesse, ritiene la Corte che ove il reato di truffa sia realizzato attraverso condotte aventi ad oggetto la stipula di contratti conclusi mediante rapporti intrattenuti non direttamente con la persona giuridica titolare del patrimonio aggredito, ma attraverso articolazioni di quell'ente (quali le agenzie o le filiali degli istituti di credito), la facoltà di proporre querela per il reato di truffa commesso in danno dell'istituto bancario dovrà essere riconosciuta non solo alla società titolare dell'attività bancaria, ma altresì ai soggetti che in quella specifica articolazione, in ragione dell'organizzazione interna dell'ente e dei ruoli rivestiti da funzionari e responsabili, sono contrattualmente obbligati a vigilare sulle attività svolte nei contatti con il pubblico e a garantire la tutela del patrimonio aziendale, attraverso i controlli sull'affidabilità dei soggetti che intendano assumere obbligazioni con l'istituto di credito. E' evidente, infatti, che la tutela sia dell'integrità patrimoniale dell'istituto bancario, sia della libertà contrattuale nella conclusione dei contratti con gli utenti, si modella in ragione della struttura organizzativa dell'ente: è attraverso i soggetti deputati a ricevere le proposte e le richieste da parte dei terzi che l'istituto bancario conclude le operazioni negoziali, suscettibili - ove connotate da profili di fraudolenza - di pregiudicare il patrimonio dell'istituto, e sono i dipendenti e i soggetti posti a controllo delle singole articolazioni che in tale veste rappresentano di fatto la titolarità degli interessi all'integrità patrimoniale e alla libertà negoziale nella conclusione dei rapporti contrattuali con l'utenza.


In questa prospettiva, pertanto, non va esaltato il dato fattuale del coinvolgimento personale nella singola transazione, poi eventualmente esitata nella condotta fraudolenta, del funzionario dell'agenzia o della filiale bancaria che abbia poi proposto la querela (come affermato da Sez. 2, n. 39069 del 15/6/2018, Meocci, n. m., richiamata dal ricorrente); deve, piuttosto, essere considerata la posizione che implichi profili di vigilanza e sorveglianza sulle attività condotte all'interno della specifica articolazione, espressiva come detto della titolarità di fatto degli interessi tutelati dalla norma penale.


Nel caso in esame, il funzionario che ha proposto la querela, quale vice direttore dell'agenzia, aveva la responsabilità delle operazioni concluse in nome dell'istituto di credito con i terzi e in tale veste, una volta venuto a conoscenza del tentativo posto in essere dall'imputata nell'indurre in errore i funzionari dell'istituto di credito per conseguire l'ingiusto profitto corrispondente all'importo dell'assegno falsificato versato sul proprio conto, ha sporto la querela.


2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 7 marzo 2023.


Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2023

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