La massima
Integra il delitto di truffa online, ai sensi dell' art. 640 c.p., la condotta di messa in vendita di un bene su un sito internet accompagnata dalla sua mancata consegna all'acquirente dopo il pagamento del prezzo, posta in essere da parte di chi falsamente si presenti come alienante ma abbia il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e di conseguire, quindi, un profitto ingiusto (Cassazione penale , sez. II , 04/12/2019 , n. 51551).
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La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza, emessa il 28 febbraio 2017, il Tribunale di Urbino ha condannato R.A. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di truffa ascrittogli.
Il giudice di primo grado ha ritenuto accertato che l'imputato, con artifizi e raggiri consistiti nell'apparente offerta di vendita sul sito internet di una calcolatrice grafica, aveva indotto R.M. a versare la somma di Euro 156,23 mediante ricarica di una carta Postepay, così procurandosi l'ingiusto profitto, pari al prezzo del bene, non consegnato all'acquirente.
Con sentenza del 15 aprile 2019 la Corte d'appello di Ancona, in riforma della sentenza di condanna, ha assolto R.A. dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste.
La Corte territoriale ha ritenuto che l'insussistenza del delitto contestato emergesse ictu oculi dalla stessa lettura del capo d'imputazione, ove era descritta soltanto la messa in vendita del prodotto online, "senza specificare alcunchè sulla circostanza - non accertata - dell'indisponibilità da parte del R. della calcolatrice grafica nè in ordine a circostanze eventualmente dirette a sorprendere l'altrui buona fede diverse dalla semplice offerta di vendita via internet del bene".
Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Ancona, che ha dedotto l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 640 c.p., avendo il giudice di secondo grado illegittimamente escluso che la messa in vendita su un sito internet di un bene, non consegnato all'acquirente nonostante il versamento del corrispettivo, non integrasse gli elementi costitutivi del reato di truffa.
All'odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all'esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Questa Corte (Sez. 2, n. 41073 del 5/10/2004, Rv. 230689) ha avuto modo di affermare che, in materia di truffa contrattuale, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p..
Si è precisato che l'elemento, che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato, è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (Sez. 2, n. 5801 dell'8/11/2013, Rv. 258203).
In applicazione dei principi ricordati questa Corte ha già ravvisato la condotta fraudolenta prevista dall'art. 640 c.p. in quella di chi si accredita sul sito "ebay" e pone in vendita un bene, ricevendone il corrispettivo senza procedere alla consegna di esso; condotte rispetto alle quali sono state valutate indizianti della truffa sia la cancellazione dell'"account", successiva alla conclusione della transazione, che la reiterazione di fatti analoghi da parte dello stesso ricorrente (v. tra le altre Sez. 6, n. 10136 del 17/02/2015, Rv. 262801; Sez. 2, n. 43660 del 19/7/2016, Rv. 268448).
Nel caso in esame la Corte territoriale non si è posta nell'alveo dei suddetti principi.
Essa, infatti, ha assolto l'imputato, avendo ritenuto che dalla stessa lettura del capo di imputazione emergeva l'insussistenza del delitto contestato, posto che nella descrizione degli artifici e raggiri l'accusa si era limitata a descrivere la messa in vendita del prodotto online senza specificare alcunchè sulla circostanza - non accertata - dell'indisponibilità da parte dell'imputato della calcolatrice grafica nè in ordine a condotte eventualmente dirette a sorprendere l'altrui buona fede, diverse dalla semplice offerta di vendita via internet del bene.
L'assunto del giudice di secondo grado è erroneo.
La messa in vendita di un bene su un sito internet, accompagnata dalla mancata consegna del bene stesso all'acquirente e posta in essere da parte di chi falsamente si presenta come alienante ma ha solo il proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e a conseguire, quindi, un profitto ingiusto, integra una condotta truffaldina.
Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio, che sarà effettuato alla luce dei criteri ermeneutici innanzi enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, nella udienza pubblica, il 4 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019