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Concussione: i favori sessuali rientrano nella nozione di utilità contemplata dalla norma


Corte di Cassazione

La massima

Ai fini della configurabilità del delitto di concussione, i favori sessuali rientrano nella nozione di utilità, dovendosi ritenere che gli stessi rappresentano comunque un vantaggio per il pubblico funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione. (Fattispecie relativa ad un dirigente scolastico che, abusando dei suoi poteri, aveva tenuto una condotta discriminatoria e prevaricatrice nei confronti di un'insegnante al fine di costringerla a concedergli favori sessuali, senza riuscire nel suo intento per i reiterati dinieghi della persona offesa - Cassazione penale , sez. VI , 13/11/2015 , n. 48920).

Fonte: CED Cassazione Penale 2016



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 13/11/2015 , n. 48920

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 marzo 2015 la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa il 1 luglio 2011 dal Tribunale della stessa città, che dichiarava C.P. colpevole del reato ascrittogli al capo sub B) - artt. 81 cpv., 56 e 317 c.p. - in esso assorbita la condotta di cui al capo sub C) - art. 61 c.p., nn. 5 e 9, artt. 81 cpv. e 572 c.p. - condannandolo alla pena sospesa di anni due di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche. Con la medesima pronuncia, inoltre, il Tribunale applicava all'imputato la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e dichiarava non doversi procedere in ordine al reato ascrittogli al capo sub A) - artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., art. 609 septies c.p., n. 3, - perchè l'azione penale non doveva essere iniziata per tardività della querela, condannandolo altresì al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile A.C.M.P..


L'imputato è stato dai Giudici di merito ritenuto colpevole, nella sua qualità di dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo di Cropani, per avere abusato dei suoi poteri mediante l'adozione di provvedimenti di contenuto pregiudizievole nei confronti dell'insegnante A.C.M.P., tenendo una condotta discriminatoria e prevaricatrice al fine di costringerla o indurla a concedergli indebitamente favori di tipo sessuale, senza riuscire nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà, e segnatamente a causa dei reiterati dinieghi opposti dalla persona offesa.


2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione per carenza dell'elemento materiale e psicologico del delitto di tentata concussione.


La Corte d'appello, infatti, non ha offerto adeguata motivazione dell'abuso di poteri da parte dell'imputato nell'adottare una serie di provvedimenti amministrativi che l' A. ha solo formalmente contestato, senza mai impugnarli in sede giudiziaria. Si è fatto riferimento, in tal senso, alle sole dichiarazioni della sindacalista M.A.M., senza approfondire la questione della legittimità o meno dei provvedimenti e senza tenere in considerazione i reali poteri del dirigente scolastico ovvero del collegio dei docenti secondo la legislazione di riferimento. Si pone in rilievo, al riguardo, che il C. avrebbe compiuto, nella sua qualità di dirigente scolastico, una serie di atti, discrezionali o dovuti (ad es., una richiesta di visita medica collegiale dopo circa cento giorni di assenza), che invece sono transitati nel processo come veri e propri abusi di potere.


Nel caso in esame, peraltro, è del tutto mancata una condotta di costrizione capace di determinare nella vittima lo stato di soggezione tipico del reato di concussione, poichè il soggetto privato mirava ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando della elasticità delle norme per tentare di ottenere dal C. - anche attraverso cene ed incontri continui, sempre tenuti al segreto - una posizione dominante all'interno della scuola.


Deve poi escludersi che nel concetto di "altra utilità" possano ricomprendersi le richieste di prestazioni sessuali, assumendo quella nozione il chiaro significato di una categoria omogenea o affine al denaro.


Si contesta, infine, l'assenza del dolo, essendo mancata nel C. la rappresentazione del consapevole utilizzo in modo distorto della publica potestas, e si richiede la sospensione dell'esecuzione della condanna civile, tenuto conto della mancata dimostrazione del danno.


3. Con memoria pervenuta presso la Cancelleria di questa Suprema Corte il 9 novembre 2015 il difensore e procuratore speciale della parte civile ha esposto ed ampiamente sviluppato un'articolata serie di argomentazioni critiche volte a confutare la fondatezza dei motivi di ricorso proposti dall'imputato, chiedendone il rigetto con la conferma delle statuizioni civili.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte dinanzi ai Giudici di merito, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, in tal guisa richiedendo, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica consequenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione.


Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, nè a sviluppare un adeguato confronto critico - argomentativo rispetto all'ordito motivazionale, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha linearmente ricostruito il compendio storico - fattuale posto a fondamento del tema d'accusa.


2. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella d'appello, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte distrettuale ha congruamente esaminato e disatteso le obiezioni mosse dalla difesa, illustrando, anche sulla base dei correlativi elementi di specifico riscontro orale e documentale, le ragioni giustificative della valutazione di piena attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ed evidenziando in particolare:


a) che quest'ultima, nell'anno scolastico 2006-2007, era stata dall'imputato nominata "primo vicario dirigente" in forza di apposito decreto che ne aveva formalmente disposto l'esonero dalle attività di insegnamento;


b) che in tal modo la persona offesa - insegnante presso il su indicato istituto scolastico da circa dieci anni - aveva proseguito l'attività di collaborazione già avviata con la dirigenza scolastica, allorquando aveva assunto l'incarico di vicario del dirigente pro tempore (ossia della moglie del C.), ancor prima che quest'ultimo subentrasse nel medesimo ruolo direttivo ricoperto dalla moglie prima del pensionamento;


c) che nel momento in cui l'imputato iniziò a rivolgerle indebite richieste di prestazioni sessuali (dai Giudici di merito collocato nel maggio 2007) l' A. era già stata formalmente assegnatala di funzioni dirigenziali vicarie;


d) che egli si avvalse dei suoi poteri per esercitare pressioni sull' A., nella prospettiva della conservazione del medesimo posto anche per l'anno successivo, implicitamente minacciando la perdita di quella qualifica professionale e la sua destinazione all'attività di supplenza, qualora non si fosse mostrata con lui compiacente;


e) che anche in vista del nuovo anno scolastico (OMISSIS) le pressioni del C. si incentrarono sulla prospettiva di un peggioramento della condizione lavorativa della docente sotto il profilo della sua destinazione al ruolo di supplenza, ciò che in seguito in effetti si avverò con l'attribuzione di una funzione strumentale da lei non richiesta, a prescindere, dunque, dalla permanenza nel ruolo di dirigente vicario cui ella, comunque, avrebbe potuto di nuovo legittimamente accedere;


f) che la creazione di una ulteriore funzione strumentale non era affatto necessaria, sia perchè il settore della dirigenza era coperto da collaboratori a tempo pieno (fra i quali la stessa A.) che avevano ben operato, sia perchè la persona offesa già godeva, in qualità di vicario esonerato, di un compenso economico aggiuntivo - non cumulabile con quello di altra funzione strumentale - sia, infine, perchè la predetta funzione non era stata da lei richiesta;


g) che la previsione di una clausola di copertura del tutto formale, che consentiva le supplenze brevi solo nel caso in cui non si fosse impegnati in incombenze amministrative, lasciava in realtà la persona offesa in balia delle discrezionali ed arbitrarie valutazioni del dirigente, tanto è vero che la stessa venne successivamente chiamata a sostituire in più occasioni, per effetto di una serie di ordini di servizio, le vacanze di tutti i plessi del comprensorio, laddove analoghi provvedimenti non vennero adottati nei confronti di altro docente, sebbene a quest'ultimo fosse stato conferito il medesimo incarico dall' A. rifiutato.


Muovendo da tali premesse ricostruttive, dunque, i Giudici di merito hanno coerentemente descritto una situazione di fatto in cui l' A. venne posta nella prospettiva di assecondare le pressioni del dirigente scolastico, oppure, da un lato, perdere le legittime possibilità di assegnazione alla funzione vicaria e, dall'altro lato, essere destinata ad un ruolo di supplenza attraverso l'attribuzione di una anomala funzione strumentale, nel quadro di una costante attività di prevaricazione finalisticamente orientata a costringerla ad una indebita limitazione della sua libertà sessuale per evitare l'ingiusto danno correlato all'assegnazione di un ruolo non richiesto, nè, tanto meno, necessario nel caso di specie, oltre che all'eventuale esclusione da una posizione paradirettiva interna all'istituto scolastico, cui la stessa, docente titolare di cattedra, ben poteva legittimamente aspirare, avendone già assunto l'incarico.


3. Sulla stregua delle rappresentate emergenze probatorie, deve pertanto ritenersi che l'impugnata pronuncia abbia fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia in esame, avendo questa Suprema Corte ormai da tempo affermato:


a) che, ai fini della configurabilità del delitto di concussione, i favori sessuali rientrano nella nozione di "utilità", dovendosi ritenere che gli stessi rappresentano comunque un vantaggio per il pubblico funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (Sez. 6^, n. 9528 del 09/01/2009, dep. 03/03/2009, Rv.


243048; v., inoltre, Sez. 6^, n. 18372 del 21/02/2013, dep. 22/04/2013, Rv. 254728);


b) che ai fini della configurabilità del reato di tentata concussione, che si ha laddove il pubblico ufficiale abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere od indurre qualcuno a dare o promettere denaro od altra utilità, è richiesta l'oggettiva efficacia intimidatoria di tale condotta, restando indifferente il conseguimento in concreto del risultato di porre la vittima in stato di soggezione (Sez. 6^, n. 25255 del 01/04/2014, dep. 13/06/2014, Rv. 259973; Sez. 6^, n. 30764 del 22/05/2009, dep. 23/07/2009, Rv. 244867; Sez. 6^, n. 33843 del 19/06/2008, dep. 25/08/2008, Rv. 240797).


Deve altresì rilevarsi, nella medesima prospettiva, che il prospettare l'esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale, al solo fine di costringere la persona offesa ad una prestazione indebita, integra certamente la minaccia di un danno ingiusto, in quanto non funzionale al perseguimento del pubblico interesse, ma chiaro indice di sviamento dell'attività amministrativa dalla causa tipica. In questa ipotesi, dunque, la persona offesa è certamente vittima di concussione, in quanto si piega all'abuso proprio per scongiurarne gli effetti per lei ingiustamente dannosi (v., in motivazione, Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv.


258470).


Una linea interpretativa, quella or ora indicata, che nel caso in esame si fonda sulla prospettazione di una minaccia ingiusta da parte del docente e sulla rilevata assenza di valide scelte alternative da parte della persona offesa, e che questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, cit.) ha inteso definire allorquando ha affermato che il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua, come avvenuto nel caso in esame, mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, il quale, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.


4. Conclusivamente, deve ritenersi che la Corte d'appello ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto oggetto del correlativo tema d'accusa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.


La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logico-argomentativa.


In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico - fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo ivi tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.


Inammissibili, infine, perchè del tutto aspecificamente formulati, devono ritenersi i su indicati profili di doglianza (v., in narrativa, il par. 2) attinenti alla sussistenza dell'elemento psicologico e alla dimostrazione del danno (quest'ultimo, peraltro, già ritenuto generico - v. pag. 18 - nella impugnata decisione della Corte d'appello).


5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si ritiene congruo determinare nella misura di 1.500,00 Euro.


Ne discende, altresì, la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che, avuto riguardo alla natura ed entità delle questioni dedotte, vanno complessivamente liquidate secondo le statuizioni in dispositivo meglio indicate.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rifondere alla parte civile A.C.M.P. le spese sostenute nel presente grado, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.


Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2015

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