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Concussione: in caso di indebita richiesta di danaro rifiutata è solo istigazione alla corruzione


Corte di Cassazione

La massima

In tema di reati contro la pubblica amministrazione, la indebita richiesta di denaro da parte del pubblico ufficiale, che venga comunque rifiutata dalla vittima, non integra il delitto di tentata concussione, ma quello di istigazione alla corruzione previsto dall' art. 322, comma 3, c.p. , qualora difettino gli elementi della costrizione o induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri. (Fattispecie in cui il pubblico ufficiale, nel formulare le sue richieste di denaro, prospettava alle vittime la convenienza del suo intervento “per rimettere in moto” le pratiche alla cui definizione i privati erano interessati, senza prospettare in alcun modo che, in caso di mancato accoglimento della sua proposta, avrebbe ostacolato la prosecuzione dell'iter amministrativo - Cassazione penale , sez. VI , 23/01/2020 , n. 14782).

Fonte: CED Cassazione Penale 2021



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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Potenza con sentenza del 4 aprile 2019 ha confermato la condanna di G.G.N. disposta dal Tribunale di Potenza il 18 gennaio 2016 per il reato di tentata concussione.


G., veterinario e, all'epoca del fatto, responsabile dell'Ufficio aiuti Dipartimento per l'agricoltura Regione Basilicata, abusando della qualità e dei poteri di tale incarico, tentava di costringere due coltivatori diretti interessati ad una pratica per il ripianamento di passività agrarie pregresse (L. n. 250 del 1993, ex art. 8bis), di competenza del suo ufficio, a versargli denaro perchè svolgesse l'attività di propria spettanza. Il fatto era stato accertato in (OMISSIS).


La Corte di Appello confermava la ricostruzione dei fatti del primo giudice secondo il quale il ricorrente, nel suo ruolo, riceveva in ufficio i due coltivatori diretti, P. e D., e, "indipendentemente dalla titolarità o meno di competenze funzionali riferibili al caso concreto", si presentava quale responsabile delle loro pratiche e, poi, richiedeva in modo palese che i due gli corrispondessero somme di denaro, lasciando intendere che in caso di mancato versamento vi sarebbe stato un ritardo indebito della trattazione delle pratiche stesse.


In particolare, valutava e confermava la attendibilità delle persone offese, posta in dubbio con i motivi di impugnazione, riteneva corretta la qualificazione giuridica del fatto, ricorrendo una situazione in cui alle pp.00. era impedita ogni possibilità di scelta e, infine, riteneva inapplicabili le attenuanti generiche e adeguata la pena.


G. propone ricorso a mezzo del difensore e deduce:


con il primo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione. Premette la corretta ricostruzione della procedura amministrativa per dare atto che, alla data del presunto episodio concussivo, il ricorrente si era già spogliato delle pratiche in questione. In conseguenza, rileva la inadeguata valutazione delle prove orali quanto alle dichiarazioni accusatorie ed alle presunte dichiarazioni di riscontro di altri testimoni. Rileva, peraltro, il contesto di forte pressione operata dagli imprenditori agricoli iscritti al medesimo sindacato delle persone offese. Ne deriva una motivazione erronea e frutto di travisamento delle prove.


Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto alla qualificazione del fatto non rivestendo la presunta condotta il carattere di indebita pressione che caratterizza la concussione dovendosi, se del caso, ritenere la diversa ipotesi della induzione indebita.


Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge per essere stata negata sia la attenuante speciale di cui all'art. 323 bis c.p. che le attenuanti generiche nonchè per la inadeguata valutazione ai fini della pena.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va accolto limitatamente alla qualificazione giuridica con conseguente prescrizione del reato.


Il primo motivo, per la parte in cui si contesta la ricostruzione in fatto della vicenda, è manifestamente infondato. La parte dedica ampio spazio al tema della procedura amministrativa e della cessazione delle attività proprie del ricorrente nell'ambito delle pratiche L. n. 250 del 1993, ex art. 8bis ma la questione è chiaramente irrilevante: quello di cui si è accusato il ricorrente è di aver prospettato in modo credibile, sfruttando la propria posizione nella amministrazione, la sua incidenza in concreto nella gestione della pratica per richiedere una somma di denaro.


Risulta invece erronea la qualificazione giuridica del fatto, alla stregua del contenuto delle accuse delle due pp.00. quali riportate dai giudici di merito; nel momento in cui il ricorrente ebbe a formulare la sua richiesta di denaro, non prospettava danni ma, invece, la convenienza di un suo intervento extra ordinem.


Dalla descrizione della vicenda, si comprende che le persone offese si erano attivate perchè già vi era un significativo ritardo della loro pratica; tale ritardo non è stato attribuito, neanche in ipotesi, ad una condotta del ricorrente per cui implicitamente è stato escluso che lui stesso abbia inteso creare artificiosamente la condizione per poter costringere le vittime al pagamento in suo favore di somme di denaro.


Il ricorrente, invece, risulta essersi palesemente offerto quale persona in grado, se adeguatamente remunerato, di rimettere in moto la pratica.


La sentenza riporta come la espressione utilizzata da G. sia stata percepita dai due imprenditori. D. ha detto che G. riferì "amici agricoltori... avreste dovuto capirlo fin dall'inizio che qui se non pagate non se ne fa niente" e P. che lo stesso disse "voi agricoltori non volete pagare, gli altri pagano".


In un caso od in un altro, le espressioni utilizzate e lo stesso contegno come descritto risultano indicative di una offerta della propria disponibilità a facilitare il buon esito della pratica, non la minaccia di impedirne la prosecuzione. Se tale è la obiettiva manifestazione esterna del G., poco rileva, a definire l'oggettività del fatto e la portata della sua "proposta", la generica sensazione delle pp.00. che dietro questa messa a disposizione vi fosse, in realtà, la minaccia di bloccare la pratica.


L'obiettività della condotta come ricostruita dai giudici di merito comporta che la corretta contestazione è quella di istigazione a versare denaro in proprio favore per l'asserito svolgimento della pratica amministrativa, ovvero il reato di cui all'art. 322 c.p., comma 3.


Tale reato, attesa la data di commissione del fatto, ad oggi risulta estinto per prescrizione. Va quindi annullata senza rinvio la sentenza impugnata per essersi realizzata tale causa di estinzione. Per il tenore della decisione resta assorbito il terzo motivo.


Vanno confermate, comunque, le statuizioni civili essendo infondato il ricorso quanto al merito, come detto a proposito del primo motivo, essendo, comunque, i soggetti destinatari della istigazione alla corruzione soggetti danneggiati dalla condotta; solo l'entità del danno risarcibile può risultare diversa, per la mutata qualificazione giuridica del fatto, ma si tratta di un profilo che riguarderà il separato giudizio per la determinazione del quantum del danno.


La decisione comporta la soccombenza nel rapporto con le parti civili nei confronti delle quali, quindi, G. è tenuto al pagamento delle spese processuali, nella misura determinata in dispositivo.


P.Q.M.

Qualificata la condotta contestata nel reato di cui all'art. 322 c.p., comma 3, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili; condanna, inoltre, il ricorrente alla refusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili, P.G. e D.S., che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese al 15%, iva e cpa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.


Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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