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Concussione: sussiste se il P.U. evoca l'esercizio di poteri spettanti alla sua amministrazione


Corte di Cassazione

La massima

Configura un abuso della qualità, necessario ad integrare il reato di concussione, l'evocazione dell'esercizio dei poteri spettanti all'amministrazione di riferimento del pubblico ufficiale. (Fattispecie relativa ad un consigliere comunale che, per convincere le persone offese ad accettare le sue illecite pretese, aveva manifestato la possibilità di interferire presso il competente amministratore comunale per favorire la definizione di una pratica riguardante abusi edilizi - Cassazione penale , sez. VI , 13/01/2017 , n. 8512).

Fonte: CED Cassazione Penale 2018



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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 13/01/2017, (ud. 13/01/2017, dep. 22/02/2017), n.8512

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 15 dicembre 2015, la Corte di appello di Salerno, per quanto di interesse in questa sede, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Salerno, ha dichiarato la penale responsabilità di D.R.V. per il reato di cui all'art. 319-quater c.p., così riqualificando il fatto per il quale in primo grado era stata disposta condanna per il reato di tentata concussione, e gli ha irrogato la pena di anni uno di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche; ha revocato le pene accessorie e confermato la condanna in favore della parte civile.


Il fatto addebitato al D.R. concerne l'attività di induzione, posta in essere dallo stesso, all'epoca dei fatti Consigliere comunale del Comune di Capaccio, in concorso con P.C., assessore del medesimo Comune, in epoca antecedente e prossima al gennaio 2001 in danno di M.G., al fine di determinare quest'ultimo ad acquistare dal padre del P. un terreno, al prezzo di Lire 100.000.000, da donare immediatamente dopo al D.R.; l'attività di induzione sarebbe stata esercitata prospettando la precisata operazione immobiliare quale condizione necessaria per: a) favorire l'accoglimento delle osservazioni della moglie del Maffia, Ismeria Lombardi, legale rappresentante della società Parco Vanvitelli s.p.a., in ordine all'estensione del vincolo paesaggistico su di un'area, da disporsi con provvedimento di competenza della Soprintendenza di Salerno; b) offrire un indennizzo al D.R. in conseguenza di una precedente denuncia del Maffia; c) definire una pratica urbanistica relativa alla presunta demolizione abusiva di un muro; d) evitare l'esproprio da parte del Comune di Capaccio del cd. "(OMISSIS)" per realizzare un pubblico passaggio. Nei confronti del P., la Corte d'appello ha pronunciato sentenza di non doversi procedere per prescrizione, in riforma della condanna per tentata concussione pronunciata in primo grado, e previa riqualificazione del fatto, anche nei suoi confronti, nel reato di cui all'art. 319-quater c.p. Il D.R., invece, ha rinunciato alla prescrizione.


2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l'avvocato Catello Di Capua, nell'interesse del D.R., articolando cinque motivi.


2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 110, 319-quater e 357 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo al ritenuto esercizio illegale di funzioni pubbliche.


Si deduce che la sentenza di appello ha trascurato, da un lato, che le persone offese avevano desistito dall'iniziativa diretta ad ottenere una riperimetrazione del vincolo paesaggistico ed avevano accettato tutte le condizioni trattate per l'accordo, e, dall'altro, che l'accordo non era stato più stipulato perchè era intervenuto un decreto ministeriale che aveva rigettato le osservazioni delle persone offese ed aveva consentito al ricorrente di realizzare la propria abitazione sul suo terreno. Si rappresenta, inoltre, che la qualità di consigliere comunale del D.R. è rimasta del tutto estranea alla vicenda perchè: a) la procedura per il vincolo paesaggistico e il decreto ministeriale esulano del tutto dalle competenze di un consigliere o di un assessore comunale; b) la composizione della lite per la denuncia sporta dal M. afferisce ad una questione privata; c) le competenze in ordine ai poteri sanzionatori per la demolizione del muro spettano al dirigente del settore urbanistica e debbono essere esercitate obbligatoriamente, e la disponibilità manifestata dal ricorrente a "ritirare la denuncia" era semplicemente funzionale a consentire l'emissione di un provvedimento di sanatoria rientrante nelle attribuzioni del precisato dirigente amministrativo; d) la delibera per l'esproprio del cd. "(OMISSIS)" è stata adottata il 22 gennaio 1997, in epoca antecedente all'assunzione della carica di Consigliere comunale da parte del D.R., e alla stessa non è stato dato alcun seguito, determinando la decadenza del termine entro il quale era legittimo procedere all'ablazione. Si aggiunge, poi, che i contatti tra il D.R. ed i coniugi M. e Lombardi erano stati tenuti in presenza di molteplici soggetti, come il Sindaco o il parroco, oltre che con i tecnici di parte, e che non è mai emersa una situazione di timore delle persone offese nei confronti della pubblica autorità.


2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 110, 319-quater e 357 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla prova del ritenuto esercizio illegale di funzioni pubbliche.


Si deduce che, per la configurabilità del reato di concussione per induzione non è sufficiente la mera sollecitazione del privato, ma occorre una pressione che incide sullo stato psicologico di quest'ultimo e lo determina alla dazione o alla promessa.


Nella vicenda in esame, tra le parti è intercorsa una mera trattativa, affinchè le persone offese acquistassero il terreno, e, siccome la trattativa non è andata a buon fine, il terreno è stato acquistato direttamente dal D.R..


2.3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 56 c.p., commi 1 e 3 e art. 49 c.p., comma 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla inidoneità dell'azione.


Si deduce che le parti civili, nonostante il mancato accordo, non hanno mai desistito dal portare avanti la loro azione per ottenere la rideterminazione del vincolo paesaggistico, e non hanno mai ceduto alle condizioni che si ipotizzano prospettate dall'imputato, sicchè l'azione del ricorrente è da ritenersi inidonea. Inoltre, la fine delle trattative è ascrivibile alla decisione del ricorrente, il quale si è determinato in tal modo dopo il decreto ministeriale sul vincolo paesaggistico, che gli ha permesso di proseguire i lavori sul suolo di sua proprietà:


precisamente, se, da un lato, le persone offese non si sono mai trovate dinanzi all'alternativa di accettare l'accordo o di subire un indebito pregiudizio, dall'altro il D.R., dopo la riperimetrazione dell'area sottoposta a vincolo, ha spontaneamente abbandonato le trattative ed acquistato il terreno del padre del P., corrispondendo il prezzo con le proprie risorse economiche, così ponendo in essere una condotta di desistenza.


2.4. Con il quarto motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, e vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese e delle registrazioni.


Si deduce che il reale movente delle persone offese è stato sostanzialmente esplicitato dal M. in una conversazione registrata, nella quale si sottolinea un interesse alla speculazione edilizia: questa situazione di specifico interesse economico avrebbe dovuto indurre ad una più prudente valutazione delle dichiarazione delle persone offese, che sono anche imputate in procedimenti per reati collegati. Si deduce, inoltre, che anche le registrazioni dovrebbero essere esaminate con particolare prudenza, perchè sono state prodotte dalle persone offese, che hanno potuto selezionare i dialoghi più utili a sostenere la loro tesi, tra tutti quelli captati in oltre un anno di trattative


2.5. Con il quinto motivo, si chiede l'applicazione della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p..


Da un lato, infatti, nessun danno economico è derivato alle persone offese, perchè alle stesse non è stato espropriato alcunchè ed è stata inoltre rilasciata la concessione in sanatoria per il muro abusivamente realizzato, così da consentire l'avvio di una pratica diretta a modificare la destinazione d'uso del loro immobile al fine di consentire l'esercizio di attività produttive-recettizie.


Dall'altro, le condotte poste in essere dal D.R., asseritamente funzionali ad impedire che le osservazioni della L. venissero accolte e che, quindi, permanesse il vincolo sul terreno del ricorrente, sono divenute irrilevanti per effetto del decreto ministeriale che ha eliminato il vincolo paesaggistico sul terreno dello stesso e gli ha permesso di proseguire legittimamente nei lavori.


3. In data 23 dicembre 2016, l'avvocato Franco Arnaldo, quale difensore di fiducia della costituita parte civile M.G., ha depositato memoria.


Nella memoria si osserva, innanzitutto, che i primi tre motivi di ricorso ripropongono questioni di fatto, richiamando atti processuali non allegati nè specificamente indicati, e che una puntuale risposta ai quesiti sulla sussistenza dell'abuso di qualità del D.R., e sui tratti prevaricatori della condotta del medesimo è offerto anche dalla analitica motivazione della sentenza di primo grado. Si rileva, poi, che il quarto motivo ripropone in termini assolutamente generici il quesito sull'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e delle registrazioni in atti, nonostante le ampie indicazioni fornite dalla Corte d'appello e, prima ancora, dal Tribunale. Si aggiunge, ancora, che il quinto motivo non è ammissibile sia perchè non è stato proposto prima della decisione del giudice di appello, sia perchè caratterizzato da un generico richiamo ad atti processuali non allegati nè specificamente indicati, sia perchè in contrasto con la gravità dei fatti accertati, caratterizzati da una pressione intimidatoria finalizzata ad ottenere una dazione del valore di Lire 100.000.000. Si chiede, infine, alla Corte di cassazione di valutare, di ufficio, se sussistono i presupposti per riqualificare il fatto come concussione.


4. Alla data dell'udienza, è pervenuta, via fax, istanza di rinvio dell'avvocato Catello Di Capua, difensore del D.R., con allegato certificato medico del 12 gennaio 2017, attestante "sindrome influenzale".


La Corte, con ordinanza pubblicata in udienza, ha rigettato l'istanza di rinvio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le doglianze formulate nel ricorso sono complessivamente infondate, anche se il reato deve essere riqualificato ai sensi degli artt. 56 e 319-quater c.p..


2. Nel primo e nel secondo motivo del ricorso si contesta che il fatto addebitato al D.R. abbia implicato l'esercizio illegale - o la prospettazione di un esercizio illegale - di funzioni pubbliche da parte del medesimo.


2.1. Secondo un insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, l'abuso della qualità da parte del pubblico ufficiale, rilevante a norma degli artt. 317 e 319-quater c.p., consiste in una strumentalizzazione della sua posizione di preminenza sul privato, posta in essere indipendentemente dalle sue specifiche competenze (così, con espresso riferimento al reato di cui all'art. 319-quater c.p., Sez. 6, n. 10604 del 12/02/2014, Ramello, Rv. 259896, anche sul presupposto della pertinenza della precedente elaborazione giurisprudenziale relativa alla fattispecie di concussione, di cui si cita esemplificativamente Sez. 6, n. 45034 del 09/07/2010, Pentimalli, Rv. 249030). In questa prospettiva, anzi, si è pure sottolineato che l'abuso di qualità rileva anche quando esplicitato in rapporto ad atti non rientranti nella competenza funzionale dell'agente, specie laddove questi ne lasci presumere un esercizio informale o di fatto (v., ad esempio, Sez. 6, n. 545 del 07/11/1997, dep. 1998, Della Corte, Rv. 209552, nonchè Sez. 6, n. 8034 del 11/04/1995, Cinelli, Rv. 202586).


2.2. Nella vicenda in esame, come ricostruita dalle due sentenze di merito (la decisione di primo grado è espressamente richiamata a tal fine da quella di appello), le due persone offese, ed in particolare M.G., quali amministratori della società Parco Vanvitelli s.p.a., titolare di una villa di valore storico ed artistico, portarono avanti una trattativa con D.R.V., all'epoca dei fatti anche consigliere del Comune di Capaccio, P.C., all'epoca dei fatti anche assessore del Comune di (OMISSIS), e tale signor C., per formulare una proposta comune da presentare alla Soprintendenza di Salerno ed al Ministero dei Beni Culturali, ai fini della definizione del perimetro del vincolo paesaggistico e di inedificabilità gravante sugli immobili di proprietà della società, del D.R., del padre del P. e del C., tutti fondi confinanti ed ubicati in (OMISSIS); ciò perchè nella primavera del 2000, la Soprintendenza di Salerno aveva proposto una ridefinizione del vincolo paesaggistico esistente, limitandolo alla sola villa vanvitelliana e ad una piccola parte del parco, escludendo altre parti di questo, tra cui il (OMISSIS), di cui pure era proprietaria la società, nonchè l'area di cui era titolare il padre del P., in parte ceduta al D.R., e sulla quale quest'ultimo aveva iniziato a costruire.


Nell'agosto del 2000, fu raggiunta una ipotesi di accordo per l'elaborazione di una posizione comune tra tutti i proprietari interessati, avente ad oggetto la formulazione di una richiesta congiunta alla Soprintendenza ed al Ministero di conservare il vincolo su tutta la proprietà della società Parco Vanvitelli s.p.a., con esclusione dallo stesso dei beni degli altri soggetti; a tal fine, fu redatto un documento, sottoscritto dai competenti organi della società e consegnato al D.R., perchè lo firmasse e lo facesse firmare dalle altre persone interessate. Tuttavia, dopo circa quindici giorni, il D.R. fece sapere, anche attraverso il dottor A.M., invitato nel corso delle trattative dal M. a svolgere l'attività di "paciere", che, per apporre la sua firma, era necessario che la società Parco Vanvitelli s.p.a. acquistasse dal padre di P.C. un fondo non edificabile, lo pagasse 100.000.000 di lire e lo donasse subito dopo a lui. Il D.R., inoltre, comunicò anche telefonicamente al M. che dall'accettazione di questa condizione la società Parco Vanvitelli s.r.l. avrebbe conseguito ulteriori vantaggi, relativi, in particolare, alla definizione di una pratica concernente la demolizione di un muro, a dire dell'imputato avvenuta abusivamente e per la quale erano intervenuti i vigili urbani, nonchè alla cessazione della richiesta di passare attraverso il precisato (OMISSIS), richiesta che, avrebbe potuto essere soddisfatta solo con l'esproprio del bene, essendo detto viale di proprietà della società. Il M., dopo contatti con il D.R. e con il P., decise di non accogliere la richiesta formulata da D.R., almeno non a quelle condizioni di prezzo. Dopo una fase di stallo, in data 3 gennaio 2001, il M. fu improvvisamente informato dal D.R. che due ispettori ministeriali avrebbero fatto un sopralluogo sul sito oggetto di discussioni; in occasione di tale accesso, il M. e la L. riproposero e sostennero con vigore la richiesta di conferma del vincolo su tutti i beni della società Parco Vanvitelli. Dopo qualche mese, fu notificato il provvedimento della Soprintendenza, che confermava il vincolo su tutti i beni di proprietà della società Parco Vanvitelli s.r.l., ed escludeva dallo stesso i terreni di proprietà del P. e del D.R..


2.3. Alla luce dei principi giuridici sopra precisati, e dei fatti come ricostruiti dai giudici di merito, deve concludersi che correttamente la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza dell'abuso di qualità da parte del D.R. al fine di ottenere un vantaggio ingiusto.


Ed infatti, secondo la riferita ricostruzione dei fatti, l'imputato, nel corso della trattativa, e per convincere le persone offese ad accedere alle sue pretese, non ha esitato ad evocare, in particolare, la possibilità di definire la pratica pendente presso il Comune di (OMISSIS) nei confronti della società Parco Vanvitelli s.r.l. per asseriti abusi edilizi conseguenti alla demolizione di un muro, e la rinuncia alla pretesa di passare attraverso il (OMISSIS), che, essendo di proprietà della medesima società sarebbe stato transitabile solo previo esproprio. In entrambi i casi, invero, sullo sfondo delle prospettazioni formulate dal D.R. si pone, nitidamente, l'esercizio di competenze del Comune di (OMISSIS), di cui egli era Consigliere ed il P.C. Assessore, e sulle quali egli avrebbe potuto interferire, in fatto o addirittura formalmente, con esiti "variabili" per gli interessi delle persone offese. Per la precisione, mentre in relazione alla pratica pendente per la demolizione del muro, le possibilità di intervento del D.R. erano essenzialmente informali, ma significative (nel corso dei colloqui telefonici tra il M. ed il P., assessore comunale a (OMISSIS), quest'ultimo dice di non voler litigare con il D.R. per non avere problemi di "tipo politico"), con riferimento al possibile esproprio del (OMISSIS), l'intervento dell'imputato poteva essere persino formale (tra l'altro, come rilevato anche dalla difesa nel ricorso, una precedente maggioranza consiliare aveva già adottato in proposito una specifica delibera; quest'ultima, siccome datata 22 gennaio 1997, non era ancora inefficace nel periodo 2000/2001).


3. Piuttosto, questi essendo gli elementi acquisiti, deve rilevarsi che il fatto ritenuto in sentenza non integra gli estremi del reato di induzione indebita, bensì quello di tentata induzione indebita, a norma degli artt. 56 e 319-quater c.p..


3.1. E' utile premettere, sebbene non si tratti di profilo contestato nel ricorso, che, secondo l'ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi giuridicamente configurabile il delitto di tentativo di induzione indebita quando l'evento non si verifica per la resistenza del privato (cfr. specificamente: Sez. 6, n. 35271 del 22/06/2016, Mercadante, Rv. 267986; Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016, Farina, Rv. 265901; Sez. 6, n. 46071 del 22/07/2015, Scarcella, Rv. 265351; Sez. 6, n. 32246 del 11/04/2014, Sorge, Rv. 262075), e che, in particolare, ai fini della integrazione di tale fattispecie, non è necessario il perseguimento di un indebito vantaggio da parte di quest'ultimo soggetto, in quanto il precisato elemento rileva esclusivamente per la sussistenza della fattispecie consumata (così, segnatamente, Sez. 6, n. 32246 del 2014, Sorge, cit.).


Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, è evidente, alla luce della sentenza impugnata, come di quella di primo grado, che la pretesa del D.R. di ottenere l'utilità costituita dall'acquisto del terreno in suo favore da parte della società Parco Vanvitelli s.p.a. non fu mai soddisfatta, proprio per la mancata adesione dei gestori di tale società. E' pertanto doveroso dare al fatto, in questa sede, la definizione di tentata induzione indebita, a norma degli artt. 56 e 319-quater c.p., in linea, peraltro, con la contestazione formulata nell'imputazione e con la sentenza di primo grado, le quali facevano espresso riferimento al tentativo, sebbene con riguardo al reato di concussione.


3.2. Deve, inoltre, escludersi, che il fatto sia sussumibile nella fattispecie di tentata concussione, come richiesto dalla difesa della parte civile.


Fondamentali, in proposito, sono le indicazioni offerte da Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470. Secondo questa decisione, fattispecie in cui emblematicamente si configurano problemi di discernimento tra concussione ed induzione indebita sono proprio quelle in cui, come nella vicenda in esame, rilevano l'abuso di qualità, specie quando non ancorato ad un atto specifico (p. 17 della motivazione), o la "prospettazione implicita (...) di un danno generico" (p. 18 della motivazione), o la "minaccia-offerta o minaccia-promessa" (p. 19 della motivazione), o l'esercizio di un potere discrezionale da parte del pubblico agente (p. 20 della motivazione): in tutte queste ipotesi, si osserva, "il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e staticità, di individuare il reale disvalore di vicende che occupano la c.d. "zona grigia"", per cui lo stesso "deve essere opportunamente calibrato, all'esito di una puntuale ed approfondita valutazione in fatto, della specificità della vicenda concreta (...)" (p. 22 della motivazione).


I fatti emersi nella presente fattispecie si caratterizzano per la sostanziale indeterminatezza delle forme di intervento del D.R. sullo svolgimento dell'attività amministrativa incidente sugli interessi delle persone offese e per la conseguente impossibilità di stabilire, da un punto di vista oggettivo, quanto vi fosse di "minaccia" e quanto, invece, di "offerta". In particolare, per ciò che riguarda la procedura sanzionatoria conseguente alla demolizione del muro il procedimento amministrativo era già formalizzato, mentre il contenuto dell'intervento è stato sostanzialmente indeterminato, e non risulta essersi concretizzato nella prospettazione di un ulteriore aggravamento della posizione della società Parco Vanvitelli s.p.a. e dei suoi amministratori. Per quanto concerne, poi, la possibile espropriazione del (OMISSIS), non può trascurarsi che la procedura ablatoria risultava già oggetto di delibera adottata da una precedente maggioranza consiliare. Inoltre, in ogni caso, il riferimento all'esercizio di poteri di spettanza del Comune di (OMISSIS) in maniera sfavorevole per la società facente capo al M. ed alla L. non risulta essere stato evocato in termini di ineluttabile conseguenza della mancata accettazione della richiesta illecita del D.R.. D'altro canto, ancora, l'accettazione alla richiesta illecita, secondo quanto evidenziato dai giudici di merito, avrebbe consentito alle persone offese di ottenere una utilità non necessariamente dovuta, e precisamente l'adesione del D.R. e del padre del P., in quanto privati proprietari di fondi confinanti cointeressati alla definizione del vincolo paesaggistico, alla formulazione di una posizione comune alla società Parco Vanvitelli s.p.a., e comunque di gradimento anche di quest'ultima, da rappresentare alla Soprintendenza ed al Ministero dei Beni Culturali.


E' in considerazione di tutti questi indici che non può riconoscersi all'abuso del pubblico ufficiale D.R. un "effetto perentoriamente coartante", ma quello, più limitatamente, "persuasivo", sulla libertà di autodeterminazione delle persone destinataria della condotta illecita. E' per questa ragione, quindi, che il Collegio ritiene correttamente qualificato il fatto in contestazione come tentativo di induzione indebita e non, invece, come tentativo di concussione.


4. Ancora nel primo e nel secondo motivo, nonchè nel terzo motivo del ricorso, si censura la decisione impugnata laddove ha ritenuto la sussistenza dell'idoneità della condotta posta in essere dal D.R., ed ha escluso la configurabilità della desistenza.


4.1. Per quanto attiene all'accertamento della sussistenza del requisito della idoneità degli atti necessaria ai fini della configurabilità del tentativo di un delitto, nella giurisprudenza di legittimità, già in linea generale, si ritiene che la valutazione in proposito non deve essere compiuta avendo riguardo ad un criterio probabilistico di realizzazione dell'intento delittuoso, bensì in riferimento alla possibilità che alla condotta segua lo scopo che l'agente si propone, sicchè si configura un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell'art. 49 c.p., solo in presenza di un'inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l'azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall'agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso (così, per tutte, Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L. M., Rv. 264567, e Sez. 2 n. 7630 del 14/01/2004, Argenta, Rv. 228557). Più in particolare, si evidenzia che, ai fini della possibile sussistenza del tentativo di concussione, è irrilevante l'accertata irrealizzabilità a posteriori di quanto minacciato o promesso (Sez. 6, n. 8034 del 1995, Cinelli, cit.), e che, specificamente, il tentativo di induzione indebita può essere integrato anche quando le pressioni non vengono accolte per la resistenza del privato (particolarmente significativa in proposito la fattispecie esaminata da Sez. 6, n. 46071 del 2015, Scarcella, cit., nella quale la persona offesa aveva registrato i colloqui avuti con un intermediario del pubblico ufficiale, prima di presentare denuncia ai Carabinieri). Inoltre, anche ai fini della configurabilità del tentativo di concussione, si ritiene sufficiente la sola oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione (cfr., Sez. 6, n. 25255 del 01/04/2014, R., Rv. 259973, nonchè Sez. 6, n. 30764 del 22/05/2009, Zeccardo, Rv. 244867).


Per quanto concerne, poi, la configurabilità della desistenza, è utile premettere che la giurisprudenza, in linea generale, ritiene sussistente il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell'evento non per volontaria iniziativa dell'agente ma per fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana (cfr., ad esempio, Sez. 2, n. 51514 del 05/12/2013, Martucciello, Rv. 258076, e Sez. 5, n. 17688 del 03/12/2004, dep. 2005, Dominici, Rv. 232124). Fattore esterno alla condotta delittuosa, inoltre, può essere sicuramente la resistenza della persona offesa o comunque del destinatario immediato dell'azione illecita. In quest'ordine di idee, del resto, più volte è stata espressamente esclusa, con specifico riferimento al tentativo di concussione, la configurabilità della desistenza laddove non si è verificata la consumazione del reato per la resistenza della parte offesa (v., in particolare, Sez. 6, n. 6113 del 25/02/1994, Fumarola, Rv. 198497, e Sez. 6, n. 11952 del 06/04/1990, Fiorentini, Rv. 185204). Ancora, sempre nella medesima prospettiva, si pone l'affermazione della integrazione del tentativo di estorsione, e quindi della esclusione della desistenza, nell'ipotesi in cui la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima (Sez. 2, n. 41167 del 02/07/2013, Tammaro, Rv. 256728).


4.2. Nella vicenda in esame, in considerazione dei principi normativi e giurisprudenziali appena richiamati, e degli elementi di fatto di cui si è dato conto in precedenza al p. 2.2., deve ritenersi corretta sia l'affermazione della idoneità degli atti posti in essere dal D.R. ai fini della commissione del delitto, sia l'esclusione della desistenza.


E' immune da vizi, innanzitutto, la conclusione secondo cui gli atti realizzati dal ricorrente sono valutabili come idonei, alla luce di un giudizio ex ante, nella prospettiva della consumazione del reato di induzione indebita. In effetti, l'evocazione, da parte del D.R., dell'esercizio di poteri pubblicistici facenti capo al Comune di (OMISSIS), di cui egli era Consigliere, in senso potenzialmente sfavorevole alla società Parco Vanvitelli s.p.a., è avvenuta nel corso della trattativa con il M. e la L., amministratori di quest'ultima, per definire una posizione comune da rappresentare alla Soprintendenza ed al Ministero dei Beni Culturali, e raggiungere così una soluzione ritenuta di estremo interesse dalle precisate persone offese per la difesa del vincolo paesaggistico. Non è manifestamente illogico, quindi, ritenere che la descritta condotta si presentasse come efficace, nel momento in cui fu posta in essere, rispetto allo scopo perseguito di far acquistare dalla società Parco Vanvitelli s.p.a. il terreno di proprietà del padre del P. per la somma di Lire 100.000.000 e poi farselo cedere gratuitamente.


E' immune da vizi, poi, l'esclusione della desistenza. E' sufficiente rilevare sul punto, infatti, che, dopo la presentazione delle richieste da parte del D.R. al M. ed alla L., la trattativa continuò ancora per un poco, e poi si arrestò per la contrarietà delle persone offese ad aderire a quanto domandato dal ricorrente. In altri termini, secondo la ricostruzione fattuale accolta dai giudici di merito, il reato di induzione indebita non si perfezionò per una causa esterna alla condotta illecita: precisamente, la richiesta della dazione illecita non raggiunse l'esito prospettato non perchè ritirata dal D.R., ma perchè non accettata dalle persone offese.


5. Nel quarto motivo del ricorso si critica il giudizio di positiva attendibilità riconosciuto alle dichiarazioni delle persone offese ed alle registrazioni.


E' opportuno osservare, in proposito, che è costante l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (cfr., per tutte Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv., 253214, nonchè, per citare l'ultima decisione massimata, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104).


Nel presente procedimento, i giudici di primo e secondo grado hanno concordemente ritenuto attendibili le dichiarazioni del M. sia per la coerenza e logica interna della sua narrazione, sia per l'assenza di smentite, ed anzi per la convergenza con gli altri elementi di prova acquisiti al processo, costituiti non solo dalle registrazioni delle conversazioni telefoniche, ma anche dalle dichiarazioni di tutti gli altri testimoni escussi.


A fronte di tale articolata operazione valutativa, le censure si limitano ad enunciare critiche di carattere generale, che, nel dedurre l'esistenza di interessi economico-speculativi in capo al M. e la possibilità di una scorretta selezione delle registrazioni consegnate all'Autorità giudiziaria, da un lato, si presentano prive del riferimento a precisi elementi dai quali inferire vizi logici della decisione impugnata e, dall'altro, non si confrontano neppure con tutti gli elementi addotti ai fini del giudizio di attendibilità dai giudici di merito. Il motivo, pertanto, è sprovvisto della specificità necessaria richiesta dall'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).


6. Nel quinto motivo del ricorso si chiede l'applicazione dell'istituto della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p..


Si tratta di una richiesta manifestamente infondata, per l'insussistenza dei presupposti di legge relativi al limite edittale, come direttamente previsto dalla legge. Invero, l'art. 131-bis c.p. è applicabile solo per i reati in ordine ai quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni; al reato di cui agli art. 56 e 319-quater c.p., pur nella più favorevole disciplina antecedente alla riforma introdotta con legge 27 maggio 2015, n. 69, è invece applicabile la pena massima della reclusione di cinque anni e quattro mesi di reclusione.


7. In conclusione, il reato ritenuto nella sentenza impugnata deve essere qualificato ai sensi degli artt. 56 e 319-quater c.p., e, conseguentemente, attesa la diversa e meno severa cornice edittale, la decisione della Corte d'appello di Salerno deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli.


In conseguenza del contenuto decisorio appena indicato, che determina la definitività dell'affermazione di penale responsabilità del D.R., deve disporsi la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.G. e L.I., che si liquidano in Euro tremila (3.000,00), oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A..


P.Q.M.

Qualificato il reato ai sensi degli artt. 56 e 319-quater c.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli.


Condanna l'imputato D.R.V. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.G. e L.I., che liquida in Euro 3.000, oltre spese generali nella misura del 15 per cento, I.V.A. e C.P.A..


Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2017.


Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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