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Diffamazione: il fax non può essere considerato "altro mezzo di pubblicità"


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, non può ritenersi validamente contestata "in fatto" l'aggravante dell'offesa recata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa nel caso in cui il capo d'imputazione si limiti a contestare l'utilizzo del fax, senza ulteriori indicazioni, posto che la qualificazione di uno strumento tecnico per la trasmissione/comunicazione come "mezzo di pubblicità" richiede componenti valutative relative alla capacità diffusiva dello stesso di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (Cassazione penale sez. V - 24/05/2022, n. 37067).

Fonte: CED Cass. pen. 2022





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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V - 24/05/2022, n. 37067

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 luglio 2021 (dep. il 6 settembre 2021) il Tribunale di Verbania, all'esito dell'appello interposto da A.P., ha confermato la pronuncia resa il 29 gennaio 2021 dal Giudice di pace di Verbania che aveva affermato la responsabilità dello stesso imputato per il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) in danno di G.G. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di Euro 500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni determinato in Euro 2.000 - e alla rifusione delle spese in favore del G., costituitosi parte civile. Il Giudice del gravame ha, altresì, condannato l'imputato al pagamento in favore della parte civile delle spese di patrocinio in grado di appello.


2. Avverso la sentenza di secondo grado è stato proposto ricorso per cassazione nell'interesse dell'imputato, articolando due motivi (di seguito enunciati, nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).


2.1. Con il primo motivo è stata denunciata la violazione di norme processuali poste a pena di nullità (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)), indicate nell'art. 6 c.p.p. e art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), art. 179 c.p.p., comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 74, art. 4, comma 1, lett. a), a cagione dell'incompetenza per materia del Giudice di pace a conoscere del fatto, aggravato ex art. 595 c.p., comma 3.


2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), indicata negli artt. 595 e 51 c.p. a cagione del mancato riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di critica.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.


1. Con il primo motivo - sub specie della violazione di norme processuali poste a pena di nullità - la difesa ha rappresentato che il delitto di diffamazione è stato contestato come commesso utilizzando il fax, come esplicitato nella descrizione della condotta e come ritenuto dal Tribunale (secondo cui dall'utilizzo del fax sarebbe derivata la conoscenza della missiva contenente le espressioni in imputazione da parte di un numero indeterminato di persone), e dunque con un mezzo di pubblicità (come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, e segnatamente dal Sez. 5, n. 6081 del 09/12/2015 - dep. 2016, Carbonari, Rv. 266028 - 01); non rileverebbe in senso contrario la mancata menzione nell'imputazione dell'art. 595 c.p., comma 3. Ne deriverebbe l'incompetenza per materia del Giudice di pace, rilevabile in ogni stato e grado del processo.


1.1. Il motivo è infondato.


Le Sezioni Unite di questa Corte - chiamate a pronunciarsi sulla ritualità della contestazione, con riferimento al delitto falso in atto pubblico, dell'ipotesi aggravata prevista dall'art. 476 c.p., comma 2, - hanno chiarito, più in generale, che "l'ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato" (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 - 01). Più in particolare:


- "la contestazione in fatto non (dà) luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercizio dei diritti di difesa dell'imputato";


- con riguardo, invece, "alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative, (...) le modalità della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative", la cui sussistenza è anzitutto oggetto della "valutazione compiuta (...) dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio"; ed "ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale"; ragion per cui "la necessità dell'enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell'imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie" (ivi).


In breve, nel caso in cui gli elementi costitutivi di una circostanza aggravante siano caratterizzati da profili valutativi che non sono esplicitati nell'imputazione, la medesima circostanza - che non può essere contestata in fatto - non può in effetti "ritenersi contestata" all'imputato (ivi; cfr. pure, sempre alla luce di quanto chiarito da Sez. U. n. 24906/2019, cit., Sez. 5, n. 33523 del 20/06/2019, Atia, Rv. 276590 - 01, con riferimento alla circostanza aggravante di cui all'art. 576 c.p., n. 5-bis)).


Ebbene, la qualificazione di uno strumento tecnico per la trasmissione/comunicazione come "mezzo di pubblicità" ex art. 595 c.p., comma 3 (mezzo che il legislatore ha accostato e distinto dalla "stampa", la cui nozione è stata a sua volta delineata da Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015, Fazzo, Rv. 264090-01) richiede componenti valutative relative alla capacità diffusiva di esso (ossia alla sua potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone), cioè una connotazione ulteriore rispetto al mero fatto materiale dell'impiego di esso; ragion per cui, nella specie, l'aggravante in discorso non può ritenersi ritualmente contestata in fatto e non può incidere sulla competenza. Il che esime da ogni ulteriore considerazione.


2. Con il secondo motivo - sub specie della violazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) - la difesa ha rappresentato che l' A. (dirigente medico sottoposto a visita periodica a secondo la disciplina a tutela della sicurezza sul lavoro) avrebbe esercitato mediante la missiva contenente le espressioni in imputazione, indirizzata al dirigente competente dell'A.S.L (Dott. D.S.), il proprio diritto di ricusare - sia pure per il tramite di una critica aspra e dura - il Dott. G. e il Dott. B., poiché l'imputato aveva appreso proprio dal Dott. B. (che lo aveva sottoposto a visita) che il Dott. G. era intervenuto in maniera illegittima perché il medesimo Dott. B. (suo sottoposto) mutasse il giudizio sulla periodicità dei controlli (da un anno a sei mesi) cui il Dott. A. doveva sottoporsi. E il Tribunale:


- avrebbe erroneamente escluso l'esistenza dell'istituto della ricusazione del medico competente per le visite di idoneità professionale, nonostante gli istituti dell'astensione e della ricusazione - espressione dei principi costituzionali di terzietà ed imparzialità del giudizio debbano ritenersi applicabili a tutti procedimenti amministrativi pur in mancanza di una previsione espressa (e, in particolare, a quelli nei quali la Pubblica Amministrazione esprime un giudizi su un proprio dipendente, come dovrebbe trarsi dalla Delib. 30 luglio 2020 del Consiglio Superiore della Magistratura relativa alla ricusabilità del Consiglio giudiziario che deve esprimersi sulla valutazione di professionalità dei magistrati);


- non avrebbe tenuto conto dei principi giurisprudenziali relativi alla scriminante invocata, escludendola in ragione del fatto che l' A. avrebbe mosso critiche ai due professionisti già citati in relazione a condotte sfornite di prova ed adombrando condotte penalmente illecite.


Difatti, la critica dell' A. sarebbe stata espressa in relazione a fatti veri o, comunque, della cui verità l'imputato era convinto fermamente e incolpevolmente; e sul punto il Tribunale avrebbe erroneamente valutato il requisito della verità ex post sulla base degli esiti dell'istruttoria e non sulla scorta di quanto noto all'imputato al momento del fatto; in ogni caso, sarebbe pervenuto a tale conclusione senza dare conto delle dichiarazioni della teste R.A. e delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del proprio esame, dalle quali si trarrebbe che era stato il Dott. B. a informare il Dott. A. dell'intervento anomalo del Dott. G.. Le espressioni peraltro, sarebbero caratterizzate da pertinenza e continenza espressiva e avrebbero dovuto essere valutata - in ossequio ai principi posti dalla giurisprudenza - nel contesto in cui sono state formulate.


2.1. Il motivo in esame - con il quale è stato altresì dedotto il vizio di motivazione nella parte in cui si è prospettata l'erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta (Sez, 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoe', Rv. 268404 - 01) - è infondato.


La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che "in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica" (Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432 - 01; cfr. pure Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, Selmi, Rv. 248432 - 01). Infatti, l'esercizio del diritto di critica incontra limiti "rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall'art. 2 Cost., onde non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione (...). La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse" (Sez. 5, n. 12180 del 31/01/2019, Valente).


Nel caso di specie è dirimente il difetto di tale requisito, in relazione al quale non può ravvisarsi un travisamento della prova per omissione (ossia la mancata valutazione di un dato probatorio che "abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica": Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01), neppure alla luce di quanto allegato dalla difesa.


Difatti:


- all' A. è stato ascritto il delitto di diffamazione per aver offeso la reputazione del Dott. G.G. - tramite la missiva inviata a mezzo fax ai Dott. D.S.V. e G.A., indicata in imputazione - nella quale l'imputato ha affermato che il Dott. G. "aveva indotto" il Dott. B.F. a modificare il giudizio di idoneità al lavoro dell'imputato ""... con una condotta violenta, nel senso che il Dott. G. ha coartato la volontà del Dott. B. precedentemente espressa e diversa da quella effettivamente presa, e clandestina, in quanto lo scrivente (ossia l' A.) che aveva sottoscritto un giudizio di idoneità diverso da quello effettivamente ricevuto ne è stato informato a cose fatte"" (cfr. capo di imputazione);


- il Tribunale ha affermato che l'istruttoria non ha dimostrato che la condotta del G. abbia avuto luogo ed anzi è emerso che essa non si sia verificata;


- la difesa ha inteso confutare tale affermazione in virtù delle dichiarazioni rese dalla teste R.A., dalla quale - come riportato nel ricorso - si trae che l' A. ha chiesto "informazioni sulla sua inidoneità" al B. e i due "hanno iniziato a litigare" e che "il B. ha detto di avere fatto tale modifica per il G."; e in virtù della deposizione dello stesso imputato, che ha affermato di aver tratto "dalle parole del B. (...) l'idea che il G. aveva pilotato la decisione di riduzione del giudizio";


- tuttavia, tali dichiarazioni non sono atte a confutare - nei termini del travisamento che rileva in questa sede di legittimità - quanto esposto dal Tribunale in ordine al difetto di verità dell'espressioni in imputazione con riferimento a una condotta del G. asseritamente posta in essere con violenza o altra forma di coartazione e alla consapevolezza dell'imputato che tale condotta non avesse avuto luogo con le dette modalità.


Diviene superflua ogni ulteriore considerazione.


3. Al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 24 maggio 2022.


Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2022

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