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Diffamazione: va assolto il giornalista che controlla l’oggetto della sua narrativa


Corte di Cassazione

La massima

La scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica o di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità per il delitto di diffamazione aggravata di un giornalista che aveva omesso l'esame degli atti giudiziari criticati e si era affidato per la comprensione degli stessi, affermandosi sprovvisto della necessaria competenza tecnica, al legale del soggetto destinatario degli atti stessi e interessato a rappresentare in modo a sé favorevole i fatti processuali - Cassazione penale sez. V - 04/11/2019, n. 50189).


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Messina ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato D.R.P. per diffamazione in danno di S.A., Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania.


L'imputato aveva pubblicato sul sito internet "(OMISSIS)" un articolo relativo alla vicenda giudiziaria che aveva interessato D.S.M., accusato di appropriazione indebita. Nell'articolo si stigmatizzava il comportamento di alcuni magistrati del Tribunale di Catania, appartenenti alla Procura e all'ufficio del Giudice per le indagini preliminari, la cui attività, era detto nell'articolo, "tra omissioni e abusi, si sostanzia in un vero e proprio sistema che si pone a tutela di quei poteri forti che lucrano nel caos amministrativo approfittando, determinandola, della miseria morale della classe politica che di tale impunità allargata alla fine si giova". In tale polemica veniva specificamente coinvolta la Dott.ssa S., la quale aveva, secondo l'articolista, assunto un "provvedimento debordante persino rispetto alla richiesta del P.M.", poichè non si era limitata al sequestro della documentazione contabile, richiesto dalla pubblica accusa, ma aveva ordinato il blocco di tutti i conti correnti del D.S. e della moglie.


2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, con cinque motivi.


2.1. Col primo lamenta la violazione degli artt. 178 e 179 c.p.p. perchè il giudizio d'appello si sarebbe svolto in difetto di citazione dell'imputato. Questi, infatti, aveva eletto domicilio presso il difensore, ma non era stato destinatario di nessun avviso, in quanto la PEC inviata al difensore non faceva alcun riferimento all'imputato e al fatto che la notifica dovesse intendersi effettuata anche nell'interesse di quest'ultimo.


2.2. Col secondo lamenta la violazione degli artt. 51 e 595 c.p., per essere stata esclusa l'esimente del diritto di cronaca nonostante la sussistenza dei suoi presupposti applicativi. Ribadisce che l'articolo incriminato aveva avuto ad oggetto "gravissimi fatti verificatisi nel corso delle indagini a carico del libraio D.S.M." e che "aveva messo in luce le gravissime condotte poste in essere dall'Ufficio della Procura nonchè dal consulente tecnico da questo nominato", derivanti dal fatto che - nonostante vi fosse "conoscenza" tra il Pubblico Ministero affidatario delle indagini e l'avv. D.B.R., "prestanome delle presunte persone offese", e nonostante il consulente nominato dal Pubblico Ministero fosse "testimone" del suddetto prestanome nessuno dei due aveva dichiarato le incompatibilità esistenti. A tali fatti aveva, voluto dare pubblicità l'articolo incriminato, che conteneva, incidentalmente, il riferimento al provvedimento (decreto di sequestro preventivo) del Giudice per le indagini preliminari, definito, erroneamente, "debordante persino rispetto alla richiesta del P.M.". Si era trattato, aggiunge, di un errore riconosciuto dall'imputato, giacchè questi aveva confuso il decreto di sequestro probatorio della documentazione contabile, effettivamente emesso dal Pubblico Ministero, con la richiesta di sequestro preventivo dei conti correnti dell'indagato, avanzata dallo stesso organo inquirente. Ciò era dipeso, però da errore incolpevole, dovuto al fatto che la documentazione relativa al procedimento in corso era stata messa a disposizione dell'imputato dal difensore di D.S., che gli aveva anche spiegato "gli aspetti tecnici e processuali della questione", e alla "mancata autonoma possibilità di comprensione da parte dell'imputato del tecnicismo giuridico che connota la lettura degli specifici provvedimenti al medesimo consegnati". Pertanto, l'esercizio del diritto di cronaca, perlomeno nella forma putativa, non poteva essere misconosciuto, anche in considerazione del fatto che, allorchè era stata resa pubblica una nota chiarificatrice del CSM, il giornalista aveva pubblicato il comunicato suddetto, ripubblicato l'articolo con l'elisione della parte incriminata e precisato che "non avevamo e non abbiamo dubbi sulla correttezza dell'operato del Giudice S.", oltre a continuare a parlare di due separate richieste del Pubblico Ministero, così confermando il convincimento - erroneo - in ordine alla natura giuridica dell'atto.


2.3. Col terzo motivo si duole della motivazione con cui è stato ritenuta intellegibile dall'imputato, nel suol significato tecnico, la richiesta di sequestro preventivo del Pubblico Ministero ed è stato affermato, contrariamente al vero, che il giornalista abbia perseverato nella propria condotta diffamatoria anche dopo l'emissione del comunicato del CSM.


2.4. Col quarto motivo si duole del diniego delle attenuanti generiche, in base alla considerazione - errata - che l'articolo non era stato rimosso, anche dopo il comunicato del CSM.


2.5. Col quinto lamenta un vizio di motivazione con riguardo alla determinazione della pena, derivante dal fatto che non sono stati specificati la pena base e l'aumento per l'aggravante.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.


1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Nella notifica - effettuata a mezzo PEC - all'avv. Fragalà, difensore dell'imputato, è specificato chiaramente, nel campo delle "annotazioni", che la notifica è fatta anche nell'interesse "degli imputati con domicilio eletto presso gli stessi (art. 161 c.p.c.)". Tanto emerge chiaramente dalla lettura del rapporto di notifica, a cui è sufficiente fare rimando.


2. Il motivo relativo alla responsabilità è infondato. In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto - fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate - non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; pertanto, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività (ex multis, cass., n. 7682 del 31/1/2007, rv 236524-01). La giurisprudenza ha anche chiarito che la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (cass., n. 51619 del 17/10/2017). In maniera ineccepibile, quindi, è stato escluso, nella specie, che l'articolista abbia fatto quanto poteva per accertare la verità del fatto narrato, avendo omesso l'esame degli atti criticati ed essendosi affidato, per la comprensione degli stessi, al legale di D.S.; vale a dire, della parte interessata a rappresentare in maniera a sè favorevole i fatti processuali. D'altra parte, la mancanza di una "autonoma possibilità di comprensione da parte dell'imputato del tecnicismo giuridico che connota la lettura degli specifici provvedimenti al medesimo consegnati" esigeva che D.R. si astenesse dal commentarli, poichè è questa la condotta che si richiede al giornalista sprovvisto delle conoscenze adeguate alla materia trattata. A nulla vale, pertanto, addurre di aver pubblicato il successivo comunicato del CSM e di aver ripubblicato l'articolo con l'elisione della parte incriminata, atteso che tale condotta non elide l'antigiuridicità del fatto, posto in essere in epoca precedente.


3. Le attenuanti generiche sono state negate perchè non è emerso dagli atti "alcun elemento positivo valorizzabile in tal senso" e per la gravità del fatto; il che, per giurisprudenza consolidata, connota di sufficienza argomentativa la motivazione del diniego.


4. In presenza di reato circostanziato, laddove la pena sia determinata - per effetto del riconoscimento dell'aggravante - in modo indipendente rispetto a quella ordinaria del reato, non è affatto richiesto al giudice di "specificare la pena base e l'aumento per l'aggravante", perchè l'una e l'altro concorrono a determinare la pena edittale.


5. Consegue a tanto che il ricorso, proposto per motivi in parte infondati e in parte inammissibili, va rigettato; ai sensi dell'art. 616 c.p.p. il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in dispositivo.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.800, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 4 novembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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