Diffamazione: che cos'è e come è punito il reato previsto dall'art. 595 cp | Avvocato Salvatore del Giudice
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Diffamazione: che cos'è e quando si configura il reato previsto dall' art. 595 cp

Il reato di diffamazione ex art. 595 c.p

Art. 595 del codice penale - Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l'offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599].

 

Procedibilità: il reato di diffamazione è procedibile a querela di parte.

Prescrizione: il reato di diffamazione si prescrive in sei anni.

Competenza: per il reato di diffamazione è competente il tribunale in composizione monocratica (nelle ipotesi descritte dal terzo e quarto comma del presente articolo e in caso di aggravanti ex art. 43 d.lg. n. 274 del 2000); è competente il Giudice di pace (nelle ipotesi previste dal primo e secondo comma).

Udienza preliminare: per il reato di diffamazione non è prevista l'udienza preliminare.

Arresto: per il reato di diffamazione non è consentito l'arresto.

Fermo: per il reato di diffamazione non è consentito il fermo.

Custodia cautelare: per il reato di diffamazione non è consentita la custodia cautelare.

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1. Che cos'è la diffamazione?

La diffamazione è un reato previsto dall’art. 595 c.p. tra i “delitti contro l’onore” e ricorre quando taluno, comunicando con più interlocutori, offende volontariamente la reputazione di un altro. 

Affinché sussista il reato di diffamazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 595 c.p., l’offesa deve essere comunicata in assenza dello specifico destinatario e, contestualmente, alla presenza di almeno due persone.

Pertanto, il reato di diffamazione si realizza quando il soggetto leso nella sua reputazione non percepisca immediatamente l’offesa e quando, allo stesso tempo, la notizia diffamante raggiunga un certo grado di diffusività. 

I presupposti che integrano il reato di diffamazione sono, dunque, i seguenti: 

  • l’inconsapevolezza (o l’oggettiva incapacità di percepire l’offesa) del soggetto diffamato; 

  • la presenza di almeno due ascoltatori (anche non fisicamente e contestualmente presenti);

  • una notizia diffamante.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, l’elemento che connota il reato di diffamazione è l’oggettiva circolazione di una notizia in grado di pregiudicare la stima che altri abbiano del soggetto diffamato. 

In quest’ottica, pertanto, non è necessario che gli interlocutori del soggetto diffamante siano almeno due (com’è secondo l’orientamento tradizionale), perché può rivelarsi sufficiente all’integrazione del reato di diffamazione anche che la notizia sia trasmessa ad un solo soggetto che, poi, a sua volta, la trasmetta ad altri (e così via).

Si immagini, allora, che Tizio e Caia abbiano per lungo tempo una relazione extraconiugale in una piccola realtà provinciale e che il legame venga brutalmente interrotto da Tizio.

Si metta il caso che Caia, in preda al rancore, cominci a raccontare in giro che Tizio è un uomo infedele e meschino, al punto tale che la clandestina relazione extraconiugale tra i due, oltre che la presunta viltà di Tizio, diventi di pubblico dominio. Tizio è stato senz’altro invaso nella sfera della sua riservatezza e, al contempo, Caia ha avuto una condotta che integra pienamente il reato di diffamazione.

Il reato di diffamazione di cui al comma 1 dell’art. 595 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui la notizia offensiva viene appresa (o percepita) dagli interlocutori. 

E, tuttavia, perché si realizzi il reato di diffamazione, l’offesa deve essere rivolta verso un soggetto determinato: senonché, la giurisprudenza prevalente esclude che si realizzi il reato di diffamazione tutte le volte che vengano pronunciate da taluno frasi offensive nei confronti di un destinatario solo vagamente evocato e, quindi, non specificamente individuabile (ex multis si vd. Cass. Pen., 24065 del 2016).  

Se, ad esempio, durante una trasmissione radiofonica, uno degli intervistati dichiari che “gli abitanti di Palermo sono tutti mafiosi”, il reato di diffamazione non si configura, perché la generica affermazione offensiva, a cui è sotteso un bigotto luogo comune, rivolta agli abitanti di un’area geografica italiana, per quanto specifica, non costituisce un contenuto in grado di diffamare un soggetto precisamente identificabile.

Ciò non significa, però, che il soggetto verso cui è rivolta la condotta diffamante debba essere nominativamente individuato (si veda tra le tante, Cass. Pen., 7410 del 2011): la circostanza che il soggetto sia individuabile, sulla base delle informazioni fornite dal soggetto diffamante, pur in assenza di specifici riferimenti nominali, è sufficiente ad integrare il reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. (sempre che sussistano gli altri presupposti). 

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2. Quando si configura il reato di diffamazione?

La diffamazione è un reato previsto dall'art. 595 del codice penale che viene in rilievo quando qualcuno offende la reputazione altrui, comunicando con più persone e in assenza della persona offesa o, ad esempio, quando si diffondano a mezzo stampa delle notizie offensive nei confronti di un determinato soggetto. 

La disposizione descrive un reato comune posto a tutela della reputazione e dell'onore, da intendersi, secondo l'opinione dottrinale oggi dominante, nel sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale (onore) e in quello che la comunità ha del soggetto (reputazione).

Ed invero, il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all'art. 595 c.p. è la reputazione, che si identifica nella stima e considerazione di cui l'individuo gode nella società per le sue qualità personali.

La diffamazione è un reato a condotta libera, formale ed istantaneo che si consuma con l'adozione di mezzi che rendano accessibili a più persone le affermazioni lesive della reputazione. 

La diffamazione non richiede un effettivo pregiudizio alla reputazione del soggetto passivo. Ciò che richiede è l'idoneità offensiva della condotta a ledere il bene dell'altrui reputazione. È necessario, cioè, che le parole utilizzate siano attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest'ultima (Cass. Sez. V, 17944/2020).

Si riportano, sul punto, alcune massime della Corte di Cassazione:

In tema di diffamazione, la rappresentazione in una "fiction" giudiziaria di fatti storici non del tutto fedeli al dato investigativo e processuale, non è di per sé diffamatoria, attesa la natura creativa ed artistica dell'opera, salvo che vengano distorti, in senso denigratorio, gli accadimenti reali, deformando irrimediabilmente la verità processuale emersa, in modo da potenziare il sospetto nei confronti dei protagonisti della vicenda oltre quello derivante dagli elementi indiziari vagliati nel processo (Cassazione penale sez. V - 30/06/2021, n. 30724);

Ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione non occorre che la propalazione delle frasi offensive avvenga simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, purché comunque rivolta a più soggetti. (Nella specie, le frasi riferite alla condotta sessuale spregiudicata della vittima erano state indirizzate ad una pluralità di destinatari, attraverso singole chiamate, mediante "account" informatici falsamente riconducibili alla persona offesa - Cassazione penale sez. V - 14/10/2021, n. 323);

Non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, e i riferimenti personali e temporali (Cassazione penale sez. VI - 06/12/2021, n. 2598);

Il delitto di diffamazione tramite inserimento di un video nel canale "You Tube" ha natura di reato istantaneo di evento, che si consuma nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva diventano fruibili da parte di terzi mediante l'inserimento nel "web", con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato. (In motivazione, la Corte ha precisato che il prolungarsi della lesione del bene giuridico protetto dalla norma non incide sulla struttura del reato, trasformandolo in reato permanente - Cassazione penale sez. V - 14/03/2022, n. 24585);

In tema di diffamazione, il contenuto allusivo e insinuante di uno scritto o di una frase pronunciata non assume rilevanza penale nel caso in cui non sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell'uomo medio. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che l'espressione "I tempi d'oro sono finiti… vi ricordo che i vertici della Procura sono cambiati!!!", pubblicata su "Facebook" e diretta all'amministrazione locale, fosse offensiva nei confronti del vertice dell'ufficio giudiziario - Cassazione penale sez. V - 09/11/2022, n. 1365);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato (Cassazione penale sez. V - 05/05/2021, n. 21703);

In tema di diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione non ha natura di scriminante ma di scusante, idonea ad eliminare solo la rimproverabilità della condotta dell'autore in ragione delle motivazioni del suo agire, ferma restando l'illiceità del fatto, imputabile a titolo di dolo, e la conseguente obbligazione risarcitoria nei confronti del soggetto leso. (In applicazione del principio la Corte ha riconosciuto la sussistenza dell'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza d'appello che, in riforma di quella di primo grado, aveva assolto l'imputato a norma dell'art. 599, comma 2, c.p., revocando le statuizioni civili - Cassazione penale sez. V - 08/03/2021, n. 26477);

L'invio di una "e-mail" dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell'eventualità che tra questi vi sia l'offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione (Cassazione penale sez. V - 04/03/2021, n. 13252);

È legittima, in relazione all'art. 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza (Cassazione penale sez. V - 17/02/2021, n. 13993);

Integra il reato di diffamazione la pubblicazione su una pagina "facebook" di un'accusa, del tutto immotivata, ad un professore di operare manipolazioni psicologiche degli studenti e così praticare metodi contrari agli scopi formativi ed educativi dell'insegnamento, trattandosi di espressioni che, in sé e per il contesto fattuale di riferimento, travalicano i limiti della continenza espositiva (Cassazione penale sez. V - 25/01/2021, n. 13979);

In tema di diffamazione, l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), salvo che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell'amministratore alla attività diffamatoria. (Fattispecie in cui il titolare di un sito internet aveva condiviso la pubblicazione di un articolo offensivo della reputazione di un agente di polizia, collaborando alla raccolta delle informazioni necessarie per la sua redazione, partecipando al collettivo politico che ne aveva elaborato l'idea e rivendicandone in dibattimento il contenuto - Cassazione penale sez. V - 12/01/2021, n. 7220);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, spetta al giudice di merito accertare la ricorrenza dell'eccezionale gravità della condotta diffamatoria attributiva di un fatto determinato, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, sola giustifica l'applicazione della pena detentiva. (In motivazione la Corte ha precisato che assumono connotati di eccezionale gravità, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, le condotte di diffamazione che implicano una istigazione alla violenza ovvero convogliano messaggi d'odio - Cassazione penale sez. V - 09/07/2020, n. 26509);

In tema di diffamazione, integra la lesione della reputazione altrui non solo l'attribuzione di un fatto posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della "communis opinio". (Fattispecie in tema di attribuzione non veritiera di una relazione extraconiugale clandestina intrattenuta in costanza di matrimonio - Cassazione penale sez. V - 28/09/2020, n. 33106);

  • Diffamazione: non punibile il giornalista che pubblica erroneamente la notizia di un rinvio a giudizio
    In tema di cronaca giudiziaria, non integra un'ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d'agenzia riportante l'erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l'effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d'indagine funzionale alla sua progressione. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, diversamente, non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell'erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice - Cassazione penale sez. V - 27/01/2020, n. 15093);

  • Diffamazione: non sussiste il reato se l'autore si limita a denunciare “comportamenti scorretti”
    Non integra il reato di diffamazione, per carenza di offensività della condotta, l'invio di una missiva con la quale il creditore non ammesso al passivo denunci al presidente del tribunale e agli altri organi della procedura fallimentare "comportamenti scorretti" del commissario straordinario, qualora essa si sostanzi in una rimostranza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva dei propri diritti o prerogative, che ha per obiettivo, attraverso la rappresentazione della propria versione dei fatti, di sollecitare, in un contesto naturalmente conflittuale, l'intervento dei legittimi interlocutori istituzionali per favorire la piena realizzazione della "par condicio creditorum", e le espressioni utilizzate non trasmodino in alcun modo in aggressioni gratuite della altrui reputazione, essendo preordinate al ripristino di una situazione compromettente per i propri interessi economici (Cassazione penale sez. V - 30/01/2020, n. 12898);

  • Diffamazione: dichiara che l’imputato aveva patteggiato, mentre era stato assolto, condannato
    In tema di diffamazione a mezzo stampa, non è configurabile l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca qualora, nel riportare un evento storicamente vero, vengano pubblicate inesattezze non marginali e non riguardanti semplici modalità del fatto, ma idonee a modificarne la struttura essenziale. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto legittima l'esclusione dell'esimente nei confronti del giornalista che, trattando di una persona imputata e poi assolta, aveva erroneamente riferito che avesse avanzato richiesta di patteggiamento - Cassazione penale sez. V - 18/11/2019, n. 7008);

  • Diffamazione: l’offensività non va misurata sulla percezione del “lettore frettoloso” ma di quello medio
    In tema di diffamazione a mezzo stampa, il carattere diffamatorio di una pubblicazione deve escludersi quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l'altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio, ossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. "frettoloso"), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell'articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l'immagine, l'occhiello, il sottotitolo e la didascalia. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il carattere diffamatorio di un articolo che, riferendosi ad un medico condannato per falso, riportava la foto di altro medico che aveva posato per un servizio fotografico, ritenendo che si comprendesse agevolmente sia dall'articolo, sia dai sottotitoli, sia da una intervista riportata nella stessa pagina al presidente di un ordine dei medici che la foto effigiava un medico ma non quello condannato - Cassazione penale sez. V - 14/11/2019, n. 10967);

  • Diffamazione: non sussiste in caso di legittima doglianza per una situazione ingiusta subita
    Non costituisce diffamazione l'esposizione di una legittima doglianza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva di diritti o prerogative, laddove si tratti di una consentita interlocuzione tra (e con) soggetti istituzionali, coinvolti nell'ambito di un contesto per sua natura conflittuale. (Fattispecie relativa all'invio da parte di un avvocato, nell'ambito di una procedura esecutiva, di una missiva all'ufficiale giudiziario nella quale si affermava "ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doveri che il suo ufficio le impone" per contestare la attendibilità di un verbale di pignoramento negativo, nella quale la Corte ha escluso che ricorresse l'elemento oggettivo dell'offesa all'onore ed alla reputazione del pubblico ufficiale - Cassazione penale sez. V - 12/11/2019, n. 11294);

  • Diffamazione: sussiste anche in caso di espressioni dubitative o interrogative
    In tema di diffamazione a mezzo stampa, le notizie e le valutazioni esternate con espressioni dubitative o interrogative, se non corrispondenti al vero, possono ledere l'altrui reputazione quando le frasi utilizzate nel contesto della comunicazione, in quanto allusive, insinuanti e suggestive, siano idonee ad ingenerare nel lettore il convincimento dell'effettiva rispondenza a verità del fatto adombrato. (Fattispecie relativa ad un articolo di stampa nel quale, sia pure in termini ipotetici, si veicolava il messaggio che un sindaco avesse potuto avallare una speculazione privata illecita mercificando la propria funzione - Cassazione penale sez. V - 12/11/2019, n. 8);

  • Diffamazione: la rettifica non ha efficacia scriminante
    In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione della rettifica della notizia giornalistica falsa, ex art. 8, l. 8 febbraio 1948, n. 47, non riveste efficacia scriminante, in quanto non elimina gli effetti negativi dell'azione criminosa, ma può avere la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge citata (Cassazione penale sez. V - 17/10/2019, n. 48077);

  • Diffamazione: non sussiste nel caso in cui si denunci una generica inadempienza contrattuale
    Non integra il delitto di diffamazione l'imputazione ad una società commerciale di una generica inadempienza contrattuale, trattandosi di un'affermazione che non contiene una carica dispregiativa, tale da essere avvertita nel comune sentire come espressione della volontà di offendere la reputazione dell'ente commerciale destinatario dell'affermazione.
    (Fattispecie in cui due professionisti avevano inviato una e-mail a più persone con cui avevano giustificato la cessazione del rapporto professionale con una società "per inadempienze contrattuali della committente" - Cassazione penale sez. V - 16/10/2019, n. 4448);

  • Diffamazione: la Corte di cassazione può conoscere l’offensività della frase che si assume lesiva
    In materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la frase incriminata potesse essere scriminata in base al diritto di "critica sindacale" ed ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna pronunciata ai soli effetti civili - Cassazione penale sez. V - 10/10/2019, n. 2473);

  • Diffamazione: integra il reato una accusa generica e priva di riferimenti determinati 
    Integra il reato di diffamazione l'esposizione da parte del dipendente di un centro commerciale di un manifesto con il quale si attribuisce alla direzione il mancato rispetto delle "più elementari norme di sicurezza", in modo generico e senza alcun riferimento determinato, tale da trasmettere la rappresentazione di una condotta di generalizzata negligenza, suscettibile di qualificazione anche in termini di illecito penale, della quale sia, invece, accertata l'insussistenza nel giudizio di merito. (In motivazione la S.C. ha altresì escluso che nel caso di specie potesse configurarsi la scriminante del diritto di critica, attesa la genericità, ambiguità ed allusività della comunicazione ritenuta diffamatoria - Cassazione penale sez. V - 10/07/2019, n. 47041);

  • Diffamazione: le parole “amante” e “rissa” non assumono carattere denigratorio
    In tema di diffamazione a mezzo stampa, il requisito della continenza, dovendo essere contestualizzato, può risultare sussistente anche nel caso in cui siano utilizzate espressioni che, per quanto più aggressive e disinvolte di quelle ammesse nel passato, risultino ormai accettate dalla maggioranza dei cittadini, per effetto del mutamento della sensibilità e della coscienza sociale. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la rilevanza diffamatoria delle parole "amante" e "rissa", utilizzate nel titolo e nel corpo di un articolo di stampa, assumendo che la prima, per quanto ammiccante, poteva riferirsi anche a un rapporto di fidanzamento, come del resto chiarito nel corpo dell'articolo; mentre la seconda non necessariamente evoca il concetto di violenza, potendo anche intendersi nel significato più moderno di "diverbio molto acceso" - Cassazione penale sez. V - 27/06/2019, n. 39059);

  • Diffamazione: utilizza la parola “mafioso” per definire il comportamento di una persona, condannato
    La parola "mafioso" assume carattere offensivo e infamante e, laddove comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità, integra il delitto di diffamazione, sostanziandosi nella mera aggressione verbale del soggetto criticato. (Fattispecie relativa al commento critico, pubblicato su "facebook" dall'ex-sindaco di un comune siciliano, del comportamento tenuto dal sindaco in carica nella designazione dei candidati per le elezioni locali, comportamento definito dal ricorrente come "imposizione o agire mafioso" - Cassazione penale sez. V - 29/05/2019, n. 39047);

  • Diffamazione: l’immunità parlamentare non è invocabile solo per la natura politica del contesto in cui sono rese le dichiarazioni
    L'immunità parlamentare ex art. 68, comma primo, Cost., essendo limitata agli atti e alle dichiarazioni che presentano un chiaro nesso funzionale con il concreto esercizio dell'attività parlamentare, opera, quanto alle dichiarazioni rese "extra moenia", soltanto quando queste presentano una sostanziale coincidenza di contenuti con quelle rese in sede parlamentare e sono cronologicamente successive alle dichiarazioni cosiddette "interne", di modo che anche le dichiarazioni rese in forma o in sede "non tipica" debbano ritenersi espressione dell'esercizio della funzione parlamentare, mentre non è a tal fine sufficiente né la comunanza di argomento, né la natura politica del contesto nel quale le dichiarazioni sono state pronunciate. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata, che aveva aveva escluso il collegamento funzionale dell'invettiva a sfondo discriminatorio contro la comunità Rom, pronunciata dal ricorrente nel contesto di una trasmissione radiofonica, con precedenti interventi istituzionali nei quali egli aveva preso parte al dibattito parlamentare sull'inclusione dei cittadini di etnia Rom, manifestando, "con toni del tutto congrui", le proprie preoccupazioni sul piano della sicurezza - Cassazione penale sez. V - 07/05/2019, n. 32862);

  • Diffamazione: non è punibile chi abbia ragionevole convinzione della verità dei fatti denunciati
    In tema di diffamazione, è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di critica nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione di condanna, evidenziando che, per il ricorrente, che non aveva accusato la persona offesa della commissione di reati, ma di generiche irregolarità amministrative, tale convinzione fondava sulle specifiche contestazioni formulate a carico della predetta nelle sedi penale e amministrativa e sulla destituzione dalla funzione manageriale espletata, disposta per riscontrate irregolarità -Cassazione penale sez. V - 18/04/2019, n. 21145);

  • Diffamazione on line: non è sufficiente per il giornalista la verifica dei fatti su wikipedia
    In tema di diffamazione a mezzo stampa o mediante pubblicazioni di tipo giornalistico "on line", ai fini della configurabilità della scriminante putativa del diritto di cronaca o di critica, non è sufficiente, ai fini dell'adempimento dell'onere di verifica dei fatti riportati e delle fonti, la consultazione dei più noti motori di ricerca e dell'enciclopedia web "Wikipedia", trattandosi di strumenti inidonei a garantire la necessaria completezza informativa.
    (Fattispecie relativa all'erronea attribuzione alla persona offesa del coinvolgimento nella strage di Bologna del 1980, nel contesto di una pubblicazione che ne descriveva il profilo politico e l'appartenenza alla "destra eversiva" - Cassazione penale sez. V - 15/04/2019, n. 38896);

  • Diffamazione: non punibili le offese contenute in una diffida stragiudiziale
    In tema di diffamazione, può configurarsi l'esimente di cui all'art. 598, comma 1, c.p. anche quando le espressioni offensive siano contenute in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali (Cassazione penale sez. V - 09/04/2019, n. 24452);

  • Diffamazione: nelle trasmissioni di “gossip” sono ammesse affermazioni con toni più aggressivi
    In tema di diffamazione, nell'ambito delle trasmissioni dedicate al c.d. “gossip”, caratterizzate dalla spettacolarizzazione del pettegolezzo, i limiti dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della continenza espressiva, immanenti all'esercizio del diritto di critica, assumono una maggiore elasticità in considerazione del contesto dialettico nel quale si sono realizzate le condotte e, in particolare, il parametro dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, che in siffatte trasmissioni ruota attorno alla curiosità determinata dalla vita privata di personaggi noti, deve necessariamente ampliarsi, tenendo in considerazione anche la scelta dell'interessato di partecipare a siffatti dibattiti, che implica la volontaria esposizione al pericolo che vengano colpiti da critica anche aspetti della sfera personale ulteriori rispetto a quelli che egli ha deciso di rendere noti; mentre la continenza espressiva deve valutarsi secondo i parametri propri della critica di costume, che consente toni anche sferzanti, purché non gratuiti e pertinenti al fatto narrato e al concetto da esprimere (Cassazione penale sez. V - 20/03/2019, n. 32829).

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3. Elemento soggettivo del reato di diffamazione

Sotto il profilo soggettivo, il reato di diffamazione è punito a titolo di dolo generico (Cass. Sez. V, 8419/2013), che consiste nella consapevolezza di pronunciare parole o di scrivere testi lesivi dell'altrui reputazione e nella volontà che le parole o i testi denigratori vengano a conoscenza di più persone.

Non è richiesta la sussistenza dell'animus diffamandi, essendo irrilevante ai fini dell'integrazione della fattispecie la finalità ultima perseguita dall'agente (Cass. Sez. V, 4364/2012 e 7597/1999).

Non rileva, dunque, se il soggetto attivo abbia agito al semplice scopo di diffamare il soggetto passivo, per un interesse di tipo politico o economico o di altro tipo, per mera antipatia o per qualsiasi altra ragione.

Elemento soggettivo del reato di diffamazione, invece, è contrassegnato dalla coscienza e volontà di offendere l'onore e la reputazione altrui.

Peraltro, per la sussistenza del delitto di diffamazione la giurisprudenza non richiede l'animus iniurandi vel diffamandi, ritenendo sufficiente l'uso consapevole, da parte del soggetto agente, di parole o espressioni socialmente interpretabili come offensive in base al significato che esse assumono normalmente (cfr. Cassazione penale, sez. V, 11 maggio 2018, n. 21133).

Di seguito, alcune massime della Corte di cassazione sul tema:

In tema di diffamazione, ai fini della applicabilità della causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma 2, c.p., l'illegittimità intrinseca che deve connotare il "fatto ingiusto" altrui non può essere individuata sulla base dei criteri che presiedono al riconoscimento dell'illegittimità di un atto amministrativo, ma si configura solo in comportamenti che ictu oculi non possano, neppure astrattamente, trovare giustificazione in disposizioni normative ovvero nelle regole comunemente accettate della convivenza civile (Cassazione penale sez. V - 20/01/2021, n. 4943).

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4. Quando la diffamazione è aggravata?

Inalterati i presupposti della diffamazione (si veda il paragrafo precedente), ricorre l’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi del comma 2 dell’art. 595 c.p., quando l’offesa diffusa consista nell’attribuzione ad un soggetto specifico di un fatto determinato. 

Secondo la giurisprudenza di legittimità, un fatto s’intende determinato, quando ne siano specificato, ad opera del soggetto che diffama, il contenuto.  

Se, dunque, una volta che il soggetto abbia trasmesso la notizia diffamante ad altri, sia possibile per questi ultimi, sulla scorta delle sole informazioni ricevute, ricostruire concretamente il fatto appreso nei suoi contenuti, sussiste il reato di diffamazione aggravata ai sensi del comma 2 dell’art. 596 c.p.: ciò comporterà un aumento di pena. 

È intuitivo che la comunicazione a più persone di un fatto concreto e specifico lo renda più verosimile e, quindi, potenzialmente in grado di indurre un numero maggiore di persone a diffonderlo.

Il responsabile di diffamazione aggravata dall’aver attribuito un fatto determinato non può dimostrare di non aver commesso il reato introducendo nel processo come prova la verità o la notorietà del fatto attribuito al soggetto diffamato (ai sensi dell’art. 595 c.p.) se non in eccezionali ipotesi indicate dal codice penale. 

La legge ammette, tuttavia, la possibilità che il soggetto offeso e l’offensore decidano in comune accordo di far accertare la verità del fatto in un separato procedimento. 

Ricorre altresì l’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi del comma 4 dell’art. 595 c.p., quando l’offesa è rivolta ad un rappresentante del “corpo politico, amministrativo o giudiziario”; anche in questo caso l’affermazione della responsabilità penale del soggetto diffamante comporterà un aumento di pena a suo carico.

Il presupposto dell’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 595 c.p. e, quindi, della diffusione di contenuti che diffamino figure istituzionali, deve individuarsi nell’esigenza di evitare che un generale discredito deteriori la percezione collettiva di un rappresentante delle Istituzioni, fino a  compromettere l’esercizio delle funzioni che gli sono affidate. 

Si faccia il caso di un ex-sindaco che tappezzi la città che ha smesso di amministrare con manifesti rappresentanti il volto del sindaco in carica unitamente ad epiteti dispregiativi volti a ledere la sua reputazione e ad alimentare la sfiducia della collettività nei suoi confronti: questa sarebbe indubitabilmente una condotta di diffamazione aggravata ai sensi del comma 4 dell’art. 595 c.p.

Si riportano, sul punto, alcune massime della Corte di cassazione:

In tema di diffamazione, non può ritenersi validamente contestata "in fatto" l'aggravante dell'offesa recata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa nel caso in cui il capo d'imputazione si limiti a contestare l'utilizzo del fax, senza ulteriori indicazioni, posto che la qualificazione di uno strumento tecnico per la trasmissione/comunicazione come "mezzo di pubblicità" richiede componenti valutative relative alla capacità diffusiva dello stesso di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (Cassazione penale sez. V - 24/05/2022, n. 37067).

In tema di diffamazione, per la sussistenza della circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l'episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino, alla comprensione del destinatario della comunicazione, azioni concrete e dalla chiara valenza negativa (Cassazione penale sez. V - 13/04/2021, n. 26512).

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (Cassazione penale sez. V - 25/01/2021, n. 13979);

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando uno dei due destinatari sia tenuto al segreto professionale. (Fattispecie relativa alla manifestazione di espressioni offensive della reputazione di una collega di lavoro nel corso di un incontro di mediazione con il dirigente aziendale, tenuto in forma riservata con l'assistenza di uno psicologo - Cassazione penale sez. V - 30/11/2020, n. 8890);

La trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive dell'altrui reputazione integra il reato di diffamazione aggravata anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo “mail”, in quanto la certificazione garantisce la prova dell'invio e della consegna della comunicazione ma non ne esclude di per sé la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, per la cui prevedibilità in concreto è richiesto, tuttavia, un rafforzato onere di giustificazione. (Fattispecie relativa all'invio di una missiva all'indirizzo “pec” del dirigente del settore urbanistica comunale in cui, al fine di sollecitare una verifica in autotutela dei provvedimenti abilitativi emessi, si denunciavano valutazioni tecniche “compiacenti” dell'ufficio nella gestione delle pratiche edilizie - Cassazione penale sez. V - 23/10/2020, n. 34831);

In tema di diffamazione, il requisito della comunicazione con più persone è integrato dall'invio di una denuncia al Procuratore della Repubblica e, per conoscenza, al Procuratore generale presso la Corte d'appello e al Presidente della Corte d'appello, in busta chiusa non recante la dicitura "riservata – personale", essendo tale denuncia destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all'apertura e smistamento della corrispondenza (Cassazione penale sez. V - 08/03/2019, n. 30727).

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5. Diffamazione a mezzo stampa

Il comma 3 dell’art. 595 c.p. descrive un’ulteriore ipotesi di diffamazione aggravata che ricorre quando “l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico”.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la nozione di “stampa” di cui al co. 3 dell’art. 595 c.p. ricomprende qualunque riproduzione grafica, in qualsiasi modo realizzata, purché destinata ad essere diffusa presso una platea indeterminabile di destinatari. Secondo la Corte di Cassazione è, quindi, del tutto irrilevante l’ampiezza della platea o il numero di lettori effettivamente raggiunti dai contenuti diffamatori diffusi. 

Si pensi all’ipotesi della pubblicazione di un libro che contenga espressioni diffamatorie nei confronti di un personaggio pubblico: lo scrittore sarà senz’altro responsabile del reato di cui al comma 3 dell’art. 595 c.p., al di là della consistenza numerica dei lettori del libro. 

Nelle ipotesi di diffusione di contenuti diffamatori a mezzo stampa, colui che li ha prodotti non risulta l’unico responsabile del reato di diffamazione di cui al comma 3 dell’art. 595 c.p.; ciò in quanto l’art. 596-bis c.p. stabilisce che, quando la diffamazione è commessa con il mezzo della stampa, sono penalmente responsabili, ai sensi degli artt. 57, 57-bis e 58 c.p., anche il direttore (o il vice-direttore) in caso di stampa periodica e l’editore in caso di stampa non periodica che abbiano omesso di vigilare sull’adeguatezza dei contenuti redatti.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, questi ultimi sono costantemente obbligati, insieme al giornalista (o redattore), a verificare la verità dei fatti esposti e l’appropriatezza delle modalità narrative, proprio al fine di evitare che venga alimentato un ingiustificato e diffuso discredito sull’altrui reputazione. 

Rientra nella nozione di stampa di cui all’art. della l. n. 47 dell’8 febbraio 1948 anche la testata giornalistica telematica: sicché, secondo la Corte di Cassazione, sono applicabili alle condotte di diffamazione commesse mediante la pubblicazione di articoli online le medesime disposizioni di legge (ovvero l’art. 595 comma 3 c.p. e l’art. 57 c.p.).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste la responsabilità a titolo di colpa ex art. 57 c.p. del direttore responsabile di un periodico per non aver svolto i dovuti controlli al fine di evitare che venisse dolosamente lesa la reputazione di un terzo, attraverso la pubblicazione della fotografia di questi correlata alla notizia non veritiera della condanna per associazione di tipo mafioso. (Nella specie la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice distrettuale di non rinnovare l'escussione dei caporedattori in quanto la prova dichiarativa non avrebbe comportato in ogni caso l'esenzione da responsabilità penale del direttore, stante la sua posizione di garanzia in ordine alla portata diffamatoria dell'articolo - Cassazione penale sez. V - 20/11/2020, n. 71);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non è applicabile l'istituto della riparazione pecuniaria, previsto dall'art. 12 l. 8 febbraio 1948 n. 47, al direttore del giornale che sia dichiarato responsabile del delitto di omesso controllo colposo della pubblicazione ai sensi dell'art. 57 c.p., in quanto l'irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce una sanzione civile che consegue al reato di diffamazione, dei cui elementi costitutivi presuppone l'accertamento (Cassazione penale sez. V - 10/10/2019, n. 44117).

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6. Diffamazione a mezzo web

La circostanza che i contenuti che circolano in rete (come tra i social network facebook, instagram, tik tok) siano potenzialmente in grado di raggiungere, con un’impressionante rapidità, un numero indefinito di utenti, rende le condotte diffamatorie commesse a mezzo web equiparabili a quelle tradizionalmente commesse a mezzo stampa. 

Il comma 3 dell’art. 595 c.p. dispone che “se l’offesa è recata […] con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” la condotta integra il reato di diffamazione e, pertanto, la diffusione nel web di contenuti lesivi della dignità o della reputazione altrui integra la fattispecie di diffamazione aggravata a tutti gli effetti.

L’amministratore del sito internet o del social network mediante cui sono stati eventualmente diffusi contenuti diffamatori, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, non è responsabile al pari del direttore o dell’editore di una testata giornalistica online e ciò in quanto i vari mezzi telematici di diffusione del pensiero non rientrano nella nozione legale di “stampa” né possono dirsi destinati ad un’attività di informazione professionale. 

Nel mondo del web e dei social network, quindi, l’unico responsabile del reato di diffamazione sarà il soggetto che ha pubblicato contenuti diffamatori. 

Ne consegue che la pubblicazione di un messaggio diffamatorio nei confronti di taluno su di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p., dal momento che il messaggio è potenzialmente capace di raggiungere un numero significativo di persone.

Si riportano, sul punto, una massima della Corte di Cassazione:

Integra il reato di diffamazione la condotta di pubblicazione in un sito internet (nella specie, nel social network facebook) di immagini fotografiche che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici, in un contesto e per destinatari diversi da quelli in relazione ai quali sia stato precedentemente prestato il consenso alla pubblicazione (Cassazione penale sez. III - 19/03/2019, n. 19659).

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6.1 Diffamazione a mezzo web e social: la questione della competenza per territorio

Il reato di diffamazione è un reato di evento, inteso quest'ultimo come avvenimento esterno all'agente e causalmente collegato al comportamento di costui.

Si tratta di evento non fisico, ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano "terzi" rispetto all'agente ed alla persona offesa. 

Esso si consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall'agente.

Ma, mentre, nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o e-mail, è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei e utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes, sia pure nel ristretto - ma non troppo - ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi (Sez. V, 21 giugno 2006, n. 25875; Sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741).

Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione l'esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici (si veda, ad esempio, l'art. 623bis c.p. in tema di reati contro l'inviolabilità dei segreti), non ha ritenuto di mutare o integrare la normativa con riferimento ai reati contro l'onore (artt. 594 e 595 c.p.), pur essendo intuitivo che questi ultimi possano essere commessi anche per via telematica o informatica.

Ci si rende facilmente conto che è certamente possibile che un agente, inviando a messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse.

Ovviamente, l'azione è altrettanto idonea a ledere il bene giuridico dell'onore anche se l'agente immette il messaggio in rete con modalità diverse, ivi compresi gli "altri mezzi di pubblicità" con cui si intendono, in senso ampio, tutti gli altri mezzi divulgativi, quindi, anche internet (Tribunale Firenze sez. I, 18/06/2014, (ud. 24/03/2014, dep. 18/06/2014), n.1539).

Occorre, in proposito, precisare che il provider mette a disposizione dell'utilizzatore (nel caso in esame la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web allocato presso un server (che può trovarsi ovunque); peraltro, l'inserimento dei dati in questo spazio non comporta alcuna ulteriore attività da parte del fornitore di servizi internet né di altro soggetto. Una volta inserite le informazioni, non si verifica alcuna "diffusione" delle stesse; infatti i dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale.

Ne consegue che, quand'anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell'evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato. 

Pertanto, quando una notizia risulti immessa sul sito web, la diffusione della stessa, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi, fino a prova del contrario.

Il principio non può soffrire eccezione per quanto riguarda i siti web, atteso che l'accesso ad essi è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), sicché l'immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e, dunque, implica la fruibilità da parte di un numera solitamente elevato (ma difficilmente accertatile) di utenti (cfr. in tal senso Sez. 5, 4 aprile 2008, n. 16262).

Sulla base di tali premesse può, quindi, riaffermarsi che il locus commissi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all'estero, purchè l'offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia.

Sulla base di quanto sinora esposto, è possibile affermare che rispetto all'offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell'individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore.

Per entrambe le ragioni esposte non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia.

Ne consegue che non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall'art. 8 c.p.p. nè quella fissata dall'art. 9 c.p.p., comma 1.

In forza di quanto sopra esposto è, quindi, imprescindibile fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dal predetto art. 9 c.p.p., comma 2, ossia al luogo di domicilio dell'imputato.

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7. Il diritto di cronaca nel reato di diffamazione

Il reato di diffamazione a mezzo stampa non si configura quando il soggetto sia restato nei limiti dell’esercizio del proprio diritto di cronaca o di critica. 

La condotta diffamatoria non sussiste se il contenuto diffuso a mezzo stampa rispetti i canoni, elaborati dalla giurisprudenza nel tempo, di verità, continenza e pertinenza.

Ciò vuol dire che se una notizia, diffusa da una testata giornalistica, è verificata nella sua veridicità, è espressa in maniera appropriata, e risulta adeguata (o relativa) al complessivo contesto informativo, non sussistono i presupposti di una diffamazione aggravata, nonostante la notizia possa aver avuto un impatto notevole (o possa aver destabilizzato il soggetto coinvolto).

C’è, quindi, a carico dei redattori un dovere di verifica dei fatti esposti e delle relative fonti.

Qualora il soggetto lo faccia, la condotta diffamatoria non è punibile, in quanto scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca. 

Si pensi, ad esempio, ad un articolo di stampa in cui si critichi l’operato di un magistrato inquirente. Se, in un ipotetico giudizio promosso da quest’ultimo a carico del redattore dell’articolo, dovesse emergere che nello scritto siano state riportate notizie veritiere ed obiettive al solo fine di garantire l’informazione pubblica, il reato di diffamazione non si sarebbe realizzato (si vd., a tal proposito, Cass. Pen., 19960 del 2019). 

In tema di diffamazione a mezzo stampa o a mezzo web, pertanto, il reato non sussiste, se l’esercizio del diritto di critica (o di cronaca) non degrada nell’aggressione pubblica e verbale del soggetto criticato o coinvolto nella notizia di cronaca e, quindi, a condizione a che non sia ravvisabile nei contenuti diffusi “un attacco personale direttamente alla sfera privata [o professionale] dell’offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della [sua] reputazione”.

La scriminante dell'esercizio del diritto (art. 51 c.p.) di cronaca o di critica, trova il suo fondamento nell'art. 21 Cost., che riconosce la libertà di manifestazione del pensiero e riconosce e tutela la libertà di stampa.
Come si è detto, la prassi giurisprudenziale ha individuato i criteri di bilanciamento tra il diritto di cronaca e le esigenze di tutela dell'onore con riguardo al diritto di cronaca enucleando i seguenti limiti: la verità oggettiva, la pertinenza e la continenza formale dei fatti narrati.

Analizziamoli nel dettaglio.

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7.1 Il diritto di cronaca: la verità e la pertinenza

Quanto al requisito della verità, questo consiste nella corrispondenza tra il fatto storico e il fatto narrato. 
Laddove non vi sia tale corrispondenza potrà comunque ricorrere la scriminante putativa (art. 59, co. 4 c.p.) dell'esercizio del diritto di cronaca laddove "il cronista abbia assolto l'onere di esaminare, controllare e verificare i fatti oggetto della sua narrazione ed offerto la prova della cura da lui posta negli accertamenti svolti per vincere ogni dubbio ed incertezza prospettabili in ordine a quella verità" (Cass. SS.UU., 8959/1984, Rv. 166252, ma si veda anche Cass. Sez. V, 12859/2005).
Il rispetto della verità del fatto assume rilievo limitato, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 -dep. 10/02/2011, Rv. 249239).

Tale affermazione trova eco in una nota decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sez. 2, 27/11/2012, Mengi v. Turkey, p.49), che distingue tra "giudizi di fatto" e di "valore", laddove, mentre l'esistenza del fatto può essere soggetta a prova, il giudizio di valore non può esserlo, poiché la richiesta di dimostrare la verità di un giudizio di valore determina un evidente effetto dissuasivo sulla libertà di informare. 
Il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e', pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 4031 del 30/10/2013 - dep. 29/01/2014, Rv. 258674; Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 - dep. 07/03/2011, Rv. 250218). Ove il giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004 (dep. 2005), Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005,Rv.231764).
Nella libertà di opinione - che è configurata dalla CEDU come diritto, non a diffondere informazioni, ma ad esprimere opinioni e a trasmettere idee (art. 10 par. 1), concetto che è alla base della distinzione fra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, e che implica il divieto, per il legislatore nazionale, di richiedere la prova della verità per le affermazioni che consistono in meri giudizi di valore, pur richiedendosi, comunque, che non siano del tutto svincolati da qualsiasi base fattuale - un posto di rilievo è assegnato alla libertà di dibattito politico o di pubblico interesse il cui esercizio - che avviene tradizionalmente attraverso il mezzo della stampa, ma oggi anche tramite l'uso degli altri media e di Internet - è finalizzato a fornire al pubblico un mezzo per scoprire e formarsi un'opinione sulle idee e le attitudini dei rappresentanti politici.

In quanto tale, la libertà di dibattito di questioni di pubblico interesse è il cuore della democrazia e rispetto ad essa il margine di apprezzamento degli Stati è ristretto, (ex plurimis, Morice c. Francia (GC), n. 29369/10, p. 125, CEDU 2015), vigendo, pertanto, un livello massimo di tutela. Infatti, per assicurare che tale dibattito si svolga il più liberamente possibile, la Corte Edu ammette in tale ambito il ricorso ad affermazioni esagerate, provocatorie e persino smodate.
La libertà di espressione esercitata attraverso il mezzo della stampa beneficia del livello massimo di tutela accordata dalla Convenzione perché al diritto/dovere della stampa di diffondere informazioni e idee corrisponde il diritto del pubblico di riceverle, sebbene anche tale forma di espressione sia subordinata al presupposto che i giornalisti agiscano in buona fede, cioè senza l'intento di denigrare, sulla base di una verifica delle fonti, al fine di fornire informazioni accurate e affidabili alla stregua dei principi etici del giornalismo. (Rumyana Ivanova c. Bulgaria (36207/03) 14 febbraio 2008,par. 58 ss.; Caso: Travaglio c. Italia (64746/14) 24 gennaio 2017).
Va poi tenuto conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Rv. 237260): si intende dire che il livello e l'intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate a mò di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l'operatività della scriminante, poiché nell'ambito politico risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, Ferrara, Rv. 232125).
Di conseguenza, quanto maggiore è il potere esercitato, maggiore è l'esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362.) In sostanza, si ritiene che la nozione di "critica", quale espressione della libera manifestazione del pensiero, ampiamente ammessa dall'elaborazione giurisprudenziale, e che viene in rilievo nella fattispecie scrutinata, rimanda non solo all'area dei rilievi problematici, ma, anche e soprattutto, a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore.
I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall'art. 2 Cost., onde non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, né trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). 
A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). 
E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto a oggetto o a spunto del discorso critico, ma, come si è già ricordato e vale la pena sottolineare, il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e, a differenza di questo, non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". 
La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato all'oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU, la libertà di esprimere giudizi critici, cioè "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte Edu, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. N. 58547/00, nonché sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. N. 75088/01), ma, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33 - Cassazione penale sez. V, 10/11/2022, (ud. 10/11/2022, dep. 02/02/2023), n.4530)
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Per pertinenza si intende l'esistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, in termini di utilità sociale della notizia (Cass. Sez. V, 10151/1986 e Cass. Sez. VI, 5637/1979).

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Ancora 6.1
7.1
7.2

7.2 Il diritto di cronaca: la continenza 

La continenza costituisce il limite di liceità dell'esercizio del diritto di cronaca (Cass. Sez. V, 17051/2013) e consiste nella forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione. Non sono mai continenti le espressioni volgari, umilianti o più semplicemente dileggianti che siano anche gratuite, ovvero non strettamente funzionali alla narrazione del fatto (Cass. Sez. V, 36695/2017, 32027/2018 e 17243/2020).
Il diritto di critica, che la dottrina definisce quale espressione di un giudizio, come presa di posizione motivata su fatti e accadimenti dei diversi settori della vita sociale, soggiace anch'essa ai limiti descritti a proposito del diritto di cronaca. Tuttavia, i requisiti della continenza e della pertinenza devono essere valutati con maggiore elasticità in ragione della diversa natura del diritto esercitato. Quanto al requisito della verità del fatto è sufficiente che il nucleo del fatto oggetto di critica sia veritiero (Cass. Sez. V, 57005/2018). In ogni caso, non ricorre la scriminante del diritto di critica in caso di uso di parole forti e toni aspri, laddove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi (Cass. Sez. V, 9566/2020).
Ancora con riguardo al requisito della continenza, giova rammentare che essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale.

La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantità e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilità/bisogno sociale di esso.

La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, "corretta" in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.

Questo significa che le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali (ex art. 21 Cost.), postulano una forma espositiva corretta della critica - e cioè astrattamente funzionale alla finalità di disapprovazione - e che non trasmodino nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione.

Tuttavia, essa non è incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. (Sez. 5, n. 11905 del 05/11/1997, G, Rv. 209647).

In realtà, secondo il consolidato canone ermeneutico di questa Corte, al fine di valutare il rispetto del canone della continenza, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio - temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere (Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573).

Con questo si intende ribadire che la diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono giustificare attacchi anche violenti, se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi: sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite (Sez. 1,n. 36045 del 13/06/2014, P.M in proc. Surano, Rv. 261122; Sez. 5, n. 21145 del 18/04/2019 Rv. 275554). 
Compito del giudice è, dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario (Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442), con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti (Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174).

Il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta può, dunque, essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può mai scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest"ultimo in quanto tale (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866).

Si è così affermato che esula dai limiti del diritto di critica l'accostamento della persona offesa a cose o concetti ritenuti ripugnanti, osceni, o disgustosi, considerata la centralità che i diritti della persona hanno nell'ordinamento costituzionale(Sez. 5 n. 50187 del 10/05/2017, Rv. 27143).

Si riportano, sul punto, alcune pronunce della Corte di Cassazione:

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista che effettua un'intervista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la condanna dell'imputato per la pubblicazione di un'inchiesta giornalistica frutto di assemblaggio di dichiarazioni di terzi, commentate con chiose ed amplificate nella loro portata, e di informazioni sul passato di un personaggio politico, senza previa verifica della serietà ed attendibilità delle fonti - Cassazione penale sez. V - 03/09/2021, n. 41013);

In tema di diffamazione, ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica e satira politica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione dell'esimente nella condotta di un soggetto, destinatario di uno sfratto, che nel corso di una manifestazione pubblica contro le politiche abitative comunali aveva definito il sindaco della città "bruttocesso", ispirandosi al cognome "Bruttomesso" del medesimo - Cassazione penale sez. V - 14/10/2021, n. 320).

In tema di diffamazione, non è configurabile la scriminante del diritto di critica giudiziaria quando si tacci un magistrato di parzialità per ragioni politiche senza che vi sia prova della verità storica del fatto, per la intrinseca offensività della affermazione, che involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell'esercizio della funzione giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professionali del magistrato (Cassazione penale sez. V - 25/10/2021, n. 45249).

In tema di diffamazione, sussiste la scriminante dell'esercizio del diritto di critica sindacale e politica nel caso in cui, in un articolo pubblicato su un "blog" locale di chiaro orientamento politico (nella specie "Brescia anticapitalista"), si stigmatizzi come "sottocultura da letamaio" la reazione del datore di lavoro alle rivendicazioni salariali, giudizialmente riconosciute, degli operai, in buona parte immigrati, in quanto funzionale alla disapprovazione della condotta di sfruttamento e delle idee "razziste" espresse sul profilo "facebook" dal datore di lavoro (Cassazione penale sez. V - 07/03/2022, n. 17784).

In tema di diffamazione, la scriminante del diritto di cronaca non opera nel caso in cui la notizia pubblicata su un sito "internet" provenga da uno scritto anonimo, in quanto insuscettibile del controllo di veridicità e, quindi, non meritevole di interesse pubblico. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che l'obbligo di verifica non può ritenersi assolto dalla precedente pubblicazione della notizia da parte di altre fonti di informazione - Cassazione penale sez. V - 24/10/2022, n. 2218).

In tema di delitti contro l'onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto scriminata la condotta degli imputati, che avevano aspramente criticato su "Facebook" il presidente di un ente pubblico regionale per aver "chiesto personalmente voti" nella pubblica via in un giorno di silenzio elettorale e per avere, nell'esercizio delle funzioni, "affidato incarichi legali esterni" ad "alcuni avvocati di stretta conoscenza", circostanze risultate vere - Cassazione penale sez. V - 10/11/2022, n. 4530).

In tema di diffamazione, ricorre l'esimente dell'esercizio dei diritti di critica e di satira politica nel caso in cui le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto scriminata la condotta di un sindaco che, nel corso del consiglio comunale dedicato alla discussione dello strumento di pianificazione paesaggistica regionale, aveva criticato l'operato della responsabile dell'Ufficio Tecnico di quel Comune e l'aveva paragonata alla maga Circe, evocando in maniera scherzosa e ironica le capacità ingannatorie del personaggio omerico - Cassazione penale sez. V - 15/11/2022, n. 9953);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, deve essere esclusa l'esimente del diritto di cronaca o di critica nel caso di pubblicazione, in uno scritto autobiografico di un personaggio di rilievo pubblico, di notizie diffamatorie sulla vita privata di un suo familiare (nella specie la ex moglie) non mediaticamente esposto, non rivestendo tali notizie oggettiva utilità ed interesse sociale (Cassazione penale sez. V - 03/06/2021, n. 32917).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione (Cassazione penale sez. V - 17/02/2021, n. 19889).

In tema di diffamazione, nel caso di condotta realizzata attraverso "social network", nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato, ma anche dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti "ad hominem" umilianti e ingiustificatamente aggressivi su una bacheca "facebook", pubblica "piazza virtuale" aperta al libero confronto tra gli utenti registrati - Cassazione penale sez. V - 18/01/2021, n. 8898).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che pure tollera l'uso di parole forti e toni aspri, ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in una gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici su cui si fonda l'elaborazione critica (Cassazione penale sez. V - 16/12/2020, n. 9566);

Integra il delitto di diffamazione l'invio di una lettera di contestazione in cui un dipendente venga qualificato come "clochard" in modo dispregiativo in relazione all'aspetto ritenuto trasandato, non potendo ritenersi configurabile l'esimente del diritto di critica, in quanto tale appellativo, pur in sé non offensivo, assume tale valenza ove venga utilizzato in maniera dispregiativa, con riferimento al vestiario ed alle sembianze, e con modalità del tutto gratuite ed eccentriche rispetto al contesto espressivo di riferimento (Cassazione penale sez. V - 14/10/2020, n. 33115);

In tema di diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato. (Fattispecie in cui la Corte non ha ritenuto esorbitante dai limiti della critica legittima l'accusa di "assoluta incapacità ad organizzare il reparto" rivolta al direttore di un Pronto Soccorso da un consigliere del comitato consultivo di un'Azienda Ospedaliera che, nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo dell'attività e dell'organizzazione aziendale, evidenziava reali disservizi organizzativi e sollecitava i dovuti controlli - Cassazione penale sez. V - 19/02/2020, n. 17243);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, è necessario che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione dell'esimente, sia pure nell'ampia visione convenzionale del diritto alla libertà di espressione in contesti di critica politica, nel caso di un articolo di stampa che attribuiva ad un sindaco, senza alcun appiglio oggettivo e mediante travisamento o manipolazione dei fatti storici, il sospetto di mafiosità, per la gestione familiaristica e clientelare dell'amministrazione comunale - Cassazione penale sez. V - 14/09/2020, n. 31263);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di dichiarazioni lesive dell'onore e della reputazione di un magistrato, rese dal protagonista di una vicenda economico finanziaria di rilievo nazionale, in cui la Corte ha annullato la decisione che, sminuendo la rilevanza pubblica della posizione sociale dell'intervistato, aveva escluso la scriminante del diritto di cronaca per gli intervistatori e i direttori delle testate giornalistiche - Cassazione penale sez. V - 17/09/2020, n. 29128);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista che effettua un'intervista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Cassazione penale sez. V - 21/11/2019, n. 16959);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l'attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non scriminata l'attribuzione ad un soggetto di una condotta di bancarotta fraudolenta nell'ambito di un'indagine relativa ad un fallimento del valore di circa 100 milioni di euro, a fronte di un'imputazione di ricettazione prefallimentare di beni del valore di 900 mila euro - Cassazione penale sez. V - 29/01/2020, n. 13782);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il cronista che raccoglie notizie in via confidenziale dalle forze dell'ordine che hanno condotto un'operazione di polizia giudiziaria può invocare, qualora la notizia non risulti veritiera, la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca a condizione che abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'informazione, offrendo la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità di un cronista che, nel riportare la notizia di un arresto, aveva erroneamente indicato l'imputato come imparentato ad un esponente della criminalità organizzata, sulla scorta di una informazione fornitagli confidenzialmente dall'ufficiale di polizia giudiziaria operante, ma non aveva effettuato su di essa alcun controllo - Cassazione penale sez. V - 12/02/2020, n. 14013);

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilità dell'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria, incombe sul giornalista l'onere di allegare gli elementi di fatto concreti ed idonei a giustificare l'erroneo convincimento in ordine alla veridicità della notizia, non essendo a tal fine sufficiente far riferimento ad un generico affidamento in buona fede ad una fonte informativa non meglio indicata, a nulla rilevando che essa sia stata utilizzata da altre fonti di informazione. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso potesse suffragare l'esimente putativa la circostanza che la medesima notizia falsa, di contenuto diffamatorio, fosse stata riportata anche da altri giornali - Cassazione penale sez. V - 18/11/2019, n. 7008);

La scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica o di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità per il delitto di diffamazione aggravata di un giornalista che aveva omesso l'esame degli atti giudiziari criticati e si era affidato per la comprensione degli stessi, affermandosi sprovvisto della necessaria competenza tecnica, al legale del soggetto destinatario degli atti stessi e interessato a rappresentare in modo a sé favorevole i fatti processuali - Cassazione penale sez. V - 04/11/2019, n. 50189).

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8. Regime di procedibilità della diffamazione

Il reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. è procedibile a querela della persona offesa. 

La legge riconosce primariamente al soggetto diffamato la possibilità di segnalare all’autorità giudiziaria il reato commesso ai propri danni. 

Il comma 3 dell’art. 597 c.p., tuttavia, stabilisce che, qualora dovesse verificarsi un’eccezionale circostanza impeditiva, come la morte del soggetto diffamato, possono sporgere querela i suoi prossimi congiunti.

Si pensi anche all’ipotesi in cui la condotta diffamatoria consista nell’offesa alla memoria di un defunto: anche in tal caso possono proporre querela nei termini previsti dalla legge i suoi congiunti. 

La querela dovrà essere sporta entro tre mesi dal momento in cui il soggetto (o i congiunti) ha appreso di essere stato diffamato. 

Il reato di diffamazione si consuma in assenza del destinatario dei contenuti offensivi e, per tale ragione, il termine entro il quale è possibile sporgere una querela per diffamazione non decorre dal giorno in cui i contenuti offensivi sono stati diffusi ma dal giorno in cui il soggetto diffamato ne ha avuto notizia. 

Il ritiro della querela comporta l’estinzione del reato e, quindi, la non punibilità del colpevole. 

Si riportano, sul tema, alcune massime della Suprema Corte di cassazione:

In tema di diffamazione, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di 1singoli appartenenti ad un ente locale possono, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono, sicché quando l'offesa assume carattere diffusivo, incidendo sulla considerazione di cui l'ente gode nella collettività, a tale entità compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo del reato, nonché alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile (Cassazione penale sez. V - 08/10/2021, n. 1059).

In tema di diffamazione a mezzo stampa commessa mediante la pubblicazione di un'intervista, la remissione di querela nei confronti del giornalista estende i suoi effetti anche all'intervistato, in ragione dell'identità del reato derivante dalla necessaria cooperazione fra i due soggetti, senza che rilevi la mancata contestazione formale del concorso di persone nel reato. (In motivazione la Corte ha ritenuto che non viola i criteri espressi dalla cedu, nella sentenza Drassich c. Italia, la qualificazione nell'alveo del concorso di persone, operata in sede di legittimità, delle condotte separatamente e individualmente ascritte al giornalista e all'intervistato, poiché ciò determina un epilogo favorevole per quest'ultimo - Cassazione penale sez. V - 14/10/2021, n. 319).

In tema di diffamazione, nel caso di "offesa alla memoria del defunto", i prossimi congiunti e gli altri soggetti indicati dall'art. 597, comma 3, c.p. sono legittimati "iure proprio" ad esercitare il diritto di querela, quali soggetti passivi dell'offesa. (In motivazione la Corte ha precisato che, in tale ipotesi, non occorre che i querelanti manifestino espressamente la volontà di tutelare la memoria del loro congiunto, essendo sufficiente che espongano l'accadimento storico ritenuto lesivo - Cassazione penale sez. V - 24/06/2021, n. 31530).

In tema di diffamazione tramite "internet", ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza.

(Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per aver ritenuto la tempestività della querela, presentata dopo oltre quattro mesi dalla pubblicazione di un "post" diffamatorio, sulla base della sola dichiarazione assertiva della persona offesa di non aver avuto per lungo tempo accesso ai "social network" - Cassazione penale sez. V - 30/04/2021, n. 22787).

  • Diffamazione: valida la querela il cui contenuto sia determinato mediante rinvio “per relationem”

E' validamente proposta una querela il cui contenuto sia determinato mediante il rinvio "per relationem" ad altri atti specificamente richiamati. (Fattispecie in tema di diffamazione, in cui la Corte ha ritenuto validamente proposta la querela nella quale ai fini della individuazione delle espressioni offensive, veniva fatto riferimento ad un fascicolo processuale contenente una annotazione di polizia giudiziaria che riportava alcuni "post" apparsi su "facebook" - Cassazione penale sez. V - 10/10/2019, n. 2472).

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Ancora 9

9. Le pene previste per la diffamazione

La fattispecie di diffamazione di cui al co. 1 dell’art. 595 c.p. è punita con la reclusione fino ad un anno e con la multa fino a 1.032 euro.

In tutti i casi di diffamazione aggravata, le pene sono aumentate, a seconda della gravità della fattispecie. 

La diffamazione aggravata dall’aver attribuito un fatto determinato, di cui al comma 2 dell’art. 595 c.p., è punita con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 2.065 euro.

La diffamazione aggravata dal mezzo della stampa o da qualunque altro mezzo di pubblicità, di cui al comma 3 dell’art. 595 c.p., è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni e con una multa almeno di 516 euro.

Il direttore della testata giornalistica o l’editore della pubblicazione, se altrettanto responsabili del reato di diffamazione, sono soggetti a pene più lievi e, in particolare, alle pene previste per ciascuna delle fattispecie di diffamazione diminuite fino ad un terzo (come stabilisce l’art. 57 c.p.).

Va evidenziato che una sentenza di condanna per il reato di diffamazione costituisce anche il titolo per ottenere in sede civile il risarcimento dei danni subiti a causa della condotta diffamatoria. 

10. Le differenze tra diffamazione e calunnia

C’è una sostanziale differenza tra il reato di diffamazione e il reato di calunnia. 

Il reato di calunnia, pur ledendo comunque la reputazione del destinatario, si realizza quando taluno attribuisca falsamente ad un altro la commissione di un reato, denunciandolo alle autorità competenti. 

Si faccia il caso di Tizio che sporge una denuncia all’autorità giudiziaria in cui riferisce che Sempronio ha commesso una truffa ai danni dello Stato, sebbene sia in realtà consapevole che la truffa non si è mai verificata: Tizio ha calunniato Sempronio. 

La calunnia sussiste, quindi, tutte le volte che taluno incolpi un altro di aver commesso un reato. 

La diffamazione, invece, pur potendo consistere nell’attribuzione a taluno di un fatto determinato, non dipende dalla connotazione del fatto ma consiste, piuttosto, nell’illecita attività di divulgazione di notizie personali o riservate, al di là di ogni loro possibile rilevanza giuridica.

Inoltre, proprio per la diversa gravità, mentre il reato di diffamazione è procedibile a querela di parte (si il paragrafo 6), quello di calunnia è procedibile d’ufficio. 

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11. Le differenze tra ingiuria e diffamazione

L'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vi., Rv. 276502). Ne consegue che il fatto deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ex art. 594 c.p., u.c., che, ai sensi del d.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. C), è stato depenalizzato (cfr. Cassazione penale sez. V, 25/02/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 31/03/2020), n. 10905). 

Il reato di diffamazione si distingue dalla diversa fattispecie di ingiuria proprio per l'assenza della persona diffamata, la quale, non essendo in grado di percepire l'offesa, non può difendere la propria reputazione, alla cui tutela la norma è preordinata, interloquendo con l'offensore nel momento stesso in cui l'improperio è proferito. 

Al riguardo, nonostante il "social network" (…) sia costituito da una moltitudine di utenti iscritti, che astrattamente possono accedervi ovunque e in ogni momento, ciò non vuol dire che nel momento in cui viene pubblicato qualsivoglia "post" e/o commento, la persona interessata lo percepisca immediatamente e personalmente. Anzi, è proprio la potenziale connessione in ogni luogo e tempo a imprimere particolare potenzialità lesiva alla condotta. Se, invero, la fattispecie è diretta a tutelare la posizione del soggetto che, assente, non è messo nelle condizioni di difendersi, le caratteristiche intrinseche del "social network" rendono verosimile che il commento offensivo, una volta pubblicato, raggiunga all'istante una platea particolarmente ampia di soggetti prima di giungere al destinatario (Tribunale Taranto sez. I, 13/01/2023, (ud. 13/01/2023, dep. 13/01/2023), n.197).

Si riportano, sul tema, alcune massime della Suprema Corte di cassazione:

Integra il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l'invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una “chat” condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito (Cassazione penale sez. V - 10/06/2022, n. 28675);

  • Offende una persona assente durante una intervista televisiva: non è ingiuria ma diffamazione

Integra il delitto di diffamazione aggravato da mezzo di pubblicità diverso dalla stampa, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, la dichiarazione offensiva resa nel corso di un'intervista televisiva, alla quale il destinatario, non presente, abbia replicato parzialmente inviando un "sms" al conduttore, in quanto, ai fini della configurabilità dell'ingiuria, è necessario che tra l'offensore e l'offeso si instauri un rapporto diretto, reale o virtuale, che garantisca a quest'ultimo un contraddittorio immediato, attuato con modalità tali da assicurare una sostanziale "parità delle armi" (Cassazione penale sez. V - 10/11/2022, n. 5982).

  • Diffamazione: sussiste solo quando manchi una interlocuzione diretta fra autore e vittima 

In tema di delitti contro l'onore, si versa nell'ipotesi depenalizzata dell'ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quando siano contestualmente presenti - fisicamente, nella stessa unità di tempo e di luogo, o "virtualmente", nel caso di utilizzo delle moderne tecnologie di comunicazione - l'offeso, i terzi e lo stesso offensore, mentre, ove manchi la possibilità di interlocuzione diretta tra autore e destinatario dell'offesa, che resti deprivato della possibilità di replica, si configura il delitto di diffamazione. (Fattispecie relativa a scritto offensivo recapitato alle persone offese e a terzi in una occasione conviviale, in cui la Corte ha ritenuto correttamente qualificata in termini di diffamazione la condotta dell'imputato non presente alla serata - Cassazione penale sez. VI - 23/03/2023, n. 17563);

  • Diffamazione: sulla impugnazione della parte civile contro la sentenza di assoluzione 

In tema di diffamazione, non incorre nella violazione dell'art. 597, comma 1, c.p.p. il giudice di appello che, nel caso di impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" per difetto di offensività delle espressioni, confermi l'assoluzione per mancanza di prova quanto all'individuazione del destinatario della condotta, in quanto entrambe le questioni sono riconducibili al medesimo "punto" della decisione - relativo all'elemento materiale del fatto - devoluto alla sua cognizione (Cassazione penale sez. V - 23/11/2022, n. 6910).

  • Diffamazione: legittimo il sequestro preventivo di un sito web di informazione televisiva

In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un sito "web" di informazione televisiva che, pur soggetto al formale controllo di un apposito "delegato", non possieda le caratteristiche formali di una testata giornalistica telematica registrata, non potendo trovare applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico (Cassazione penale sez. V - 23/04/2021, n. 20644).

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