La massima
Il delitto di diffamazione tramite inserimento di un video nel canale "You Tube" ha natura di reato istantaneo di evento, che si consuma nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva diventano fruibili da parte di terzi mediante l'inserimento nel "web", con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato. (In motivazione, la Corte ha precisato che il prolungarsi della lesione del bene giuridico protetto dalla norma non incide sulla struttura del reato, trasformandolo in reato permanente - Cassazione penale sez. V - 14/03/2022, n. 24585).
Fonte: CED Cass. pen. 2022
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La sentenza integrale
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Palermo confermava la sentenza con cui il tribunale di Palermo, in data 23.3.2018, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.A. in ordine al reato di diffamazione in rubrica ascrittogli, perché estinto per intervenuta prescrizione.
Al S., in particolare, veniva addebitata la pubblicazione sul canale "You Tube" di un video, dal titolo "(OMISSIS)", avente a oggetto, secondo quanto riportato nel capo d'imputazione, un programma televisivo, andato in onda nel 1991, nel corso del quale, ospite il magistrato F.G., il C., costituita parte civile, veniva indicato come colui che "commentava aspramente e con veemenza le condotte di un magistrato".
Tuttavia, come rilevato dal ricorrente, a seguito delle indagini svolte, era risultato che oggetto delle critiche del C. era persona diversa dal Dott. F., sicché, ritenendo di essere stato oggetto di un'affermazione diffamatoria, in quanto, a suo giudizio, il video era stato montato ad arte per far apparire falsamente la parte civile come l'autore di commenti rivolti al Dott. F., il C. aveva sporto querela per diffamazione nei confronti del S..
Il video era stato inserito nel canale tematico in data (OMISSIS), mentre la querela era stata sporta in data 5.10.2009, in quanto, come affermato in tale atto, solo in data 27.7.2009 il C. aveva avuto contezza dell'esistenza del video in questione.
Pertanto i giudici di merito, con decisione conforme, premessa la natura istantanea del reato di diffamazione, ritenevano che, dovendosi considerare il reato in questione consumato all'atto dell'inserimento del video di cui si lamenta il contenuto diffamatorio nel canale "You Tube", dunque alla data del (OMISSIS), quando la parte civile formalizzò la sua istanza punitiva, il 5.10.2009, era abbondantemente decorso il termine previsto dal combinato disposto degli artt. 157 c.p. e art. 161 c.p., comma 2, in assenza di periodi di sospensione da computare (cfr. p. 1 della sentenza oggetto di ricorso).
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il C., articolando due motivi di ricorso.
Con il primo, egli deduce violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di considerare la peculiare natura della condotta diffamatoria, contestata al S., posto che la diffamazione a mezzo Internet deve reputarsi un reato a consumazione prolungata, in quanto la perdurante fruibilità da parte dell'utenza del materiale circolante sul web rende perdurante l'offesa stessa.
Trattandosi, pertanto, di reato permanente e non di reato a consumazione istantanea, in applicazione del disposto dell'art. 158, c.p., il termine della prescrizione decorre dal momento in cui è cessata la permanenza, che, nel caso in esame, non è mai venuta meno, posto che il video continua a essere visionabile sul canale "You Tube", non essendo stato rimosso, il che giustifica l'interesse al ricorso della parte civile, che continua a essere danneggiata dalla sua diffusione.
Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale, da un lato, non ha fornito adeguata risposta alle doglianze difensive sul punto, limitandosi a rinviare "in blocco e per relationem", alla pronuncia di primo grado, alla quale dichiara di "aderire in pieno"; dall'altro ha operato una sorta di travisamento del fatto nel richiamare, a fondamento della sua decisione, un "granitico orientamento" della giurisprudenza di legittimità, che mai, invece, si è pronunciata sulla questione specifica proposta, riguardante il reato di diffamazione sul web, senza tacere che appare manifestamente illogica l'affermazione della corte territoriale, secondo cui la tesi dell'appellante condurrebbe a considerare permanenti la maggior parte dei reati, in quanto tale ragionamento pone illogicamente sullo stesso piano fattispecie del tutto disomogenee sotto il profilo del bene giuridico tutelato.
3. Con requisitoria scritta del 21.2.2022, depositata sulla base della previsione del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, chiede il ricorso venga dichiarato inammissibile.
3.1. Con memoria depositata in data 1.3.2022, l'avv. Stefano Giordano, difensore di fiducia del C., reitera le proprie doglianze, replicando alle conclusioni del procuratore generale, insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio agli effetti civili, ex art. 576 c.p.p., allegando nota delle spese sostenute nel grado.
3. Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
4. Il pur apprezzabile sforzo interpretativo in cui si è impegnato il ricorrente, non tiene effettivamente conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in relazione al punto decisivo della questione di diritto rimessa all'attenzione del Collegio, che attiene al momento in cui deve ritenersi consumato il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p., quando la condotta offensiva dell'altrui reputazione si concretizza attraverso la diffusione di scritti o di filmati attraverso la sottorete, nota come web, della rete di collegamenti informatici conosciuta come Internet.
Infatti è da tale momento che inizia a decorrere il temine di prescrizione del reato ai sensi della chiara previsione dell'art. 158 c.p., comma 1, che fa esplicito riferimento alla consumazione del reato.
Orbene sul punto la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito, con una serie di condivisibili arresti, che la diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 25875 del 21/06/2006, Rv. 234528; Cass. Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012, Rv. 252964).
Si tratta di un orientamento ribadito anche recentemente da ulteriori arresti, che, pur occupandosi del tema della tempestività della querela (come del resto il precedente del 2012, citato da ultimo), prendono inevitabilmente posizione sul momento della consumazione del reato di diffamazione, posto che la disciplina di cui all'art. 124 c.p., in tema di termine per proporre querela, pur facendo decorrere il suddetto termine di tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato, presuppone necessariamente che un reato si sia perfezionato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, Rv. 261018)
Si e', così, affermato, che, in tema di diffamazione tramite "internet", ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza (cfr. Cass., Sez. 5, n. 22787 del 30/04/2021, Rv. 281261; Cass., Sez. 5, n. 38099 del 29/05/2015, Rv. 264999).
In definitiva è proprio la natura di reato istantaneo di evento della fattispecie in questione, che consente di affermare come esso si consumi nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", perché è in quel momento che esse diventano fruibili da parte dei terzi, essendo inserite in un ambiente comunicativo per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone (cfr., Cass., Sez. 5, n. 3963 del 06/07/2015, Rv. 265815).
Pertanto, è da tale momento che, ai sensi dell'art. 158 c.p., comma 1, disposizione in cui la consumazione del reato è vicenda sostanziale ben distinta dalla permanenza, inizia a decorrere il termine di prescrizione, nel caso in esame, come correttamente rilevato dai giudici di merito, già da tempo perento.
Il prolungarsi della lesione del bene giuridico protetto dalla norma denunciato dal ricorrente, invero, non incide sulla struttura del reato, trasformandolo in reato permanente, perché esso è estraneo alla consumazione del reato, che si perfeziona, come si è detto, non appena la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web".
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2022