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Procreazione medicalmente assistita: Sì all’impianto degli embrioni anche se i coniugi si separano.

Approfondimenti


Indice:



1. Che cos’è la Procreazione medicalmente assistita?

L'art. 1 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 stabilisce che, qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci, al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e dall'infertilità umana, è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, assicurando il rispetto dei diritti di tutti i soggetti coinvolti “compreso il concepito”.

La stessa legge, all'art. 6, comma terzo, sancisce, altresì, che il consenso per procedere alla procreazione medicalmente assistita può essere revocato in qualunque momento ma “fino al momento della fecondazione dell'ovulo”.

Del resto, l'art. 8 della legge n. 40/2004 attribuisce alla volontà manifestata, irrevocabile con la fecondazione, funzione determinativa della maternità, della paternità e dello status di figlio.

Pertanto, una volta avvenuta la fecondazione dell'ovocita, il consenso determina il presupposto per la genitorialità.

Dal tenore letterale, pertanto, si evince che la ratio della normativa menzionata si rintraccia nell'esigenza di tutelare non soltanto la posizione giuridica dei genitori ma anche quella del concepito.

Ed effettivamente, nei lavori preparatori alla legge n. 40/2004, il nostro legislatore ha richiamato “il diritto alla vita dell'embrione”.

Al riguardo, è opportuno sottolineare che la Corte costituzionale, da più tempo, ha precisato che “l'embrione (...) quale che sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è riconducibile a mero materiale biologico” (Corte cost. 8 maggio 2009 n. 151).

Proprio l'esigenza di tutelare in modo peculiare l'embrione ha indotto l'elaborazione dell'art. 13 della legge n. 40/2004 in base al quale “è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”.

Per quanto detto, è evidente che la tutela di tutti i soggetti coinvolti nella P.M.A. è attuata assicurando, da un lato, la consapevolezza del consenso e la possibilità di revoca fino alla fecondazione e, dall'altro, il diritto alla vita dell'embrione, che potrà essere affievolito solo in caso di contrasto con altri diritti di pari rilievo costituzionale ritenuti prevalenti.


2. Il caso.

Nel caso di specie, la moglie, in pieno accordo col marito, decideva di sottoporsi ad un ciclo di procreazione medicalmente assistita presso un ospedale di Roma. Successivamente alla fecondazione dell'ovocita, la terapia veniva interrotta per motivi di salute della donna e, pertanto, i due, ricorrendo alla crioconservazione, decidevano di trasportare i quattro embrioni presso un Centro di Caserta.

Una volta intervenuta la separazione dei coniugi, però, l'uomo rifiutava di prestare il consenso allo scongelamento degli embrioni e al loro impianto.

Così, la moglie, nel timore che l'avanzare dell'età potesse ridurre le possibilità di successo, con ricorso d'urgenza, chiedeva di ordinare al Centro casertano di procedere all'impianto degli embrioni, pur senza l'approvazione dell'ex coniuge.

Costituitosi in giudizio, il marito rilevava l'insussistenza dei presupposti per l'accoglimento del ricorso.

In particolar modo, egli affermava l'assenza dei requisiti soggettivi richiesti dall'art. 5 legge n. 40/2004 per l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

L'uomo, infatti, asseriva che, a seguito della separazione coniugale, non esisteva più una coppia e, conseguentemente, non si poteva assicurare al nascituro il rispetto dei diritti connessi all'art. 30 Cost.

Ulteriormente, il sig. (omissis) esplicitando la revoca del consenso alla P.M.A., manifestava dubbi di costituzionalità dell'art. 6, comma terzo, della legge n. 40/2004 nella parte in cui non consente di revocare il consenso alla dopo la fecondazione dell'ovulo.


3. La decisione

A questo proposito, con riferimento all'avvenuta separazione dei coniugi, i giudici evidenziano che tale circostanza “elide solo in apparenza” i presupposti soggettivi richiesti dall'art. 5 della legge n. 40/2004 e con il “diritto alla famiglia”, di cui all'art. 30 Cost.

L'art. 5 della legge n. 40/2004, difatti, si rivolge soltanto a “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile”.

Sul punto, i giudici osservano che lo stato di separazione dei coniugi non può essere assimilato a quello del genitore single o della coppia omosessuale, poiché si tratta di modelli di vita diversi da quello della famiglia tradizionale.

A tal proposito, i giudici sottolineano che un bambino nato da genitori separati mantiene il diritto di godere di entrambe le figure, le quali assumono i diritti e gli obblighi connessi alla genitorialità.

Si precisa ancora che il nostro ordinamento giuridico si preoccupa di assicurare il rispetto dei diritti connessi all'art. 30 Cost., apprestando una peculiare tutela civilistica e penalistica ai diritti dei figli e assicurando loro una protezione anche da eventuali conflitti di coppia.

Posto ciò, i giudici affrontano un ulteriore profilo e si soffermano sui dubbi di costituzionalità dell'art. 6, comma terzo, della legge n. 40/2004 nella parte in cui non permette la revoca del consenso dopo la fecondazione dell'ovulo.

Al riguardo, in primo luogo, il Tribunale pone in rilievo che i dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma terzo, della legge n. 40/2004 per contrasto con gli artt. 30 e 31 Cost. non hanno alcun fondamento. Si sostiene, infatti, che ammettere un tale contrasto significherebbe ritenere prevalente il diritto ad una famiglia costituita da genitori non separati rispetto al diritto alla vita dell'embrione. E ragionare in tal modo, non sarebbe conforme alla ratio della normativa sulla P.M.A. che tutela in modo peculiare il diritto alla vita dell'embrione.

In secondo luogo, i giudici non ravvisano alcun dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma terzo, della legge n. 40/2004 per contrasto con gli artt. 2 e 32 Cost. Si sottolinea, infatti, che le asserite problematiche di natura psicologica, che l'uomo subirebbe per il rifiuto di portare avanti il progetto di filiazione con una persona con la quale non condivide un disegno di vita comune, potrebbero interessare anche l'altro genitore nel caso di mancata realizzazione del desiderio di filiazione, nonostante l'affidamento determinato dal consenso e dall'avvenuta fecondazione. In ogni caso, si osserva, che gli interessi di entrambe le parti devono sempre bilanciarsi con la tutela dell'aspettativa di vita dell'embrione.

In terzo luogo, il Tribunale non ravvisa alcun dubbio di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 13 Cost. Si precisa, così, che il divieto di revoca del consenso manifestato prima della fecondazione non impone un trattamento sanitario non voluto, ma si limita soltanto a produrre effetti vincolati con riferimento all'assunzione di genitorialità.

Ciò posto, considerando un ulteriore aspetto, i giudici non rilevano alcun contrasto con i principi in materia di consenso informato. Al riguardo, si precisa che, in ambito sanitario, il consenso costituisce una manifestazione di volontà che non crea alcun vincolo, ma soltanto un'autorizzazione per il medico sempre revocabile. Tuttavia, in situazioni diverse (come nel caso di specie), per tutelare rilevanti interessi pubblicistici il legislatore può dettare una disciplina diversificata.

In conclusione, con ordinanza emessa in data 27 gennaio 2021, il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, accogliendo le richieste della donna, ha ordinato al Centro casertano di procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati.


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