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Il reato di costruzione edilizia abusiva in presenza di concessione edilizia illegittima (attualmente permesso di costruire).


1. Evoluzione storica della giurisprudenza

La ricostruzione storica della vicenda che riguarda la rilevanza penale della fattispecie relativa alla realizzazione di costruzione edilizia in presenza di concessione edilizia illegittima viene ripresa da una recente sentenza della S.C. (Cass. pen. sez. III, 21.3.2006, n. 21487), nella quale è sviluppata in maniera estremamente chiara e sintetica, anche per l'autorevolezza del relatore, esperto nella materia edilizia ed urbanistica.

Si legge testualmente nella citata sentenza: "fu la giurisprudenza pretoriale, negli anni '70, a ricondurre alla carenza di concessione edilizia le ipotesi di lavori eseguiti sulla base di concessione illegittima: cioè viziata, o per inosservanza dei presupposti formali di legittimità, o in violazione del vincolo di inedificabilità stabilito dalla legge in assenza di strumenti urbanistici, ovvero in contrasto con i limiti imposti dalla pianificazione vigente. Venne affermato che, in ipotesi siffatte, il giudice penale - avvalendosi dei poteri attribuiti al giudice ordinario dall'art. 5 della legge 20.3.1865 n. 2248 all. E) - può compiere una valutazione del titolo abilitativi, al fine di verificarne la legalità. Qualora egli riscontri eventuali vizi di legittimità, può disapplicare l'atto amministrativo illegittimo, considerando ad ogni effetto i lavori eseguiti in assenza di titolo abilitante. Questa Suprema Corte non assunse, al riguardo, un orientamento uniforme, in quanto: - talune decisioni affermarono che l'illegittimità della concessione fosse assimilabile alla mancanza della stessa; - altre distinsero tra concessione illegittima e concessione illecita, escludendo, nel primo caso, la sussistenza di un presupposto essenziale del reato; - altre ancora ravvisarono, nell'ipotesi di concessione illegittima, la violazione dell'art. 17 lett. a) della legge n. 10/1977 e non quella più grave di cui alla lett. b).

La tesi della "disapplicazione" venne confutata da autorevole dottrina, sull'assunto che l'art. 5 della legge 2248/1865 non può spiegare alcuna efficacia nell'ambito del processo penale, in quanto questo non è rivolto alla tutela dei diritti soggettivi, bensì all'accertamento della corrispondenza di un fatto alla fattispecie incriminatrice. Non vi è, insomma, una parte che possa chiedere al giudice il disconoscimento di una disciplina imposta da un provvedimento amministrativo illegittimo, con sacrificio di relazioni giuridiche alle quali esso partecipa; il provvedimento illegittimo, invece, potrebbe costituire soltanto il presupposto di un reato. Alcuni autori asserirono, al riguardo, che la disapplicazione si risolverebbe, agli effetti penali, in una forma di retroattività "in malam partem", dal momento che, con essa si qualificherebbe postumamente illecita una condotta posta in essere in conformità ad un titolo assentito dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, che è principio generale del nostro Ordinamento.


Costruzione edilizia abusiva in presenza di concessione edilizia illegittimacostruzione edilizia abusiva in presenza di concessione edilizia illegittima

Un notevole contributo alla configurazione della questione venne fornito da questa III Sezione penale con l'ordinanza 13.3.1985 (ric. Meraviglia), ove si affermò perentoriamente che la norma incriminatrice all'epoca posta dall'art. 17, lett. b), della legge n. 10/1977 ricollegava la sanzione penale alla "insussistenza" del provvedimento amministrativo e non anche alla sua "illegalità". In decisioni successive questa Sezione ribadì che il giudice penale deve controllare soltanto l'esistenza dell'atto sulla base dell'esteriorità formale e della sua provenienza dall'organo legittimato ad emetterlo, ulteriormente precisando che deve parlarsi di assenza dell'atto non solo qualora esso sia stato emesso da un organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia e del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri (Cass. sez. III, 31.3.1986, ric. Ainora).

Il contrasto giurisprudenziale rese opportuno l'intervento delle Sezioni Unite e queste - con decisione del 31.3.1987, ric. Giordano - statuirono che "il potere del giudice penale di conoscere della illegittimità della concessione edilizia non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E), ma deve trovare fondamento o giustificazione o in esplicita previsione legislativa ovvero nell'ambito della interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa". Le Sezioni Unite affermarono, nella sentenza Giordano, che - dalla lettura congiunta degli artt. 4 e 5 della legge del 1865 - "si evince chiaramente che le norme in questione non introducono affatto un principio generalizzato di disapplicazione di atti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario (sia esso civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo, ma che, al contrario, il controllo sulla legittimità dell'atto amministrativo è stato rigorosamente limitato dal Legislatore ai soli atti incidenti negativamente sui diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti di accertamento incidentale, che lasci persistere gli effetti che l'atto medesimo è capace di produrre all'esterno del giudizio.

Ne consegue, pertanto, che la normativa in questione non può trovare applicazione per quegli atti amministrativi che, lungi da comportare lesione di un diritto soggettivo, rimuovono invece un ostacolo al loro libero esercizio (nulla-osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono (concessioni). Opinare diversamente non solo comporta l'estensione al diritto oggettivo di una regola dettata unicamente a tutela di diritti soggettivi, ma comporta altresì - con violazione del principio di divisione dei poteri - l'attribuzione al giudice penale di un potere di controllo e d'ingerenza esterna sull'attività amministrativa e, quindi, l'esercizio di un'attività gestionale che dalla legge è, invece, demandata in esclusiva ad altro potere dello Stato.

Ciò, peraltro, non esclude che, in determinati casi, il giudice penale non possa egualmente conoscere della illegittimità dell'atto amministrativo. Tale possibilità, tuttavia, non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge del 1865, ma deve, invece, trovare fondamento e giustificazione o in una esplicita previsione legislativa (come ad esempio avviene con il disposto dell'art. 650 c.p.) ovvero, nell'ambito dell'interpretazione ermeneutica della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa".

Sulla base di tali principi affermarono le Sezioni Unite che la disposizione di cui all'art. 17 lett. b) della legge n. 10/1977 non poteva considerarsi "funzionale alla tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto sostanziale che disciplinano l'attività edilizia, poiché "l'interesse tutelato da tale norma è quello pubblico di sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della P.A., con conseguente imposizione, a chi voglia edificare, dell'obbligo di richiedere l'apposita autorizzazione amministrativa".

Un netto dissenso all'anzidetto orientamento venne espresso in una successiva sentenza (Cass. sez. III, 9.1.1989, n. 2766, ric. Bisceglia), ove si affermò che la questione doveva essere riesaminata alla stregua dei principi informatori della legge n. 47/1985, avendo tale legge profondamente mutato l'oggetto stesso della tutela penale, incentrata ormai sul criterio sostanziale della conformità delle opere alla normativa urbanistica. Al giudice penale venne riconosciuta così la potestà di non tenere conto dell'atto amministrativo illegittimo, essendo divenuta la illegittimità dell'atto essa stessa un elemento essenziale della fattispecie criminosa.

La Corte Costituzionale - con ordinanza 11/14 giugno 1990, n. 288 - confermò l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza Giordano (ritenendolo espressamente non superato dalla anzidetta decisione) secondo il quale il giudice penale non può disapplicare il provvedimento amministrativo, salvo i casi di lesione di diritti soggettivi o di illiceità penale, soggiungendo però che "l'illiceità penale di una concessione non deriva soltanto dalla collusione (tra richiedente ed autorità amministrativa), ma da qualsiasi violazione della legge penale che abbia a viziare il momento formativo della volontà della Pubblica Amministrazione".

Seguirono ulteriori oscillazioni giurisprudenziali per cui le Sezioni Unite hanno avuto occasione di pronunciarsi nuovamente sulla questione e - con sentenza 12.11.1993, ric. Borgia - hanno affermato che "al giudice penale non è affidato, in definitiva, alcun sindacato sull'atto amministrativo, ma questi, nell'esercizio della potestà penale, è tenuto ad accertare la conformità tra ipotesi di fatto (opera eseguendo o eseguita) e fattispecie legale (identificata dalel disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia, dalle previsioni degli strumenti urbanistici e dalle prescrizioni del regolamento edilizio). Il complesso di tali disposizioni, previsioni e prescrizioni, tutte insieme considerate, costituisce il parametro organico per l'accertamento della liceità o dell'illiceità dell'opera edilizia e ciò in quanto l'oggetto della tutela penale apprestata dall'art. 20 della legge n. 47/1985 [oggi art. 44 del T.U. n. 380/01 ] non è più - come nella legge n. 1150 del 1942 - il bene strumentale del controllo e della disciplina degli usi del territorio, bensì la salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio medesimo. In questa prospettiva, nell'ipotesi di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione dell'anzidetto parametro di legalità urbanistica ed edilizia, il giudice non deve concludere per la mancanza di illiceità penale solo perché sia stato rilasciato il permesso di costruire: questo, infatti, "nel suo contenuto, nonché per le caratteristiche strutturali e formali dell'atto, non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzando senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ... Né il limite al potere di accertamento penale del giudice può essere posto evocando l'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), in quanto tale potere non è volto ad incidere sulla sfera dei poteri riservati alla Pubblica Amministrazione, e quindi ad esercitare un'indebita ingerenza, ma trova fondamento e giustificazione in una esplicita previsione normativa, la quale postula la potestà del giudice di procedere ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata".

In seguito a quest'ultimo intervento delle Sezioni Unite, alcune decisioni di questa Corte considerarono il reato di cui all'art. 20 lett. a) della legge n. 47/1985 come l'unica fattispecie penale configurabile nell'ipotesi di illegittimità dell'atto concessorio, escludendo comunque l'elemento soggettivo della contravvenzione medesima quando la violazione delle norme urbanistiche (leggi, strumenti di pianificazione, regolamenti) non fosse "grossolana o macroscopica" (vedi Cass. sez. III, 19.10.1992, Calmieri e 21 maggio 1993, P.M. in proc. Tessarolo). Successivamente, però, questa Corte ha rilevato che il giudizio (ric. Borgia) conclusosi con la pronunzia delle Sezioni Unite aveva ad oggetto una fattispecie inquadrabile nella previsione dell'art. 20 lett. a), ma che i principi affermati con quella pronuncia hanno valore e portata generale in relazione a tutte e tre le fattispecie attualmente previste dall'art. 44, poiché esse tutte tutelano il medesimo interesse sostanziale all'integrità del territorio."

All'esito di questo excursus giurisprudenziale può affermarsi che oramai risulta pacifico che l'oggetto della tutela penalistica dell'urbanistica e dell'edilizia consiste nel territorio, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente. Sicchè ogni intervento edilizio deve essere valutato e verificato dal giudice penale alla luce di tale parametro di legalità (per un'affermazione simile anche in materia di intervento edilizio astrattamente realizzabile mediante DIA, ma non conforme in concreto agli strumenti urbanistici, tanto da configurare il reato p. e p. dall'art. 44 lett. a) DPR n. 380/01 e non l'illecito amministrativo ex art. 37 DPR n. 380/01 cfr. di recente: Cass. pen. sez. III, n. 41619/2006).

Quale sia, però, il reato configurabile in presenza di costruzione edilizia realizzata sulla base di una concessione edilizia illegittima è questione tuttora controversa.


2. Intervento edilizio realizzato mediante concessione edilizia illegittima: rientra nella lett. b) o c) o nella lett. a) dell'art. 20 della legge n. 47/85

Secondo l'orientamento giurisprudenziale che appare, allo stato, più costante, in presenza di una concessione illegittima non si tratterebbe di disapplicare un atto amministrativo, bensì di valutare la sussistenza di un elemento normativo della fattispecie penale. Come è noto, traendo spunto dall'interesse sostanziale protetto dalla legge n. 47 del 1985, l'oramai pacifica giurisprudenza di legittimità ritiene essere interesse sostanziale quello della protezione del territorio e, quindi, costituire elemento normativo della fattispecie di cui all'art. 20 citata legge la legittimità dell'atto, fondandosi su una nota dottrina che individua la concessione edilizia illegittima fra gli elementi intrinseci della fattispecie e la classifica fra gli atti-presupposto. Orbene, è pacifico che la lett. a) dell'art. 20 legge n. 47/85 costituisce una fattispecie penale residuale (Cass. pen. sez. u., 14.7.1992, Aramini ed altro), sicchè apparirebbe del tutto incongruo, una volta individuato l'interesse protetto, sostenere che lo stesso trovi esclusiva attuazione in detta norma, giacchè le altre sarebbero ancora relative a quello formale del controllo dell'attività edilizia mediante il rilascio della concessione da parte della P.A., il quale, quindi, permarrebbe e concorrerebbe con quello sostanziale. Una simile argomentazione, secondo la citata giurisprudenza, potrebbe essere indice di impraticabilità dell'analisi ermeneutica adottata, ma potrebbe anche dimostrare l'irrazionalità della tesi limitativa, che prevede per la violazione dell'interesse sostanziale una pena minore stabilita per quello meramente formale. Tuttavia proprio quest'ultima interpretazione, a parere di tale giurisprudenza, imporrebbe un'interpretazione adeguatrice, secondo la quale tra due analisi esegetiche in astratto possibili occorrerebbe scegliere quella che non fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale. Sotto questo profilo, apparirebbe perfettamente coerente con le argomentazioni svolte e con i principi su enunciati prevedere una gradualità crescente delle pene edittali in rapporto alla lesione dell'interesse sostanziale alla salvaguardia del territorio in conformità alla normativa urbanistica.

Pertanto, l'interesse leso troverebbe la sua tutela in tutte e tre le fattispecie criminose in relazione al differente grado di offensività, sicchè il parametro normativo potrebbe individuarsi nella nota distinzione tra difformità totale o parziale e tra opere eseguite in zone soggette o meno a vincolo, configurandosi così le diverse contravvenzioni delle lett. a), b) e c) dell'art. 20 citato. In tale modo, ad esempio, ove la violazione di detto interesse avesse consentito l'edificazione di un ampliamento in contrasto con le prescrizioni dello strumento urbanistico, andrebbe configurabile il reato di cui alla lett. a) dell'art. 20; mentre, qualora si tratti di un piano in più o di tutto un edificio verranno in considerazione i reati previsti alle lett. b) o c), a seconda che l'immobile trovasi ubicato in zona soggetta o meno a vincolo (su tutte: Cass. pen. sez. III, 18.12.2002, n. 4877).

Il Tribunale non ignora che l'orientamento su riportato, e ripreso dalla sentenza citata che si pone con accenni fortemente polemici rispetto all'opposto orientamento, anche dottrinario, risulti allo stato il più "gettonato" negli Alti Consessi. Epperò, lo stesso non appare convincente per una serie di ragioni che si andranno brevemente ad esporre.

L'importanza attribuita al bene giuridico protetto dalle norme di cui all'art. 20 legge n. 47/85 (attualmente art. 44 DPR n. 380/01) non deve fare tralasciare il principio di legalità e di tipicità della fattispecie penale, che risulta pur sempre l'unico vero principio costituzionalizzato (artt. 25, comma 2, e 101 comma 2 Cost.).

Il Legislatore ha strutturato i reati edilizi in tre fattispecie: la prima (lett. a) scatta per l'inosservanza della normativa urbanistica prevista da strumenti urbanistici e legislazione vigente, nonché dal permesso di costruire; la seconda (lett. b) scatta in caso di esecuzione di lavori edilizi in totale difformità del permesso di costruire, ovvero in assenza del permesso di costruire, o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; la terza (lett. c) scatta in caso di lottizzazione abusiva, ovvero nel caso di interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo ambientale-paesaggistico, in variazione essenziale, in totale difformità ovvero in assenza del permesso di costruire.

Orbene, sicuramente le fattispecie considerate appaiono richiamare per la definizione del precetto penale elementi normativi extrapenali (in specie: normativa urbanistica come desumibile dalla legislazione vigente e dagli strumenti urbanistici; permesso di costruire), che costituiscono il parametro di legalità di riferimento ovvero il presupposto del reato.

Più nel dettaglio, con riferimento al permesso di costruire (in passato concessione edilizia), esso rileva sotto il profilo dell'assenza ovvero della presenza in relazione ad un determinato intervento edilizio per il quale ne sarebbe astrattamente necessario il rilascio, e, se presente, sotto il profilo della difformità (da ritenersi totale ovvero da configurare come variazione essenziale) dell'intervento in concreto realizzato rispetto a quello assentito.

Dunque, se l'intervento edilizio viene realizzato in assenza del permesso di costruire si configura il reato di cui all'art. 44 lett. b) DPR n. 380/01, e ciò indipendentemente dalla conformità della costruzione edilizia alla normativa urbanistica primaria o secondaria. In quest'ultimo caso, invero, l'intervento potrà essere sanato ai sensi degli artt. 36 e 45 DPR n. 380/01 (già artt. 13 e 22 legge n. 47/85) se conforme anche alla normativa urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo in sanatoria (c.d. doppia conformità). Peraltro, questa sanatoria, che pure determina un effetto estintivo ex tunc valevole per tutti i compartecipi al reato (Corte Cost. n. 370/1988) perché elimina l'antigiuridicità sostanziale del fatto, riconoscendo che non vi è stato danno urbanistico, è puramente eventuale, poiché legata all'iniziativa della parte. Sicchè, in mancanza, se pure il giudice penale riscontrasse la conformità dell'intervento edilizio alla normativa urbanistica, non potrebbe fare altro che affermare la penale responsabilità dell'agente.

Pertanto, è vero che l'interesse sostanziale alla tutela del territorio come configurata dalla normativa urbanistica costituisce il bene giuridico preso di mira dal Legislatore. Ma è anche vero che non costituisce l'unico bene giuridico tutelato dalla norma penale. A questo, invero, si affianca anche l'interesse formale alla salvaguardia della sfera di controllo demandata alla P.A.

Se così non fosse non si spiegherebbe la rilevanza penale della condotta di colui il quale realizzi un intervento edilizio conforme agli strumenti urbanisti, ma in assenza di permesso di costruire.

Allo stesso modo non si spiegherebbe la rilevanza penale della condotta di colui il quale, ottenuto un titolo concessorio legittimo, si determini ad iniziare i lavori edilizi alla scadenza del termine fissato in concessione edilizia. Invero, anche in questo caso la S.C. afferma la sussistenza del reato di cui all'art. 44 lett. b) DPR n. 380/01 (cfr. Cass. pen. sez. III, 14.10.1997, n. 2784; Cass. pen. sez. III, 7.10.1998, n. 2086).

D'altra parte, l'agente commette il reato de quo anche nel caso in cui prosegua i lavori edilizi nonostante la sospensione cautelare della concessione edilizia disposta dal giudice amministrativo (cfr. da ultimo Cass. pen. sez. III, 18.3.2004, n. 13219, dove si precisa che la sospensione dell'esecutività della concessione inibisce al privato le facoltà relative allo ius edificandi ristabilendo gli ostacoli alla libera esplicazione di tale diritto che il provvedimento autorizzativo aveva rimosso).

Dunque, il presupposto del reato di cui all'art. 44 lett. b) DPR n. 380/01 è l'esecuzione di lavori edilizi (per i quali ovviamente risulti necessario il titolo concessorio) in assenza di permesso di costruire, perché lo stesso non risulti essere stato mai chiesto o rilasciato, ovvero, benché richiesto e rilasciato, non risulti essere produttivo di effetti, perché decaduto per scadenza del termine, sospeso cautelativamente dal giudice amministrativo, revocato, annullato.

Al contrario, nel caso in cui il permesso di costruire risulti rilasciato ed efficace, non potrà configurarsi il reato di cui alla lett. b) dell'art. 44 citato, poiché non risulta concretizzato il presupposto del reato, e cioè l'assenza del titolo abilitante.

La presenza di un permesso di costruire illegittimo non può essere equiparata all'assenza dello stesso. Invero, un permesso di costruire, benché illegittimo, fino ad annullamento, revoca o sospensione giudiziale cautelare amministrativa, costituisce un atto amministrativo che esplica i suoi effetti.

Pertanto, la sua presenza non consente di ritenere integrato il presupposto materiale e giuridico per la configurazione del reato di cui all'art. 44 DPR n. 380/01 nella forma di cui alla lett. B).

Peraltro, la presenza del titolo abilitante non preclude al giudice penale la possibilità di verificare la conformità dell'intervento edilizio al parametro di legalità rappresentato dalla normativa urbanistica primaria e secondaria. E ciò il giudice penale può fare, senza scomodare la teoria della disapplicazione degli atti amministrativi, costituendo il parametro della legalità urbanistica pur sempre un elemento normativo della fattispecie.

Al riguardo, preme evidenziare che, come ha chiarito di recente la S.C., anche per gli interventi realizzabili a mezzo di semplice DIA è necessario che sussista la conformità al parametro di legalità urbanistica, la cui mancanza, da sola o unitamente alla mancanza della medesima DIA, comporta la configurabilità dell'illecito penale di cui all'art. 44 lett. A) DPR n. 380/01 (cfr. la già citata Cass. pen. sez. III, n. 41619/2006, secondo la quale ai sensi dell'art. 22 1° comma DPR n. 380/01 sono realizzabili mediante DIA non già tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli artt. 6 e 10 citato DPR, bensì solo quegli interventi di cui alle predette norme che siano anche "conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente"; ne consegue che si potrà applicare la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 citato DPR solo se ricorre questa condizione, mentre, qualora si tratti di interventi non conformi alla normativa primaria e secondaria edilizia ed urbanistica, la loro realizzazione - sempre che si tratti di interventi per i quali non è necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire - comporterà comunque l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44 lett. a) DPR n. 380/01).

Epperò, come per la fattispecie dei lavori realizzabili mediante semplice DIA che risultino non conformi alla normativa primaria e secondaria urbanistico-edilizia, anche nel caso di interventi edilizi la cui realizzazione risulti subordinata al preventivo rilascio del permesso di costruire la non conformità delle opere assentite alla normativa urbanistico-edilizia comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. A) DPR n. 380/01.

In buona sostanza, la presenza del permesso di costruire (come anche dell'eventuale DIA) non legittima l'esecuzione di interventi edilizi che non risultino conformi alla normativa urbanistico-edilizia. In questo caso la presenza di un permesso di costruire che abbia assentito interventi edilizi non conformi alla normativa urbanistico-edilizia, e, pertanto, illegittimo, non rende gli interventi medesimi leciti: epperò, la fattispecie in esame non configura l'ipotesi criminosa di cui alla lett. B) dell'art. 44 TUED, in quanto manca il presupposto di questo reato (l'assenza del titolo abilitante), bensì la diversa fattispecie penale prevista dalla lett. A) del citato articolo.

Questa ricostruzione appare rispettosa della lettera della legge e impedisce il rischio di interpretazioni, non estensive o analogiche, bensì creative di una norma penale da parte del giudice.

Opinare diversamente può indurre il giudice penale a farsi "Legislatore" rispetto alla difesa del territorio e dell'ambiente realizzata a mezzo della sanzione penale. Invero, attraverso il "grimaldello" dell'interesse sostanziale alla salvaguardia del territorio, si rischia di applicare le sanzioni penali previste dall'art. 44 DPR n. 380/01 senza rispettare il principio di legalità, sussumendo le fattispecie concrete ora sotto la lett. A), ora sotto la lett. B) della predetta norma in relazione ad un c.d. "differente grado di offensività" , che può portare alla conclusione, pervero non condivisibile, secondo questo Tribunale, contenuta nella citata sentenza della S.C. n. 4877/2002, secondo la quale la lett. A) troverà applicazione in relazione ad abusi edilizi minori (ad esempio un semplice ampliamento in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia) e la lett. B) in relazione ad abusi edilizi maggiori (come ad esempio la realizzazione di una piano in più ovvero di un intero edificio). In presenza di un permesso di costruire illegittimo la possibilità di configurare la fattispecie di cui alla lett. A) o alla lett. B) dell'art. 44 TUED non può essere legata all'entità dell'intervento edilizio: la norma non rimanda a tale parametro per la configurabilità dell'una o dell'altra fattispecie (invero, l'art. 44 citato, attraverso i riferimenti contenuti nella norma alla "totale difformità" ovvero alla "variazione essenziale" , richiama in qualche modo concetti che attengono all'entità dell'abuso edilizio, ma ciò avviene in relazione alle difformità dell'intervento edilizio in concreto realizzato rispetto a quello assentito con permesso di costruire, e non in relazione alle difformità delle opere rispetto alla normativa primaria e secondaria urbanistico-edilizia).

Quanto all'eventuale irragionevolezza di una norma penale che sanzioni meno gravemente quelle condotte effettivamente lesive dell'interesse sostanziale protetto dalla norma medesima, cui fa riferimento la citata sentenza n. 4877/02 per giustificare le proprie conclusioni su riportate, preme evidenziare che non può sfuggire come la "gestione" del territorio spetti in via esclusiva alla P.A., che a tale fine predispone gli strumenti urbanistico-edilizi e che, sempre a tale scopo, mantiene il controllo diretto sui singoli interventi edilizi attraverso il rilascio preventivo del permesso di costruire (ovvero attraverso la sospensione dell'intervento nel caso di opere realizzabili mediante DIA). Non appare, pertanto, irragionevole che il Legislatore abbia previsto una sanzione penale più grave a fronte di interventi edilizi realizzati senza permesso di costruire (siano o meno conformi alla normativa primaria e secondaria urbanistico-edilizia) rispetto ad interventi non conformi alla normativa urbanistico-edilizia, ma realizzati sulla base di un permesso di costruire illegittimo: invero, nel primo caso, viene bypassato completamente il preventivo controllo della P.A. sull'attività edilizia, poiché la P.A. non ha potuto esercitare il fondamentale controllo che attiene al momento finale di tutta la normativa predisposta per la tutela del territorio, e cioè al momento in cui concretamente si edifica, perdendo in tale modo la gestione concreta del territorio, in grado di incidere negativamente anche sulla programmazione urbanistico-edilizio dello stesso; nel secondo caso, la P.A. ha esercitato male i suoi poteri e le sue prerogative, e cioè, pur essendo stata messa nelle condizioni di conoscere il concreto intervento edilizio programmato dal privato, lo ha consentito in spregio alla normativa di settore.

Appare evidente che, nell'ottica di un Legislatore che predispone la sanzione penale a presidio del potere "conformativo" urbanistico-edilizio della P.A. rispetto al territorio, si configura con maggiore gravità la condotta di colui il quale sottrae a qualsiasi controllo della stessa il proprio intervento edilizio, rispetto a quella di colui il quale, pur avendo programmato un intervento edilizio non conforme alla normativa di settore, se lo vede approvare sulla base di un permesso di costruire illegittimo.

Alla luce delle su esposte considerazioni, deve ribadirsi il convincimento del collegio che, a fronte di un intervento edilizio non conforme alla normativa primaria o secondaria urbanistico-edilizia, ma assentito sulla base di un permesso di costruire illegittimo, la fattispecie può configurare soltanto il reato di cui all'art. 44 lett. A) DPR n. 380/01, e non quello di cui alla lett. B) del medesimo articolo.

Ipotesi diversa è quella secondo la quale il permesso di costruire non sia semplicemente illegittimo, ma illecito, perché rilasciato a seguito di attività criminosa, ovvero da soggetto che abbia completamente usurpato le funzioni ed i poteri. Invero, in entrambi i casi non può parlarsi di un atto amministrativo giuridicamente esistente e, di conseguenza, deve ritenersi che l'intervento edilizio risulti realizzato in assenza del titolo abilitante.

Al riguardo, preme evidenziare che quando l'attività di rilascio di un permesso di costruire costituisca attività delittuosa, ovvero sia frutto di attività criminosa, non può affermarsi che sussista un atto amministrativo, poiché manca l'essenza stessa di tale atto, e cioè il fatto che esso costituisca espressione del libero e discrezionale esercizio del potere da parte della P.A.

Allo stesso modo nel caso in cui l'atto amministrativo sia emesso da soggetto che ha usurpato le funzioni (concetto che esprime qualcosa in più e di più grave rispetto alla pura e semplice incompetenza), deve ritenersi che l'atto risulti inesistenze perché emesso da soggetto assolutamente non legittimato a farlo.

In questi casi, la formale presenza del permesso di costruire non impedisce la configurazione del reato di cui all'art. 44 lett. B) DPR n. 380/01.

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