top of page

É condotta imprudente proseguire l'esame endoscopico se si presentano difficoltà di esecuzione.

Responsabilità medica penale

Con la sentenza n. 48813/16, la Quarta Sezione della Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla parte civile, per carenza ed illogicità della motivazione della sentenza di appello in ordine alla sussistenza della colpa grave a carico di due medici, con la qualifica di aiuto, che parteciparono ad un intervento chirurgico per carcinoma del sigma.

Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza sopra richiamata.


Cassazione penale sez. IV, 18/10/2016, (ud. 18/10/2016, dep. 17/11/2016), n.48813

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/10/2014 del Tribunale di Terni, S.M. veniva dichiarata colpevole del reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p. per avere, in qualità di medico presso l'ospedale di (OMISSIS), procurato a T.M.G. una perforazione intestinale nel corso di un'operazione endoscopica, eseguita con imperizia, imprudenza e con omessa adozione di accorgimenti propri dell'arte medica, in modo da imporre un successivo intervento operatorio di resezione di circa 8 cm di colon; la S. sovraintendeva alle operazioni manuali che venivano effettuate da un'infermiera sotto la sua direzione e controllava con il monitor l'esame e non si avvedeva della situazione di pericolo esistente e non informava e fermava l'infermiera che continuava nell'introduzione del colonscopio. Riconosciute le circostanze attenuanti generiche, l'imputata veniva condannata alla pena di mesi 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali


1.1. Con la sentenza n. 1350/2015 del giorno 16/11/2015, la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado riduceva la pena nei confronti dell'imputata a giorni 20 di reclusione. Pena sospesa e non menzione. Confermava nel resto l'appellata sentenza.


2. Avverso tale sentenza di appello, propone ricorso per cassazione S.M., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):


I) violazione di legge con riferimento all'art. 507 c.p.p.. Deduce che è stata illegittimamente disposta l'audizione del consulente della parte civile Dr. P. (peraltro non indicato dalla medesima parte civile nella propria lista);


II) violazione di legge in relazione agli artt. 516 e 521 c.p.p.. Deduce la mancata correlazione tra imputazione e sentenza. Sostiene che del problema della eccessiva insufflazione dell'aria, decisivo ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputata, il capo di imputazione non fa il minimo cenno.


III) violazione di legge in relazione agli artt. 40-42 c.p.. Deduce che i giudici del merito hanno confuso la colpa con la c.d. causalità della colpa, finendo con l'identificare l'evento (la perforazione intestinale) con l'elemento soggettivo del supposto reato;


IV) vizi motivazionali. Deduce che i giudici del merito hanno inteso valorizzare e recepire la perizia disposta ex art. 507 c.p.p. del dr. Su.. Deduce che tale perizia è censurabile poichè, tra l'altro, sottovaluta i rischi connessi con l'esame endoscopico;


V) violazione di legge in relazione al D.L. n. 158 del 2012, art. 3 che stabilisce: "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve";


VI) violazione di legge per eccessività della pena.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato e s'impone il rigetto.


3.1. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.


3.2. Occorre, inoltre, evidenziare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.


3.3. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.


3.4. Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, è consolidata in giurisprudenza la massima secondo cui la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l'introduzione, nella motivazione, di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 4, n.49361 del 04/12/2015). E ciò nella specie non è.


3.5. Giova, infine, ribadire che la Corte regolatrice ha più volte chiarito che non è sufficiente che gli atti indicati dal ricorrente siano contrastanti con le valutazioni del giudice o siano astrattamente idonei a fondare una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice; gli atti del processo su cui fa leva il ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudice e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente contraddittoria la motivazione: nella specie ciò non si verifica. In secondo luogo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che resta preclusa al giudice di legittimità la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Nel caso che occupa, quindi, non ricorre alcuno dei vizi lamentati in ricorso.


4. Ciò posto, in replica alla doglianza sub I), già proposta in appello, si osserva:


4.1. Già con sentenza 41281/2006, le SS. UU., alla luce dell'art. 111 Cost. in tema di "giusto processo", hanno stabilito che il potere del giudice di disporre d'Ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., può essere esercitato pur quando non vi sia stata precedente acquisizione di prove che le parti avrebbero potuto chiedere e non hanno chiesto, ma sempre che l'iniziativa probatoria si necessaria (come nel caso di specie) e miri all'assunzione di una prova decisiva nell'ambito delle prospettazioni delle parti.


4.2. Va, poi, considerato che l'ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità, nè le prove in questione, dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili, posto che l'art. 507 c.p.p. consente al giudice di assumere d'Ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p. (cfr. sez. 2, n. 9379 del 20/02/2015).


4.3. Nella specie, i giudici del merito hanno congruamente motivato sul punto e la Corte territoriale, in particolare, ha - correttamente quanto condivisibilmente - affermato che l'ordinanza emessa ex art. 507 c.p.p. dal primo giudice "lungi dall'essere finalizzata a favorire la posizione della parte civile, (che era incorsa nella decadenza derivante dalla mancata citazione del teste CT Dr. P.) concretizzava una integrazione probatoria, il cui unico scopo era quello di consentire al giudice di prime cure di disporre di un dato tecnico ulteriore, ritenuto assolutamente necessario ai fini del decidere, conformemente a quanto previsto dall'art. 507 c.p.p.".


4.4. A quanto detto consegue l'infondatezza del motivo in esame.


5. Quanto alla doglianza sub II), si osserva:


5.1. L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato; ciò deriva dall'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.


5.2. Nella giurisprudenza di legittimità, ancora, è del tutto consolidata un'interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione, ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quei soli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti - e in particolare l'imputato - non abbiano avuto modo di dar vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di esempio, può citarsi la massima per la quale "ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione" (cfr. ex multis sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Rv. 257278).


5.3. Nella specie la Corte del merito ha, incensurabilmente, evidenziato che "Il Tribunale, nel descrivere il comportamento della appellante, non introduceva una profilo fattuale diverso da quello contestato, rimanendo inalterato anche l'aspetto colposo della condotta addebitata, materializzatasi nel sovrintendere alla esecuzione delle manovre attuative della colonscopia attraverso l'azione realizzata dalla infermiera, non interrotta in tempo utile ad evitare quella lacerazione della parete intestinale....E poi, in merito alla condotta ritenuta così come contestata nei suoi tratti essenziali, l'imputata apprestava la propria difesa, esercitando ampiamente i suoi diritti, per cui, in ogni caso, gli stessi non subivano alcuna lesione".


5.4. Di qui l'infondatezza della doglianza in scrutinio.


6. Quanto al motivo sub III) si osserva:


6.1. In tema di nesso di causalità, l'accertamento oltre ogni ragionevole dubbio di ciò che è effettivamente accaduto (c.d. giudizio esplicativo) è logicamente preliminare al giudizio controfattuale (c.d. giudizio predittivo), imponendo quest'ultimo di accertare se l'evento non si sarebbe verificato ove fosse stata posta in essere la condotta doverosa omessa o, viceversa, non fosse stata posta in essere la condotta commissiva vietata (cfr. sez. 4, n. 34296 del 06/08/2015).


6.2. In particolare, in ambito di colpa medica è da tempo condiviso il principio secondo cui il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; in tali casi al giudice di legittimità è assegnato solo il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative la c.d. giustificazione esterna - della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare (cfr. e pluribus sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012).


6.3. Nel caso che occupa, il giudice del merito ha motivatamente ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta del ricorrente e le lesioni patite dalla persona offesa. Il giudicante ha, quanto alla sussistenza della colpa, valorizzato, tra l'altro, le risultanze tecniche riferite dai dottori B. e Su. secondo le quali era stata posta in essere una manovra incongrua eseguita nel corso dell'accertamento, derivata da una verosimile imprudenza, e, conseguentemente, l'evento si è verificato a causa della condotta imprudente dell'imputata ai sensi dell'art. 43 c.p., atteso che la stessa, innanzi alla difficoltà o impossibilità di proseguire l'esame endoscopico, avrebbe dovuto interromperlo o adottare altre tecniche.


6.4. Appare, perciò, evidente che la ricorrente abbia violato le norme cautelari di condotta mentre era pienamente esigibile da lei un comportamento alternativo - a quello tenuto - e corretto. Ciò viene pienamente valorizzato dalla corte dell'appello la quale, ritenendo la S. del tutto consapevole della situazione realizzatasi, considera che l'imputata, accortasi della difficoltà o impossibilità di proseguire l'esame endoscopico, avrebbe dovuto interromperlo o adottare altre tecniche; se fosse stato posto in essere detto comportamento alternativo corretto non si sarebbe verificata la lacerazione dell'intestino in questione.


6.5. Conclude in termini il giudicante del merito ritenendo, ineccepibilmente, che se la ricorrente avesse tenuto la condotta esigibile e doverosa l'evento non si sarebbe verificato.


7. In ordine alla doglianza sub IV), si osserva:


7.1. Valgono le considerazioni già svolte ai punti sub 3.4. e 3.5..


7.2. Giova, comunque, evidenziare che in tema di valutazione delle risultanze peritali, il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorchè gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica (o parti di esse), purchè - come ne caso che occupa - dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire.


7.3. Quanto, infine, alla presunta violazione del disposto di cui al D.L. n. 158 del 2012, art. 3 la Corte territoriale ha, incensurabilmente, ritenuto, tra l'altro, che detta norma "non opera nel caso in esame" data la "non lievità dell'atteggiamento colposo serbato" (cfr. anche sez. 4, n. 23283 del giorno 11/05/2016, Rv. 266903).


7.4. Ne deriva l'infondatezza anche del motivo in parola.


8. In ordine alla doglianza sub V) basterà evidenziare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi (sez. 2, n. 45312 del 03/11/2015; sez. 4 n. 44815 del 23/10/2015).


8.1. Di qui la manifesta infondatezza del motivo in questione.


9. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).


10. Per completezza va segnalato che, a causa dei periodi di sospensione, il termine prescrizionale non risulta decorso.


11. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.


11.1. Al rigetto segue la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile concludente.


PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.


Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.


Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

bottom of page