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Colpa medica: condannato chirurgo per perforazione del bulbo oculare

Errore chirurgico

Colpa medica

In questo articolo si affronta il caso di un medico di pronto soccorso condannato in via definitiva per il reato di lesioni personali colpose (perforazione del bulbo oculare) cagionate nei confronti di una piccola paziente, a seguito di intervento di suturazione di una ferita al mento.


Indice:



1. Il caso

Un oculista veniva accusato di aver perforato, con negligenza, nel corso di un intervento di suturazione di una ferita al mento, l'occhio di una piccola paziente e per questa condotta veniva rinviato a giudizio.


2. I fatti

La bambina si era recata al pronto soccorso dell'ospedale per una caduta accidentale domestica, una scivolata verificatasi dopo pranzo, in seguito alla quale aveva riportato una ferita al mento.

All'accesso in pronto soccorso era "riferita ferita LC regione mentoniera accidentale nella propria abitazione" e all'esame obiettivo risultava "EO neurologico nella norma. Piccola ferita LC regione mentoniera".

La bambina era stata affidata all'imputato e sottoposta ad intervento di suturazione della ferita al mento, al termine di tale intervento la piccola aveva cominciato a piangere gridando "l'occhio, l'occhio, mi è andato qualcosa nell'occhio".

Quando la madre aveva chiesto al medico cosa fosse successo, quest'ultimo si era già spostato dal punto d'intervento e si stava lavando le mani, l'infermiera aveva detto di non aver visto nulla e intanto la bambina non riusciva ad aprire l'occhio e piangeva.

Il medico, mentre compilava il referto, aveva detto alla madre che sicuramente, dopo aver tagliato il filo, con la coda del filo aveva sfiorato l'occhio, mentre la bambina precisava di aver sentito cadere qualcosa nell'occhio.

La bambina era stata sottoposta a visita subito dopo dall'imputato, che aveva instillato una goccia nell'occhio.

Era stata accompagnata nuovamente al pronto soccorso nel pomeriggio e invitata a ritornare il giorno dopo.



Presentatasi nuovamente al pronto soccorso dell'ospedale alle ore 9:26 del giorno seguente, era stata visitata dal Dott. P., che aveva deciso di inviarla a Lecce per una consulenza specialistica, posto che l'ospedale non dispone di un reparto di oculistica.

Nel referto redatto dal Dott. P. risultava "iperemia occhio destro".

La bambina era stata sottoposta a visita dall'oculista Dott. A., che aveva espresso la diagnosi "ODX piccola ferita corneale periferica non perforante"; visitata nel pomeriggio dall'oculista curante Dott. M.P., con perdurante sintomatologia di forte dolore all'occhio, fastidio, rossore, bruciore, l'oculista aveva riscontrato una cataratta corticale, indicativa del fatto che qualcosa aveva colpito il cristallino dell'occhio della minore; il medico che aveva operato la bambina, Dott. A.G., aveva riscontrato una ferita di mm.3 circa che aveva interessato sia la cornea, che l'iride che il cristallino.


3. Il processo

All'esito del processo di primo grado, il medico veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose e la sentenza veniva confermata nel successivo giudizio di appello.

In particolare, la condanna si fondava sulla coincidenza temporale tra la sutura e l'insorgenza della percezione dolorosa da parte della bambina e nella perfetta compatibilità tra la tipologia di lesione e lo strumento nella disponibilità del medico (ago da sutura particolarmente sottile).

La corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso presentato dal medico e la condanna pronunciata nei suoi confronti diveniva definitiva.



4. I riferimenti

Giudici di merito: Tribunale di Lecce - Corte di Appello di Lecce

Autorità Giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione

Reato contestato: Lesioni personali colpose ex art. 590 c.p.

Sentenza: n.4936 (ud. 26/01/2023, dep. 06/02/2023)


5. La linea difensiva dei medici

In primo luogo, il medico contestava la ricostruzione del fatto operata sulla base delle dichiarazioni della madre della minore.

La difesa affermava che era materialmente impossibile che nell'attimo in cui la donna si accingeva ad invitare l'altra figlia ad entrare nella sala in cui si era svolto l'intervento si sia verificato quanto asserito, ed in particolare, il taglio del filo, la perforazione dell'occhio, il posizionamento di ago, filo residuo e portaaghi nel relativo contenitore, e spostamento del medico presso il lavandino.

Ed ancora, la difesa del medico riteneva illogico che la reazione della bambina si sia limitata al pianto, trattandosi di reazione piuttosto compatibile con lo sfioramento dell'occhio da parte del filo di sutura, cosa ben diversa dal perforare il bulbo oculare con un ago.

In ultimo, si evidenziava come nessuno dei medici che avevano visitato la bambina avesse riscontrato segni o sintomi di perforazione.


6. Le ragioni della condanna

Ad avviso dei giudici, la perforazione riscontrata dai medici all'occhio destro della bambina era stata causata da una manovra imperita dell'imputato nel corso dell'intervento di suturazione della ferita al mento.

Con valutazione priva di contraddizioni, i giudici di merito avevano infatti ritenuto che tale spiegazione fosse l'unica compatibile con la natura delle lesioni riscontrate all'occhio destro della bambina che, a seguito di operazione presso la clinica oculistica, risultava aver riportato una ferita profonda 3 millimetri interessante sia la cornea, che l'iride, che il cristallino.

Il mancato riscontro da parte del primo oculista di segni o sintomi di perforazione, secondo i giudici, era meramente indicativo del fatto che lo specialista si fosse limitato ad una visita superficiale, pertanto la circostanza in argomento risultava completamente irrilevante ai fini del giudizio di penale responsabilità.



7. La massima

Nella sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che costituisce principio acquisito, nell'elaborazione giurisprudenziale della Corte di legittimità in tema di validazione della prova indiziaria, che l'operazione di lettura complessiva dell'intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall'operazione propedeutica, da cui non può prescindersi, che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. Un. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, Rossi, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, Kuzmanovic, Rv. 256967).

Nell'ambito di tale metodo di formazione della prova, di tipo inferenziale e di natura logico-deduttiva, assume rilevanza determinante il dato della certezza dell'indizio, che costituisce espressione del requisito normativo della precisione codificato dall'art. 192 c.p.p., comma 2, nel senso che ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto (Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015, dep. 2016, Korkaj, Rv. 266882 - 01; Sez. 1 n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321), munito di una valenza dimostrativa di regola solo possibilistica, dalla cui lettura, coordinata sinergicamente con quella degli altri elementi indiziari ricavati da fatti altrettanto certi nella loro esistenza storica, deve essere possibile pervenire, attraverso un ragionamento di tipo induttivo basato su regole di esperienza consolidate e affidabili che consenta di superare l'ambiguità residua dei singoli indizi attraverso il loro apprezzamento unitario, alla dimostrazione del fatto ignoto oggetto di prova, secondo lo schema del c.d. sillogismo giudiziario (Sez. Un. 6682 del 4/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).

La circostanza fattuale da assumere come indizio deve pertanto, perché da essa possa desumersi la prova, indiretta, dell'esistenza di un (altro) fatto, essere certa; si tratta di un requisito indefettibile, che postula la puntuale verifica processuale della reale sussistenza dell'elemento al quale si intende attribuire efficacia indiziante del diverso fatto ignoto da provare, non essendo consentito fondare la prova critica, di natura indiretta, del fatto, pregiudizievole per l'imputato, che deve essere dimostrato, su di una circostanza soltanto verosimile, o di cui sia meramente supposta l'esistenza, che si risolverebbe nel minare la base stessa del ragionamento inferenziale e si porrebbe in radicale contrasto con la regola codificata per cui la responsabilità dell'imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 4 n. 39882 dell'1/10/2008, Zocco, Rv. 242123, secondo cui l'indizio ha valore probatorio se il dato di fatto di cui si compone è connotato dal requisito della certezza, che implica la verifica processuale della sua sussistenza).




A ciò consegue l'ulteriore principio, che costituisce il necessario corollario di quanto fin qui affermato, dell'impossibilità di porre il fatto ignoto, alla cui dimostrazione il giudice sia risalito dall'originario fatto noto certo seguendo lo schema del ragionamento indiziario sopra descritto, come fonte di un'ulteriore prova presuntiva di natura indiretta, sulla quale fondare la pronuncia di condanna dell'imputato (Sez. 6, n. 37108 del 02/12/2020, Frunza, Rv. 280195 - 01; Sez. 2 n. 5838 del 9/02/1995, Rv. 201517): la doppia presunzione si pone, infatti, in contrasto con la regola della certezza dell'indizio, quale unico valido strumento di accesso alla prova indiziaria.



8. La sentenza della corte di cassazione

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 2 aprile 2019 il Tribunale di Lecce aveva dichiarato Z.F. responsabile del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1 e 2, commesso in (Omissis) con condanna alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile A.S.L. (Omissis), in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separato giudizio con condanna ad una provvisionale di complessivi Euro 70.000 oltre interessi legali e rivalutazione sino al saldo.


2. Il fatto è stato così ricostruito nelle conformi sentenze di merito: la bambina V.C. si era recata al pronto soccorso dell'ospedale di (Omissis) nella tarda mattinata del (Omissis) per una caduta accidentale domestica, una scivolata verificatasi dopo pranzo, in seguito alla quale aveva riportato una ferita al mento; all'accesso in pronto soccorso era "riferita ferita LC regione mentoniera accidentale nella propria abitazione" e all'esame obiettivo risultava "EO neurologico nella norma. Piccola ferita LC regione mentoniera"; la bambina era stata affidata al Dott. Z. e sottoposta ad intervento di suturazione della ferita al mento; al termine di tale intervento la piccola aveva cominciato a piangere gridando "l'occhio, l'occhio, mi è andato qualcosa nell'occhio"; quando la madre aveva chiesto al medico cosa fosse successo, quest'ultimo si era già spostato dal punto d'intervento e si stava lavando le mani; l'infermiera aveva detto di non aver visto nulla e intanto la bambina non riusciva ad aprire l'occhio e piangeva; il medico, mentre compilava il referto, aveva detto alla madre che sicuramente, dopo aver tagliato il filo, con la coda del filo aveva sfiorato l'occhio, mentre la bambina precisava di aver sentito cadere qualcosa nell'occhio; la bambina era stata sottoposta a visita subito dopo dallo stesso Dott. Z., che aveva instillato una goccia nell'occhio; era stata accompagnata nuovamente al pronto soccorso nel pomeriggio del (Omissis) e invitata a ritornare il giorno dopo; presentatasi nuovamente al pronto soccorso dell'ospedale di (Omissis) alle ore 9:26 del (Omissis), era stata visitata dal Dott. P., che aveva deciso di inviarla a Lecce per una consulenza specialistica, posto che l'ospedale di (Omissis) non dispone di un reparto di oculistica; nel referto redatto dal Dott. P. risultava "iperemia occhio destro"; la bambina era stata sottoposta a visita dall'oculista Dott. A., che aveva espresso la diagnosi "ODX piccola ferita corneale periferica non perforante"; visitata nel pomeriggio del (Omissis) dall'oculista curante Dott. M.P., con perdurante sintomatologia di forte dolore all'occhio, fastidio, rossore, bruciore, l'oculista aveva riscontrato una cataratta corticale, indicativa del fatto che qualcosa aveva colpito il cristallino dell'occhio della minore; il medico che aveva operato la bambina, Dott. A.G., aveva riscontrato una ferita di mm.3 circa che aveva interessato sia la cornea, che l'iride che il cristallino.


3. Z.F. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per violazione dell'art. 530 c.p.p., art. 533 c.p.p., comma 1, art. 606 c.p.p., lett. e), manifesta illogicità e assenza della motivazione, ritenendo che la responsabilità dell'imputato sarebbe stata affermata sulla base di una mera presunzione, consistente nella coincidenza tra la conclusione della sutura e l'insorgenza della percezione dolorosa da parte della bambina e nella perfetta compatibilità tra la tipologia di lesione e lo strumento nella disponibilità del medico (ago da sutura particolarmente sottile). Secondo la difesa, la ricostruzione del fatto operata sulla base delle dichiarazioni della madre della minore, parte civile costituita P.G., rivela come sarebbe stato materialmente impossibile che nell'attimo in cui la donna si accingeva ad invitare l'altra figlia ad entrare nella sala in cui si era svolto l'intervento si sia verificato quanto asserito, ossia: taglio del filo, perforazione dell'occhio, posizionamento di ago, filo residuo e portaaghi nel relativo contenitore, e spostamento del medico presso il lavandino. Ritiene illogico che la reazione della bambina si sia limitata al pianto, trattandosi di reazione piuttosto compatibile con lo sfioramento dell'occhio da parte del filo di sutura, cosa ben diversa dal perforare il bulbo oculare con un ago. La difesa evidenzia come nessuno dei medici che hanno visitato la bambina abbia riscontrato segni o sintomi di perforazione. La Corte di appello, avendo constatato che le argomentazioni svolte dal tribunale circa la possibilità che la perforazione non fosse percepibile nelle quarantott'ore dopo il fatto non collimavano con la circostanza che il Dott. A. aveva visitato la minore dopo quarantott'ore, ha fornito una motivazione apodittica fondata sul fatto che solo l'oculista Dott. M.P. avesse visitato la minore previa dilatazione della pupilla. Considerato che la perforazione del bulbo oculare determina segni obiettivi di tale rilievo da non poter sfuggire alla visita medica, la difesa evidenzia come sia rimasta inspiegata la circostanza che l'oculista non si sia accorto di una lesione che, ove esistente, avrebbe dovuto essere ben evidente. Altrettanto illogica e apodittica è l'affermazione secondo la quale la perforazione di 3 millimetri riscontrata nell'occhio della bambina sarebbe stata causata anche sfiorando accidentalmente l'occhio con l'ago ricurvo di sutura. Non risulta esaminata l'incidenza causale dell'ipotizzato movimento inconsulto della bambina nel momento in cui lo Z. ultimava l'intervento. Avendo la difesa evidenziato che tre medici, dopo la sutura, avevano visitato la bambina senza rilevare alcuna perforazione, il giudice avrebbe dovuto esplorare una spiegazione alternativa e indicare le ragioni per cui la stessa non potesse essere compatibile con il fatto.


3.1. Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nonché carenza di motivazione in merito alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche. Il Tribunale si è limitato ad affermare che non vi fosse alcun elemento di segno positivo e la Corte di appello ha ritenuto che il fatto fosse espressivo di una condotta gravemente colposa, frutto di superficialità e massima imperizia, dimenticando che la stessa Corte ha ipotizzato che il fatto sia potuto accadere anche per un movimento inconsulto della bambina. Tale ricostruzione, oltre a incidere sulla valutazione di responsabilità dell'imputato, certamente avrebbe escluso la condotta gravemente colposa indicata nella sentenza. Contesta l'argomento secondo il quale l'imputato avrebbe negato nell'immediatezza l'accaduto assumendo un fatto diverso dal reale, sebbene come già evidenziato la perforazione avrebbe determinato segni obiettivi evidenti che non sarebbero sfuggiti all'esame dei medici.


3.2. Con il terzo motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alle statuizioni civili, ritenendo che la provvisionale sia assolutamente sproporzionata e non trovi riscontro negli atti processuali, non avendo i giudici di merito indicato il criterio seguito per la sua determinazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto tende ad ottenere in fase di legittimità una rivalutazione delle prove e una diversa ricostruzione dei fatti, adeguatamente descritti sulla base del compendio indiziario analiticamente e legittimamente esaminato dal giudice di merito.


2. Premessa la natura indiziaria del processo, il ricorso censura la struttura logica del ragionamento della sentenza impugnata, secondo cui le conclusioni delle singole inferenze indiziarie, basate su elementi privi di efficacia rappresentativa diretta, avevano costituito i segmenti di un più ampio ragionamento in cui le conclusioni iniziali si erano poste quali premesse delle conclusioni successive; lamenta l'assenza di un adeguato rigore logico e di una corretta applicazione dei criteri legali di valutazione della prova critica, secondo lo standard richiesto dall'art. 533 c.p.p., nell'ambito del ragionamento indiziario seguito dalla Corte di merito, fondato su premesse fattuali errate; censura l'assenza di un'adeguata motivazione delle ragioni della ritenuta implausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa e della preferenza attribuita alla ricostruzione del fatto operata dall'accusa, nonché dei criteri seguiti nella valutazione della prova indiziaria.


2.1. Costituisce principio acquisito, nell'elaborazione giurisprudenziale della Corte di legittimità in tema di validazione della prova indiziaria, che l'operazione di lettura complessiva dell'intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall'operazione propedeutica, da cui non può prescindersi, che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. Un. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, Rossi, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, Kuzmanovic, Rv. 256967). Nell'ambito di tale metodo di formazione della prova, di tipo inferenziale e di natura logico-deduttiva, assume rilevanza determinante il dato della certezza dell'indizio, che costituisce espressione del requisito normativo della precisione codificato dall'art. 192 c.p.p., comma 2, nel senso che ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto (Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015, dep. 2016, Korkaj, Rv. 266882 - 01; Sez. 1 n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321), munito di una valenza dimostrativa di regola solo possibilistica, dalla cui lettura, coordinata sinergicamente con quella degli altri elementi indiziari ricavati da fatti altrettanto certi nella loro esistenza storica, deve essere possibile pervenire, attraverso un ragionamento di tipo induttivo basato su regole di esperienza consolidate e affidabili che consenta di superare l'ambiguità residua dei singoli indizi attraverso il loro apprezzamento unitario, alla dimostrazione del fatto ignoto oggetto di prova, secondo lo schema del c.d. sillogismo giudiziario (Sez. Un. 6682 del 4/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).


2.2. La circostanza fattuale da assumere come indizio deve pertanto, perché da essa possa desumersi la prova, indiretta, dell'esistenza di un (altro) fatto, essere certa; si tratta di un requisito indefettibile, che postula la puntuale verifica processuale della reale sussistenza dell'elemento al quale si intende attribuire efficacia indiziante del diverso fatto ignoto da provare, non essendo consentito fondare la prova critica, di natura indiretta, del fatto, pregiudizievole per l'imputato, che deve essere dimostrato, su di una circostanza soltanto verosimile, o di cui sia meramente supposta l'esistenza, che si risolverebbe nel minare la base stessa del ragionamento inferenziale e si porrebbe in radicale contrasto con la regola codificata per cui la responsabilità dell'imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 4 n. 39882 dell'1/10/2008, Zocco, Rv. 242123, secondo cui l'indizio ha valore probatorio se il dato di fatto di cui si compone è connotato dal requisito della certezza, che implica la verifica processuale della sua sussistenza).


2.3. A ciò consegue l'ulteriore principio, che costituisce il necessario corollario di quanto fin qui affermato, dell'impossibilità di porre il fatto ignoto, alla cui dimostrazione il giudice sia risalito dall'originario fatto noto certo seguendo lo schema del ragionamento indiziario sopra descritto, come fonte di un'ulteriore prova presuntiva di natura indiretta, sulla quale fondare la pronuncia di condanna dell'imputato (Sez. 6, n. 37108 del 02/12/2020, Frunza, Rv. 280195 - 01; Sez. 2 n. 5838 del 9/02/1995, Rv. 201517): la doppia presunzione si pone, infatti, in contrasto con la regola della certezza dell'indizio, quale unico valido strumento di accesso alla prova indiziaria.


3. Le argomentazioni svolte dalla difesa nel ricorso tendono a dimostrare che la descrizione del fatto fornita dalla teste P. sarebbe inverosimile in quanto è materialmente impossibile che il fatto si sia svolto nell'arco di qualche attimo, ma non risultano idonee a confutare la certezza dell'indizio costituito dalla concomitanza tra l'uso dell'attrezzatura per sutura sopra il volto della bambina da parte del sanitario e la reazione di pianto della piccola paziente, che lamentava che qualcosa le fosse entrato nell'occhio. L'assunto difensivo propone la valutazione d'inverosimiglianza del contenuto di una deposizione alla quale i giudici di merito hanno, non illogicamente dunque insindacabilmente, attribuito credito, rimarcando come neppure la difesa avesse mosso riserve sul punto.



4. Secondo la difesa, la circostanza che un primo oculista, il Dott. A., non avesse riscontrato la grave lesione riportata dalla minore renderebbe dubbio che fino al (Omissis) mattina tale lesione, riscontrata dal secondo oculista Dott. M.P. nel pomeriggio del medesimo giorno, sussistesse. Anche in questo caso la difesa propone una lettura alternativa del compendio istruttorio, inammissibile in questa sede a fronte di una pronuncia che ha fornito spiegazione logica di tale differente diagnosi ritenendo che, lungi dal mettere in dubbio la coerenza della seconda diagnosi con i disturbi manifestati dalla minore nei giorni precedenti, essa fosse meramente indicativa del fatto che il primo oculista si fosse limitato ad una visita superficiale. Non risulta contestato alcun travisamento in merito alle modalità di svolgimento della visita oculistica indicate nella sentenza, né può ritenersi contraria alle regole di valutazione della prova indiziaria in precedenza esposte l'attribuzione di gravità all'indizio, certo, che a seguito di una seconda visita oculistica effettuata poche ore dopo la prima, fosse stata effettuata una diagnosi di lesione compatibile con quanto verificatosi nel corso dell'intervento di sutura.


5. Il terzo elemento che, secondo la difesa, scardinerebbe il costrutto logico-motivazionale della pronuncia di condanna riguarda le modalità con le quali sarebbe avvenuto il fatto, ma si tratta a ben vedere di una ulteriore ricostruzione alternativa, più favorevole all'imputato, comunque ininfluente sul giudizio di responsabilità correlato alla condotta imperita del medico.


5.1. In definitiva, giudici di merito hanno esaminato il referto redatto all'ingresso della bambina al pronto soccorso, dal quale emergeva la sola ferita lacero-contusa in regione mentoniera in assenza di altri sintomi, l'assenza di qualsivoglia fastidio all'occhio all'ingresso in pronto soccorso, le dichiarazioni ritenute attendibili e credibili della madre della minore, la concomitanza tra l'intervento di sutura e la sintomatologia dolorosa manifestata dalla bambina all'occhio destro; la diagnosi formulata dall'oculista curante nel pomeriggio del (Omissis) di cataratta corticale. Da questa serie di dati certi, con valutazione esente da contraddizioni o manifesta illogicità, dunque non sindacabile in questa sede, hanno tratto con ragionamento inferenziale la conclusione che la perforazione riscontrata dai medici all'occhio destro della bambina fosse stata causata da una manovra imperita dell'imputato nel corso dell'intervento di suturazione della ferita al mento. Con valutazione priva di contraddizioni, i giudici di merito hanno ritenuto che tale spiegazione fosse l'unica compatibile con la natura delle lesioni riscontrate all'occhio destro della bambina che, operata dal Dott. A.G. presso la clinica oculistica di (Omissis), risultava aver riportato una ferita profonda 3 millimetri interessante sia la cornea, che l'iride, che il cristallino.


5.2. Con particolare riguardo all'ipotesi che l'evento possa essersi verificato per un movimento inconsulto della bambina, occorre osservare che, contrariamente a quanto indicato nel ricorso, la Corte territoriale ha ritenuto più fondata l'ipotesi che l'evento fosse riconducibile a un movimento inconsulto dello stesso imputato, secondo quanto chiaramente espresso a pag. 10 della sentenza.


6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la motivazione espressa dalla Corte territoriale per negare l'applicazione dell'art. 62 bis c.p. è coerente con la descrizione della condotta ascritta all'imputato ed e', dunque insindacabile.


7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. E' principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che la statuizione che assegna la provvisionale abbia tra le proprie caratteristiche quelle della precarietà (essendo destinata ad essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato: ex multis Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271); della discrezionalità nella determinazione dell'ammontare senza obbligo di specifica motivazione (Sez. 5,n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934; Sez. 6, n. 49877 del 11/11/2009, Blancaflor, Rv. 245701; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105); della non impugnabilità con il ricorso per cassazione (Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348; Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722), da ciò desumendosi l'inidoneità di tale pronuncia a condizionare le statuizioni civili concernenti l'entità del danno definitivamente risarcibile.


8. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art. 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 3.000,00. Il ricorrente va, inoltre, condannato in solido con il responsabile civile A.S.L. (Omissis) alla rifusione delle spese in favore delle parti civili V.L. e P.G., nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore V.C., liquidate come in dispositivo.


Ricorrono i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2, per cui va disposta, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettrica, l'omissione delle indicazioni delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché, in solido con il responsabile civile A.S.L. (Omissis), alla rifusione delle spese sostenuto dalle parti civili V.L. e P.G., nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore V.C., di Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2023.


Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2023


 

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