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Colpa medica: ginecologo condannato per omessa diagnosi di tumore della cervice uterina

Omissione diagnostica

In questo articolo si affronta il caso di un ginecologo condannato in via definitiva per omicidio colposo di una paziente, per omessa diagnosi di un carcinoma avanzato della cervice dell'utero ed omesso espletamento di esami specialistici.


Indice:



1. Il caso

Un ginecologo veniva accusato di aver cagionato colposamente il decesso di una paziente, avvenuto a causa di un carcinoma avanzato della cervice dell'utero.

In particolare, al medico veniva contestato di aver omesso, dopo l'isteroscopia eseguita in data 17 dicembre 2013 ed il prelievo bioptico espletato nel corso della stessa, pur in presenza di perdite ematiche intermestruali presenti da alcuni mesi: a) di procedere ad un approfondimento diagnostico (ecografia addome e pelvi, TC, RMN);

b) di considerare che il prelievo bioptico era stato espletato in endometrio ovvero non era stata indagata la cervice uterina;

c) di indagare la reale causa metrorragica;

così, mancando di individuare la corretta diagnosi tumorale ovvero la presenza di un carcinoma avanzato della cervice dell'utero, ritardava per un periodo apprezzabile, la corretta diagnosi formulata solo in data 1 giugno 2014.


2. I fatti

In data 19 settembre 2013 la paziente, dopo aver notato la comparsa di "continue" perdite matiche inframestruali ed aver cominciato ad avvertire dolore durante i rapporti sessuali, si recava dalla ginecologa, che la sottoponeva ad una esplorazione manuale interna della vagina, dimostratasi estremamente difficoltà a causa del forte dolore accusato dalla paziente, attribuito ad una probabile stenosi vaginale.

Dopo l'ecografia praticata subito dopo, la ginecologa prelevava un campione di muco vaginale per l'esecuzione del Pap-test che dava esito negativo in ordine alla presenza di lesioni di ogni natura (come da certificato redatto dalla dottoressa del 19 settembre 2013, nel quale si prescrivono "Sideral... zitromax" ed esame citologico su "tratto sottile THIN-PREP effettuato il successivo 28 settembre presso il Laboratorio di Analisi Cliniche di Fratte, che aveva evidenziato: "... adeguatezza preparato, soddisfacente: presenza di cellule rappresentative della sede anatomica in esame (zolla di transizione). Classificazione: negativo per lesione intraepiteliale e maligna").

Nel corso della visita successiva, durante la quale la paziente era informata dell'esito del PAP-test, la ginecologa, avendo appreso che le perdite ematiche non erano diminuite, avendo ipotizzato un inizio di menopausa, prescriveva alla donna degli esami ormonali, che evidenziavano valori normali.

Poiché tale sintomatologia non era regredita, la ginecologa le consigliava di sottoporsi ad un'isteroscopia con successiva biopsia, che in data 23 ottobre 2013 non riusciva, risultando impossibile introdurre il sondino all'interno della vagina della paziente; l'esame era reiterato il successivo 17 dicembre - nel perdurare delle perdite ematiche - dando esito negativo in ordine alla presenza di cellule di natura neoplastica.



A causa della persistenza delle perdite ematiche, della cistite e dell'incontinenza urinaria ed all'esito di ulteriori accertamenti di laboratorio che avevano escluso ancora una volta una problematica di tipo ormonale, il 2 aprile 2014 la paziente era nuovamente visitata dalla ginecologa; ella accusava un "dolore lancinante" all'atto dell'inserimento dello speculum in vagina - attività questa non preceduta da esplorazione manuale - all'esito della quale le era prescritto l'uso di ovuli di fitostimolina che come le terapie precedenti - non incidevano sulla sintomatologia in atto.

Il 5 maggio 2014, la donna, in costanza di perdite ematiche, si recava da un altro ginecologo che le riscontrava, prima al solo "tatto manuale" e poi con approfondimento ecografico, la presenza di una massa nella cervice uterina (cfr. esito dell'accertamento strumentale del 15 maggio successivo che aveva rilevato "Tumefazione vaginale... (duro elastica) della grandezza di 57x47 mm a contenuto moderatamente ecogeno a probabile interessamento della porzione laterale della cervice. Cervice uterina mal visualizzabile per probabile fenomeno compressione. Si consiglia RMN con contrasto pelvi").

Il 20 maggio 2014, la paziente, quindi, eseguiva una Risonanza Magnetica presso il Centro "Chek Up" di Salerno che evidenziava: "... assenza di significative tumefazioni a carico delle stazioni linfonodali intercavo-paraortiche, retrocrurali e mesenteriali... utero in sede con evidenza di una voluminosa quota tissutale ovalare solida (56x56x59 mm) a sviluppo concentrico interessante diffusamente la cervice ed in particolare, il fornice anteriore con adesione al III superiore della vagina. Dopo somministrazione di MDC, si osserva inoltre, un interessamento delle sottomucose anche del III medio della vagina... presenza di un piano di clivaggio con la vescica, improntata, e con il retto... linfonodi ovalari pericentrimetrici a sede iliaca bilaterale e di 13 mm a sede otturatoria destra".

Il 30 maggio 2014, la paziente era ricoverata presso il Policlinico "Gemelli" di Roma, nella cui cartella clinica era indicata come diagnosi di accettazione "K cervice" e, dopo la storia clinica.

Ivi eseguiva una PET TC che dava atto dell'aumentata attività metabolica (SUV massimo 24,6) in corrispondenza della nota eteroformazione localizzata a livello della cervice uterina, con verosimile estensione in sede vaginale nonché "multipli frammenti sede di carcinoma di tipo squamoso solido di alto grado G3 anche compatibile con una possibile origine dalla cervice uterina".

Durante il ricovero al Policlinico romano del 16-22 giugno 2014, con diagnosi di accettazione di "carcinoma cervice uterina in trattamento RT-CT", la paziente era sottoposta al 1 ciclo radio-chemioterapico che si ripeteva per la seconda volta a far data dal 7 luglio, al quale seguiva un altro ricovero fino al 22 luglio 2014 per l'esecuzione di un trattamento brachiterapico.

La risonanza magnetica del 9 settembre 2014 presso il Centro Policliagnostico "Check-Up" di Salerno attestava "allo stato, in esiti di chemio-radioterapia si apprezza una risoluzione pressoché completa del tessuto neoformato interessante diffusamente la cervice uterina, come evidenziato ai precedenti esami del 9 e 20.5.2014... assenza di tumefazioni linfonodali e pelviche".

Il 3 ottobre 2014, la paziente era visitata presso la Fondazione di Ricerca di Campobasso; nella certificazione medica si evidenziava: "le condizioni generali sono buone e la tossicità dei trattamenti effettuati quasi del tutto risolti. Attualmente residua bruciore urinario alla minzione e stenosi serrata della vagina che impedisce valutazione del collo. All'EV tracce di sangue al dito esploratore. Porta in visione RMN pelvi e TC TB che evidenziano una pressoché completa risposta ai trattamenti effettuati (...)".

Il 24 novembre 2014, la Dott.ssa C.D., medico di base della paziente, all'esito di una visita di controllo, evidenziava che la sintomatologia descritta in precedenza si era "attutita lentamente, fino ad arrivare allo stadio attuale in cui compare solo in rarissimi casi (tranne i disturbi della minzione)".

Il 28 gennaio 2015, all'esito di un accertamento ematochimico effettuato presso il Centro Biomedical di Salerno, la paziente apprendeva di un valore molto alterato dell'"antigene Carboidratico", circostanza questa per la quale il 5 febbraio 2015 era sottoposta ad una PET TC total body che attestava la "presenza di plurime aree focali di patologico incremento della attività metabolica in corrispondenza della superficie epatica, di diverse stazioni linfonodali epatico e della scapola destra, con diagnosi successivamente indicata dalla Fondazione Giovanni Paolo I di Campobasso di "neoplasia cervice metastatica".

La paziente alla visita fissata il 30 marzo 2015 dai consulenti nominati dal P.M. in sede di indagini preliminari nel processo intentato dalla stessa nei confronti della ginecologa per lesioni colpose, era apparsa in "mediocri condizioni generali".

In data 16 giugno 2015, la donna era ricoverata nel reparto di ginecologia della Fondazione Ricerca e Cura "Giovanni Paolo II" di Campobasso per "algie addominali in paziente da sottoporre a trattamento chemioterapico (carcinoma della cervice uterina metastatico)", ove erano riscontrate le sue condizioni generali "scadute" e dove il 3 luglio 2015 decedeva.



3. Il processo

All'esito del processo di primo grado, il ginecologo veniva condannato per il reato di omicidio colposo e la sentenza veniva confermata nel successivo giudizio di appello.

In particolare, la condanna si fondava sulle conclusioni raggiunte da un collegio peritale nominato dalla corte di appello che riscontrava l'esistenza di gravi profili di colpa professionale a carico dei due pediatri.

La corte di cassazione rigettava il ricorso presentato dal ginecologo e la condanna pronunciata nei suoi confronti diveniva definitiva.


4. I riferimenti

Giudici di merito: Tribunale di Napoli - Corte di Appello di Napoli

Autorità Giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione

Reato contestato: Omicidio colposo ex art. 590 c.p.

Sentenza: n.40586 (ud. 20/09/2022, dep. 27/10/2022)


5. La linea difensiva dei medici

In primo luogo, il ginecologo negava l'esistenza di un ritardo diagnostico e ciò in quanto l'asserito "stadio avanzato" del tumore al momento della corretta diagnosi non trovava riscontro nella documentazione sanitaria agli atti del processo.

In particolare, ciò emergeva dalle risultanze del certificato oncologico del 3 ottobre 2014, che parlava espressamente di "stadio iniziale" della malattia diagnosticata.

In secondo luogo, ad avviso del medico, la diagnosi anticipata non sarebbe stata di grande giovamento sia per consentire l'intervento chirurgico o comunque un trattamento terapeutico anticipato, "sia per inibire o anche solo per evitare il progredire delle metastasi".

Al momento della corretta diagnosi nel maggio 2014, il tumore era allo stadio iniziale e non aveva sviluppato metastasi, le terapie effettuate erano state efficaci e avevano portato alla risoluzione della neoplasia, i successivi controlli avevano ancora escluso la presenza di metastasi, poi comparse agli inizi del 2015. Pertanto, l'efficienza causale della condotta dell'imputata rispetto all'evento come concretamente verificatosi è stata affermata, in mancanza di affidabili informazioni scientifiche e in contrasto con precisi dati probatori, al di fuori del giudizio di alta probabilità logica che presiede all'accertamento del rapporto di causalità nel reato colposo omissivo improprio.


6. Le ragioni della condanna

Ad avviso dei giudici della corte di cassazione, la ginecologa ha posto in essere condotte non improntate a correttezza professionale, consistenti nell'omesso espletamento di esami specialistici doverosi nonostante il grave quadro sintomatologico lamentato dalla paziente.

La tempestività degli accertamenti avrebbe consentito di anticipare la scoperta della patologia tumorale cinque mesi prima, così consentendo di praticare trattamenti che avrebbero consentito l'eliminazione della patologia o, quanto meno, la possibilità di assicurare un decorso migliore ed un'aspettativa di vita migliore.

L'impossibilità di esecuzione dell'isteroscopia ad ottobre 2013, il perdurare dal settembre 2013 delle perdite ematiche continue inframestruali, il forte dolore durante i rapporti sessuali, l'idoneità della biopsia del dicembre 2013 al prelievo di scarso tessuto dalla sola cavità endometriale e non dalla cervice uterina, la tortuosità del collo dell'utero della P. che impediva un'analisi corretta, l'intervenuta esclusione di una menopausa precoce o di un'altra problematica ormonale e la familiarità per carcinoma uterino imponevano necessariamente un l'esecuzione di una RNM, di una TC o di un'ecografia.

Sul punto, vengono richiamate le conclusioni dei consulenti tecnici del P.M.:

a) i suindicati approfondimenti diagnostici avrebbero consentito di ascrivere tempestivamente la stenosi del collo dell'utero alla formazione tumorale che in seguito avrebbe condotto al decesso della paziente;

b) la tardiva diagnosi aveva comportato l'accrescimento della neoplasia maligna (per crescita verso strutture vicine e aumento della probabilità di generare metastasi a distanza) e l'infiltrazione nei tessuti vicini, così influendo sulle terapie da effettuare e sul loro buon esito, rendendo impossibile operare chirurgicamente e incidendo sull'efficacia della radio chemioterapia;

c) l'ipotesi di una menopausa precoce elaborata dalla ginecologa era inesatta, in quanto tale patologia non avrebbe mai portato la stenosi del canale cervicale e le perdite ematiche continue, da tempo lamentate dalla paziente.


7. La massima

Nella sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che in tema di nesso causale nei reati omissivi, non può escludersi la responsabilità del medico il quale colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico all'aggravamento delle condizioni ad paziente, sino all'esito mortale, laddove, nel giudizio controfattuale, v'e' l'alta probabilità logica e razionale che gli accertamenti omessi, se tempestivamente disposti, avrebbero evitato l'evento.



Il rapporto di causalità tra omissione ed evento è stato logicamente ancorato non solo sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma risulta essere stato verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, essendosi accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.


8. La sentenza della corte di cassazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli del 19 luglio 2018, con cui M.M. era stata condannata alla pena condizionalmente sospesa di mesi dieci di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 40 c.p., comma 2, e art. 589 c.p., comma 1, perché, quale medico ginecologo che assisteva P.D., per colpa nell'esercizio della professione medica consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, per aver omesso, dopo l'isteroscopia eseguita in data 17 dicembre 2013 ed il prelievo bioptico espletato nel corso della stessa, pur in presenza di perdite ematiche intermestruali presenti da alcuni mesi: a) di procedere ad un approfondimento diagnostico (ecografia addome e pelvi, TC, RMN); b) di considerare che il prelievo bioptico era stato espletato in endometrio ovvero non era stata indagata la cervice uterina; c) di indagare la reale causa metrorragica; così, mancando di individuare la corretta diagnosi tumorale ovvero la presenza di un carcinoma avanzato della cervice dell'utero, ritardava per un periodo apprezzabile, la corretta diagnosi formulata solo in data 1 giugno 2014 - e ne cagionava il decesso avvenuto in data 5 luglio 2015, ed in particolare: omettendo di valutare l'anamnesi (positiva per tumori maligni) e l'insuccesso delle terapie da lei prescritte già dal settembre 2013 sia presso il suo studio professionale sito a Salerno sia presso l'Azienda Ospedaliera San Giovanni Di Dio e Ruggi D'Aragona di Salerno; non disponendo qualsivoglia approfondimento diagnostico (ecografia addome e pelvi, TC, RMN) pur in presenza di grave sintomatologia rappresentata da occlusione vaginale serrata e abbondante metrorragia; omettendo, altresì, di esplorare in maniera opportuna, la cervice mediante colposcopia e biopsia mirata, pure a seguito di due interventi diagnostici di isteroscopia del 23 ottobre 2013 e 7 dicembre 2012 (data erroneamente indicata trattandosi del 17 dicembre 2013) nonché a seguito di visita ginecologica effettuata in data 2 aprile 2014; così cagionando il decesso della P. - in Salerno il 5 luglio 2015.


1.1. In ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa, in data 19 settembre 2013 P.D., dopo aver notato la comparsa di "continue" perdite matiche inframestruali ed aver cominciato ad avvertire dolore durante i rapporti sessuali, si recava dalla ginecologa M.M., che la sottoponeva ad una esplorazione manuale interna della vagina, dimostratasi estremamente difficoltà a causa del forte dolore accusato dalla paziente, attribuito ad una probabile stenosi vaginale.


Dopo l'ecografia praticata subito dopo, la M. prelevava un campione di muco vaginale per l'esecuzione del Pap-test che dava esito negativo in ordine alla presenza di lesioni di ogni natura (cfr. certificato redatto dalla M. del 19 settembre 2013, nel quale si prescrivono "Sideral... zitromax" ed esame citologico su "tratto sottile THIN-PREP effettuato il successivo 28 settembre presso il Laboratorio di Analisi Cliniche di Fratte, che aveva evidenziato: "... adeguatezza preparato, soddisfacente: presenza di cellule rappresentative della sede anatomica in esame (zolla di transizione). Classificazione: negativo per lesione intraepiteliale e maligna").Nel corso della visita successiva, durante la quale la P. era informata dell'esito del PAP-test, la M., avendo appreso che le perdite ematiche non erano diminuite, avendo ipotizzato un inizio di menopausa, prescriveva alla donna degli esami ormonali, che evidenziavano valori normali. Poiché tale sintomatologia non era regredita, la M. le consigliava di sottoporsi ad un'isteroscopia con successiva biopsia, che in data 23 ottobre 2013 non riusciva, risultando impossibile introdurre il sondino all'interno della vagina della paziente; l'esame era reiterato il successivo 17 dicembre - nel perdurare delle perdite ematiche - dando esito negativo in ordine alla presenza di cellule di natura neoplastica.


A causa della persistenza delle perdite ematiche, della cistite e dell'incontinenza urinaria ed all'esito di ulteriori accertamenti di laboratorio che avevano escluso ancora una volta una problematica di tipo ormonale, il 2 aprile 2014 la P. era nuovamente visitata dalla M.; ella accusava un "dolore lancinante" all'atto dell'inserimento dello speculum in vagina - attività questa non preceduta da esplorazione manuale - all'esito della quale le era prescritto l'uso di ovuli di fitostimolina che come le terapie precedenti - non incidevano sulla sintomatologia in atto.


Il 5 maggio 2014, la donna, in costanza di perdite ematiche, si recava da un altro ginecologo che le riscontrava, prima al solo "tatto manuale" e poi con approfondimento ecografico, la presenza di una massa nella cervice uterina (cfr. esito dell'accertamento strumentale del 15 maggio successivo che aveva rilevato "Tumefazione vaginale... (duro elastica) della grandezza di 57x47 mm a contenuto moderatamente ecogeno a probabile interessamento della porzione laterale della cervice. Cervice uterina mal visualizzabile per probabile fenomeno compressione. Si consiglia RMN con contrasto pelvi").


Il 20 maggio 2014, la paziente, quindi, eseguiva una Risonanza Magnetica presso il Centro "Chek Up" di Salerno che evidenziava: "... assenza di significative tumefazioni a carico delle stazioni linfonodali intercavo-paraortiche, retrocrurali e mesenteriali... utero in sede con evidenza di una voluminosa quota tissutale ovalare solida (56x56x59 mm) a sviluppo concentrico interessante diffusamente la cervice ed in particolare, il fornice anteriore con adesione al III superiore della vagina. Dopo somministrazione di MDC, si osserva inoltre, un interessamento delle sottomucose anche del III medio della vagina... presenza di un piano di clivaggio con la vescica, improntata, e con il retto... linfonodi ovalari pericentrimetrici a sede iliaca bilaterale e di 13 mm a sede otturatoria destra".


Il 30 maggio 2014, la P. era ricoverata presso il Policlinico "Gemelli" di Roma, nella cui cartella clinica era indicata come diagnosi di accettazione "K cervice" e, dopo la storia clinica. Ivi eseguiva una PET TC che dava atto dell'aumentata attività metabolica (SUV massimo 24,6) in corrispondenza della nota eteroformazione localizzata a livello della cervice uterina, con verosimile estensione in sede vaginale nonché "multipli frammenti sede di carcinoma di tipo squamoso solido di alto grado G3 anche compatibile con una possibile origine dalla cervice uterina".


Durante il ricovero al Policlinico romano del 16-22 giugno 2014, con diagnosi di accettazione di "carcinoma cervice uterina in trattamento RT-CT", la paziente era sottoposta al 1 ciclo radio-chemioterapico che si ripeteva per la seconda volta a far data dal 7 luglio, al quale seguiva un altro ricovero fino al 22 luglio 2014 per l'esecuzione di un trattamento brachiterapico. La risonanza magnetica del 9 settembre 2014 presso il Centro Policliagnostico "Check-Up" di Salerno attestava "allo stato, in esiti di chemio-radioterapia si apprezza una risoluzione pressoché completa del tessuto neoformato interessante diffusamente la cervice uterina, come evidenziato ai precedenti esami del 9 e 20.5.2014... assenza di tumefazioni linfonodali e pelviche".


Il 3 ottobre 2014, la P. era visitata presso la Fondazione di Ricerca di Campobasso; nella certificazione medica si evidenziava: "le condizioni generali sono buone e la tossicità dei trattamenti effettuati quasi del tutto risolti. Attualmente residua bruciore urinario alla minzione e stenosi serrata della vagina che impedisce valutazione del collo. All'EV tracce di sangue al dito esploratore. Porta in visione RMN pelvi e TC TB che evidenziano una pressoché completa risposta ai trattamenti effettuati (...)".


Il 24 novembre 2014, la Dott.ssa C.D., medico di base della P., all'esito di una visita di controllo, evidenziava che la sintomatologia descritta in precedenza si era "attutita lentamente, fino ad arrivare allo stadio attuale in cui compare solo in rarissimi casi (tranne i disturbi della minzione)".


Il 28 gennaio 2015, all'esito di un accertamento ematochimico effettuato presso il Centro Biomedical di Salerno, la paziente apprendeva di un valore molto alterato dell'"antigene Carboidratico", circostanza questa per la quale il 5 febbraio 2015 era sottoposta ad una PET TC total body che attestava la "presenza di plurime aree focali di patologico incremento della attività metabolica in corrispondenza della superficie


epatica, di diverse stazioni linfonodali epatico e della scapola destra, con diagnosi successivamente indicata dalla Fondazione Giovanni Paolo I di Campobasso di "neoplasia cervice metastatica". La P. alla visita fissata il 30 marzo 2015 dai consulenti nominati dal P.M. in sede di indagini preliminari nel processo intentato dalla stessa nei confronti della M. per lesioni colpose, era apparsa in "mediocri condizioni generali". In data 16 giugno 2015 la donna era ricoverata nel reparto di ginecologia della Fondazione Ricerca e Cura "Giovanni Paolo II" di Campobasso per "algie addominali in paziente da sottoporre a trattamento chemioterapico (carcinoma della cervice uterina metastatico)", ove erano riscontrate le sue condizioni generali "scadute" e dove il 3 luglio 2015 decedeva.


1.2. La Corte di appello ha evidenziato la non correttezza delle condotte della M., consistite nell'omessa effettuazione di alcuni approfondimenti doverosi.


Secondo la Corte di appello, pur considerando la rapida evoluzione della formazione carcinomatosa, almeno quattro mesi prima della sua diagnosi erano presenti segni della sua evidenza all'esame clinico e all'esame strumentale. Una differente condotta della M. avrebbe consentito sicuramente una diagnosi anticipata della neoplasia, dalla quale la P. avrebbe tratto enorme giovamento sia per consentire, come precisato dai consulenti, un trattamento chirurgico o radio chemioterapico anticipato, sia per inibire o anche solo per evitare il progredire delle metastasi.


In tema di omicidio colposo sussiste il nesso di causalità tra la non tempestiva diagnosi di una malattia tumorale e il decesso del paziente, e ciò anche a fronte della prospettazione di una morte inevitabile, quando del giudizio risulti l'alta probabilità logica che la diagnosi tempestiva avrebbe consentito il ricorso a terapie atte anche solo ad incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente, in quanto la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. Una diagnosi tempestiva ed anticipata di almeno 5 mesi avrebbe condotto ad un positivo exitus o almeno ad un diverso decorso. Tra il dicembre 2013 e 2014 l'imputata aveva avuto almeno tre occasioni per svolgere approfondimenti diagnostici.



2. M.M., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo cinque motivi di impugnazione.


2.1. Contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova per irrimediabile contrasto con specifici atti del processo, in relazione all'assunto asseritamente dimostrativo del nesso causale - secondo cui, a causa del ritardo diagnostico, la patologia era stata individuata in stato avanzato, rendendo impossibile intervenire chirurgicamente, e il ritardo di diagnosi aveva influito anche sulla efficacia della radio chemioterapia con elevata probabilità di insorgenza di metastasi a distanza.


Si deduce che l'asserito "stadio avanzato" del tumore al momento della corretta diagnosi non trovava riscontro nella documentazione sanitaria e, in particolare, ciò emergeva dalle risultanze del certificato oncologico del 3 ottobre 2014, che parlava espressamente di "stadio iniziale" della malattia diagnosticata.


Pertanto, il dato del raggiungimento di uno stadio avanzato del tumore a causa del colpevole ritardo diagnostico non era stato acquisito al processo. Laddove si è affermato che il ritardo di diagnosi aveva influito comunque sull'efficacia della radio-chemioterapia, praticata a giugno-luglio 2014, con aumento delle probabilità di generare metastasi a distanza, la sentenza impugnata è in contraddizione con gli esami strumentali eseguiti a settembre e novembre 2014.


2.2. Contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova per irrimediabile contrasto con specifici atti del processo in relazione all'assunto asseritamente dimostrativo del nesso causale - secondo cui la diagnosi anticipata sarebbe stata di grande giovamento sia per consentire l'intervento chirurgico o comunque un trattamento terapeutico anticipato, "sia per inibire o anche solo per evitare il progredire delle metastasi".


E' errata l'affermazione secondo cui la diagnosi anticipata, che non era stata possibile a causa delle omissioni colpose, avrebbe evitato il "progredire" delle metastasi. Tale punto qualificante della sentenza di primo grado aveva formato oggetto di specifica censura nei motivi di appello, nella parte in cui si evidenziava il palese travisamento delle risultanze probatorie. Gli esami strumentali eseguiti al momento della diagnosi, a maggio 2014, e quelli di settembre escludevano la presenza di metastasi (vedi referti RMN del 20 maggio e del 9 settembre).


2.3 Motivazione apparente in relazione all'assunto secondo cui il ritardo diagnostico aveva determinato perdita di chance per crescita del tumore verso tessuti vicini e aumento delle probabilità di insorgenza di metastasi a distanza.


Si osserva che la sussistenza del nesso causale è stata affermata in assenza di un valido giudizio controfattuale in relazione all'effettivo rilievo condizionante del ritardo diagnostico rispetto all'evento; in particolare, rispetto alla comparsa delle metastasi, causa del decesso, agli inizi del 2015.


Il giudice territoriale ha omesso di valutare la particolare natura del tumore alla cervice, carcinoma indifferenziato e neoplasia gravata da pessima prognosi, come riportato nell'estratto delle Linee guida 2012, a pag. 296, depositate all'udienza del 23 novembre 2017, in esito all'esame dei consulenti della difesa. La circostanza che il tumore della cervice di tipo indifferenziato è associato a pessima prognosi era ammessa anche dai consulenti del P.M. all'udienza del 27 aprile 2017.


Nella sentenza impugnata sono state omesse le analisi sull'abituale andamento della patologia in concreto accertata nonché riferimenti a informazioni scientifiche, ad una casistica e a probabilità quantomeno statistiche su cui poter fondare un valido raffronto tra la prognosi al momento della diagnosi e la prognosi al presumibile stadio anteriore (e quale) in cui sarebbe stato possibile formulare una corretta diagnosi.


Neppure erano richiamate, a sostegno dell'affermata sussistenza del nesso causale, le contingenze del caso concreto. Queste, peraltro, conducevano nella direzione opposta rispetto alla tesi dell'efficienza causale, condotta rispetto all'evento in concreto verificatosi: stadio iniziale; efficacia delle terapie praticate, tanto da portare alla risoluzione della neoplasia a carico della cervice; assenza di metastasi alla diagnosi di maggio e ai controlli successivi di settembre.


Lo stesso giudizio sull'inoperabilità del tumore e sulla minore efficacia delle terapie praticate - già censurato al primo motivo sotto il profilo del travisamento della prova - si rivelava del tutto apodittico in mancanza di informazioni scientifiche, desunte da leggi universali o statistiche, sulle prognosi e sull'efficacia delle terapie praticabili ai vari stadi della malattia.


Quanto alla possibile crescita del tumore della cervice, la neoplasia era allo stadio IIIA, quindi confinata nella vagina, senza estensione alla parete pelvica e senza interessamento degli organi vicini, come riferito dal CT della difesa Dott. D.M. e come riportato nella stadiazione FIGO; e comunque si era risolto grazie alle terapie praticate. Il dato, quindi, non aveva valenza dimostrativa dell'efficienza causale della condotta rispetto alla comparsa delle metastasi a dicembre 2015.


2.4. Erronea applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2, in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale.


Si deduce che la sussistenza del nesso causale è stata affermata sulla base di argomenti in aperto contrasto con precisi elementi probatori acquisiti al processo e in assenza di un adeguato giudizio controfattuale.


Nella sentenza di primo grado, il Tribunale richiamava un precedente di legittimità (Sez. 4, n. 50975 del 19/07/2017) che, nell'annullare la pronuncia di assoluzione, aveva censurato la ritenuta insussistenza del nesso causale in un caso in cui doveva ritenersi accertato che l'omissione colpevole di diagnosi aveva impedito il ricorso a terapie atte a incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. Tuttavia, i fatti sottesi a tale pronuncia divergevano rispetto ai fatti accertati nei gradi di merito del presente giudizio, trattandosi di fattispecie in cui, al momento della colpevole omissione di diagnosi, il tumore non aveva sviluppato metastasi e, quindi, era operabile, mentre all'epoca successiva corretta diagnosi aveva sviluppato metastasi sparse ai polmoni.


Di contro, nel caso in esame, al momento della corretta diagnosi nel maggio 2014, il tumore era allo stadio iniziale e non aveva sviluppato metastasi, le terapie effettuate erano state efficaci e avevano portato alla risoluzione della neoplasia, i successivi controlli avevano ancora escluso la presenza di metastasi, poi comparse agli inizi del 2015. Pertanto, l'efficienza causale della condotta dell'imputata rispetto all'evento come concretamente verificatosi è stata affermata, in mancanza di affidabili informazioni scientifiche e in contrasto con precisi dati probatori, al di fuori del giudizio di alta probabilità logica che presiede all'accertamento del rapporto di causalità nel reato colposo omissivo improprio.


2.5. Contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova per irrimediabile contrasto con specifici atti del processo in relazione agli assunti secondo cui si era verificato un ritardo diagnostico di almeno cinque mesi e le consulenze dimostrerebbero che una diagnosi tempestiva e anticipata avrebbe potuto condurre a un diverso decorso della malattia.


L'affermazione sulla durata del ritardo diagnostico si scontrava con le risultanze dalle sentenze di merito, in cui è stato condiviso il parere dei c.t. del P.M., secondo cui, nonostante l'esito non allarmante dell'isteroscopia del 17 dicembre 2013, l'imputata avrebbe dovuto disporre accertamenti diagnostici a partire da tale data. Tuttavia, il referto dell'isteroscopia si era reso disponibile il 14 gennaio, mentre la diagnosi del tumore del Dott. C. risaliva al 5 maggio con conferma strumentale del successivo giorno 15. Pertanto, il ritardo, al più, era stato inferiore ai quattro mesi. Peraltro, i consulenti della difesa - in considerazione degli esiti del pap test e dell'isteroscopia che escludevano la presenza di atipie - giustificavano, almeno sino al 2 aprile, la scelta dell'imputata di orientarsi, acquisito il risultato dell'isteroscopia, su un possibile problema ormonale.


2.6. Con memoria del 29 luglio 2022, la ricorrente sottolinea che la persona offesa era affetta da carcinoma della cervice uterina di tipo indifferenziato, tumore molto grave e associato, nella letteratura scientifica, a "pessima prognosi", come attestato dalle Linee Guida 2012 delle patologie oncologiche ginecologiche a carico della cervice: Carcinomi indifferenziati: sono compresi tutti quegli istotipi che perdono qualunque specificità differenziativa.


Il dato non è stato compiutamente riportato nelle sentenze di merito, benché rappresentasse il punto nodale dell'intera vicenda. Al riguardo, la Corte di appello ha comunque richiamato la particolare aggressività del tumore, a supporto del giudizio per cui l'anticipazione delle terapie avrebbe potuto se non evitare, ritardare l'exitus. In presenza di una patologia letale, il giudizio controfattuale, necessario per stabilire l'effettiva efficacia condizionante dell'omissione, deve incentrarsi sull'effetto salvifico delle cure omesse o tardivamente attuate. A tal fine, occorre comprendere: a) l'andamento usuale della patologia accertata; b) la normale efficacia delle terapie; c) i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici; tali valutazioni devono fondarsi su affidabili informazioni scientifiche nonché sulle contingenze significative del caso concreto.


L'affermazione che, a causa del ritardo diagnostico, il tumore aveva raggiunto uno stadio avanzato e, quindi, non poteva più essere aggredito chirurgicamente, era contraddetta dal certificato oncologico del 3 ottobre 2014, che evidenziava espressamente lo stadio iniziale della malattia. Il tumore era localizzato. I c.t. del P.M. avevano affermato che, dopo la diagnosi, la paziente era stata sottoposta alla brachiterapia, terapia nuova particolarmente efficace. Inoltre, l'irrilevanza del ritardo diagnostico emergeva dalle risultanze del certificato del 3 ottobre 2014 (Porta in visione RMN pelvi e TC TB che evidenziano una completa risposta ai trattamenti effettuati), della RMN del 9 settembre 2014 e dell'ecoflussimetria del 25 novembre 2014 (non evidenza di lesioni a carico della cervice uterina).


Il passaggio da uno stadio a quello successivo presuppone un processo in atto. Tuttavia, a maggio, quando fu diagnosticato il tumore, e per tutto il 2014, il processo metastatico non era in atto. Tanto era provato dalle risultanze delle RMN del 20 maggio 2014 e del 9 settembre 2014, dei controlli oncologici del 3 ottobre 2014 presso la Fondazione di Campobasso e del 25 novembre 2014 presso il Gemelli di Roma. Le metastasi, cause del decesso, comparivano ad inizio 2015. Anche sotto tale profilo, al momento della diagnosi il tumore era allo stadio IIIA, confinato alla vagina; solo negli stadi successivi si estende alla parete pelvica (IIIB), agli organi adiacenti (IVA) o a distanza (IVB). Nonostante il ritardo, la malattia era stata diagnosticata allo stadio iniziale, non aveva infiltrato organi vicini, le terapie praticate, tra le migliori disponibili, erano state efficaci e non c'erano metastasi né alla diagnosi di maggio 2014 ed alle verifiche eseguite a settembre - novembre 2014.



2.7. Nella memoria di replica alla requisitoria scritta della Procura Generale presso questa Corte, si evidenzia che nonostante si versasse in ipotesi di sentenza "doppia conforme" il vizio motivazionale era ugualmente deducibile.


I giudici di merito, infatti, hanno travisato decisivi elementi probatori: A) hanno frainteso il dato relativo allo stadio della malattia al momento della corretta diagnosi, affermando che lo stesso era "avanzato", mentre nel certificato oncologico del 3 ottobre 2014 era riportato espressamente di "stadio iniziale"; su quel dato distorto le Corti di merito hanno affermato che il tumore non poteva più essere aggredito chirurgicamente; B) hanno ignorato il dato per cui, nonostante il ritardo diagnostico, era stata praticata la brachiterapia, "terapia nuova che ha una efficacia tra le più notevoli in questo tipo di patologie", come riferito dai consulenti del P.M.; C) hanno ignorato gli esiti degli esami strumentali eseguiti a maggio 2014 (al momento della diagnosi) e a settembre-novembre 2014 (dopo l'esecuzione delle terapie). Tali dati escludevano la presenza di un processo metastatico in atto, derivandone l'illogicità dell'affermazione, comune a entrambe le sentenze, secondo cui l'anticipazione delle terapie avrebbe consentito di evitare il "progredire" delle metastasi. Gli stessi dati, viepiù, documentano la particolare efficacia delle terapie praticate, smentendo il giudizio, anche questo comune a entrambe le sentenze, secondo cui il ritardo diagnostico aveva influito negativamente sulla efficacia delle terapie praticate.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.


Con riferimento a tutti i motivi di ricorso, tutti incentrati principalmente sull'as-serita inesistenza del nesso di causalità, va premesso che, in base all'insegnamento delle Sezioni Unite, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138); viceversa, sempre secondo la stessa sentenza, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio (ibidem, Rv. 222139).


A partire dalla sentenza Franzese, la giurisprudenza di questa Corte ha ripudiato qualsiasi interpretazione che facesse leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, in tal modo mostrando di propendere verso l'indirizzo più rigoroso (favorevole alla necessità dell'accertamento del nesso causale in termini di certezza) delineatosi in tempi più recenti.


L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese induce a ritenere che le Sezioni Unite, nel sottolineare la necessità dell'individuazione del nesso di causalità (quale condicio sine qua non di cui agli artt. 40 e 41 c.p.) in termini di "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica", abbiano inteso riferirsi non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per sé altrettanto inconfutabili sul piano della oggettività, bensì alla "certezza processuale" che, in quanto tale, non può essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: "certezza" che deve essere pertanto raggiunta dal giudice, valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina è dettata dall'art. 192 c.p.p., comma 2 - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva "al di là di ogni ragionevole dubbio" (vale a dire, appunto, con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica").


Invero, non pare che possa diversamente intendersi il pensiero che le Sezioni Unite hanno voluto esprimere allorquando - con riferimento alla colpa professionale del sanitario - hanno testualmente affermato che deve risultare "giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica".


Nel solco della fondamentale sentenza Franzese, si è più recentemente affermato che, in tema di responsabilità medica, l'accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l'incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l'esito infausto (Sez. 4, n. 9705 del 15/12/2021, dep. 2022, Pazzoni, Rv. 282855; Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Molfese, Rv. 276292; Sez. F, n. 41158 del 25/08/2015, E., Rv. 264883).


Ancora di recente, in ultimo, si è affermato che in tema di responsabilità medica per omissione, l'accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio contro-fattuale necessario per stabilire l'effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (Sez. 4, n. 28182 del 06/07/2021, R., Rv. 281737, che ha annullato senza rinvio la sentenza d'appello che, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, aveva condannato, per il reato di omicidio colposo, un medico di pronto soccorso e un pediatra per la tardiva diagnosi di occlusione intestinale di un bambino, riconoscendo il nesso causale sulla base di una legge statistica relativa alle possibilità di sopravvivenza all'intervento chirurgico che avrebbe potuto essere eseguito in caso di diagnosi tempestiva, riferita al caso di intervento in fase iniziale di shock, senza tener conto della specifica condizione del paziente che, al momento dell'accesso al pronto soccorso, presentava indicatori della seconda fase dello shock ipovolemico, incidente sul rischio di mortalità connesso all'intervento chirurgico; Sez. 4, n. 10175 del 04/03/2020, Bracchitta, Rv. 278673 che ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità dei sanitari escludendo il rischio emorragico allegato dalla difesa, in adesione alle conclusioni dei consulenti della pubblica accusa fondate esclusivamente sulla mera valutazione di alcune situazioni astratte, indicate dalle linee guida, a cui si associa il rischio emorragico, ed omettendo, invece, di valutare le particolari condizioni in cui versava la paziente; Sez. 4, n. 26491 del 11/05/2016, Ceglie, Rv. 267734 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva dell'anestesista, consistita nel mancato monitoraggio dei tracciati ECG della paziente nel corso di un intervento chirurgico e nel non tempestivo rilevamento delle complicanze cardiache insorte per asistolia, ed i gravi danni cerebrali procurati alla stessa in conseguenza del ritardo con cui era stato eseguito il massaggio cardiaco).


1.1. Quanto alla specifica tematica del caso in esame, va ricordato che, in tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (Sez. 4, n. 23252 del 21/02/2019, Leuzzi, Rv. 276365, relativa a fattispecie di ritardo diagnostico di un carcinoma mammario, nella quale l'imputato, specialista oncologo e direttore di un centro di prevenzione oncologica, sei mesi dopo aver sottoposto la paziente ad un esame ecografico che aveva evidenziato multiple e millimetriche formazioni cistiche, senza focalità sospette in senso eteroformativo, si era rifiutato di sottoporre nuovamente a visita e a mammografia la donna che gli aveva rappresentato il persistere di sintomatologia dolorosa; Sez. 4, n. 23252 del 21/02/2019, Leuzzi, Rv. 276365; Sez. 4, n. 21243 del 18/12/2014, dep. 2015, Pulcini, Rv. 263492; Sez. 4, n. 2474 del 14/10/2009, dep. 2010, Vancheri, Rv. 246161, in caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità del medico ospedaliero che, omettendo di effettuare i dovuti esami clinici, aveva dimesso il paziente con la diagnosi errata di gastrite un paziente affetto da patologia tumorale così prolungando per un tempo significativo le riscontrate alterazioni funzionali (nella specie, vomito, acuti dolori gastrici ed intestinali) ed uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica - e morale, che favorivano un processo patologico che se tempestivamente curato, sarebbe stato evitato o, quanto meno, contenuto; Sez. 4, n. 46412 del 28/10/2008, Calò, Rv. 242250, inerente a fattispecie in cui una diagnosi errata e superficiale, formulata senza disporre ed eseguire tempestivamente accertamenti assolutamente necessari, era risultata esiziale).


Sussiste, peraltro, il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del medico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. 4, n. 18573 dei 14/02/2013, Pleiona, Rv. 256338, fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il Pronto Soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, così da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l'intervento chirurgico risolutivo).



Costituisce altresì principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell'erronea posizione diagnostica iniziale; e ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell'immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente (Sez. 4, n. 26906 del 15/05/2019, Hijazi, Rv. 276341; Sez. 5, n. 52411 del 04/07/2014, C., Rv. 261363; Sez. 4, n. 34729 del 12/07/2011, Ravasio, Rv. 251348; Sez. 4, n. 4452 del 29/11/2005, Campanile, Rv. 233238).


2. Ciò posto sui suesposti consolidati principi operanti in materia di causalità della colpa, la sentenza impugnata è pervenuta all'affermazione della colpa della M. per errore diagnostico con ragionamento coerente e immune da vizi logici, offrendo altresì una soluzione giuridicamente corretta.


Come precisato nel paragrafo precedente, in tema di nesso causale nei reati omissivi, non può escludersi la responsabilità del medico il quale colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico all'aggravamento delle condizioni ad paziente, sino all'esito mortale, laddove, nel giudizio controfattuale, v'e' l'alta probabilità logica e razionale che gli accertamenti omessi, se tempestivamente disposti, avrebbero evitato l'evento.


Il rapporto di causalità tra omissione ed evento è stato logicamente ancorato non solo sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma risulta essere stato verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, essendosi accertato che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.


Nel caso di specie, la sentenza impugnata, ha fatto buon governo delle indicazioni provenienti dalla citata giurisprudenza.


La Corte di appello ha illustrato esaurientemente le ragioni della ritenuta non correttezza professionale delle condotte della M., consistenti nell'omesso espletamento di esami specialistici doverosi nonostante il grave quadro sintomatologico lamentato dalla P.. La Corte territoriale ha sottolineato che la tempestività degli accertamenti avrebbe consentito di anticipare la scoperta della patologia tumorale cinque mesi prima, così consentendo di praticare trattamenti che avrebbero consentito l'eliminazione della patologia o, quanto meno, la possibilità di assicurare un decorso migliore ed un'aspettativa di vita migliore.


L'impossibilità di esecuzione dell'isteroscopia ad ottobre 2013, il perdurare dal settembre 2013 delle perdite ematiche continue inframestruali, il forte dolore durante i rapporti sessuali, l'idoneità della biopsia del dicembre 2013 al prelievo di scarso tessuto dalla sola cavità endometriale e non dalla cervice uterina, la tortuosità del collo dell'utero della P. che impediva un'analisi corretta, l'intervenuta esclusione di una menopausa precoce o di un'altra problematica ormonale e la familiarità per carcinoma uterino imponevano necessariamente un l'esecuzione di una RNM, di una TC o di un'ecografia.


La Corte territoriale ha formulato le seguenti conclusioni, recependo le risultanze degli elaborati e le dichiarazioni testimoniali dei consulenti tecnici del P.M.: a) i suindicati approfondimenti diagnostici avrebbero consentito di ascrivere tempestivamente la stenosi del collo dell'utero alla formazione tumorale che in seguito avrebbe condotto al decesso della paziente; b) la tardiva diagnosi aveva comportato l'accrescimento della neoplasia maligna (per crescita verso strutture vicine e aumento della probabilità di generare metastasi a distanza) e l'infiltrazione nei tessuti vicini, così influendo sulle terapie da effettuare e sul loro buon esito, rendendo impossibile operare chirurgicamente e incidendo sull'efficacia della radio chemioterapia; c) l'ipotesi di una menopausa precoce elaborata dalla M. era inesatta, in quanto tale patologia non avrebbe mai portato la stenosi del canale cervicale e le perdite ematiche continue, da tempo lamentate dalla P..


Nei primi due motivi di ricorso, la difesa si è limitata a sottolineare lo stato iniziale e non avanzato della malattia tumorale all'epoca dei controlli eseguiti dalla M. sulla paziente, richiamando in proposito le risultanze di alcuni esami espletati, ma senza confrontarsi col completo apparato argomentativo, che si basava sulla causa dell'evoluzione negativa della patologia, consistente proprio nella tardiva diagnosi, frutto della condotta colpevole della M., che non coglieva i segnali negativi riscontrati e insisteva nel formulare un'ipotetica diagnosi di menopausa precoce non corrispondente ai sintomi riscontrati e a disporre una terapia curativa di tale inesistente condizione.


Le sole risultanze di esami allegate dalla difesa non si ponevano in contrasto con le conclusioni formulate dai consulenti della Procura.


3. Quanto al terzo e al quarto motivo di ricorso, va disattesa la tesi difensiva, secondo cui l'evento letale si sarebbe verificato ugualmente alla luce della natura della patologia (neoplasia gravata da pessima prognosi) e sarebbe mancato il giudizio controfattuale, perché la pronunzia di condanna si sarebbe basata sulla mera considerazione del ritardo diagnostico, senza considerare l'iniziale mancanza di metastasi (comparse solo nel 2015), l'efficacia delle terapie effettuate e la risoluzione della neoplasia.


Al riguardo, va rammentato il principio pacifico espresso da questa Corte, secondo cui, in tema di responsabilità del sanitario per condotte omissive in fase diagnostica, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità, occorre far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico, ai fine di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest'ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell'evento o comunque ridotto l'intensità lesiva dello stesso (Sez. F, n. 41158 del 25/08/2015, P.G. in proc. E, Rv. 264383; Sez. 4, n. 9705 del 2022, cit.; Sez. 4, n. 20560 del 02/03/2005, Herreros Monterde, Rv. 231356).


In applicazione di tale consolidato indirizzo, la Corte di merito ha compiutamente valutato l'incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l'esito infausto.


Riprendendo quanto riportato dal c.t. del P.M. Dott. Lepore in sede dibattimentale, la Corte partenopea ha precisato che il ritardo nella diagnosi della neoplasia aveva evidenziato la prosecuzione della crescita della neoplasia e l'influenza dell'infiltrazione nei tessuti vicini sulle terapie da praticare e sul loro buon risultato, impedendo un'operazione chirurgica e incidendo sull'efficacia della radio chemioterapia con elevata probabilità di insorgenza di metastasi a distanza.


Un'immediata ed adeguata gestione della paziente (iter diagnostico immediato, conseguente attivazione delle cure chirurgiche e/o chemioterapiche) avrebbe comportato per la stessa apprezzabili possibilità di salvezza.


I consulenti di parte hanno chiarito che la diagnosi anticipata della neoplasia avrebbe consentito un trattamento chirurgico o radio chemioterapico anticipato, sia per inibire o anche solo per evitare il progredire delle metastasi, per cui la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva.


Tale considerazione non ha formato oggetto di specifica contestazione, bensì di una doglianza riguardante la mancata indicazione - nella consulenza tecnica disposta dal P.M. - di dati scientifici di riferimento e della conseguente natura meramente assertiva delle conclusioni ivi formulate; peraltro, la consulenza tecnica non era allegata al ricorso, in violazione al principio di autosufficienza (sono stati prodotti solo i verbali di deposizione testimoniale dei c.t.).


4. In relazione al quinto motivo di ricorso, con cui si contesta l'entità del ritardo nella diagnosi, la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta ha evidenziato per quali ragioni esso doveva essere individuabile in almeno cinque mesi.


In proposito, nella sentenza impugnata si è osservato che, alla data del controllo del 17 dicembre 2013, emergevano già vari elementi indicativi di una situazione meritevole di approfondimento diagnostico, derivante dall'impossibilità di esecuzione dell'isteroscopia ad ottobre 2013, dalla persistenza dal settembre 2013 delle perdite di sangue continue inframestruali, dal forte dolore durante i rapporti sessuali, dall'impossibilità di prelievo di tessuto dalla cervice uterina a mezzo della biopsica, dalla tortuosità del collo dell'utero della P., dall'intervenuta esclusione di una menopausa precoce o di un'altra problematica ormonale e dalla familiarità per carcinoma all'utero.


Per tali ragioni si è valutato, con motivazione lineare e coerente, che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, non occorreva attendere il referto dell'isteroscopia, acquisito solo in data 14 gennaio 2014.


Nella sentenza impugnata si è ampiamente argomentato in ordine all'incapacità della M. di valutare i dati obiettivi emergenti dalla visita ginecologica e di disporre accertamenti di laboratorio, nonostante essa fosse stata resa edotta dei precedenti familiari della paziente, che avrebbero dovuto indurla - unitamente agli ulteriori elementi più volte sopra ribaditi - a prendere in seria considerazione la sussistenza di una patologia tumorale.


Si è ritenuta gravemente colpevole la condotta dell'imputata, che si esauriva in un atteggiamento meramente attendista, consistito nell'omettere le dovute iniziative, quasi temporeggiando in attesa dell'evolversi della situazione, senza considerare l'assoluta assenza di effetti positivi delle cure espletate sulla base dell'erronea ipotesi formulata di menopausa anticipata, del tutto esclusa dalla sintomatologia in atto. Un'eventuale difficoltà della diagnosi non autorizzava scelte meramente attendiste, imponendo, al contrarlo, accertamenti in varie direzioni, onde provare a restringere il cerchio delle ipotesi.


Deve ritenersi che l'obbligo di provvedere a tutti gli accertamenti utili a formulare una diagnosi differenziale costituisca dovere indefettibile del medico non solo ogniqualvolta uno o più dei segni clinici che si manifestano, per la loro ambivalenza, evochino un ventaglio di possibili patologie, ma ancor più quando le cure somministrate, pur idonee astrattamente a risolvere una delle eventuali prospettazioni - e particolarmente quella inizialmente ritenuta sussistente - dimostrino di non raggiungere pienamente i risultati attesi. In questa situazione di permanenza dei sintomi, l'onere di dubitare della correttezza della diagnosi formulata è intrinseco alla prestazione sanitaria, costituendone il nucleo, posto che è solo dall'esattezza della diagnosi può derivare l'individuazione della cura necessaria.


Poiché il quadro sintomatologico resisteva alle cure, l'imputata avrebbe dovuto porre in discussione le proprie valutazioni, non perpetuando l'iniziale errore, in cui incorreva malgrado le competenze derivanti dalla sua specializzazione e comprendere che gli ulteriori esami di laboratorio avrebbero consentito di dirimere i dubbi.


Sotto tale profilo, l'unico passaggio della Corte distrettuale da censurare concerne il riferimento alla teorica della perdita di chance, espressa da un indirizzo giurisprudenziale esauritosi nei primi anni duemila, secondo il quale, nella verifica del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico, sulle possibilità di successo del comportamento alternativo. Si tratta di una valutazione che si pone in frontale - e non motivato - contrasto con le indicazioni ermeneutiche espresse dal diritto vivente, sul tema dell'imputazione causale dell'evento (Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Molfese, Rv. 276292). Al riguardo, va qui ribadito che per offrire la prova del fatto il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica rispetto al singolo evento oggetto dell'accertamento giudiziale (Sez. U, n. 30328 del 2002, cit.), secondo i noti principi dianzi richiamati.


5. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.


Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 20 settembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2022


 


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