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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: rilevanza penale della vendita sottocosto (Cassazione penale n. 50797/23)


Bancarotta fraudolenta

1. La massima

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nel caso di cessione a prezzo vile di beni appartenenti alla fallita, la configurabilità del delitto, attesa la reciproca autonomia tra procedura fallimentare e procedimento penale, non può essere esclusa dal rigetto da parte del giudice delegato della domanda di rivendicazione proposta dal terzo cessionario.


2. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 17/11/2023, (ud. 17/11/2023, dep. 20/12/2023), n.50797

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza del 8 gennaio 2019 del Tribunale di Bergamo che aveva affermato la penale responsabilità di B.P. e B.M. per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta impropria, unificati a fini sanzionatori in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato R.D. n. 267 del 1942, ex art. 219, comma 2, n. 1, nonché ex art. 219, comma 1, e del solo B.M. per il delitto di tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose e, ritenuta quanto a B.M. la continuazione tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di furto, li aveva condannati alla pena di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della curatela fallimentare della Marmi Mecca s.r.l., costituitasi parte civile.

In particolare, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.P. per essere i reati estinti per morte dell'imputato. Inoltre, ha prosciolto B.M. dall'imputazione di bancarotta fraudolenta impropria (capo E, in esso assorbito il capo B) perché il fatto non sussiste e ha conseguentemente ridotto la pena principale e la durata delle pene accessorie fallimentari e ha sostituito l'interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea.

All'esito del giudizio di appello B.M. risulta condannato per avere, quale amministratore di fatto della Marmi Mecca s.r.l. e in concorso con B.P., amministratore della medesima società, dichiarata fallita in data (Omissis), distratto le macchine tagliablocchi (Omissis) aventi matricola n. 7796 e n. 7797, cedendole in data (Omissis) alla Wall Granite Service s.r.l., anch'essa riconducibile ai due imputati, al prezzo di Euro 15.500,00 ciascuna, nonostante avessero un valore di Euro 100.000,00 ciascuna, nonché per avere distratto il complesso aziendale condotto in locazione finanziaria in virtù di un contratto di leasing con la Fineco Leasing cedendolo, tra il dicembre 2006 ed il febbraio 2007, al prezzo di Euro 3.340.287,34, oltre IVA, alla Wall Granite Service, prevedendo che il pagamento del prezzo, da corrispondere in 55 rate mensili, iniziasse dal 18 giugno 2010, mentre la Marmi Mecca s.r.l. aveva iniziato a corrispondere già dal 1 febbraio 2007 il canone di sublocazione in favore della Wall Granite Service s.r.l. per il medesimo complesso aziendale (capo A).

Infine, B.M. risulta condannato anche per avere tentato di sottrarre al fallimento della Marmi Mecca s.r.l., con violenza sulle cose, alcuni macchinari custoditi all'interno dei capannoni della fallita, senza riuscirvi a causa dell'intervento del curatore fallimentare (capo D).

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso B.M., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando sei motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, e art. 223, comma 1, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di merito ritenuto distrattivo il contratto di cessione del contratto di leasing, sebbene la cessione risalisse ad oltre otto anni prima della dichiarazione di fallimento e fosse stata accompagnata dalla profusione di risorse personali degli imputati a sostegno dell'impresa.

L'attivo fallimentare era risultato pari a sette milioni di Euro a fronte di un passivo di dieci milioni di Euro e i due imputati avevano prestato fideiussioni e pegni e comunque finanziato la società. Le fideiussioni e le altre garanzie ammontavano a quasi otto milioni di Euro ed i finanziamenti dei soci alla società erano di poco superiori ai tre milioni di Euro, ma tali circostanze erano state omesse dalla Carte territoriale, sebbene invocate dall'appellante per escludere la sussistenza del dolo, cosicché la sentenza risultava affetta da carenza di motivazione.

Sulla base della motivazione della sentenza di secondo grado, il dolo distrattivo poteva ricavarsi dalla stessa conclusione del contratto di cessione, ma in tal modo, evidenzia il ricorrente, si arriva a confondere l'elemento materiale del reato con quello soggettivo.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, e 223, comma 1, in relazione anche alla L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 138, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto ab origine distrattivo il contratto di cessione del leasing, sebbene dallo stesso derivasse un vantaggio per la fallita anche in caso di mancato pagamento del prezzo.

Richiamando la giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 3612 del 06/11/2006, dep. 2007, Tralicci, Rv. 236043; Sez. 5, n. 30492 del 23/04/2003, Lazzarini, Rv. 227705), evidenzia il ricorrente che affinché la cessione di un contratto di leasing possa essere ritenuta distrattiva occorre che il rapporto obbligatorio rappresenti un vantaggio per la fallita e non un onere.

Con l'atto di appello era stato segnalato che il contratto di leasing stipulato nel 2000 prevedeva un valore di acquisto di Euro 2.324.056,65, mentre il corrispettivo complessivo del leasing era di Euro 3.139.980,48, oltre IVA; la fallita aveva versato alla concedente canoni per complessivi Euro 1.970.582,25, oltre IVA; poiché il corrispettivo della cessione del leasing era pari ad Euro 3.340.287,35, oltre IVA, da corrispondere in rate mensili decorrenti dal 2010 al 2015, era evidente che il prezzo della cessione fosse ben superiore all'importo totale dei canoni corrisposti da Marmi Mecca s.r.l. a (Omissis); il contratto di cessione era in realtà volto a sostenere finanziariamente Marmi Mecca s.r.l.

La Corte territoriale aveva mal sintetizzato nelle premesse della sentenza il contenuto del gravame, limitandosi ad osservare che i canoni di leasing erano stati pagati alla concedente (Omissis) dalla Wall Granite Service s.r.l., che nel frattempo aveva rinegoziato i canoni con la concedente in termini più vantaggiosi, con i canoni di sublocazione ad essa corrisposti dalla Marmi Mecca s.r.l., che, invece, aveva perso la possibilità di riscattare l'immobile per il quale aveva già corrisposto quasi la metà del corrispettivo della locazione finanziaria, rimanendo al contempo solidamente obbligata assieme alla Wall Granite Service s.r.l. per i canoni di leasing maturati successivamente alla cessione; inoltre, la rilevante dilazione per il pagamento del corrispettivo della cessione del contratto di leasing a quest'ultima società, senza alcuna pattuizione di interessi o la prestazione di garanzie, tradiva la volontà delle parti che il prezzo non fosse in realtà versato, volontà resa ancor più evidente dall'inadempimento di detta obbligazione, protrattosi per anni, sino alla dichiarazione di fallimento, senza che la Marmi Mecca s.r.l. si attivasse per ottenere il pagamento.

La Corte territoriale, confermando la decisione del Tribunale, aveva aggiunto che era irrilevante che il curatore fosse riuscito a recuperare il bene oggetto del contratto di leasing ottenendo la risoluzione del contratto di cessione per inadempimento dell'obbligazione di corrispondere il prezzo, essendosi all'atto del recupero già consumato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il ricorrente sostiene, allora, che la motivazione è carente, perché non spiega perché le parti del contratto di cessione avrebbero pattuito un prezzo così elevato, considerato che la loro intenzione, secondo la decisione qui impugnata, era che esso non venisse affatto versato. Tale previsione esponeva la cessionaria ad un maggior rischio che la curatela esercitasse azioni volte al recupero del bene. Ne' la cessionaria aveva a sua volta ceduto a terzi il compendio oggetto di leasing, in modo da rendere i beni irrecuperabili dalla curatela. La cessionaria aveva anche provveduto al pagamento dei canoni di leasing, in tal modo consentendo alla curatela fallimentare, dopo la risoluzione della cessione, di esercitare il riscatto.

Contrasterebbe con il proposito distrattivo anche la circostanza che i canoni di leasing erano superiori al canone di sublocazione versato dalla Marmi Mecca s.r.l..

Sostiene il ricorrente che il contratto risulterebbe vantaggioso per la fallita anche laddove sin dall'inizio non fosse stato previsto alcun corrispettivo per la cessione, in quanto la Marmi Mecca s.r.l., pur potendo pretendere ai sensi della L. n. 124 del 2017, art. 138, comma 1, e 139 un rimborso parziale dei canoni già corrisposti a titolo di leasing, ha comunque conservato la disponibilità dei beni oggetto del contratto, evitando al contempo il pagamento dei canoni di leasing sino alla scadenza del contratto, ben superiori ai canoni di sublocazione versati alla Wall Granite Service s.r.l.

Sulla base dei calcoli eseguiti dal consulente tecnico della difesa, la cessione del contratto, anche senza considerare il corrispettivo pattuito, aveva determinato un risparmio di oltre Euro 400.000,00.

La curatela aveva poi potuto accrescere il vantaggio economico riscattando il bene ad un prezzo minore rispetto a quello inizialmente concordato con il contratto di leasing.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, e art. 223, comma 1, in relazione anche al R.D. cit., art. 101 e 103, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto B.M., responsabile della distrazione di taluni macchinari, sebbene questi fosse stati reperiti ed inventariati dal curatore fallimentare.

Nel corso del giudizio di primo grado la difesa dell'imputato aveva dimostrato che i beni erano stati venduti a prezzo di mercato e comunque gli stessi erano rimasti nella disponibilità della fallita, tanto da essere inventariati e venduti dalla curatela fallimentare.

Il Tribunale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato osservando che le operazioni di vendita e di successiva locazione dei medesimi beni alla fallita erano fittizie e finalizzate alla distrazione dei canoni di locazione.

Con l'appello era stata quindi dedotta la nullità della sentenza di primo grado ai sensi degli artt. 521 e 522 c.p.p. per essersi il Tribunale pronunciato su un fatto diverso da quello contestato.

La Corte di appello aveva allora replicato osservando che la Marmi Mecca s.r.l. e la Wall Granite Service s.r.l. avevano voluto la cessione dei macchinari, che non era, quindi, simulata, ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato e che il rinvenimento dei macchinari nella disponibilità della fallita in seguito al fallimento e la loro inclusione nell'inventario non rilevavano, non potendo il recupero dei beni ad opera della curatela incidere sulla sussistenza del delitto di bancarotta, in quanto questo era un delitto di pericolo concreto, integrato dalla mera possibilità di un danno per i creditori, come già osservato in relazione alla cessione del contratto di leasing.

Evidenzia, quindi, il ricorrente che la cessione del contratto di leasing e la cessione dei macchinari erano due vicende ben differenti tra loro, in quanto nel primo caso il curatore aveva potuto recuperare i beni esercitando l'azione di risoluzione per inadempimento, mentre nel secondo era stata rigettata l'istanza di rivendicazione avanzata dalla acquirente dei macchinari poiché non era stata ritenuta dimostrata l'appartenenza degli stessi alla cessionaria. In ogni caso, poi, per la sussistenza della distrazione era necessaria la loro mancanza fisica in capo alla fallita. Essendo la cessionaria risultata soccombente nel procedimento avviato a seguito della sua istanza di rivendicazione, doveva escludersi che essa avesse mai acquistato la proprietà dei macchinari e che essi fossero usciti dal patrimonio della fallita.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, e art. 223, comma 1, la violazione degli artt. 516,521 e 522 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto B.M. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in quanto amministratore di fatto della fallita.

La Corte di appello, evidenzia il ricorrente, ha desunto tale qualità da elementi assolutamente insufficienti ai sensi dell'art. 2639 c.c.

In particolare, il Tribunale aveva osservato che egli nel 2013 aveva partecipato quale amministratore della Marmi Mecca ad una conferenza di servizi indetta dal Comune di Bolgare per l'approvazione di un progetto di bonifica dell'area dove insisteva lo stabilimento della società, il suo numero di telefono cellulare era il solo indicato nel sito web della società, la teste S. aveva affermato che egli era il responsabile amministrativo della società e lo stesso imputato aveva ammesso di essere stato delegato ad operare sui conti bancari della società e di avere concretamente esercitato la delega fino ad epoca prossima al fallimento.

La Corte di appello aveva condiviso gli argomenti del Tribunale ed aveva aggiunto che in ogni caso egli era amministratore unico della Wall Granite Service s.r.l., beneficiaria delle distrazioni, cosicché egli doveva ritenersi concorrente nelle condotte distrattive attuate dal padre P..

Sostiene il ricorrente che l'art. 2639 c.c. richiede l'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in tutti gli aspetti della vita della società, nessuno escluso, in posizione preminente rispetto all'amministratore di diritto.

Quanto al concorso di B.M. nel reato di bancarotta fraudolenta commesso dal padre, il ricorrente denuncia che trattasi di un profilo fattuale che non ha costituito oggetto di contestazione, cosicché la sentenza andrebbe dichiarata nulla per difetto di correlazione con l'accusa.

2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 56,624 e 625 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto B.M. responsabile del tentato furto nonostante la desistenza.

Secondo il ricorrente, egli avrebbe volontariamente desistito dalla condotta volta a sottrarre taluni macchinari alla curatela fallimentare successivamente alla dichiarazione di fallimento, sebbene durante la stessa fosse sopraggiunto il curatore che l'aveva invitato a porre fine alla sua condotta; poiché la desistenza andrebbe ritenuta volontaria, sebbene non spontanea in quanto sollecitata dal curatore, sarebbe comunque applicabile l'art. 56 c.p., comma 3.

La desistenza era stata attuata non in conseguenza dell'arrivo del curatore, al quale l'imputato aveva ribadito la sua volontà di portare via i macchinari sostenendo di esserne il proprietario, ma dopo che il curatore si era allontanato.

2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 62-bis e 69 c.p. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto di non applicare le circostanze attenuanti generiche pur in assenza di una aggravante da considerare quale prevalente e non ha considerato il comportamento tenuto dall'imputato a favore della società fallita, a vantaggio della quale egli aveva erogato consistenti finanziamenti.

La Corte di merito ha rigettato la relativa istanza osservando che le condotte distrattive si erano protratte nel tempo ed anche dopo il fallimento il ricorrente aveva tentato di sottrarre beni alla fallita.

Sostiene l'imputato che la continuazione tra i reati non può ostare all'applicazione delle attenuanti generiche e la pluralità delle condotte distrattive avrebbe semmai potuto integrare l'aggravante dei più fatti di bancarotta; non essendo detta aggravante stata applicata, essa neppure poteva ostare al riconoscimento delle attenuanti generiche. In tal modo si viene ad operare un illegittimo giudizio di bilanciamento tra le circostanze.

Inoltre, la motivazione è illogica perché non tiene conto dei comportamenti positivi tenuti dall'imputato a favore della società.

3. Il difensore dell'imputato ha fatto pervenire una memoria difensiva per opporsi alla memoria del Pubblico ministero ed insistere per l'accoglimento del ricorso, nonché per eccepire la prescrizione del reato di tentato furto contestato al capo D), per essere il relativo termine spirato il (Omissis).


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo di ricorso, che deve essere anteposto agli altri poiché il suo accoglimento porterebbe a ritenere insussistente l'elemento oggettivo del reato, con conseguente assorbimento degli altri motivi di impugnazione attinenti alla distrazione commessa attraverso la cessione del contratto di leasing, è nel suo complesso infondato.

La Corte di appello ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni che l'hanno indotta a ritenere che la pattuizione del prezzo di cessione del contratto di leasing fosse simulata e che sin dalla cessione le parti intendessero escludere il versamento del prezzo. La lunghissima dilazione prevista nel contratto di cessione per il versamento del corrispettivo, la assenza di pattuizioni in ordine alla corresponsione di interessi o alla prestazione di garanzie, la riconducibilità di entrambe le società contraenti ai due imputati, l'omesso pagamento del corrispettivo nel momento in cui esso, dopo diversi anni, è divenuto esigibile e la assenza di iniziative da parte della cessionaria per ottenere l'adempimento sono elementi che, valutati complessivamente, hanno condotto la Corte di merito a ritenere che la volontà delle parti fosse quella di trasferire gratuitamente in capo alla Wall Granite Service il rapporto di leasing. Poiché la cessione privava la cedente della possibilità - economicamente assai rilevante, trattandosi di leasing traslativo - di conseguire l'acquisto della proprietà del compendio oggetto del contratto di locazione finanziaria ed al contempo la obbligava a corrispondere alla cessionaria i canoni di sublocazione per conservare il godimento del compendio oggetto del leasing, i giudici del merito hanno ritenuto la cessione palesemente distrattiva.

Ne' può sostenersi che la pattuizione di un prezzo elevato contrasterebbe con la esistenza di un proposito distrattivo.

Se le parti avevano stabilito che il prezzo non sarebbe stato pagato, era irrilevante per loro l'entità del prezzo. Peraltro, la pattuizione di un prezzo esiguo avrebbe reso ancor più evidente il comune proposito distrattivo ed avrebbe esposto il contratto all'azione revocatoria.

Quanto, poi, alla mancanza di motivazione in ordine alla eventualità che la cessione del contratto di leasing fosse vantaggiosa per la Marmi Mecca s.r.l. anche nell'ipotesi in cui non fosse stato previsto nel contratto alcun corrispettivo, deve osservarsi che trattasi di argomento sollevato per la prima volta con il ricorso per cassazione e sul quale, pertanto, la Corte di appello non era tenuta a motivare in modo specifico.

Non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli, Rv. 255577).

Peraltro, la Corte di appello ha comunque affrontato, sia pure implicitamente, la questione, osservando che solo laddove il corrispettivo pattuito fosse stato pagato dalla Wall Granite Service la cessione del leasing avrebbe potuto ritenersi non distrattiva, in tal modo confermando la natura fraudolenta della cessione anche nell'ipotesi di omessa previsione del corrispettivo.

Laddove, invece, il ricorrente indica a questa Corte di cassazione gli elementi, anche documentali, che dovrebbero portare a concludere che la società fallita ha tratto vantaggio dalla cessione del leasing, egli sollecita una rivalutazione del materiale istruttorio o comunque valutazioni di merito, come quella relativa alla convenienza della cessione per essere i canoni di sublocazione di importo inferiore ai canoni del contratto di leasing, non consentite in questa sede di legittimità.

Solo per completezza può osservarsi che, secondo il ragionamento dei giudici del merito, il carattere pregiudizievole o meno della cessione deve essere valutato soprattutto tenendo conto che, per effetto del trasferimento del rapporto contrattuale in capo alla Wall Granite Service la Marmi Mecca ha perso la possibilità di esercitare il diritto di riscatto alla scadenza del termine finale di efficacia del contratto di leasing e che, come correttamente osservato dalla Corte di merito, non rileva che la società fallita, ottenendo giudizialmente la risoluzione per inadempimento, abbia poi potuto esercitare il riscatto, essendo tale risultato conseguenza dell'esercizio delle iniziative adottate dalla curatela ai fini del recupero di quanto sottratto.

Questa Corte di cassazione ha già affermato, in tema di bancarotta fraudolenta, che il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta, il quale - perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore - viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della res rappresenta solo un posterius - equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto - avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Calderini Rv. 248658) e tale principio può essere esteso all'ipotesi in cui il recupero avvenga a seguito di azione di risoluzione per inadempimento esercitata dal curatore fallimentare.

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il dolo generico del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale non richiede la volontà di cagionare il fallimento o la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa o lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di conferire al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269388), con la rappresentazione "della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice" (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014 - dep. 2015, Geronzi, Rv. 263801).

Il ricorrente invoca a suo sostegno i finanziamenti erogati e le garanzie prestate poiché da essi dovrebbe ricavarsi la insussistenza di una sua volontà di condurre la società al fallimento, ma poiché il fallimento non è l'evento del delitto di bancarotta fraudolenta, il dolo generico non deve necessariamente comprendere anche la volontà di condurre l'impresa al fallimento.

Devono, quindi, escludersi la violazione di legge ed il vizio motivazionale denunciati dal ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Secondo il ricorrente, non essendo stata accolta l'istanza, proposta dalla Wall Granite Service ai sensi dell'art. 93 R.D. n. 267 del 1942, di rivendicazione dei beni che, secondo il capo di imputazione, erano stati ad essa ceduti dalla Marmi Mecca s.r.l., deve ritenersi che essi fossero rimasti di proprietà della fallita e che il contratto di cessione non abbia prodotto alcun effetto.

In contrario, deve osservarsi che sussiste reciproca autonomia fra procedura fallimentare e procedimento penale, sul quale, ai sensi dell'art. 3 c.p.p., incidono con efficacia di giudicato le sole sentenze civili che abbiano deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza, con la conseguenza che la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per la cessione a prezzo vile di beni appartenuti alla fallita non può essere esclusa sulla base della circostanza che il giudice delegato al fallimento, rigettando la domanda di rivendicazione, abbia negato la restituzione del bene al cessionario (vedi Sez. 5, n. 19078 del 22/01/2015, Garofano, Rv. 263375).

Ne' rileva, ai fini della sussistenza del reato, che il bene, sebbene ne sia stata ceduta la proprietà, sia rimasto nella materiale disponibilità della società dichiarata fallita, poiché la perdita del diritto di proprietà da parte della società debitrice preclude ai creditori sociali di soddisfarsi su di esso.

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di appello ha correttamente evidenziato che B.M. era amministratore della Marmi Mecca s.r.l. al momento della cessione del contratto di leasing, cosicché in relazione a tale condotta distrattiva non ha rilievo che dopo la cessazione da tale carica egli abbia assunto quella di amministratore di fatto.

Quanto alla diversa condotta della cessione dei macchinari a prezzo vile, la Corte territoriale ha affermato di condividere le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale in ordine alla assunzione di tale qualità da parte del ricorrente; inoltre, ha aggiunto che il concorso di B.M. nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sarebbe ravvisabile anche se egli non avesse mai assunto la qualità di amministratore, di diritto o di fatto, della Marmi Mecca s.r.l., poiché egli ha contribuito quale amministratore della Wall Granite Service s.r.l., società beneficiaria e parte contrattuale delle cessioni aventi natura distrattiva, alla commissione delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

La Corte di appello ha, quindi, rigettato il corrispondente motivo di appello sulla base di due distinte ed autonome rationes decidendi, ciascuna in grado da sola di sorreggere la condanna.

Quanto al concorso quale extraneus di B.M. nelle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesse dal padre P., quale amministratore della fallita, il ricorrente ha sostenuto che ricorrerebbe un'ipotesi di difetto di correlazione tra accusa e sentenza, ma il motivo appare manifestamente infondato, avendo questa Corte di cassazione reiteratamente affermato che non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, di cui all'art. 521 c.p.p., la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, Runca, Rv. 264073; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, dep. 2010, Rv. 246100).

Poiché tale ratio decidendi appare da sola in grado di giustificare la condanna, il motivo di impugnazione risulta nelle rimanenti parti inammissibile per difetto di interesse, in quanto l'inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l'esame dei motivi riferiti all'altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l'annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l'autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile.

5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.

In tema di desistenza, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarietà, che non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa (Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, T., Rv. 275647; Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico, Rv. 272535).

Nel caso di specie, secondo la ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, il ricorrente ha interrotto l'azione criminosa poiché si è visto scoperto dal curatore fallimentare, che, intervenuto sul posto, lo ha invitato a interrompere la condotta criminosa avvisandolo che egli stava commettendo un reato.

Proseguire la condotta in tali condizioni avrebbe certamente comportato una responsabilità penale per il più grave reato di furto aggravato consumato, cosicché la desistenza non può dirsi volontaria, ma necessitata, e del tutto correttamente, quindi, la Corte di appello ha escluso la desistenza.

Ne' è ravvisabile alcun vizio di carenza, contraddittorietà o illogicità della motivazione.

6. Anche il sesto motivo è manifestamente infondato.

In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

In particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

Nel caso di specie la Corte di appello ha fatto riferimento alla gravità del fatto di bancarotta ed alla negativa personalità del ricorrente desunta dalla pluralità delle condotte delittuose attuate anche dopo la dichiarazione di fallimento.

La circostanza che la Corte di appello abbia ritenuto di essere tenuta ad escludere l'aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, applicata dal Tribunale in considerazione dell'affermazione di responsabilità per la bancarotta fraudolenta impropria, poi venuta meno all'esito del giudizio di secondo grado, non esclude che dalle modalità di commissione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, attuato attraverso più condotte ed in tempi diversi, e del reato di tentato furto possano trarsi elementi utili per valutare, ai sensi dell'art. 133 c.p., la gravità del reato e la personalità del colpevole, la cui caduta nel delitto non è stata ritenuta occasionale, nonostante la sua incensuratezza.

Ne consegue che non sussistono le violazioni di legge lamentate e la motivazione risulta anche sotto tale profilo adeguata e priva di vizi.

7. La inammissibilità del quinto e del sesto motivo di ricorso, i soli che attengono al capo D), non consentono di rilevare la prescrizione del reato di tentato furto maturata dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado.

L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. n., Rv. 217266, relativa a prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).

Deve anche osservarsi che in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966).

8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1.

Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., il ricorrente, rimasto soccombente, deve pure essere condannato alla rifusione in favore della parte civile, delle spese da questa sostenute, che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2023

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