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Bancarotta fraudolenta: responsabilità del socio di società irregolare ed estensione del fallimento (Cassazione penale n. 50447/23)


Bancarotta fraudolenta


1. La massima

In tema di reati fallimentari, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di beni del patrimonio personale è configurabile in capo al socio di società irregolare solo dal momento in cui il fallimento sia stato esteso nei suoi confronti. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione di condanna a titolo di concorso dell'imputato che, in epoca antecedente all'estensione del fallimento nei suoi confronti, aveva consapevolmente agevolato la moglie, titolare d'impresa, nella distrazione della quota parte di un immobile di proprietà di quest'ultima, mentre ha escluso la natura distrattiva del trasferimento della porzione immobiliare di proprietà esclusiva del predetto).


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2. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 09/11/2023, n.50447

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Torino ha confermato la condanna di L.S.S. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in qualità di socio illimitatamente responsabile con la moglie della società irregolare (Omissis), il cui fallimento è stato esteso anche all'imputato, nonché di cogestore di fatto della medesima assieme alla moglie che ne era la titolare.

2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando cinque motivi.

2.1 Con i primi due deduce violazione di legge. Anzitutto in ordine all'attribuzione al L.S., della qualifica di coamministratore di fatto della società per il periodo antecedente al 2012, difettando la prova del compimento da parte del medesimo di attività gestoria in maniera continuativa e significativa prima di quell'anno, non potendosi identificare la stessa nel rapporto di coniugio con la titolare dell'impresa, nel cui ambito sarebbe normale che egli possa avere fornito alla propria moglie consigli sulla sua attività. Conseguentemente egli non avrebbe dovuto rispondere della distrazione dell'immobile di proprietà di entrambi i coniugi di cui si assume la distrazione mediante la segregazione in un fondo patrimoniale, in quanto atto compiuto nel 2010, quando dunque egli non era gravato da alcun limite nella disposizione dei propri beni. Ne' diversamente potrebbe concludersi ipotizzando, come ha fatto la Corte territoriale, che egli per il periodo citato debba rispondere quale concorrente esterno nel reato eventualmente commesso dalla moglie, posto che nel medesimo periodo, come si evince dalla sentenza che gli ha esteso il fallimento della società di fatto, egli non era socio illimitatamente responsabile di quest'ultima e dunque gli atti dispositivi del proprio patrimonio non possono ritenersi pregiudizievoli dei creditori ai fini dell'applicazione della normativa penale fallimentare, tanto più che nei rapporti patrimoniali con la moglie vigeva il regime di separazione. Non solo, all'epoca della segregazione del bene l'impresa non aveva problemi economici e men che meno versava in stato di insolvenza e dunque l'imputato in ogni caso non era limitato nella disposizione del proprio patrimonio.

2.2 Con il terzo motivo deduce vizi di motivazione in merito alla responsabilità dell'imputato per la distrazione dei beni strumentali dell'impresa, affermata in maniera apodittica dalla Corte territoriale, che avrebbe immotivatamente svalutato le dichiarazioni del L.S. e della moglie circa l'esistenza dei suddetti beni anche al momento del sopralluogo del curatore, che non li avrebbe dunque rendicontati ritenendoli di nessun valore. Dichiarazioni che hanno invece trovato riscontro nella documentazione fotografica prodotta dalla difesa, altrettanto ingiustificatamente svalutata dai giudici del merito in assenza di prova alcuna che la stessa sia stata

precostituita anteriormente all'accesso del curatore. Non di meno la sentenza impugnata non avrebbe dimostrato che i beni siano stati distratti successivamente al momento in cui l'imputato ha iniziato ad ingerirsi nella gestione della società.

2.3 Con il quarto motivo il ricorrente denunzia ulteriore violazione di legge in merito alla configurabilità della contestata bancarotta documentale. La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare il conflitto esistente tra la normativa tributaria e quella societaria e penale in ordine alla tenuta della contabilità per le società, come la fallita, che hanno optato per il regime semplificato. Sarebbe dunque inesigibile il dovere dell'imprenditore di istituire i libri di cui è contestata l'omessa tenuta, una volta che la legge tributaria esenta dalla loro tenuta coloro che optano per il suddetto regime semplificato. Non di meno non sussisterebbe in capo all'imputato il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato contestato, tanto più che la Corte non ha tenuto conto della sua buona fede, atteso che l'impresa ha eletto il regime contabile speciale fin dalla sua costituzione e dunque prima del suo coinvolgimento nella gestione e che secondo il testimoniale assunto nel dibattimento egli si sarebbe occupato esclusivamente delle questioni di ordine commerciale.

2.4 Con il quinto motivo vengono infine dedotti vizi di motivazione in merito alla conferma della provvisionale statuita in favore della parte civile in assenza della prova della causazione di un danno pari almeno al suo ammontare.



CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti, ma deve comunque essere rigettato.

2. In particolare parzialmente fondati sono i primi due motivi.

Per come risulta dalle sentenze di merito, la (Omissis) è stata costituita come ditta individuale nella titolarità della moglie dell'imputato, D.P.. Il tribunale fallimentare ha però riconosciuto che, a partire dal 2012, l'impresa si fosse trasformata in una società irregolare ed ha esteso all'imputato il fallimento della medesima nella sua riconosciuta qualità di socio illimitatamente responsabile della stessa.

La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che, ai fini della configurabilità in capo al socio illimitatamente responsabile di una società irregolare dichiarata fallita del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione dei beni del suo patrimonio personale, è necessario che il fallimento sia stato esteso, ai sensi della L. Fall., art. 147, anche nei suoi confronti e il reato dovrà considerarsi consumato alla data di dichiarazione del suo fallimento laddove essa sia diversa da quella della dichiarazione di fallimento della società (ex multis Sez. 5, n. 11936 del 05/02/2020, De Lisa, Rv. 278985). Non di meno le Sezioni Unite hanno a loro volta precisato che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta e seguenti L. Fall., ex artt. 216, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa ed ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398).

Ne consegue che se la qualifica di socio illimitatamente responsabile di una società irregolare e la stessa esistenza, quindi, del legame societario è stato accertato con la sentenza di fallimento con riferimento ad un preciso dato temporale, non può il giudice penale retrodatarlo. Illegittimamente dunque i giudici del merito hanno ritenuto che il L.S. sia stato socio occulto della (Omissis) anche prima del 2012. Ne consegue che ingiustificatamente è stata ritenuta la natura distrattiva della segregazione nel fondo patrimoniale anche della porzione dell'immobile di sua esclusiva proprietà, posto che al momento della costituzione del fondo egli poteva disporre del proprio patrimonio liberamente, che, all'epoca, non aveva ancora assunto funzione di garanzia dei creditori della società, non ancora nata.

Ciò non significa però che egli non abbia consapevolmente agevolato con il proprio comportamento la distrazione della parte dell'immobile di proprietà della moglie, come sostanzialmente ritenuto dalla Corte coerentemente alla contestazione del reato nella forma concorsuale sulla base delle ammissioni della Delton in merito all'ausilio che il marito le dava nella gestione dell'impresa, nonché della stessa natura dell'operazione attraverso cui il bene in questione (ossia e per l'appunto la quota parte nella titolarità della citata Delton) è stato sottratto alla sua funzione di garanzia. Ed avverso tale ricostruzione, che emerge comunque dalla motivazione della sentenza, alcuna censura è stata proposta con il ricorso.

3. Il terzo motivo è invece inammissibile, proponendo mere censure in fatto in merito alla valutazione probatoria delle fotografie prodotte nel dibattimento dalla difesa, questione sulla quale la Corte ha logicamente motivato evidenziando la loro scarsa rilevanza non avendo l'imputato, che ha introdotto la prova, saputo dimostrare che le stesse fossero state scattate contestualmente o almeno successivamente alla ricognizione effettuata dal curatore nei locali dell'impresa. L'obiezione per cui lo stesso curatore avrebbe visionato i beni che si assumono distratti, ma non li avrebbe inventariati ritenendoli privi di valore è poi fondata su una mera congettura ed è dunque parimenti inammissibile.

4. Anche il quarto motivo è inammissibile. Anzitutto il motivo è generico nella misura in cui non viene precisato se la società tra l'imputato e la moglie potesse effettivamente usufruire del regime di c.d. contabilità semplificata per le imprese minori, rientrando nei limiti di fatturato previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 18. Peraltro alcun "conflitto" sussiste tra la normativa tributaria e quella civile, né tantomeno l'una esclude l'operatività dell'altra come erroneamente sostenuto dal ricorrente, ma più semplicemente il legislatore ha ritenuto di configurare in maniera diversa gli obblighi contabili ai fini tributari rispetto a quelli rilevanti per la legge civile. E' infatti appena il caso di ricordare il consolidato insegnamento di questa Corte per cui il suddetto regime di tenuta della contabilità è previsto esclusivamente ai fini tributari e non comporta dunque l'esonero dall'obbligo di tenuta ai fini civili dei libri e delle scritture contabili previsti dall'art. 2214 c.c. (cui la L. Fall., art. 216, implicitamente rinvia), come peraltro espressamente previsto dallo stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, comma 1, citato in precedenza, con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale ricorrendone le altre condizioni (ex multis Sez. 5, n. 656 del 13/11/2013, dep. 2014, Giacone, Rv. 257958). Non di meno il motivo è anche manifestamente infondato nella misura in cui oggetto di contestazione e accertamento processuale è stato non solo l'omessa tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, ma altresì il mancato aggiornamento o la mancata scritturazione del libro dei beni ammortizzabili e del registro IVA, ossia proprio di quei libri la cui regolare tenuta è imposta dalle norme tributarie anche qualora il contribuente aderisca al suddetto regime di contabilità semplificata. Condotta quest'ultima che integra la fattispecie di bancarotta documentale c.d. "specifica" prevista nella seconda parte della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2 e per la quale è richiesto il dolo generico e non anche quello specifico, necessario invece per l'ulteriore condotta contestata (quella di omessa tenuta del libro giornale e del libro inventari), ma la cui ritenuta sussistenza la Corte territoriale ha logicamente giustificato (p. 11 della sentenza), con motivazione con la quale il ricorso non si è confrontato.

5. E' infine inammissibile anche il quinto motivo. In tal senso va infatti richiamato il consolidato insegnamento di questa Corte per cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486).

6. Nulla deve disporsi in favore della parte civile che ha presentato conclusioni formali, né ha esplicato attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886).


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese della parte civile.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2023

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