top of page

Tipologie di bancarotta fraudolenta documentale: Dolo Specifico vs. Dolo Generico (Tribunale Bari n. 6123/23)


Bancarotta fraudolenta

1. La massima

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale configura una "norma mista-alternativa", nel senso che sanziona due condotte alternative tra loro, entrambe idonea ad integrare il delitto in questione, ma strutturalmente diverse e autonome, tanto sul piano oggettivo quanto su quello soggettivo: la sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili (c.d. bancarotta fraudolenta documentale "specifica"), che richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, e la tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita (c.d. bancarotta fraudolenta documentale "generica"), che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico.

consulenza legale penale

2. La sentenza integrale

Tribunale Bari sez. I, 20/11/2023, (ud. 07/11/2023, dep. 20/11/2023), n.6123

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto di rinvio a giudizio del 14.06.2022 emesso dal G.U.P. presso il Tribunale di Bari, SC.Mi. veniva invitato a comparire dinanzi al Tribunale di Bari in composizione collegiale per l'udienza del 04.10.2022, per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica.

All'udienza del 04.10.2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, veniva dichiarato aperto il dibattimento ed erano ammesse le prove, come richieste dalle parti, nonché acquisita la documentazione prodotta dal P.M.; quindi, il processo era rinviato per l'attività istruttoria all'udienza del 10.01.2023.

All'udienza del 10.01.2023, veniva escusso il teste dell'accusa Avv. (…) e il teste della difesa (…); quindi, veniva disposta, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., la citazione del teste Avv. (…) e il processo era rinviato all'udienza del 23.05.2023.

All'udienza del 23.05.2023, era disposta la rinnovazione del dibattimento per mutamento nella composizione soggettiva del Collegio giudicante e veniva svolto l'esame dell'imputato, nonché escusso il teste Avv. (…); quindi, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e il processo era rinviato per la discussione all'udienza del 07.11.2023.

All'udienza del 07.11.2023, svoltasi la discussione, le parti formulavano le rispettive conclusioni.

SC.Mi. è accusato dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1, n. 1 L.F. e di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 L.F., aggravati, ai sensi dell'art. 219, comma 2, L.F. dall'aver commesso più fatti tra quelli descritti dall'art. 216 L.F.

Il tutto, nell'ambito del fallimento della società (…) s.r.l. - di cui SC.Mi. è stato amministratore unico dal 2006 e liquidatore dal 10.09.2013 - dichiarato dal Tribunale di Bari con sentenza n. 32/2018 del 12.02.2018.

In particolare, lo Sc. avrebbe commesso la bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere venduto "sottocosto" tre unità immobiliari e quella documentale per avere tenuto le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita.

L'impianto accusatorio si fonda sulla testimonianza resa dal curatore del fallimento che ha riguardato la (…) s.r.l. in liquidazione e sulla relativa relazione redatta per gli organi fallimentari ai sensi dell'art. 33 L.F., nonché sulla testimonianza dell'Avv. (…), quale soggetto a conoscenza dei fatti, in quanto incaricato dagli organi di fallimentari di rendere parere legale in ordine alla proponibilità delle azioni revocatorie aventi ad oggetto le vendite c.d. "sottocosto" per cui si viene a processo e di instaurare i relativi giudizi civili; le prove a discarico sono costituite dalla testimonianza resa dal teste della difesa, Dott. (…), professionista incaricato di seguire la contabilità della (…) s.r.l. sino al 2013, e dalle dichiarazioni rese in sede di esame dall'imputato, nonché dalla documentazione prodotta dalla difesa.

In particolare, l'Avv. (…) ha confermato il contenuto della relazione redatta ex art. 33 L.F. - utilizzabile alla stregua di prova documentale contenente accertamenti preesistenti all'esercizio dell'azione penale (Cass. sent. n. 39001 del 2004) - con riferimento all'attività svolta e alle risultanze della stessa.

Nello specifico, ha riferito che, prendendo a riferimento la rinvenuta documentazione contabile riferibile alla società fallita nei cinque anni precedenti alla sentenza dichiarativa di fallimento, in particolare quella inerente al 2013 (conti mastro), emergeva che, in data 31.10.2013, lo SC., in qualità di rappresentante legale p.t. della (…) s.r.l. in liquidazione, trasferiva a tale Nu.Vi. due unità immobiliari di proprietà della (…) site in (…) per complessivi Euro 62.019,00; inoltre, in data 12.11.2013, lo SC. trasferiva alla società (…) s.r.l. una unità immobiliare di proprietà della (…) sita in (…) ad un prezzo di Euro 24.000,00; che i predetti trasferimenti, considerato il prezzo di vendita complessivo pari a circa Euro 86.000,00, erano avvenute "sottocosto", atteso che il valore reale complessivo degli immobili si aggirava intorno ad Euro 215.000,00; che la decisione di effettuare le vendite sottocosto probabilmente dipese dalla grave esposizione debitoria della società, sebbene non si riteneva fosse questa la causa del dissesto aziendale; che le vendite in questione furono oggetto di due distinte azioni revocatorie esperite dalla curatela fallimentare nei confronti degli acquirenti, in corso di imminente definizione; che la decisone della curatela di esperire le azioni revocatorie fu preceduta da un parere di fattibilità affidato all'Avv. (…) e che, nel corso di uno dei predetti giudizi civili, era stata effettuata una consulenza tecnica d'ufficio sugli immobili, la quale ne aveva attestato effettivamente un valore reale di mercato superiore al prezzo di vendita.

L'avv. (…), sentito come teste, ha riferito di essere stato incaricato dagli organi fallimentari, intorno al febbraio 2018, dapprima di rendere un parere legale sulla sussistenza dei presupposti per esperire un'azione revocatoria delle vendite immobiliari in questione e poi di instaurare i relativi giudizi civili; che la prima vendita (ottobre 2013), avente ad oggetto due immobili di proprietà della (…) e siti in (…), fu disposta in favore dell'acquirente Nu.Gi. al prezzo dichiarato di Euro 64.500,00 complessivi, mentre la seconda (novembre 2013), avente ad oggetto altro immobile sempre di proprietà della (…) e sito in (…), fu disposta in favore della società (…) s.r.l. al prezzo di Euro 24.000,00; che la prima vendita (ottobre 2013) fu oggetto di azione revocatoria e che, nel relativo giudizio, venne disposta CTU che attestò la non congruità del prezzo di vendita, in quanto il valore degli immobili era stato stimato in Euro 95.000,00 rispetto alla somma di Euro 62.019,00 dichiarata in atto; che la seconda vendita (novembre 2013) fu anch'essa oggetto di azione revocatoria, ma nel relativo giudizio non venne disposta alcuna CTU per verificare la congruità tra il prezzo di vendita dell'immobile e il reale valore di mercato dello stesso; che dagli atti di vendita esaminati era emerso che la società alienante aveva prodotto, al tempo del rogito notarile, due perizie giurate attestanti la congruità del prezzo di vendita degli immobili in Questione.

La relazione del CTU Ing. Gu.Es. resa nell'ambito del procedimento civile R.G. 15266/2018 - avente ad oggetto la revocatoria del contratto di vendita stipulato il 30.10.2013 tra la società (…) e Nu.Vi. - ha attestato la non congruità tra il valore reale di mercato dei due immobili trasferiti (Euro 119.000,00 complessivi) e il prezzo di vendita pattuito (Euro 62.000,00 complessivi).

Al riguardo, va richiamato il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui "è legittima l'acquisizione nel processo penale della consulenza tecnica depositata nel procedimento civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato, attesa la sua natura di prova documentale alla luce della nozione generale di documento contenuta nell'articolo 234 del c.p." (Cassazione penale sez. IV, 09/10/2019, n. 44672). Quanto alla seconda vendita (12.11.2013), la documentazione prodotta non consente di contraddire le dichiarazioni rese dai testimoni escussi sulla natura "sottocosto" del predetto trasferimento immobiliare, atteso che nel procedimento civile instaurato per ottenere la revocatoria dell'atto non venne disposta alcuna CTU.

Si devono precisare i contenuti delle sentenze che hanno definito i succitati procedimenti civili, anch'esse prodotte in atti: difatti, la prima sentenza (giudizio civile R.G. 15264/2018) ha rigettato la domanda di revocatoria unicamente per l'assenza della "partecipatio fraudis" in capo all'acquirente, mentre la seconda ha definito il giudizio dando atto di intervenuta transazione tra le parti, di talchè tali pronunce non offrono elementi rilevanti ai fini della prova del reato contestato all'imputato.

L'imputato, sul punto, ha riferito di essersi trovato nella condizione di accettare un prezzo esiguo per la vendita dei beni immobili di proprietà della società che amministrava, a cagione delle condizioni particolarmente sfavorevoli del mercato e della necessità di frenare la significativa esposizione debitoria che la vedeva coinvolta; insomma, non ha negato i fatti oggetto di imputazione, ma ha spiegato di essere stato "costretto" alla vendita a quel prezzo per le condizioni generali dei mercato e per le difficoltà della sua impresa. Tali circostanze, non smentite da alcun elemento offerto dalla pubblica accusa ma anzi confermato dalla deposizione del curatore fallimentare, incide di certo sull'elemento soggettivo del reato.

Rileva, inoltre, l'ulteriore fatto che lo Sc., al momento di vendere gli immobili, li fece stimare da un perito, il cui elaborato è allegato agli atti di compravendita, e subito versò il corrispettivo nelle casse sociali.

Dunque, l'imputato allora tenne la diligenza dovuta a ciascun imprenditore per evitare di depauperare la sua azienda (si fece stimare gli immobili e versò quanto incassato nelle casse aziendali). In difetto di elementi che consentono di ritenere che lo Sc. abbia dolosamente "addomesticato" le perizie, tale condotta non è sintomatica del dolo della bancarotta.

Pertanto, l'imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato.

Invece, il reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato al capo 2) dell'imputazione deve essere riqualificato alla stregua di bancarotta semplice documentale.

Giova premettere che il reato di bancarotta fraudolenta documentale, volto ad assicurare una corretta e completa informazione sul patrimonio dell'attività e sul volume degli affari della stessa in modo da renderne possibile l'accertamento (ex multis Cass. n. 18482/2023), punisce l'imprenditore, se dichiarato fallito, che abbia sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad,altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili, ovvero che li abbia tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

Muovendo dall'interpretazione letterale della norma e dal bene giuridico presidiato, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la fattispecie de qua configura una "norma mista-alternativa", nel senso che sanziona due condotte alternative tra loro, entrambe idonea ad integrare il delitto in questione, ma strutturalmente diverse e autonome, tanto sul piano oggettivo quanto su quello soggettivo (Cass. n. 43977/2017; Cass. n. 15484/2021; Cass. n. 20882/2021; Cass. n. 2483/2021): la sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili (c.d. bancarotta fraudolenta documentale "specifica"), che richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, e la tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita (c.d. bancarotta fraudolenta documentale "generica"), che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico (Cass. n. 18634/2017; Cass. n. 26379/2019; Cass. n. 33114/2020 pen., sez. V, 8 ottobre 2020, n. 33114). Da tanto deriva che la condotta di sottrazione fisica delle scritture contabili alla disponibilità del curatore fallimentare - descritta nel primo periodo della norma, anche sotto forma della loro omessa tenuta, è fattispecie di reato a dolo specifico consistente nel fine di recare pregiudizio ai creditori, in ciò differenziandosi dalla tenuta fraudolenta dei documenti contabili - descritta nel secondo periodo della norma, punibile a titolo di dolo generico e che presuppone un accertamento effettuato sulla contabilità fisicamente consegnata all'organo fallimentare o rinvenuta presso l'impresa fallita (Cass. n. 22792/2021; Cass. n. 42664/2021; Cass. n. 4352/2023). Con specifico riferimento alla seconda delle menzionate ipotesi (bancarotta fraudolenta documentale generica), essa integra un reato di evento, di talché, ai fini della sua configurabilità, occorre accertare non soltanto la condotta materiale rappresentata dall'irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie, ma l'ulteriore requisito oggettivo rappresentato dall'impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, che dell'irregolare tenuta rappresenta l'evento; e tanto, sotto il profilo soggettivo, si traduce nella necessità che anche tale elemento sia coperto dalla necessaria partecipazione soggettiva dell'agente, con la conseguenza che il dolo generico che sorregge la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale generica deve comprendere tanto la consapevolezza della irregolare tenuta della documentazione contabile, quanto la consapevole rappresentazione della successiva impossibilità di ricostruzione del patrimonio e dei movimenti degli affari del fallito, seppur in termini di eventualità (Cass. n. 4352/2023 cit.).

Nel caso di specie, deve ritenersi accertato l'elemento materiale della bancarotta fraudolenta documentale generica contestata all'imputato.

Difatti, dalle prove orali (testimonianze del curatore fallimentare e dell'Avv. Gi.Sc.), è emerso che le scritture contabili obbligatorie tenute dal fallito cessano a partire dal 2013, anno a cui si riferisce l'ultimo bilancio di esercizio della società (…) s.r.l. amministrata dallo SC., e che non sono state rinvenute "situazioni contabili" successive a tale periodo, fatta eccezione per una situazione contabile riferibile all'anno 2015 da cui si evinceva una forte esposizione debitoria della società; che tale mancanza era dipesa dalla sostanziale cessazione di ogni attività dal 2013 sino al fallimento intervenuto nel 2018. Né sono stati forniti dalla difesa elementi di segno contrario, anche in considerazione del fatto che lo stesso imputato, in sede di esame, ha riferito di aver revocato l'incarico del commercialista della società, Dott. (…), a partire dalla fine dell'anno 2013, circostanza successivamente confermata dallo stesso commercialista, il quale, in sede di prova testimoniale, ha affermato che, verso la fine del 2013, gli fu detto dallo SC. di non proseguire con la tenuta della documentazione contabile.

Le emergenze probatorie, dunque, dimostrano che lo SC., successivamente alla messa in liquidazione della società a partire dall'anno 2013, ha omesso di mantenere aggiornate le scritture contabili, sì da rendere gravosa per gli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio sociale e la movimentazione degli affari della società fallita, e ciò in conseguenza della sostanziale cessazione di ogni attività da parte della ditta a cagione della grave esposizione debitoria che la vedeva coinvolta.

La descritta condotta integra certamente l'elemento materiale del reato contestato, atteso che l'interruzione della tenuta delle scritture contabili si sostanzia, in realtà, in un omesso aggiornamento delle stesse dal periodo successivo alla interruzione (2013) sino al fallimento (2018) e, in questi termini, è sussumibile nella bancarotta fraudolenta documentale generica ex art. 216, comma 1, n. 2), secondo periodo, quale tenuta frammentaria e incompleta delle scritture contabili (Cass. n. 4352/2023 cit.).

Difetta, tuttavia, l'elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice contestata.

Invero, lo stesso curatore fallimentare, in sede di prova orale, ha riferito di essere riuscito a ricostruire la movimentazione di affari in relazione alle vendite sottocosto contestate al capo 1) dell'imputazione proprio attraverso l'analisi del libro mastro dell'azienda, atteso che le predette vendite risultavano trascritte nei registri societari; allo stesso modo, il Dott. (…), in sede di prova orale, ha riferito che, successivamente all'avvio della procedura concorsuale, chiese e ottenne dallo SC. la documentazione contabile di cui il medesimo era in possesso riferibile al periodo successivo al 2013, consentendo agli organi fallimentari di ricostruire la situazione patrimoniale e contabile, quantomeno in relazione all'anno 2015. Ebbene, la registrazione delle vendite immobiliari sottocosto nei registri societari e la consegna da parte dello SC. della, ancorché frammentaria, documentazione contabile riferibile al periodo successivo al 2013, sono circostanze che militano nel senso della mancanza di una concreta volontà di impedire agli organi fallimentari di ricostruire la situazione patrimoniale e contabile e la movimentazione degli affari della società da lui amministrata nel periodo compreso tra la messa in liquidazione della società (2013) sino alla dichiarazione di fallimento della stessa (2018).

Tali circostanze, dunque, consentono di ritenere escluso il dolo generico richiesto dal reato contestato.

Nondimeno, il fatto integra gli estremi della bancarotta semplice documentale, dovendosi richiamare il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di bancarotta semplice documentale, l'obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute, trattandosi di reato di pericolo presunto posto a tutela dell'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell'impresa a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie (Cass. pen. sent. n. 20514 del 2019).

L'esclusione di una delle ipotesi di bancarotta impone di escludere l'aggravante si sensi dell'art. 219 L.F.

Riconosciuta la responsabilità penale dell'imputato per il reato contestato nel capo 2. dell'imputazione - come sopra riqualificato - si ritiene che la giusta pena da applicare allo stesso sia quella di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, determinata sulla base del seguente calcolo:

- in applicazione dei criteri previsti dall'art. 133 c.p., si determina la pena base da applicare all'imputato in un anno di reclusione, avuto riguardo all'entità del danno cagionato;

- nondimeno, vanno riconosciute le circostanze attenuanti generiche previste dall'art. 62 bis c.p., tenuto conto del comportamento collaborativo tenuto in sede processuale e dello stato di persona incensurata.

Ai sensi dell'art. 217, c. 3, del R.D. n. 267/1942, all'imputato va applicata la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per la durata di mesi otto.

L'entità della sanzione in concreto comminata, unitamente all'assenza di precedenti penali a carico dell'imputato, giustifica la concessione della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 163 c.p.

All'affermazione della penale responsabilità consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

visti gli artt. 521, 533 e 535 c.p.p., dichiara SC.Mi. colpevole del reato previsto dagli artt. 217, c. 2, e 224, del R.D. n. 267/1942, così diversamente qualificato il fatto contestato nel capo 2. dell'imputazione, ed, esclusa la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 219, c. 2, del R.D. n. 267/1942, in concorso di circostanze attenuanti generiche, per l'effetto lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;

visto l'art. 217, c. 3, del R.D. n. 267/1942, applica a SC.Mi. la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per la durata di mesi otto;

visti gli artt. 163 ss. c.p., ordina che la pena applicata rimanga sospesa alle condizioni e per il termine di legge;

visto l'art. 530, c. 2, c.p.p., assolve SC.Mi. dal reato contestato nel capo n. 1 dell'imputazione, perché il fatto non costituisce reato;

visto l'art. 544, c. 3, c.p.p., indica il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.

Così deciso in Bari il 7 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2023.

bottom of page