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La corte d'appello può revocare il lavoro di pubblica utilità e disporre la sospensione condizionale


Sentenze della cassazione in materia di guida in stato di ebbrezza

La massima

Sì. La corte di cassazione ha affermato che, in tema di disciplina della circolazione stradale, il giudice di appello, su conforme richiesta del condannato, può revocare il provvedimento di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità emesso in violazione del divieto di concessione per più di una volta, stabilito dall' art. 186, comma 9-bis, d.lg. 30 aprile 1992, n. 285 , e disporre la sospensione condizionale della pena, dovendosi considerare come inesistente l'originaria richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva e non sussistendo violazione del divieto di reformatio in peius (Cassazione penale , sez. IV , 16/12/2020 , n. 12970).

Fonte: Ced Cassazione Penale



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La sentenza

Cassazione penale , sez. IV , 16/12/2020 , n. 12970

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso del 9 marzo 2018, con cui P.A. era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto e di Euro duemila di ammenda, con sostituzione della stessa in 188 giorni di lavoro di pubblica utilità presso una Cooperativa Sociale, in relazione al reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e comma 2-sexies, (guida di autovettura in stato di ebbrezza con tasso alcolemico pari a 2,59/2,81 g/l - con l'aggravante di aver commesso il fatto dopo le ore 22.00 e prima delle ore 7.00 - in (OMISSIS)).


La Corte di appello ha escluso la possibilità di concedere le circostanze attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena in considerazione dei tre precedenti specifici, dell'acclarata inefficacia dei percorsi terapeutici eventualmente intrapresi e della mancata dimostrazione dell'avvio di un serio programma terapeutico presso il Serd.


2. Il P., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.


2.1. Violazione dell'art. 186 C.d.S., comma 9 bis.


Si deduce che la Corte di appello ha erroneamente sostituito la pena in lavoro di pubblica utilità nonostante, durante il dibattimento, fosse stata segnalata la pregressa fruizione di tale beneficio da parte del P. in relazione ad altra condanna, come si evinceva dal casellario giudiziale dell'imputato e dalla relazione dell'UEPE di Treviso del 27 luglio 2016.


2.2. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.


Si rileva che la Corte territoriale, nonostante il motivo di appello proposto, non ha esaminato il rilievo circa l'avvenuta sostituzione della pena in lavoro di pubblica utilità in occasione della precedente condanna, bensì solo le richieste di concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, formulate dall'imputato in via alternativa alla detta sostituzione. Peraltro, il diniego di tali benefici era contraddittorio con l'applicazione del lavoro di pubblica utilità nonostante il giudizio si basasse sugli stessi presupposti previsti dall'art. 133 c.p..


3. Nella requisitoria scritta depositata ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, la Procura Generale presso questa Corte deduce la tesi dell'inammissibilità del ricorso per l'evidente carenza di interesse della doglianza difensiva, peraltro ripropositiva di analoga censura già rigettata dalla Corte territoriale con motivazione coerente. Si richiama al riguardo l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui il giudice dell'esecuzione non può revocare il provvedimento di sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità emesso dal giudice di cognizione in violazione del divieto di concessione della sanzione sostitutiva per più di una volta, sancito dall'art. 186 C.d.S., comma 9 bis. Peraltro, la Corte di merito non avrebbe potuto riformare la pena stabilita dal Tribunale, senza violare il principio del divieto della reformatio in peius, stante la mancata impugnazione del P.M..


4. Nella memoria di replica alle conclusioni scritte formulate dalla Procura Generale presso questa Corte, si rileva che, nel disporre la sostituzione, il Tribunale aveva irrogato una pena illegittima, in una violazione dell'art. 186 C.d.S., comma 9 bis.


4.1. Sussiste un interesse ad agire del ricorrente, in quanto, l'applicazione della sostituzione della pena coi lavori di pubblica utilità impedirebbe ogni valutazione circa la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena, trattandosi di istituti giuridici tra loro incompatibili.


Entrambi i gravami erano volti ad evitare il pregiudizio derivante dal rischio per il P. di vedersi revocata da parte del Giudice l'esecuzione la pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità e di ritrovarsi a scontare una condanna, senza poter usufruire della sospensione condizionale della pena. Tale grave situazione avrebbe pregiudicato la sua libertà personale. Detta revoca, peraltro, era prevedibile vista la presenza di decisioni in tal senso da parte di Tribunali di merito. Effettivamente, alcune sentenze della S.C. (Sez. 1, n. 13755 del 21/01/2020, Vinci, Rv. 278897; Sez. 1, n. 17263 del 22/02/2019, Bastelli, Rv. 275243) evidenziano che il giudice dell'esecuzione non potrebbe revocare il provvedimento di sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità, in quanto una simile causa di revoca non é prevista dall'art. 186 C.d.S., comma 9 bis e dalle disposizioni relative al lavoro di pubblica utilità dettate dal D.Lgs. n. 274 del 2000. Ciò, però, non esclude che esso applichi il principio opposto, come poi effettivamente avvenuto nelle fattispecie esaminate dalla Corte di Cassazione.


4.2. In ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche il percorso decisionale della sentenza impugnata era viziato da profili di contraddittorietà o di illogicità e dall'omesso esame dell'errore di applicazione della legge penale in relazione all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis prospettato nell'atto di appello.


La Corte di appello, con evidente illogicità, da un lato ha ritenuto applicabile la sostituzione della pena coi lavori di pubblica utilità, dall'altro ha escluso la possibilità di concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena nonostante tali giudizi si basassero sull'esame degli stessi presupposti, ovvero quelli stabiliti dall'art. 133 c.p..


4.3. Si rileva che il reato si era prescritto in data 2 agosto 2019, per effetto del decorso del termine massimo quinquennale di prescrizione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é fondato.


Appare opportuno, ai fini di una corretta valutazione della consistenza dei due motivi di ricorso, riepilogare in sintesi la vicenda processuale sottoposta all'attenzione di questa Corte.


P.A. era tratto a giudizio in relazione al reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) e comma 2-sexies.


Nel corso del giudizio di primo grado, il P. aveva chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova e, in tale circostanza, emergeva che aveva già fruito in occasione di una precedente condanna del beneficio della sostituzione di pena con l'esecuzione di lavori di pubblica utilità di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis. In sede di conclusioni, il P. chiedeva l'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 186, comma 9-bis, cit. e, tra l'altro, in via subordinata, la concessione della sospensione condizionale e dei benefici di legge.


Il Tribunale di Treviso condannava il P. alla pena di mesi sei di arresto e di Euro duemila di ammenda, sostituita in centottantotto giorni di lavoro di pubblica utilità.


Con l'atto di appello, il P. segnalava che il Tribunale non avrebbe potuto disporre la sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità, in quanto ne aveva già beneficiato in passato e chiedeva la concessione della sospensione condizionale e delle circostanze attenuanti generiche.


La Corte di appello ha confermato la pronunzia del Tribunale, denegando i benefici richiesti con l'atto di appello e non emettendo nessuna statuizione in relazione alla già disposta sostituzione del lavoro di pubblica utilità.


2. Alla luce di quanto sopra esposto, va evidenziato ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 9 bis che "(...) Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta (...)". Per tale ragione, il Tribunale non avrebbe potuto disporre il lavoro di pubblica utilità, essendo stato accertato che il P. ne aveva già fruito in occasione di un precedente procedimento penale.


In realtà, il P. aveva chiesto la condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità in sede di conclusioni nel giudizio di primo grado, ma certamente tale istanza doveva considerarsi tamquam non esset, in quanto relativa a pena da considerare illegale, perché preclusa dalla pregressa fruizione di analogo beneficio.


Il P., d'altronde, evidenziava la natura illegale della pena irrogata del lavoro di pubblica utilità nell'atto di appello, rilievo che forma specifico oggetto di motivo del ricorso per Cassazione, contenente per l'appunto la richiesta di rivedere tale statuizione.


Come evidenziato nella memoria di replica alla requisitoria scritta della Procura Generale presso questa Corte, sussiste un interesse del P. ad eliminare detta pena.


Tale interesse emerge dai seguenti fattori: a) il vantaggio che deriverebbe dall'applicazione di una pena ordinaria, suscettibile di essere condizionalmente sospesa, a differenza della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità; b) la legittima pretesa di vedersi concretamente irrogare una pena consentita dall'ordinamento; c) l'eliminazione del rischio di possibili conseguenze pregiudizievoli in sede esecutiva, quale l'eventualità di una revoca dell'applicazione di tale istituto da parte del giudice dell'esecuzione perché contra legem.


In relazione al punto sub lett. c), infatti, va richiamato l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di disciplina della circolazione stradale, il giudice dell'esecuzione non può revocare il provvedimento di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità emesso dal giudice della cognizione in violazione del divieto di concessione della sanzione sostitutiva per più di una volta, stabilito dall'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, atteso che una simile causa di revoca non é prevista né da tale norma né dalle disposizioni relative al lavoro di pubblica utilità dettate dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, cui la stessa fa riferimento (Sez. 1, n. 13755 del 21/01/2020, Vinci, Rv. 278897, in motivazione si é precisato che l'unica ipotesi prevista dalla norma per la revoca della pena sostitutiva é quella della violazione degli obblighi assunti; Sez. 1, n. 17263 del 22/02/2019, Bastelli, Rv. 275243).


Non si pone neanche un problema di violazione del divieto di reformatio in peius.


Effettivamente, questa Corte ha già affermato che é illegittima, per violazione del divieto di reformatio in peius, sancito dall'art. 597 c.p.p., comma 3, la statuizione con la quale il giudice di appello, a seguito di impugnazione proposta dal solo imputato, revoca la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, quand'anche sia stata erroneamente applicata in primo grado (Sez. 4, n. 47898 del 24/10/2013, Monzani, Rv. 258096, in fattispecie in tema di lavoro di pubblica utilità comminato ai sensi dell'art. 156 C.d.S., comma 9-bis). Nella fattispecie in esame, però, pur non essendo stata proposta impugnazione da parte del P.M., comunque la richiesta di eliminare la pena illegale proviene dallo stesso imputato, per cui non si determina nessun effetto negativo nei suoi confronti, essendogli riconosciuta la facoltà di privilegiare l'applicazione dell'uno o dell'altro istituto, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge.


3. In conseguenza dell'assoluta ininfluenza della richiesta di condanna a pena sostitutiva in sede di conclusioni in primo grado, deve escludersi che essa potesse precludere la facoltà di domandare la sospensione condizionale della pena.


Al riguardo, la Corte territoriale non ha concesso la sospensione condizionale e le circostanze generiche, svolgendo valutazioni sulla non meritevolezza di tali benefici. Tuttavia, alla luce dell'esigenza di irrogare una pena ordinaria, l'intero iter della commisurazione della pena deve ritenersi travolto e, conseguentemente, il giudice del rinvio dovrà eseguire un rinnovato esame di tutti i criteri commisurativi della pena e stabilire se eventualmente concedere i benefici richiesti dal P. con l'atto di appello e col ricorso in Cassazione.


Questo Collegio tiene ben presente i condivisibili principi giurisprudenziali, secondo cui la richiesta della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, implica la tacita rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena eventualmente concesso in precedenza, stante la incompatibilità tra i due istituti (Sez. 4, n. 36783 del 09/12/2020, Caltis, Rv. 280086). Nella fattispecie, si ribadisce, non ricorre nessuna problematica di interferenza tra loro, per la sostanziale "inesistenza" della richiesta di applicazione della pena sostitutiva e, in ogni caso, per la formulazione della richiesta di sospensione condizionale in via subordinata. Per le medesime ragioni, la natura maggiormente favorevole dell'istituto pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis rispetto al beneficio della sospensione condizionale della pena appare del tutto ininfluente (Sez. 3, n. 20726 del 07/11/2012, dep. 2013, Cinciripini, Rv. 254997).


In proposito, appare altresì opportuno precisare che la richiesta di riconoscimento della sospensione condizionale può essere valutata solo in sede di cognizione. Secondo un recente indirizzo di questa Corte, infatti, il giudice dell'esecuzione, nel procedere alla revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità (nella specie concessa ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 9 bis) ed al conseguente ripristino della pena originariamente sostituita in sede di cognizione, non può contestualmente disporre la sospensione condizionale della pena ripristinata, ostandovi, in difetto di un'espressa disposizione di legge in tal senso, l'intangibilità del giudicato (Sez. 1, n. 21547 del 06/07/2020, Valente, Rv. 279372).


4. La richiesta - formulata nella memoria difensiva - di emissione di sentenza di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato contestato va respinta.


Per il principio della formazione progressiva del giudicato, infatti, qualora l'imputato abbia impugnato la sentenza di condanna limitatamente alla misura della pena, l'aspetto relativo all'affermazione della sua responsabilità penale é coperto dal giudicato, sicché nel corso del giudizio di impugnazione non sono più rilevabili sopravvenute cause di estinzione del reato (Sez. 6, n. 13416 del 21/10/1998, D'Amore, Rv. 213900, nella specie, l'imputato, condannato in primo grado, aveva proposto appello limitatamente al punto sulla pena, e, nel successivo giudizio di Cassazione, il P.M., aveva concluso per la declaratoria di estinzione del reato, stante il compimento del termine di prescrizione del reato, intervenuto successivamente alla pronuncia di secondo grado).


Nel caso in esame, analogo a quello del precedente giurisprudenziale appena riportato, il P. aveva proposto appello limitatamente alla richiesta di concessione dei predetti benefici di legge, per cui la sentenza di primo grado era divenuta irrevocabile in ordine all'affermazione di responsabilità, precludendo quindi la possibilità di considerare il tempo trascorso nelle ulteriori fasi del giudizio, ai fini della declaratoria di prescrizione.


5. Per le ragioni suesposte, alla luce del riscontrato errore di diritto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, perché proceda a nuova decisione sul punto nel rispetto dei principi giurisprudenziali sopra enunciati e affinché - con piena libertà di giudizio - riesamini esclusivamente il complessivo trattamento sanzionatorio.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Venezia.


Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021



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