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Truffa: vende l'auto subito dopo l'alcoltest per evitare la confisca, assolto


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Non integra il delitto di truffa la condotta del soggetto che, subito dopo avere appreso l'esito dell'alcoltest al quale era stato sottoposto, venda simulatamente il proprio autoveicolo al fine di sottrarlo alla confisca conseguente all'accertamento del reato di cui all' art. 186 cod. strada, in ragione dell'assenza di un danno patrimoniale per la pubblica amministrazione costituente conseguenza immediata e diretta della condotta decettiva, attesa la necessità di emanazione di un ulteriore provvedimento avente natura sanzionatoria. (Cassazione penale, sez. II, 24/09/2019, n. 5489).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale, sez. II, 24/09/2019, n. 5489

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice dell'appello cautelare reale, ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza 21 febbraio 2019 del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Teramo con la quale era stata rigettata la richiesta di convalida del sequestro preventivo operato di dalla PG relativo ad una automobile a bordo della quale l'indagato era stato trovato in stato di ebbrezza e che risulta venduta il giorno stesso della notificazione degli esiti dell'alcoltest all'indagato medesimo.


2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo lamentando inosservanza ed erronea applicazione di legge con riferimento al delitto di tentata truffa aggravata. Secondo il ricorrente, la disposizione patrimoniale integrante il delitto di truffa non dovrebbe necessariamente configurarsi come atto negoziale ma potrebbe manifestarsi anche attraverso un permesso o un assenso, una mera tolleranza, una traditio, un atto materiale o un fatto omissivo (in ciò richiamandosi alla sent. 155/2011 delle Sezioni Unite di questa Corte). Nel caso di specie, sussisterebbe un'azione svolta all'interno della sfera patrimoniale aggredita, causata da errore e produttiva di danno ingiusto profitto. In particolare, tale atto volontario sarebbe costituito dal fatto che si sarebbe cercato di evitare che l'operante di PG provvedesse al sequestro del bene ingenerando l'erronea convinzione della sussistenza di una preclusione normativa costituita dalla altruità del bene. Aggiunge il ricorrente che il caso in esame riguarderebbe l'esistenza di una situazione che abbia comportato la rinuncia alla realizzazione della pretesa patrimoniale da parte del soggetto pubblico incaricato di azionare il credito e quindi sarebbe sanzionabile secono consolidata giurisprudenza di legittimità (in ciò richiamandosi alle sentenze 39895/2015 di questa sezione e 21307/2005 della quinta sezione.


3. Con memoria depositata in udienza, la difesa P. ha di fatto contestato i presupposti di fatto della richiesta del PM affermando che le dichiarazioni della acquirente sarebbero state coartate e comunque assunte senza la presenza del difensore.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.


2. Secondo la prospettazione accusatoria, l'indagato avrebbe simulatamente venduto l'automobile ad una persona compiacente - come del resto confermato dal simulato acquirente - per evitare la confisca del bene stesso. Ne consegue che l'atto dispositivo ritenuto qualificante ai fini della truffa sarebbe l'omessa confisca da parte della polizia giudiziaria dell'automobile e il danno altrui si ricollegherebbe alle utilità patrimoniale che, all'esito della conseguente vendita del bene, la pubblica amministrazione avrebbe potuto ottenere.


3. Tale ricostruzione evidenzia come, pur sussistendo pacificamente un ingiusto profitto a favore dell'indagato in conseguenza della falsa rappresentazione creata per effetto di una vendita simulata, manchi nel caso di specie un atto di disposizione patrimoniale immediatamente produttivo di effetti sfavorevoli alla persona offesa dal delitto quale conseguenza diretta ed immediata degli artifici e raggiri.


3.1. Anche volendo aderire alla prospettazione del Pubblico Ministero ricorrente, ostativo all'accoglimento del ricorso è il fatto che nel caso di specie l'utilità patrimoniale omessa non è direttamente ricollegabile alla condotta decettiva. In sostanza, gli artifizi e raggiri indubbiamente posti in essere non hanno determinato ex se un danno patrimoniale alla P.A. in quanto questa - sulla base della situazione per come risultante dal PRA - avrebbe dovuto emettere un ulteriore provvedimento avente - fra l'altro - natura - sanzionatoria. Proprio tale carattere del resto spiega la distanza tra la fattispecie de qua e quelle relative alle pronunce che si sono occupate partitamente del tema (La falsificazione di mandati di pagamento bel caso affrontato da Sez. 6, Sentenza n. 31243 del 04/04/2014 Rv. 260505 - 01; l'immediato mancato introito da parte dell'erario o della PA in generale nella vicenda affrontata dalla pronuncia delle sezioni unite di questa Corte richiamata dal ricorrente. In sostanza, va ribadito il principio per cui, nell'ipotesi di truffa, il "danno patrimoniale" che può essere preso in considerazione è solo quello che è conseguenza immediata e diretta del reato, con esclusione di ogni altro elemento, pregiudizio o circostanza successiva al reato medesimo (Sez. 2, Sentenza n. 8795 del 21/06/1985 Rv. 170630-01).


4. Le sopra esposte considerazioni determinano il rigetto del ricorso.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.


Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020



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