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Abuso d'ufficio: non esclude il dolo la compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso d'ufficio, l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale.

Fonte: CED Cassazione Penale 2020



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 17/09/2019 , n. 51127

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 novembre 2018 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti di C.G., condannato alla pena di anno uno e mesi due di reclusione perchè ritenuto responsabile, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Botricello, dei reati, tra loro unificati dalla continuazione, di concorso nel tentativo di abuso d'ufficio in danno di B.B., titolare di un'attività commerciale in Botricello, e di abuso d'ufficio per averle intenzionalmente arrecato un danno ingiusto, consistito nel mancato ottenimento dei proventi derivanti dalla sua attività commerciale (capi A) e B).

1.1. Con la medesima pronuncia, inoltre, il C. veniva condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, mentre il coimputato V.A., Assessore componente la Giunta del medesimo Comune, veniva, in riforma della sentenza di primo grado, assolto perchè il fatto non costituisce reato.

1.2. Si contestava al predetto imputato, in particolare, di avere, in concorso con il V. ed altri Assessori comunali, intenzionalmente agito al fine di danneggiare B.B. - titolare di un bar che aveva fatto richiesta di rilascio di un'autorizzazione temporanea per l'occupazione, nei mesi estivi, di una strada comunale per l'intera carreggiata (da adibire a spazio strumentale all'esercizio della sua attività commerciale attraverso il posizionamento in loco di alcuni tavolini, sì come già avvenuto in passato quale destinataria di analoghi provvedimenti di concessione da parte delle precedenti amministrazioni) -, formando ed approvando in data 17 giugno 2010, assieme agli altri assessori comunali (tutti assolti in primo grado per la ritenuta assenza dell'elemento soggettivo), una delibera (n. 68) volta a limitare la quantità di spazio pubblico da concedere ai privati e, solo il C., per avere successivamente adottato l'ordinanza sindacale del 24 giugno 2010 (n. 25) che disponeva il divieto assoluto di occupazione dell'intera carreggiata di qualunque strada comunale, così imponendo al responsabile dell'area tecnica di emettere un provvedimento di diniego circa la richiesta avanzata dalla B.: provvedimenti, questi, ritenuti illegittimi dal T.A.R. con ordinanza del 22 luglio 2010 ed emessi travalicando la competenza per materia del Consiglio comunale, nonchè in contrasto con il regolamento comunale approvato dallo stesso Consiglio il 30 aprile 2010, che, pur limitando l'occupazione ad uso privato delle strade comunali a metà della carreggiata, escludeva da tale nuova disposizione le domande pregresse, come quella presentata dalla persona offesa.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore del C. deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione, anche per travisamento delle prove orali e documentali, in ordine ai criteri di accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità, attesa l'estraneità del ricorrente ai fatti contestati.

Dalle dichiarazioni del teste C.L., all'epoca dei fatti Segretario comunale, emerge infatti che l'unico scopo degli amministratori pubblici era quello di risolvere, sulla base di criteri oggettivi e validi per tutti, le criticità presentatesi nelle concessioni relative all'occupazione del suolo pubblico a causa della genericità del vecchio regolamento, senza alcun intento persecutorio nei confronti della B..

Anche il teste V.A., inoltre, aveva fatto riferimento alla volontà dell'amministrazione di risolvere la problematica dell'occupazione del suolo pubblico sin dalla stesura del programma elettorale, avallando la legittimità dell'operato dell'ente sotto il profilo della emanazione di atti amministrativi di indirizzo e a carattere generale. Dato, questo, emergente anche dall'analisi del documento relativo al programma elettorale, il cui contenuto rifletteva l'impegno degli amministratori di redigere un nuovo regolamento comunale.

Ulteriori vizi della motivazione vengono evidenziati in relazione: a) alle risultanze della testimonianza del tecnico comunale G.M., che non ha mai riferito di aver subito pressioni dal Sindaco in ordine alla concessione relativa all'istanza presentata dalla B.; b) al contenuto della Delib. n. 68 del 2010, che era un atto di indirizzo di competenza della Giunta comunale in materia di occupazione di suolo pubblico, privo di qualsiasi finalità coercitiva o vessatoria nei confronti della B., adottato al solo fine di colmare le lacune del vecchio regolamento comunale n. 53 del 1995; c) al contenuto dell'ordinanza sindacale n. 25 del 2010, legittimamente adottata in vista dell'imminente sopraggiungere della stagione estiva e non al fine di opporre un ostacolo all'iter procedimentale relativo all'istanza della persona offesa, tanto che venne positivamente vagliata e confermata anche con una ordinanza del T.A.R. della Calabria; d) alla ritenuta configurabilità di un dolo intenzionale, quando gli atti amministrativi sono stati invece adottati nell'esclusivo interesse della collettività; e) allo stato di morosità in cui la B. versava per l'omesso pagamento del corrispettivo dovuto al Comune per la concessione del suolo pubblico, circostanza, questa, che ben avrebbe potuto essere sfruttata dagli amministratori - così come previsto dal vecchio regolamento comunale - per rigettare la sua istanza di concessione, se realmente vi fosse stato un intento persecutorio nei suoi confronti; f) al fatto che anche ad altri esercizi commerciali della zona non è stata concessa l'occupazione di intere carreggiate, in applicazione dei criteri oggettivi previsti dall'art. 3 del nuovo regolamento.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Infondate, sin quasi a lambire i margini dell'inammissibilità, devono ritenersi le ragioni di doglianza oggetto dei su esposti motivi di ricorso, in quanto sostanzialmente orientate a riprodurre una serie di deduzioni ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle correlative risultanze processuali, poichè imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione.

Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella d'appello, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei su indicati temi d'accusa ed ha, inoltre, puntualmente disatteso la diversa impostazione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai pertinenti passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella prima decisione, le numerose risultanze offerte dalle specifiche e convergenti fonti di prova - sia di natura orale che documentale - partitamente individuate ai fini dell'accertamento delle correlative condotte delittuose.

In tal senso risultano illustrati, con logica coerenza e completezza argomentativa, i passaggi motivazionali esplicativi: a) della ritenuta illegittimità, da parte del T.A.R. Calabria (pronunziatosi con ordinanza del 22 luglio 2010 sul ricorso proposto dall'odierna parte civile), sia del provvedimento di diniego della richiesta di occupazione temporanea di suolo pubblico che di ogni altro atto presupposto e collegato (dunque dell'ordinanza sindacale n. 25 del 2010 e della precedente delibera della Giunta comunale n. 68 del 2010), sull'assunto che la richiamata delibera di Giunta risultava invasiva delle attribuzioni regolamentari del Consiglio comunale, in quanto non costituiva un atto di indirizzo, sì come attestato nel relativo provvedimento, ma un atto normativo; b) del fatto che proprio tale delibera era stata richiamata nel provvedimento di rigetto dell'istanza avanzata dalla B.; c) del fatto che l'istanza della B. era l'unica depositata che riguardava l'occupazione dell'intera carreggiata; d) della sopravvenuta, conseguenziale, inefficacia di fatto della Delib. n. 25 del 2010 (con la quale si disponeva il divieto assoluto di chiusura di occupazione dell'intera carreggiata di qualunque strada del territorio comunale e dei relativi marciapiedi), con riferimento anche al diverso ambito del rilascio della concessione di suolo pubblico, perchè esorbitante dalla competenza del Sindaco a discapito di quella consiliare; e) del fatto che il C., in più occasioni, ebbe chiaramente a manifestare, non solo alla B., ma anche al marito ( Ga.Um.) - che non aveva sostenuto il Sindaco in sede elettorale - ed al R.V. (legale di fiducia dei predetti coniugi e vice-Sindaco sino alla data del 9 giugno 2010), la finalità ritorsiva del suo operato, collegando la vicenda relativa al mancato rilascio del richiesto provvedimento al fatto di non avere ricevuto dal Ga. un adeguato sostegno in occasione delle precedenti consultazioni elettorali; f) della conseguente strumentalizzazione delle sue attribuzioni istituzionali in materia di traffico e sicurezza della circolazione stradale al fine di ostacolare lo svolgimento dell'iter procedimentale che interessava la richiesta della B., tanto che il provvedimento di rigetto dell'istanza di occupazione di suolo pubblico da lei formulata si fondava proprio sull'ipotizzato contrasto dell'atto concessorio sia rispetto alla deliberazione di Giunta che alla relativa ordinanza sindacale; g) delle ragioni giustificative della ritenuta attendibilità, intrinseca ed intrinseca, delle dichiarazioni testimoniali rese dalla B., peraltro ampiamente confermate dalla richiamata documentazione e dai precisi, ed univocamente convergenti, elementi di riscontro provenienti dalle deposizioni rese dal coniuge e dal R. (persona, quest'ultima, del tutto estranea alla vicenda in esame e particolarmente qualificata, ai fini della circostanziata conoscenza dei fatti, in ragione delle funzioni di vice-Sindaco all'epoca rivestite, oltre che, sì come rimarcato dalla impugnata decisione, per la sua appartenenza allo stesso schieramento politico dell'imputato).

2. Del tutto coerenti con le risultanze del compendio probatorio, sì come prospettate ed univocamente apprezzate nelle conformi decisioni di merito, devono ritenersi, pertanto, le conclusioni ivi raggiunte in merito alle connotazioni specificamente assunte dal comportamento posto in essere dal Sindaco nella intera vicenda storico-fattuale oggetto dei correlativi temi d'accusa, in quanto esorbitante dalla propria competenza funzionale e di fatto incidente su una materia esclusiva del Consiglio comunale, con l'intento, palesemente esplicitato, di danneggiare l'istante per evidenti finalità ritorsive, le cui illecite ragioni sottostanti le erano state parimenti rese note, ponendo nel nulla le disposizioni del regolamento comunale approvato il 30 aprile 2010, là dove, pur limitandosi l'occupazione ad uso privato delle strade comunali a metà della carreggiata, si escludevano correttamente dal novum normativo le domande pregresse, come quella nel caso di specie presentata dalla persona offesa.

A fronte della motivata valutazione di inattendibilità - già effettuata nel giudizio di primo grado - delle dichiarazioni rese dal responsabile del settore comunale competente per la pratica relativa all'istanza presentata dalla persona offesa ( G.M.), la sentenza impugnata ha richiamato il conforme epilogo decisorio di primo grado, i cui puntuali passaggi motivazionali avevano chiaramente posto in evidenza: a) che l'obiettivo programmatico perseguito dall'amministrazione comunale in merito alla modifica della disciplina delle occupazioni di suolo pubblico aveva trovato la sua espressione con l'adozione del nuovo regolamento; b) che la relativa norma transitoria, tuttavia, non si prestava ad equivoci, stabilendo che alle domande presentate nella vigenza del pregresso regolamento - che nulla disponendo sulla quantità di suolo occupabile non impediva l'integrale occupazione di una strada comunale, tanto che la B. ne aveva fruito per oltre un decennio - doveva applicarsi la previgente disciplina regolamentare; c) che gli atti amministrativi su menzionati, in linea con il dichiarato intento ritorsivo, miravano ad anticipare anche alle domande pregresse l'applicazione di limiti di superficie che il precedente regolamento non prevedeva, in tal guisa condizionando, peraltro, l'autonomo esercizio dei poteri propri del settore tecnico, ove si consideri che il diniego opposto all'istanza di occupazione di suolo pubblico si fondava proprio sull'asserito contrasto con il divieto previsto dall'ordinanza sindacale n. 25/2010 (di per sè priva dei presupposti fattuali che ne avrebbero dovuto legittimare in concreto l'adozione), la quale a sua volta richiamava, sul punto, il contenuto della precedente Delib. di Giunta n. 68/2010.

Aspecificamente formulati, poi, devono ritenersi, alla luce della condivisa impostazione ricostruttiva linearmente seguita dai Giudici di merito, i prospettati vizi di travisamento della prova(v., in narrativa, il par. 2), che da un lato non chiariscono sotto quale profilo i richiamati passaggi delle relative deposizioni testimoniali possano considerarsi decisivi al fine di invalidare il risultato probatorio nel quadro di una, radicalmente difforme, ricostruzione dei fatti oggetto dei correlativi temi d'accusa, dall'altro lato omettono di indicare quale diversa interpretazione del contributo dichiarativo reso dai testi sopra indicati i Giudici di merito avrebbero dovuto concretamente ricavare dai risultati offerti dalla disamina delle rispettive deposizioni.

Al riguardo, invero, questa Suprema Corte (ex multis cfr. Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087) ha stabilito il principio secondo cui il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima.

3. La sentenza impugnata, dunque, ha fatto buon governo dei principii al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251498), secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poichè lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione.

Deve altresì ribadirsi che l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, per escludere la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca - ciò che, per quanto su esposto, non si è verificato nel caso di specie - l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale (Sez. 6, n. 7384 del 19/12/2011, dep. 2012, Porcari, Rv. 252498).

Si è dinanzi, in definitiva, ad un quadro argomentativo logicamente articolato nelle premesse e nelle relative conclusioni, esulando, come è noto, dai poteri di questa Suprema Corte quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali dal ricorrente ritenute più adeguate (Sez. Un., n. 6402 del 2 luglio 1997, Dessimone, Rv. 207944).

La Corte di cassazione, infatti, non può sostituire una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, dovendo saggiare la tenuta logica della pronuncia sottoposta alla sua cognizione senza oltrepassare i limiti di un accertamento della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, accertamento che deve necessariamente condursi alla stregua degli stessi parametri valutativi che geneticamente le danno corpo, ancorchè questi siano, in ipotesi, sostituibili da altri.

Nel caso di specie, invero, l'adeguatezza e logicità della motivazione della sentenza impugnata non sono state minimamente aggredite dai ricorrenti, limitatisi a prospettare critiche ed obiezioni rispetto alle valutazioni dalla Corte d'appello rese in ordine alla fondatezza ed ai risultati del materiale probatorio sottoposto al suo esame, delineandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, la cui rivisitazione, come già osservato, non è in alcun modo percorribile in questa Sede.

4. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del C. al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla costituita parte civile, che si liquidano, avuto riguardo alla natura e all'entità delle questioni oggetto di controversia, secondo le correlative statuizioni in dispositivo enunciate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile B.B., che si liquidano in Euro 3.500,00 oltre ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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