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Abuso d'ufficio: per l'attenuante della particolare tenuità non va valutata solo l'entità del danno


Corte di Cassazione

La massima

In tema di reati contro la pubblica amministrazione, l'attenuante speciale prevista dall' art. 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all' art. 62, comma primo, n. 4 c.p. , ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato. (Fattispecie in cui la Corte, in tema di corruzione e accesso abusivo a un sistema informatico, ha ritenuto esente da censure la decisione con cui era stata negata tale attenuante per l'oggettiva gravità del danno recato all'immagine della pubblica amministrazione e alla segretezza delle indagini della polizia giudiziaria.

Fonte: CED Cassazione Penale 2019



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 09/11/2018 , n. 8295

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 8 gennaio 2018 la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione di condanna emessa all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, dichiarando non doversi procedere nei confronti di D.F.G. per i reati (capi sub B) e D) di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio ed accesso abusivo al sistema dell'archivio informatico interforze del Ministero dell'Interno (S.D.I.), perchè estinti per intervenuta prescrizione limitatamente alle condotte commesse in epoca precedente alla data dell'(OMISSIS).


Esclusa, inoltre, quanto al capo sub D), l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2 e ritenute le già concesse attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, la Corte d'appello ha rideterminato le pene, nei confronti del D.F., in anni tre di reclusione e nei confronti di S.N., imputato per gli analoghi reati di cui all'art. 81 c.p., art. 110 c.p., art. 615-ter c.p., comma 2, n. 1 e comma 3 (capo sub a) e art. 81 cpv. c.p., art. 319 c.p., art. 321 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo sub b), in anni due e mesi sei di reclusione, con la conferma nel resto della sentenza impugnata, eliminando per entrambi le pene accessorie.


1.1. I Giudici di merito hanno dichiarato la penale responsabilità dei predetti imputati ritenendo accertati i fatti oggetto dei relativi temi d'accusa sulla base di un compendio probatorio costituito, in particolare, da elementi documentali e dichiarativi rappresentati dalle dichiarazioni di B.I. - funzionario della Polizia di Stato con la qualifica di sostituto Commissario e Dirigente dell'Ufficio del personale, in servizio presso la Questura di (OMISSIS) - e di D.F.G., intermediario ed esecutore degli accordi corruttivi intercorsi con il primo, in relazione ad una lunga serie di accessi abusivamente operati sul predetto sistema informatico, in realtà consultabile solo per esigenze di servizio e di polizia giudiziaria, al fine di effettuarvi delle interrogazioni volte ad acquisire dati ed informazioni non ostensibili, nell'interesse di soggetti privati a vario titolo rivoltisi al D.F. per sollecitarne l'acquisizione, nonchè in relazione ad una serie di interrogazioni analogamente richieste al predetto pubblico ufficiale da S.N., investigatore privato titolare di un'agenzia operante in (OMISSIS) ed in (OMISSIS), a fronte della consegna di somme di danaro pari ad importi variabili nell'ordine di Euro 50,00/Euro 100,00 (per ciascuna interrogazione).


2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di D.F.G., deducendo tre motivi di doglianza il cui contenuto viene qui seguito sinteticamente illustrato.


2.1. Con il primo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento alla indeterminatezza dei capi d'imputazione enucleati sub b) - accesso abusivo al sistema informatico - e sub d) - corruzione - della richiesta di rinvio a giudizio, rispondendo il D.F. di un numero indeterminato di accessi posti in essere dal correo B., alcuni dei quali effettuati anche su richiesta dello stesso D.F., con la conseguente impossibilità - diversamente da quanto accaduto negli specifici capi d'imputazione contestati ai correi S. e B. (la cui posizione è stata separatamente definita) di difendersi per l'omessa indicazione sia dei soggetti che avrebbero beneficiato degli accessi abusivi che dei momenti consumativi dei singoli episodi corruttivi.


2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazioni di legge e vizi di mancanza della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e all'art. 323-bis c.p., avuto riguardo alla minore intensità lesiva - anche sotto il profilo del danno patrimoniale - della condotta tenuta dal D.F. rispetto a quella di altri imputati, sia in ragione del limitato numero di episodi accertati che per il ruolo marginale ed occasionale da lui rivestito nella vicenda.


2.3. Con il terzo motivo si censurano ulteriori violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento al divieto di reformatio in peius per la quantificazione dell'aumento di pena operato a titolo di continuazione fra il più grave reato di corruzione e quello di cui all'art. 615-ter c.p., contestato al capo A), dal Giudice di primo grado quantificato nella misura di mesi sei di reclusione (calcolo in cui era ricompreso sia il reato di corruzione che quello di accesso abusivo al sistema informatico), laddove l'aumento operato dal Giudice di secondo grado è stato quantificato sempre nella stessa misura, pur a fronte del ritenuto unico reato di corruzione, con pena base fissata nel minimo.


3. I difensori di S.N. hanno proposto ricorso deducendo sette motivi di doglianza il cui contenuto viene qui seguito sinteticamente illustrato.


3.1. Con il primo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento alla eccezione di nullità del decreto ammissivo del giudizio abbreviato, muovendo dall'assunto che il G.u.p., dopo una richiesta di incidente probatorio formulata dal P.M. in merito all'audizione del coimputato B., aveva erroneamente interpellato le parti rivolgendo ai loro difensori un invito ad esprimere la scelta di eventuali riti alternativi, con la conseguenza che l'imputato, per non decadere dalla relativa facoltà processuale, aveva formalizzato la richiesta di rito abbreviato senza poter conoscere la decisione sulla già avanzata richiesta di incidente probatorio, alla quale, peraltro, il P.M. rinunziava a seguito della scelta difensiva al riguardo operata, senza che il Giudice potesse in alcun modo pronunziarsi sull'assunzione dell'atto, rilevante per la posizione del S..


3.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine all'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la mancanza dell'avviso di chiusura delle indagini, atteso che nel relativo avviso di conclusione ex art. 415-bis c.p.p., comparivano quali soggetti indagati unicamente il S. e B.I., laddove la successiva richiesta di rinvio a giudizio veniva dal P.M. emessa nei confronti di tre persone (oltre alle due su menzionate, vi si aggiungeva il D.F.), con la conseguente rilevata discrasia fra l'avviso di chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio, che avrebbe precluso l'esercizio del diritto di difesa a causa della mancata conoscenza della presenza di un terzo indagato per fatti di reato strettamente connessi nell'ambito del medesimo procedimento. La violazione dell'art. 415-bis c.p.p., secondo il ricorrente, ha comportato la nullità della richiesta di rinvio a giudizio che, a sorpresa, avrebbe disvelato l'ipotesi accusatoria formulata dal P.M. rimanendo inficiata da un vizio assimilabile all'assenza dell'avviso.


3.3. Con il terzo motivo si censurano violazioni di legge ex art. 103 c.p.p., e vizi della motivazione con riferimento alla eccezione di nullità delle copie forensi eseguite su computer sequestrati anche nei confronti di soggetti estranei all'inchiesta (presso l'abitazione privata del S.A.) ed alla conseguente inutilizzabilità della prova in tal modo acquisita, avendo la Corte distrettuale erroneamente ritenuto di attribuire all'imputato l'uso del personal computer del figlio e omesso di espungere dal compendio probatorio atti - ad es., mail rinvenute dall'analisi delle copie forensi dei computer - illegittimamente posti alla base del giudizio di colpevolezza dell'imputato.


3.4. Con il quarto motivo si censura la mancanza di motivazione riguardo alle doglianze dalla difesa mosse in punto di accertamento della penale responsabilità nel motivo n. 3 dell'atto di appello, aventi ad oggetto, in particolare: a) la mancanza di contatti fra l'imputato e i dichiaranti D.F. e B.; b) la commistione delle condotte riferite all'imputato con quelle riguardati il figlio, S.A., entrambi titolari di distinte agenzie investigative private; c) l'archiviazione della posizione di quest'ultimo; d) il rinvenimento della documentazione nel solo computer di proprietà del figlio; e) l'assenza di correlazione temporale fra le date degli accessi al sistema informatico e i documenti rinvenuti nei due computer in uso esclusivo a ciascuno dei S.; f) la mancanza di riscontri anche riguardo alle annotazioni contenute nell'agenda del pubblico ufficiale (nel senso che non sarebbe rinvenibile alcuna concordanza tra la documentazione rinvenuta nel computer, i giorni delle interrogazioni e le annotazioni rilevate nell'agenda); g) il fatto che talune informazioni rinvenute nei computer dei S. sarebbero limitate a dati non esclusivi dell'archivio informatico del Ministero dell'Interno.


La prova della penale responsabilità, si sottolinea nel ricorso, è stata desunta dalle dichiarazioni accusatorie del B. e del D.F., che nulla dicono rispetto ai singoli episodi corruttivi contestati, peraltro connotati da evidenti discrepanze, anche cronologiche, rispetto ad ulteriori atti del giudizio, alcuni dei quali riconducibili al solo S.A..


3.5. Con il quinto motivo si lamenta la contraddittorietà della motivazione con riferimento alla individuazione del momento consumativo del reato di cui all'art. 319 c.p., che i Giudici di merito erroneamente collocano alla data del compimento dell'ultimo atto corruttivo, rappresentato da un accesso abusivo del (OMISSIS), pur nell'assenza di qualsiasi elemento di riscontro circa le date dei versamenti di denaro e sebbene il delitto contestato si perfezioni con l'accettazione della promessa, ovvero con la dazione-ricezione dell'utilità, tenuto conto del fatto che, sulla base delle annotazioni presenti nell'agenda del pubblico ufficiale, l'ultima delle ipotizzate dazioni si sarebbe verificata il (OMISSIS). Ne discende, quale logico corollario, che al S. avrebbe dovuto applicarsi il trattamento sanzionatorio antecedente la L. 6 novembre 2012, n. 190. Un ulteriore aspetto di contraddittorietà viene colto con riferimento al ritenuto carattere istantaneo o permanente della fattispecie a seconda che la stessa si riferisca al S. ovvero al D.F.: per quest'ultimo, infatti, la prescrizione è stata dichiarata con riferimento alle condotte commesse fino all'(OMISSIS), mentre per le analoghe condotte attribuite al S. se ne dichiara il carattere permanente, escludendosi per conseguenza la prescrizione.


3.6. Con il sesto motivo si deduce la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale in ordine alla contestazione delle aggravanti ad effetto speciale di cui all'art. 615-ter c.p., comma 2, n. 1, e comma 3, oltre all'erronea contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, con riferimento alla condotta di corruzione propria antecedente di cui agli artt. 319 e 321 c.p., muovendo dal duplice assunto: a) che la qualifica di pubblico ufficiale del soggetto corrotto, che connota il reato di cui all'art. 319 c.p., non può essere nuovamente valutata quale fattispecie aggravante rispetto all'atto antidoveroso commesso, rappresentato nel caso di specie dalla susseguente condotta di accesso abusivo ad un sistema informatico di interesse pubblico da parte di un pubblico ufficiale, sulla base dell'art. 615-ter c.p., comma 2, n. 1 e comma 3; b) che l'aggravante del nesso teleologico non può essere applicata al delitto di corruzione poichè il reato di accesso abusivo è stato commesso in immediata esecuzione dell'accordo corruttivo ed in forma intrinsecamente espressiva della violazione dei doveri d'ufficio.


Ne discende l'erronea esclusione dell'applicazione del giudizio di bilanciamento delle su indicate aggravanti con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, il cui effetto positivo potrebbe comportare una rideterminazione della pena in ragione della loro massima estensione ex art. 65 c.p., n. 3.


3.7. Con il settimo motivo, infine, si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione sia con riferimento alla mancata considerazione delle obiezioni difensive circa la chiamata in correità del S. (in quanto operata dopo molto tempo da coimputati - il D.F. ed il B. - inattendibili, poichè spinti dalla finalità di evitare o far cessare la misura cautelare, e in assenza di riscontri obiettivi, anche in ragione della solo apparente convergenza delle rispettive dichiarazioni), sia alla erronea valutazione delle dichiarazioni rese ex art. 391-bis c.p.p., dal teste G. - illogicamente ritenuto inattendibile - e dal D.F., illegittimamente non acquisite ed espunte dal compendio decisorio sebbene le stesse costituissero le risultanze di indagini difensive espletate dopo il giudizio di primo grado, dunque un possibile oggetto di integrazione probatoria dinanzi al Giudice d'appello sotto il profilo della introduzione di elementi di prova a discarico rispetto alla posizione del S., avuto riguardo alla ritrattazione di quanto in precedenza affermato circa la condotta del ricorrente.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Infondate, sin quasi a lambire i margini dell'inammissibilità, devono ritenersi le ragioni di doglianza oggetto del ricorso proposto dal D.F., ove si consideri: a) in ordine al primo motivo, che l'imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell'imputazione, perchè la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l'accettazione dell'imputazione formulata dall'accusa (Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, Boccuni, Rv. 269880; Sez. 6, n. 13133 del 23/02/2011, Alfiero, Rv. 249897); b) in ordine al terzo motivo, che non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice dell'impugnazione che, qualora sia necessario rideterminare il trattamento sanzionatorio in applicazione della disciplina del reato continuato o per intervenuta modifica dei reati satelliti ovvero per una diversa individuazione del reato ritenuto più grave, apporti per uno dei fatti unificati un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente superiore (Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, Boschi, Rv. 260099; Sez. 6, n. 15890 del 03/12/2013, dep. 2014, Lleshi, Rv. 261528).


1.1. Infondato deve altresì ritenersi il secondo motivo di doglianza, poichè nell'escludere l'attenuante di cui all'art. 323-bis c.p., le decisioni di merito altro non hanno fatto che adeguarsi alla costante elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte (ex multis v. Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501), in base alla quale, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato - valutato nella sua globalità e non sulla base della considerazione meramente atomistica di ogni singolo episodio corruttivo o della modestia del pretium sceleris correlato ai singoli accessi abusivi al sistema informatico (come dalla difesa prospettato in sede di gravame) - presenti una gravità particolarmente contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato, con il logico corollario che il conforme apprezzamento operato nel caso di specie in merito alla oggettiva gravità del vulnus recato all'immagine stessa della pubblica amministrazione, oltre che alla segretezza delle indagini di P.G., per effetto del mercimonio prodottosi nell'esercizio della pubblica funzione a causa della continuità e della sistematica reiterazione delle condotte delittuose oggetto della regiudicanda, ha motivatamente indotto la Corte distrettuale a denegarne la invocata configurabilità.


1.2. Analoghe considerazioni, infine, devono svolgersi in ordine alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, la cui sussistenza è stata dalle conformi decisioni di merito correttamente esclusa in ragione del motivato apprezzamento ivi espresso circa la gravità del vulnus ricollegabile ad una complessiva considerazione degli effetti delle accertate condotte illecite, ove si consideri che l'attenuante de qua è applicabile purchè il fatto sia commesso per un motivo di lucro e la speciale tenuità riguardi sia l'entità del lucro, conseguendo o conseguito, sia l'evento dannoso o pericoloso, dovendosi tale ultima espressione riferire a qualsiasi offesa penalmente rilevante che, tanto in astratto, con riferimento alla natura del bene giuridico tutelato, quanto in concreto, sia di tale modestia da risultare proporzionata alla tenuità del vantaggio che il reo si proponeva di conseguire o ha conseguito (Sez. F, n. 34651 del 02/08/2016, Diouf, Rv. 267679; Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, Ngom, Rv. 257545): presupposti e condizioni di fatto, quelli or ora indicati, la cui ricorrenza i Giudici di merito hanno non irragionevolmente escluso alla stregua di una indagine svolta in concreto, il cui esito ha motivatamente consentito di individuare la presenza di un significativo grado di consistenza e qualità nella lesione del bene tutelato dalla norma incriminatrice.


2. Il ricorso proposto dal S. è infondato e deve rigettarsi per le ragioni qui di seguito indicate.


2.1. Inammissibile, per manifesta infondatezza, deve ritenersi la prima doglianza difensiva, avendo i Giudici di merito correttamente rilevato sotto tale profilo (cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado e pag. 23 della sentenza di appello): a) che dai verbali non emerge affatto che il G.i.p. abbia imposto l'anticipazione della richiesta di rito abbreviato; b) che dal relativo verbale d'udienza risulta la richiesta degli imputati di accedere al rito abbreviato, che è stato, pertanto, ritualmente ammesso e conseguentemente discusso dinanzi al Giudice di primo grado, laddove ad alcuna discussione dell'udienza preliminare poteva evidentemente darsi luogo in virtù della scelta dagli imputati effettuata; c) che in ordine all'escussione del coimputato B., pur richiesta dal P.M. e poi rinunziata a seguito delle richieste di rito abbreviato, nessuna osservazione è stata svolta dalle parti.


2.2. Parimenti inammissibili, per indeducibilità in questa Sede, devono altresì ritenersi le questioni oggetto del sesto motivo di ricorso del S., in quanto non previamente articolate in sede di gravame ed altresì incentrate sull'apprezzamento di profili di merito della regiudicanda, il cui vaglio è radicalmente precluso in questa Sede.


2.3. In ordine al secondo motivo di ricorso deve rilevarsi come la prospettata discrasia fra l'avviso di chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio - oltre ad esserne del tutto preclusa la deducibilità in questa Sede, ricollegandosi alla richiesta del rito speciale un effetto comunque sanante ai sensi dell'art. 183 c.p.p. - non configuri, di per sè, alcuna ipotesi di nullità della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 177 c.p.p., nè alcuna lesione del diritto di difesa, avendo i Giudici di merito correttamente osservato: a) che nella richiesta di rinvio a giudizio non sono in contestazione fatti commessi in concorso fra il S. e il D.F.; b) che la completa disponibilità degli atti di indagine a seguito del loro deposito consentiva alla parte di verificare agevolmente sia il collegamento probatorio con le imputazioni concernenti le condotte del coimputato non concorrente nei medesimi reati (ossia il D.F.), che il contesto investigativo in base al quale il P.M. aveva ritenuto di esercitare l'azione penale.


2.4. Parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, incentrato su un non pertinente richiamo alla norma di cui all'art. 103 c.p.p., ove si consideri: a) che le guarentigie ivi previste non sono volte a tutelare chiunque eserciti la professione legale o di investigatore, ma solo colui che tale qualità rivesta in forza di uno specifico mandato conferitogli nelle forme di legge; b) che le stesse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all'art. 103 c.p.p. - ispezioni, perquisizioni, sequestri - debbano essere compiuti nei confronti di un esercente la professione legale ovvero di un investigatore privato autorizzato che sia sottoposto ad indagine (arg. ex Sez. 5, n. 12155 del 05/12/2011, dep. 2012, Ranieri, Rv. 252147; Sez. 2, n. 31177 del 16/05/2006, Marsala, Rv. 234858).


Di tali regole i Giudici di merito hanno fatto buon governo, ritenendo pienamente utilizzabile il materiale documentale rinvenuto in computers e supporti informatici motivatamente ricollegati alla diretta disponibilità dell'imputato, nei cui confronti, peraltro, si procedeva anche per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11.


2.5. Infondate, sino a lambire i margini dell'inammissibilità, devono infine ritenersi le ragioni di doglianza oggetto del quarto, del quinto e del settimo motivo di ricorso del S., sostanzialmente orientati a riprodurre una serie di deduzioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle correlative risultanze processuali, poichè imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione.


Sotto tali profili, dunque, il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei temi d'accusa enucleati con riferimento alle condotte oggetto dei rispettivi capi d'imputazione in narrativa richiamati (v., supra, il par. 1).


2.5.1. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella prima decisione, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa impostazione ricostruttiva prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai pertinenti passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella prima decisione, le numerose risultanze offerte dalle specifiche e convergenti fonti di prova - orali ovvero documentali (le annotazioni presenti sull'agenda del B. al nome " S." e gli esiti delle indagini di P.G. svolte sul materiale informatico rinvenuto) - partitamente individuate ai fini dell'accertamento delle relative condotte delittuose.


In tal senso risultano illustrati, con logica coerenza e completezza argomentativa, i passaggi motivazionali esplicativi: a) del contenuto delle dichiarazioni rese dal correo B., che ammetteva di aver più volte percepito dal S. la somma di Euro 100,00 per gli accessi relativi alle interrogazioni da lui operate utilizzando le credenziali assegnategli sul sistema dell'archivio informatico interforze del Ministero dell'Interno: operazioni cui si riferivano, giustappunto, le annotazioni effettuate sull'agenda con il su indicato nominativo; b) delle ragioni (dai Giudici di merito verificate sulla base dei riscontri orali offerti dalle dichiarazioni dello stesso D.F. e di quelli documentali tratti dalle annotazioni riportate sull'agenda in sequestro) del minor prezzo (pari all'importo di Euro 50,00 per interrogazione) che per lo svolgimento di tali operazioni veniva invece concordato con il D.F. (cui lo stesso S. affidava le ricerche sui nominativi da indicare al B. sia per spirito di solidarietà nei confronti dello stesso D.F., in quanto privo di occupazione lavorativa, sia per la convenienza dell'intermediazione legata al minor compenso di regola richiesto per l'operazione in forza della risalente e continuativa "collaborazione" con il D.F.); c) delle ragioni giustificative della ritenuta riferibilità al S. delle annotazioni sulla predetta agenda effettuate con il nominativo " S.", la cui disamina ha posto in diretta relazione, anche cronologica, gli appunti ivi riportati, le interrogazioni al sistema informatico e i nominativi risultanti dal materiale documentale oggetto di sequestro; d) della convergenza del contenuto narrativo delle dichiarazioni accusatorie rese, con riferimento ai su evidenziati profili di doglianza, dal D.F. e dal B.; e) delle ragioni giustificative della ritenuta attendibilità intrinseca ed estrinseca di tali dichiarazioni, in quanto precise, ampiamente dettagliate, coerenti, non disgiunte da un'assunzione di piena responsabilità per i gravi reati commessi, reciprocamente riscontrate fra loro e ab externo confermate dalle inequivoche risultanze delle prove documentali oltre che dagli esiti delle relative attività d'indagine; f) delle ragioni addotte a sostegno della ritenuta ininfluenza, ai fini dell'accertamento della responsabilità, sia della prospettata discrasia cronologica riguardo alle date delle varie interrogazioni operate sul terminale (logicamente ritenute compatibili con una prassi di formalizzazione solo successiva degli incarichi ricevuti, o di comunicazione a distanza di tempo degli esiti rispetto alla effettiva acquisizione delle informazioni), sia delle dichiarazioni rese da altre persone ascoltate sui fatti e, in particolare, da un teste de relato ( G.) in merito a - solo genericamente - evocate confidenze dal B. ricevute in ordine a non meglio precisate pressioni indirizzate a fini accusatori del S.: dichiarazioni dai Giudici di merito motivatamente ritenute insufficienti e del tutto sfornite di validi elementi di riscontro.


2.5.2. Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine al vaglio dai Giudici di merito compiutamente operato con riferimento al contenuto delle dichiarazioni solo tardivamente rese dal D.F. nel corso del giudizio abbreviato, in quanto coerentemente ritenute irrilevanti ai fini sia della esclusione della precedente ammissione di responsabilità, sia ai fini dell'evocata ritrattazione delle dichiarazioni accusatorie nei confronti del S., ma orientate, piuttosto, a ridimensionare la gravità delle condotte delittuose in contestazione, senza incidere in misura significativa sulla posizione del S..


Correttamente ritenute inutilizzabili nel giudizio di appello, anche ai fini di una possibile integrazione probatoria sotto il profilo della introduzione di elementi a discarico rispetto alla posizione del S., devono altresì ritenersi le dichiarazioni rese dal D.F. in sede di indagini difensive, avendo l'imputato richiesto la definizione del processo nelle forme del rito abbreviato, in tal guisa accettando che la relativa decisione fosse assunta allo stato degli atti, senza alcuna possibilità di introdurre successivamente, nel giudizio di appello, nuovi elementi di prova attraverso l'allegazione di dichiarazioni assunte senza contraddittorio, vanificando i poteri istruttori dall'accusa eventualmente attivabili ex art. 438 c.p.p., comma 5.


La previsione della spendibilità degli atti di indagine difensiva in ogni stato e grado del procedimento (art. 327-bis c.p.p., comma 2) deve infatti coordinarsi, come da questa Suprema Corte affermato (v., in motivazione, Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261798), con le regole fisiologiche di utilizzabilità degli atti di parte ed anche con le caratteristiche proprie della fase e del grado (Sez. 3, n. 35372 del 26/05/2010, G., Rv. 248366), tanto che, per esempio, resta preclusa la produzione degli esiti di investigazione difensiva nell'ambito del giudizio di legittimità (Sez. 3, n. 41127 del 23/05/2013, D'A., Rv. 256852). In armonia con principii di carattere generale, la legge stabilisce espressamente che anche nel giudizio abbreviato le prove integrative, quando si tratti di fonti dichiarative, debbano essere assunte e condotte dal giudice, con la conseguente inammissibilità della produzione, nel rito speciale (altra questione è quella delle produzioni antecedenti), di verbali formati unilateralmente dalle parti. E' inequivoca in tal senso la lettera dell'art. 441 c.p.p., comma 6 ove si stabilisce, per la prova integrativa assunta su disposizione officiosa o in base a richiesta condizionata dell'imputato, l'osservanza delle forme indicate nell'art. 422 c.p.p., commi 2, 3 e 4, con il logico corollario che i testimoni vanno citati e sentiti dal giudice, con le parti ammesse a formulare domande solo per il tramite del giudice medesimo.


Muovendo da tale approdo interpretativo questa Corte (Sez. 2, n. 9198 del 16/02/2017, Orsini, Rv. 269344) ha successivamente precisato che, in tema di giudizio abbreviato, i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del P.M. prima dell'ammissione al rito speciale; ne consegue che, nell'ipotesi di giudizio abbreviato a seguito di udienza preliminare, tali atti ben possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito abbreviato, a norma dell'art. 438 c.p.p..


2.5.3. Correttamente ritenute infondate devono poi ritenersi le prospettate censure di contraddittorietà della motivazione riguardo alla individuazione del momento consumativo del reato di cui all'art. 319 c.p., che la sentenza impugnata ha puntualmente ricostruito disattendendo i contrari argomenti difensivi sulla base di precisi elementi dichiarativi (le dichiarazioni del B.) e documentali (gli accessi abusivamente operati sul sistema informatico per le interrogazioni sui nominativi riferiti al S.), il cui vaglio incrociato ha consentito ai Giudici di merito di inquadrare temporalmente l'estensione dei rapporti corruttivi intercorsi con il pubblico ufficiale nell'arco ricompreso quanto meno fra il (OMISSIS), e comunque in epoca successiva all'entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, tenuto conto anche delle dazioni di denaro successivamente verificatesi in corrispondenza con le interrogazioni direttamente richieste al B. (che ha fatto riferimento a contatti con il S. fino a tutto il (OMISSIS)), ovvero indirettamente veicolate grazie all'attività di intermediazione svolta dal D.F. (che ha in tal senso confermato le su indicate acquisizioni facendo riferimento ad episodi verificatisi fino al periodo successivo all'estate del (OMISSIS)).


2.5.4. Si è dinanzi, in definitiva, ad un quadro argomentativo logicamente articolato nelle premesse e nelle relative conclusioni, esulando, come è noto, dai poteri di questa Suprema Corte quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali dal ricorrente ritenute più adeguate (Sez. Un., 2 luglio 1997, n. 6402, Dessimone).


La Corte di legittimità, infatti, non può sostituire una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, dovendo saggiare la tenuta logica della pronuncia sottoposta alla sua cognizione senza oltrepassare i limiti di un accertamento della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, accertamento che deve necessariamente condursi alla stregua degli stessi parametri valutativi che geneticamente le danno corpo, ancorchè questi siano, in ipotesi, sostituibili da altri. L'indagine sul discorso giustificativo della decisione impugnata, pertanto, ha un orizzonte percettivo delimitato al riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari temi ivi apprezzati, non potendosi mai sovrapporre nella verifica dell'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è giovato per sostenere il suo convincimento o della loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione come vizio denunciabile deve essere, per ciò, inevitabilmente palese e di immediata riconoscibilità, cioè di spessore e consistenza tali da emergere ictu oculi.


Nel caso di specie, invero, l'adeguatezza e logicità (nel senso appena specificato) della motivazione della sentenza impugnata non sono state minimamente aggredite dal ricorrente, limitatosi a prospettare critiche sulle valutazioni dalla Corte d'appello rese in ordine alla fondatezza ed ai risultati del materiale probatorio sottoposto al suo esame, delineandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, la cui rivisitazione, come già osservato, non è in alcun modo percorribile in questa Sede.


3. Al rigetto dei ricorsi proposti da D.F.G. e S.N. consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.


Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019

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