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Abuso d'ufficio: che cos'è e quando si configura il reato previsto dall'art. 323 del codice penale



Art. 323 del codice penale - Abuso d'ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità , ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

Procedibilità: il reato di abuso d'ufficio è procedibile d'ufficio.

Prescrizione: il reato di abuso d'ufficio si prescrive in sei anni.

Competenza: per il reato di abuso d'ufficio è competente il tribunale in composizione collegiale.

Udienza preliminare: per il reato di abuso d'ufficio è prevista l'udienza preliminare.

Arresto: per il reato di abuso d'ufficio l'arresto è facoltativo.

Fermo: per il reato di abuso d'ufficio il fermo non consentito.

Custodia cautelare in carcere: per il reato di abuso d'ufficio la custodia cautelare in carcere non consentita.



 

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In questo articolo analizziamo l'elemento oggettivo e soggettivo del reato di abuso d'ufficio previsto dall'art. 323 del codice penale, riportando le principali pronunce ed orientamenti della Suprema Corte di Cassazione.


Indice:

5. Concorso dell'extraneus nel reato di abuso d'ufficio



1. Che cos'è e come è punito l'abuso d'ufficio?

Il reato di abuso d'ufficio è un delitto previsto dall'art. 323 del codice penale e punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Il reato di abuso d'ufficio è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.

Nel reato di abuso d'ufficio, il pubblico ufficiale abusa del suo potere o della sua posizione per ottenere un vantaggio personale o per arrecare un danno ad altri.

Ad esempio, il reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. può consistere in una della seguenti condotte:

a) negare ingiustamente un diritto o un beneficio a qualcuno;

b) concedere ingiustamente un favore o un vantaggio a qualcuno;

c) utilizzare la propria posizione per ottenere un guadagno personale o per favorire un amico o un familiare o per danneggiare qualcuno.

Il bene giuridico tutelato dal reato di abuso d'ufficio è rappresentato dalla corretta e imparziale amministrazione della giustizia e dall'effettiva realizzazione dell'interesse pubblico.

Il pubblico ufficiale ha infatti il dovere di agire solo ed esclusivamente nell'interesse generale ed a tutela dei diritti dei cittadini, senza cercare di ottenere, attraverso la propria azione, vantaggi personali o favoritismi.

L'abuso d'ufficio, in altri termini, rappresenta una violazione del principio di legalità e imparzialità dell'azione amministrativa che deve essere guidata solo dall'interesse pubblico e dalle norme di legge.

In questo senso, il reato di abuso d'ufficio si configura come una garanzia per la tutela dei cittadini contro eventuali comportamenti arbitrari o illegittimi dei pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni.

Il reato di cui all'art. 323 cod. pen., così come modificato dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, è un reato plurioffensivo, giacchè che è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale.

Ne consegue che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimato non solo a costituirsi parte civile quando il processo abbia inizio (diritto spettante anche al solo danneggiato), ma anche a proporre sia opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. in applicazione degli artt. 409 e 410 cod. proc. pen. sia ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 428 c.p.p., comma 2 (Cass. pen. n.43302/11).


2. Le modifiche al reato di abuso d'ufficio introdotte con il D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 23, convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120

Le novità di tale novella legislativa sono fondamentalmente tre.

Fermi restando l'immutato riferimento all'elemento psicologico del dolo intenzionale e l'immodificato richiamo alla fattispecie dell'abuso di ufficio per violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti (ipotesi di reato che non è variata nei suoi elementi costitutivi), il delitto de quo è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell'agente pubblico abbia avuto ad oggetto "specifiche regole di condotta" e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate "da norme di legge o da atti aventi forza di legge", dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte secondaria o terziaria; e, in ogni caso, a condizione che quelle regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all'agente, restando perciò oggi escluse dalla applicabilità della norma incriminatrice quelle regole di condotta che rispondano, anche in misura marginale, all'esercizio di un potere discrezionale (in questo senso v. Sez. 6, n. 13136 del 17/02/2022, Puddu, Ud. (dep. 06/04/2022) Rv. 282945 - 01 Sez. F, n. 42640 del 17/08/2021, Rv. 282268 - 01; Sez. 6, n. 8057 del 28/01/2021, Asole, non massimata; Sez. 5, n. 37517 del 02/10/2020, Danze' e altri, non massimata - Cassazione penale sez. VI, 20/07/2022, (ud. 20/07/2022, dep. 21/10/2022), n.40035).


Il reato di abuso d'ufficio sanziona la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamenti, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto.

All'esito della novella legislativa introdotta dalla Legge 16/07/1997 nr. 234, il delitto di abuso d'ufficio è stato configurato quale reato di evento nell'ottica di una maggiore tipicizzazione della condotta del pubblico ufficiale, richiedendosi che dalla condotta del pubblico ufficiale derivi un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero un danno ingiusto per altri (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36020 del 24/05/2011) e che tale condotta si risolva in una violazione di leggi o regolamenti ovvero in una violazione del dovere di astensione (quest'ultimo da intendersi onnicomprensivamente come ogni interesse personale anche non economico).

Il delitto di abuso d'ufficio è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale o logico - sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma attributiva del potere esercitato, per realizzare uno scopo personale od egoistico, o comunque estraneo alla P.A., concretandosi in uno "sviamento" produttivo di una lesione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (cfr. Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 35597 del 05/07/2011 Rv. 250779 Imputato: Barbera), ovverossia in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassa ogni possibile opzione attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine (Cass., Sez. VI° sentenza 14 gennaio 2002 n. 12295).

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 155 del 29/09/2011 dep. 10/01/2012 Rv. 251498 Imputato: Rossi e altri).

Più di recente:

Il delitto di abuso d'ufficio è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con Il significato letterale o logico - sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassi ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio; tuttavia, deve escludersi la sussistenza del reato qualora si sia in presenza di un quadro normativo disorganico e suscettibile di contrapposte le letture interpretative, che impedisce di individuare con certezza una condotta violativa del contenuto precettivo di una precisa disposizione di legge o di regolamento (cfr. Sez. 6 Sentenza n. 32237 de 13/03/2014 Ud. dep. 21/07/2014 Rv. 260428)

Il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell'art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva, che impone ad ogni pubblico funzionario, nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi, ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 38357 del 12/06/2014 Ud dep. 18/09/2014 Rv. 260472 Imputato: Mangione. - Tribunale , Napoli , sez. I , 05/10/2015 , n. 13576).

Ai fini dell'integrazione del reato di abuso di ufficio, anche nel caso di violazione dell'obbligo di astensione, è necessario che a tale omissione si aggiunga l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale deliberato, con conseguente duplice distinta valutazione da parte del giudice, che non può far discendere l'ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato (Sez. 6, n. 12075 del 06/02/2020, Stefanelli, Rv. 278723 - 01).

L'art. 323 c.p., nella formulazione introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, innovando rispetto alla disciplina previgente, ha costruito il delitto di abuso d'ufficio come reato di evento a forma vincolata.

La violazione delle norme di legge o di regolamento, oppure l'inosservanza del dovere di astensione in presenza di un interesse proprio o di un familiare rappresentano le modalità attraverso le quali l'abuso del pubblico funzionario può realizzarsi: le forme di manifestazione, ossia, della condotta.

Ma, perché il reato possa ritenersi integrato, occorre, altresì, che, da quei comportamenti, derivi un ingiusto vantaggio patrimoniale per lo stesso agente o per altri, oppure un danno per questi ultimi, esso pure ingiusto e anche di natura non patrimoniale.

In assenza di tale evento, le anzidette condotte, quantunque non consentite dalle norme extra-penali che regolano la funzione od il servizio pubblici, non rilevano agli effetti penali, quanto meno ai fini dell'art. 323 c.p..

Il principio, anche con specifico riferimento alla violazione del dovere di astensione, è stato più volte ribadito dal giudice di legittimità e non v'e' ragione di discostarsene, in presenza di un testo normativo del tutto lineare (Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, De Martin Topranin, Rv. 255324; Sez. 6, n. 47978 del 27/10/2009, Calzolari, Rv. 245447; Sez. 6, n. 26324 del 26/04/2007, Borrelli, Rv. 236857; Sez. 6, n. 11415 del 21/02/2003, Gianazza, Rv. 224070; Sez. 6, n. 17628 del 12/02/2003, Pinto, Rv. 224683 - cfr. Cass. pen. sez. VI, 20/07/2022, (ud. 20/07/2022, dep. 21/10/2022), n.40035).

Si riportano, sul punto, alcune sentenze della Corte di Cassazione:


4. Elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio

Il dolo del reato di abuso d'ufficio consiste nell'intenzione del pubblico ufficiale di agire contro i propri doveri ufficiali, causando un danno all'interesse pubblico o a un soggetto privato, o di ottenere indebitamente un beneficio per sé o per altri.

L'elemento soggettivo dell'abuso di ufficio, partendo dalla inequivoca formulazione della norma, si atteggia in termini di dolo intenzionale, che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con uniforme e costante indirizzo, non richiede, sul piano probatorio, la dimostrazione dell'accordo collusivo concluso con la persona che si intende indebitamente preferire o favorire, ma può essere desunto anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assume rilievo, a titolo di esempio, il rapporto fra agente e soggetto favorito (cfr. Cass., Sez. 3, n. 35577 del 06/04/2016, Cella, Rv. 267633; Cass., Sez. 6, n. 52882 del 27/09/2018, Pastore, Rv. 274580; Cass., Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia, Rv. 270460).

Ed invero l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che l'agente persegua esclusivamente la finalità di realizzare un interesse pubblico ovvero che egli, pur nella consapevolezza di favorire un interesse privato, sia stato mosso esclusivamente dall'obiettivo di perseguire un interesse pubblico, con conseguente degradazione del dolo di procurare a terzi un vantaggio da dolo intenzionale a mero dolo diretto o eventuale e con esclusione, quindi, di ogni finalità di favoritismo privato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 10224 del 23/01/2019, De Marco, Rv. 276094 - Cass. pen. sez. VI, 20/07/2022, (ud. 20/07/2022, dep. 21/10/2022), n.40035).

Dall'analisi della giurisprudenza, in tema di elemento soggettivo del reato, è possibile individuare vari livelli crescenti di intensità della volontà dolosa.

Nel caso di azione posta in essere con accettazione del rischio dell'evento, si richiede all'autore un'adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità di verificazione dell'evento.

Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l'autore, invece, non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l'evento stesso, cioè lo vuole, con un'intensità maggiore di quelle precedenti.

Se l'evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità, e può distinguersi fra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale, ed un evento perseguito come scopo finale. Il dolo va, poi, qualificato come "eventuale" solo nel caso di accettazione del rischio, mentre negli altri casi sopra indicati va qualificato come "diretto" e, nell'ipotesi in cui l'evento è perseguito come scopo finale, come "intenzionale".

Il dolo richiesto è generico, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l'obbligo di astensione), mentre assume la forma del dolo intenzionale rispetto all'evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie.

Si richiede, quindi, che il soggetto agente abbia perseguito proprio, come obiettivo primario del suo operato, l'evento tipico, non essendo sufficiente il dolo diretto (rappresentazione dell'evento come verificabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza) e quello eventuale (caratterizzato dall'accettazione della non elevata probabilità del verificarsi dell'evento).

Intenzionalità, però, non significa esclusività del fine che deve animare l'agente, ma preminenza data all'evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico (Cassazione penale, sez. VI, 27 giugno 2007, n. 35814).

Sulla base di un consolidato orientamento, la prova del dolo del reato di abuso d'ufficio può essere data valorizzando singoli comportamenti antecedenti, contestuali o successivi alla condotta criminosa essendo necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i soggetti ovvero altri dati di contorno dimostrino che la domanda del beneficiario finale è stata preceduta, accompagnata o seguita dall'intesa con il pubblico ufficiale.

Tali indici sintomatici secondo la suprema Corte sono rappresentati da:

a)l'evidenza della violazione di legge, come tale perciò immediatamente riconoscibile dall'agente;

b)la specifica competenza professionale dell'agente, tale da rendergli anch'essa senza possibile equivoco riconoscibile la violazione;

c)la motivazione del provvedimento, nel caso in cui essa sia qualificabile come meramente apparente o come manifestamente pretestuosa;

d)i rapporti personali eventualmente accertati tra l'autore del reato e il soggetto che dal provvedimento illegittimo abbia tratto ingiusto vantaggio patrimoniale (Corte appello Salerno, 06/05/2009, (ud. 06/05/2009, dep. 06/05/2009).

Analizziamo, di seguito, alcune sentenze della Corte di Cassazione in tema di elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio:


In tema di abuso d'ufficio, non ricorre il dolo intenzionale nel caso in cui l'agente persegua esclusivamente la finalità di realizzare un interesse pubblico ovvero quando, pur nella consapevolezza di favorire un interesse privato, sia stato mosso esclusivamente dall'obiettivo di perseguire un interesse pubblico, con conseguente degradazione del dolo di procurare a terzi un vantaggio da dolo intenzionale a mero dolo diretto o eventuale e con esclusione, quindi, di ogni finalità di favoritismo privato. (Nella specie, la Corte ha annullato, limitatamente alle questioni civili, la sentenza di merito, che aveva assolto l'imputato per difetto dell'elemento psicologico, poiché non erano stati illustrati i motivi per cui non si sarebbe potuto ugualmente realizzare un contenimento dei costi osservando la procedura di gara dettata in tema di appalti pubblici, anziché quella di affidamento diretto dei lavori concretamente adottata - Cassazione penale , sez. II , 23/01/2019 , n. 10224). 



5. Concorso dell'extraneus nel reato di abuso d'ufficio

In tema di abuso di ufficio determinativo di un danno ingiusto nei confronti di terzi, per configurare il concorso dell'extraneus nel reato deve essere provata l'intesa intercorsa col pubblico funzionario o la sussistenza di pressioni o sollecitazioni dirette ad influenzarlo, desumibili dal contesto fattuale, dai rapporti personali tra le parti o da altri elementi oggettivi, non essendo a tal fine sufficiente la sola domanda del privato volta ad ottenere un atto illegittimo. (Fattispecie in cui l'intesa collusiva è stata dedotta dal fatto che il privato presentava plurime denunce con le quali sollecitava il Comune all'annullamento in autotutela del permesso di costruire rilasciato ad un terzo ed il responsabile dell'ufficio tecnico comunale adottava il richiesto provvedimento, nonostante fosse in palese conflitto di interessi, avendo operato quale consulente tecnico del privato denunciante per le medesime vicende - Cassazione penale , sez. VI , 20/12/2018 , n. 15837). 


6. La circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto nel reato di abuso d'ufficio

La circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto prevista per i reati contro la Pubblica amministrazione ricorre se il reato, valutato nella sua globalità, presenta una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Rv. 259501; Sez. 6, n. 199 del 19/12/2011, dep. 2012, Rv. 251567).

Nell'orientamento di legittimità secondo il quale in tema di delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato". Negli stessi termini Sez. 6 sentenza n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio e altri, Rv. 259501-01; e - nel confronto con l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. - Sez. 6 sentenza n. 1313 del 05/07/2018 dep. 11/01/2019 Rv. 274939 - 01 imputato Biagioni: "in tema di reati contro la pubblica amministrazione, ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, la valutazione della speciale tenuità deve riguardare il solo aspetto del danno patrimoniale cagionato dal singolo fatto reato e non la gravità della vicenda nel suo complesso che, invece, rileva ai fini della applicazione della circostanza di cui all'art. 323-bis c.p.". In termini analoghi, più di recente, Sez. 6 sentenza n. 30178 del 23/05/2019 dep. 09/07/2019 Rv. 276280 - 01 estensore Capozzi - Cassazione penale sez. II, 22/11/2019, (ud. 22/11/2019, dep. 04/03/2020), n.8733).

Analizziamo, di seguito, alcune sentenze della Suprema Corte di cassazione sul punto:

In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, qualora la circostanza attenuante speciale di cui all' art. 323-bis cod. pen. venga riconosciuta in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all' art. 62, comma 1, n. 4 c.p. (Cassazione penale , sez. VI , 13/11/2018 , n. 3774);

In tema di reati contro la pubblica amministrazione, l'attenuante speciale prevista dall' art. 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all' art. 62, comma primo, n. 4 c.p. , ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato. (Fattispecie in cui la Corte, in tema di corruzione e accesso abusivo a un sistema informatico, ha ritenuto esente da censure la decisione con cui era stata negata tale attenuante per l'oggettiva gravità del danno recato all'immagine della pubblica amministrazione e alla segretezza delle indagini della polizia giudiziaria - Cassazione penale , sez. VI , 09/11/2018 , n. 8295). 


7. Il sequestro preventivo ex art. 335 bis c.p. nel reato di abuso d'ufficio

Ai sensi dell'art. 335 bis c.p., nel caso di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione, ed in particolare per quello che ci occupa in questa sede il reato di abuso d'ufficio, è comunque ordinata la confisca del profitto del reato.

Analizziamo, di seguito, alcune sentenze della Suprema Corte di cassazione sul punto.

In tema di abuso d'ufficio, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta ex art. 335-bis c.p. del profitto del reato, laddove disposto nei confronti del percettore dell'ingiusto vantaggio patrimoniale. (Fattispecie in cui è stato disposto il sequestro di una somma di denaro pari al profitto ottenuto da un soggetto illegittimamente nominato quale commissario straordinario di un ente ospedaliero - Cassazione penale , sez. V , 13/11/2019 , n. 49485). 

In tema di abuso d'ufficio, la confisca prevista dall' art. 335-bis cod. pen. , in quanto obbligatoria, opera anche nei confronti degli aventi diritto estranei al reato, che non possono trarre vantaggio dall'ingiusto profitto conseguente ad una condotta illecita, sempre che sussista un nesso strutturale tra il bene da confiscare ed il reato (Cassazione penale , sez. IV , 22/06/2018 , n. 41890). 


8. L'abuso d'ufficio e le altre fattispecie criminose

L'art. 323 c.p. nell'attuale formulazione, concepisce l'abuso come reato di evento a forma vincolata, anziché di mera condotta a consumazione anticipata o di mero pericolo.

Per la sua sussistenza occorre la produzione dell'evento lesivo, ingiusto vantaggio patrimoniale (inteso come beneficio economicamente valutabile) o ingiusto danno, non essendo sufficiente la semplice rappresentazione e volizione. 

Per essere qualificato ingiusto, occorre che il vantaggio sia prodotto non iure, ossia per mezzo di un atto illegittimo, e inoltre che sia contra ius, ossia che il risultato dell'abuso si presenti come contrario all'ordinamento giuridico.

La strutturazione dell'elemento soggettivo è stata concepita secondo una dimensione teleologica, come dolo generico intenzionale ("intenzionalmente") con riferimento alla causazione del danno o del vantaggio; la previsione di una doppia illiceità (dell'abuso e del vantaggio patrimoniale o del danno) risponde ad una ben precisa scelta di politica criminale di ridurre l'area di punibilità, ed esclude quantomeno il dolo eventuale, ma ammette il tentativo e la forma omissiva.

"Non basta che il danno sia conseguenza naturale della condotta posta in essere dall'agente per un fine diverso, ma è indispensabile che esso sia conseguenza diretta e immediata del comportamento dell'agente, e, quindi, sia da costui voluto quale obiettivo del suo operato, come si evince dall'avverbio "intenzionalmente" utilizzato dal legislatore nella configurazione della fattispecie astratta del reato" (Cass. Sez. VI, sent. 4.5.98 - 4.6.1998, Scaccianoce).

La condotta e le modalità devono consistere in una violazione di legge sia primaria che secondaria, o nell'omessa astensione dalla partecipazione ad un atto nel quale siano coinvolti interessi personali dell'agente o di un suo prossimo congiunto, ovvero negli altri casi prescritti di astensione.

Con riferimento alla violazione di legge, v'è da sottolineare che la Corte di Cassazione ha stabilito che il delitto de quo richiede la violazione di una norma che abbia valore di legge o di regolamento, e che non sia solo genericamente strumentale alla regolarità dell'attività amministrativa, ma vieti puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un p.s.. Pertanto, sono irrilevanti sia le violazioni di norme a carattere meramente procedimentale, sia le violazioni di norme generalissime o di principio, come quella prevista dall'art. 97 Cost. sul buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, che appare di carattere organizzativo e non sembra prescrivere specifici comportamenti ai singoli soggetti (Cass. sez II, sent. 4.12.1997-22.1.1998, Tosches).

Nell'ottica di limitare l'ingerenza del giudice penale nell'attività amministrativa è stata esclusa dalla rilevanza penale la figura dell'eccesso e sviamento di potere (inteso come esercizio di un potere per un fine improprio a quello funzionale: Cass. sez.VI, 16.6.1995, Aragona; Cass. Sez. VI, 4.12.1997, Tosches), che, mancando di una puntuale definizione legislativa, richiederebbe un compito ricostruttivo in sede penale meno agevole rispetto all'incompetenza ed alla violazione di legge, ciò che avrebbe favorito sconfinamenti ed indebiti sindacati del merito.

Attualmente è irrilevante il vantaggio non patrimoniale, mentre l'ingiusto danno può essere sia patrimoniale che non patrimoniale (Corte appello Bari sez. III, 15/10/2010, n.1709).

Ciò posto, analizziamo, di seguito, alcune sentenze della Corte di cassazione in ordine ai rapporti tra il reato di abuso di ufficio e le altre fattispecie di reato previste dal nostro codice penale:

Integra il delitto di abuso di ufficio e non quello di peculato la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione (Cassazione penale , sez. VI , 01/10/2020 , n. 37074);

In tema di rapporti tra abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, essendo quest'ultimo strumentale alla realizzazione del reato di cui all' art. 323 c.p. , costituendo una parte della più ampia condotta di abuso (Cassazione penale , sez. VI , 18/12/2019 , n. 3515);

Integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi alla destinazione pubblica e l'utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell'agente, mentre è configurabile l'abuso d'ufficio quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio che, tuttavia, si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'ente cui appartiene. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato di peculato a fronte della condotta del direttore generale di una società incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, che aveva utilizzato denaro dell'ente per lo svolgimento di attività di ricerca i cui proventi – brevetti e prototipo di un macchinario industriale – erano rimasti nell'esclusiva titolarità dell'agente e di altri privati, anziché dell'ente che aveva finanziato la ricerca - Cassazione penale , sez. VI , 23/01/2018 , n. 19484);

Sussiste concorso materiale, e non assorbimento, tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p., di cui costituisce una parte della più ampia condotta (Cassazione penale , sez. V , 07/07/2017 , n. 45992);

Il reato di abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) e quello di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 cod. pen.), non possono formalmente concorrere fra loro giacché, quando il vantaggio economico del pubblico ufficiale sia da questi conseguito in dipendenza di un'erogazione altrui e di un proprio comportamento, attivo od omissivo, contrario ai doveri d'ufficio, trova applicazione, per il principio di specialità, la più grave delle due figure criminose in questione, e cioè quella della corruzione, caratterizzata, rispetto all'altra, dalla presenza del soggetto erogatore di un'utilità collegata da nesso teleologico al suindicato comportamento del pubblico ufficiale (Cassazione penale , sez. VI , 24/11/2016 , n. 4459). 

 


Fonti:

  • Cassazione penale sez. VI, 20/07/2022, (ud. 20/07/2022, dep. 21/10/2022), n.40035;

  • Tribunale , Napoli , sez. I , 05/10/2015 , n. 13576;

  • Corte appello Bari sez. III, 15/10/2010, n.1709;

  • Corte appello Salerno, 06/05/2009, (ud. 06/05/2009, dep. 06/05/2009);

  • Cassazione penale sez. II, 22/11/2019, (ud. 22/11/2019, dep. 04/03/2020), n.8733

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