top of page

Abuso d'ufficio: non sono più rilevanti le condotte realizzate con violazione di norme generali


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con l' art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 , conv., con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 , ha ristretto l'ambito applicativo dell' art. 323 c.p. , determinando l'abolitio criminis delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità, sicché deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all' art. 97, comma 3, Cost. (Cassazione penale , sez. VI , 10/06/2022 , n. 28402)


Vuoi saperne di più sul reato di abuso d'ufficio?


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 10/06/2022, (ud. 10/06/2022, dep. 19/07/2022), n.28402

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha dichiarato estinto per sopravvenuta prescrizione il delitto di abuso di ufficio (artt. 110 e 323 c.p., capo A) ascritto in concorso a B.L., Sindaco pro tempore del Comune di Castellammare di Stabia e a D.V.F., all'epoca dei fatti investito dell'incarico di Coordinatore Tecnico della Cabina di Regia per il coordinamento e la promozione dell'azione di governo della suddetta città, mentre ha ribadito l'affermazione di responsabilità di D.V. in ordine al delitto di peculato (capo C), rideterminando la pena inflittagli dal primo giudice nella misura di quattro anni e tre mesi di reclusione, ferme le statuizioni in favore del Comune di Castellammare di Stabia costituitosi parte civile.


In estrema sintesi, le condotte in addebito riguardano, con riferimento allo abuso di ufficio, l'attribuzione da parte di B. a D.V. del predetto ruolo in violazione di plurimi parametri normativi, primari e regolamentari, in tema di conferimento di incarichi esterni all'amministrazione comunale, procurandogli un indebito vantaggio patrimoniale quantificato in complessivi 168.153,96 Euro e quanto al peculato, l'appropriazione da parte di D.V. di somme di denaro complessivamente superiori a 50.000,00 Euro derivanti dal rimborso ottenuto dall'amministrazione comunale di spese estranee all'espletamento dell'incarico (soggiorni alberghieri, ristorazione, acquisto carburanti, viaggi aerei).


2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, che deducono i motivi di censura di seguito sinteticamente riportati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.


Ricorso B..


2.1. Violazione dell'art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., in relazione all'art. 516 c.p.p. per essere stato l'imputato condannato in relazione alla violazione del principio di pubblicità del bando e dell'obbligo di valutazione comparativa degli aspiranti candidati e quindi per un fatto diverso rispetto a quello descritto nell'imputazione.


2.2. Violazione dell'art. 522 in relazione all'art. 429 c.p.p., comma 2, lett. c), in ragione della natura generica e indeterminata del capo d'imputazione.


2.3. Omessa, contraddittoria nonché manifesta illogicità della motivazione rispetto alla valutazione del prevalente interesse pubblico perseguito con la nomina di D.V.F. a Coordinatore della cabina di regia.


2.4. Violazione dell'art. 2 c.p., comma 2, in relazione al D.L. n. 76 del 2020, art. 23, comma 1 perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato in relazione all'irrilevanza penale sopravvenuta di violazione di norme regolamentari o di legge generali e astratte da cui non siano ricavabili regole di condotta specifiche od espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità, con riferimento tanto alla presunta violazione dei regolamenti comunali n. 120/2008 e n. 108/2010 quanto dell'art. 97 Cost., con la conseguente caducazione delle statuizioni disposte in favore della costituita parte civile.


2.5. Vizi cumulativi di motivazione in relazione alla ritenuta mancata previsione dell'istituzione della cabina di regia nel programma di governo cittadino ed alla omessa valutazione dell'affidabilità dell'incarico intuitu personae.


2.6. Vizi cumulativi di motivazione in relazione ai punti della valutazione della insussistenza del principio di pubblicità del bando, della violazione dell'obbligo di valutazione comparativa degli aspiranti candidati, del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, della mancata verifica dell'assenza di risorse interne all'ente comunale.


3. Ricorso D.V..


3.1. Violazione dell'art. 8 c.p.p. e art. 314 c.p. in relazione all'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Castellammare di Stabia in favore di quello di Roma in relazione al luogo di consumazione del delitto di peculato.


Il momento consumativo del reato di peculato deve, secondo la difesa, individuarsi nel conseguimento del profitto, che nella fattispecie poteva determinarsi solo all'atto della piena disponibilità delle somme sul conto corrente bancario dell'imputato detenuto presso una banca di Roma e non con il luogo di emissione dei mandati di pagamento (Castellammare di Stabia).


3.2. Violazione di legge e carenza totale di motivazione in relazione all'art. 429 c.p.p. e art. 314 c.p. in relazione alla dedotta nullità del decreto di rinvio a giudizio in ordine al delitto di peculato (capo C).


3.3. Violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, in violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. in relazione al delitto di abuso di ufficio (capo A), nonostante la modifica in corso di giudizio da parte del Pubblico Ministero.


L'obbligo di procedura comparativa e di pubblicità per il conferimento degli incarichi e', infatti, prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6-bis e non dall'art. 7, comma 6, come tuttora indicato nel capo d'imputazione, mentre è stata la Corte di appello a introdurre le ipotesi di cui comma 6-bis (comparazione e pubblicità) comma 5-bis (divieto per la Pubblica Amministrazione di stipulare contratti di collaborazione di lavoro esclusivamente personali e continuative), previsione quest'ultima introdotta successivamente (2017) ai fatti in addebito (del 2010).


3.4 Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla corretta qualificazione giuridica della condotta di cui al capo C.


Anche nell'ambito della procedura complessa di liquidazione dei rimborsi richiesti, la disponibilità giuridica delle somme corrisposte al ricorrente non era del coimputato Ba. bensì della responsabile del settore Economico e Finanziario, d.ssa L., deputata all'emissione dei mandati di pagamento previo controllo amministrativo, contabile e fiscale sugli atti di liquidazione (art. 184, comma 4, TUEL).


Del tutto illogicamente, inoltre, la Corte di appello non ha tratto le dovute conseguenze dall'assoluzione del Ba. dal delitto di peculato per difetto dell'elemento psicologico, atteso che il ricorrente non aveva l'autonoma disponibilità di denaro pubblico, anticipando anzi con denaro proprio le spese per poi richiederne il rimborso con la documentazione giustificativa allegata alla richiesta; in tal caso la condotta può essere in astratto qualificata in termini di truffa aggravata e non di peculato, mancando uno dei presupposti del reato ovvero il compossesso o la disponibilità del denaro.


3.5. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all'art. 314 c.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 546 e 533 c.p.p. in relazione alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di peculato.


La sentenza ha riconosciuto che il ricorrente era titolare di un rapporto di collaborazione esterna con l'ente comunale, di carattere continuativo, senza rapporto di lavoro subordinato ed in forza del quale era tenuto a una prestazione di lavoro autonomo di natura intellettuale disciplinata dalla convenzione di diritto privato stipulata con il Comune di Castellammare di Stabia, da cui consegue la qualità di extraneus del ricorrente alla Pubblica Amministrazione e rispetto ai pubblici ufficiali concorrenti nei reati ( B. per art. 323 c.p. e Ba. per art. 314 c.p.).


Con riferimento al peculato, la Corte di merito ha più volte affermato che Ba. omise negligentemente ogni tipo di controllo sulle spese richieste a rimborso dal ricorrente, in contrasto con quanto risultante dalle deposizioni di diversi testimoni, il cui contenuto è stato, pertanto, del tutto travisato, come del tutto travisata è stata la circostanza che il Ba. escluse la rimborsabilità di una spesa (presso il ristorante (OMISSIS)) che la sentenza afferma, invece, essere stata rimborsata (pag. 46), pur non sussistendone le condizioni.


In maniera dirimente, infine, l'unico soggetto intraneo all'ente pubblico, accusato di avere compiuto l'atto illecito dispositivo, è stato Ba. (dirigente settore Risorse Umane) che tuttavia la Corte di appello ha assolto per carenza dell'elemento soggettivo, disvelando in tal modo la manifesta illogicità della pronuncia impugnata.


In definitiva, seguendo la ricostruzione in fatto operata dalla stessa Corte di appello, il delitto di peculato si sarebbe potuto configurare solo qualora Ba., concorrendo con l'extraneus D.V., avesse illecitamente firmato gli atti di liquidazione, puntando sull'omesso controllo da parte dell'altro compossessore d.ssa L.M., responsabile del Settore Finanziario, oppure se avesse indotto quest'ultima in errore.


Assolto, invece, Ba. e non ravvisandosi alcuna forma di illecito concorsuale all'interno della pubblica amministrazione, residua la condotta monosoggettiva del ricorrente, che era soggetto estraneo al Comune ed allo stesso legato da un contratto di lavoro autonomo, come tale incapace, per qualifica personale e per indisponibilità materiale e giuridica del denaro, di commettere il delitto di peculato.


Quanto alla finalità delle spese sostenute, v'e' carenza di motivazione in ordine alla ritenuta impossibilità per il ricorrente di sostenere spese di rappresentanza per l'ente comunale nonché in ordine al fatto che egli potesse ottenere il rimborso di qualsiasi tipo di spesa, comunque connessa all'esercizio del suo incarico, purché debitamente documentata in base alla convenzione sottoscritta con il Comune.


3.6. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione agli artt. 314 e 646 c.p. ed all'art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 546 e 533 c.p.p. riguardo alla qualifica soggettiva del ricorrente, definito in entrambe le sentenze non consulente bensì collaboratore esterno dell'ente comunale a contenuto di alta professionalità per obiettivi determinati ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6, privo di qualsivoglia finzione rappresentativa dell'ente locale


(pag. 47 sent. app.) in quanto soggetto privato estraneo alla compagine amministrativa (pag. 49 sent. app.).


Tale qualifica risulta, peraltro, del tutto contrastante con l'attribuzione del delitto di peculato, non avendo il ricorrente mai avuto né il possesso né la disponibilità giuridica del denaro di cui lo si accusa di essersi appropriato.


3.7 Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione agli artt. 43 e 314 c.p. ed all'art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 546 e 533 c.p.p. riguardo alla ribadita sussistenza del dolo del delitto di peculato.


Una volta assolto il pubblico ufficiale Ba., avente la giuridica disponibilità del denaro erogato e non mutando la ricostruzione dei fatti come descritti nel capo d'imputazione, la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in che nodo possa residuare il dolo in capo al ricorrente al di fuori dello schema del concorso di persone nel reato, non avendo egli la qualifica di pubblico ufficiale, ferma restando la riserva difensiva che altro soggetto (la d.ssa L.) avesse, in ragione del suo ufficio, la disponibilità giuridica delle somme liquidate.


3.8 Violazione di legge processuale e vizi di motivazione in relazione all'art. 603 c.p.p., comma 1 e art. 533 c.p.p. in ordine alla mancata rinnovazione dibattimentale riguardante il teste Be..


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati, nei termini di cui alla motivazione e con le conseguenze indicate in dispositivo.


2. Reato di abuso di ufficio, contestato ad entrambi gli imputati e già dichiarato estinto per sopravvenuta prescrizione.


Le impugnazioni risultano fondate - quanto al ricorrente D.V. in ragione dell'effetto estensivo della pronuncia ai sensi dell'art. 587 c.p.p., comma 1 - in relazione al quarto motivo di censura del ricorso B., l'unico del resto pertinente rispetto alla già intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, poiché implicante il tema della prevalenza della previsione di cui all'art. 192, comma 2 su quella di cui all'art. 192 c.p.p., comma 1, (evidenza della prova dell'insussistenza del fatto o che l'imputato non lo ha commesso).


La difesa del ricorrente B. propugna, infatti, la tesi che il fatto non è più previsto dalla legge come reato in relazione all'irrilevanza penale sopravvenuta, ai sensi del D.L. n. 76 del 2020, art. 23, comma 1 convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, della violazione di norme regolamentari o di legge generali e astratte da cui non siano ricavabili regole di condotta specifiche od espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità, con riferimento tanto alla presunta violazione dei regolamenti comunali n. 120/2008 e n. 108/2010 quanto dell'art. 97 Cost..


Secondo le sentenze di merito, la condotta in addebito al capo A riguarda la nomina da parte dell'allora Sindaco di Castellammare di Stabia, B.L. del suo amico e mandatario elettorale D.V.F. ad un incarico sostanzialmente di facciata, quello di Coordinatore Tecnico della Cabina di Regia per il coordinamento e la promozione dell'azione di governo della suddetta città, entità organizzativa che in origine prevedeva la nomina di altri soggetti, ma che avrebbe visto come unico componente lo stesso D.V..


La nomina era stata preceduta, secondo l'impostazione accusatoria accolta dalle sentenze, da un iter connotato dalla violazione di diverse previsioni di carattere procedurale (sfruttamento di un percorso procedirnentale avviato ad altri fini, mancata valutazione comparativa di altre figure professionali, omessa verifica di risorse interne all'ente comunale), al solo fine di consentire a D.V. di giustificare la percezione del compenso a fronte di un'attività materiale concretizzatasi nella presenza sporadica nelle sedi comunali e nella registrazione, mediante un taccuino, delle discussioni prodromiche all'adozione di alcune decisioni da parte dell'amministrazione comunale.


Tutto ciò premesso, non si può non rilevare che, a prescindere dalle plurime contestazioni difensive (secondo motivo di ricorso B. e terzo motivo di ricorso D.V.) in ordine alla precisa enunciazione dei parametri normativi di riferimento ai fini della configurazione del delitto di abuso di ufficio, resta l'ineludibile dato di fatto che per procedere alla nomina del Coordinatore della cabina di regia il Sindaco esercitò la propria discrezionalità, per quanto all'esito di un percorso procedurale artatamente preordinato, al fine di addivenire alla nomina del collaboratore esterno.


Espressamente investita dell'esame di tale profilo, la Corte di appello di Napoli ha negato la portata abrogatrice della novella del 2020, sostenendo che nella fattispecie è "pacificamente emersa la violazione di principi costituzionali e di natura legislativa nonché la sussistenza del vizio di eccesso di potere per violazione del dovere di astensione", restando "in ogni caso fermo il limite negativo dello sviamento di potere allorché siano perseguiti interessi difformi da quelli pubblici o in presenza dell'inosservanza dell'obbligo di astensione in situazione di conflitto di interessi".


Ne deriva che nel caso di specie "persiste la violazione contestata alla luce del costante orientamento che individua nel principio costituzionale ex art. 97 Cost. una parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni o procurare ingiusti danni nonché alla luce della violazione delle disposizioni legislative di cui all'art. 78 TUEL e al D.Lgs. n. 165 del 2000, art. 7 contestate in imputazione" (pag. 40-41 motiv.).


Le predette argomentazioni non sono condivisibili, prestando il fianco a fondate e non superabili critiche.


In primo luogo ed in termini generali, il riferimento all'art. 97 Cost. quale parametro normativo di legalità della condotta del pubblico ufficiale non appare più significativo alla luce della novella del 2020.


Questa ha, infatti, determinato un restringimento dell'ambito di operatività dell'art. 323 c.p., comportando una parziale abolitio crirninis in relazione ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto realizzati mediante violazione di norme regolamentari (come nella specie secondo la contestazione) o di norme di legge generali ed astratte, da cui non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità nell'azione del pubblico ufficiale.


Il caso dell'art. 97 Cost., comma 3, è precisamente quello di una norma avente portata generale ed astratta, che persegue i fini del buon andamento e della imparzialità dell'operato della Pubblica Amministrazione e che deve oggi fare i conti con il rinnovato assetto normativo che ha deliberatamente inteso sottrarre al giudice penale ogni valutazione rifluente sulla discrezionalità dell'azione amministrativa.


La Corte territoriale ha evocato l'esistenza di un limite interno connaturato all'azione amministrativa e rappresentato dallo sviamento di potere, figura sintomatica elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina dell'eccesso di potere quale vizio dell'atto amministrativo, consistente nell'uso del potere discrezionale per un fine diverso da quello per cui esso è stato conferito all'amministrazione e in particolare, alla luce dei parametri indicati dall'art. 323 c.p., al fine di compiere favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni o procurare ingiusti danni.


E' d'obbligo, tuttavia, obiettare che tale limite non trova riscontro nell'attuale formulazione dell'art. 323 c.p. e che in ogni caso l'accertamento della sussistenza degli eventi indicati dalla previsione deve essere necessariamente preceduta dalla verifica della violazione dei parametri normativi di riferimento, tra cui per l'appunto non figurano più le norme regolamentari o le norme di legge generali ed astratte, da cui non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità nell'azione del pubblico ufficiale.


La tesi che qui si confuta si risolve in definitiva in un espediente argomentativo che, per quanto astrattamente condivisibile, diventa funzionale alla vanificazione della portata parzialmente abrogatrice della novella di cui alla L. n. 120 del 2020.


In termini più specifici va, inoltre, rilevato che il capo d'imputazione sub A non contempla alcuna previsione di legge implicante a carico del Sindaco l'obbligo di astenersi nella situazione considerata della nomina a quel ruolo di collaboratore esterno dell'amministrazione comunale (su tale profilo, v. più diffusamente par. 3) di un soggetto, quale D.V., che aveva svolto l'incarico di suo mandatario elettorale.


Tra le numerose norme primarie e secondarie indicate, il capo d'imputazione prevede, infatti, la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, il quale nulla stabilisce al riguardo, recitando che "Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, purché con oneri esterni non a carico del bilancio, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 1, comma 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall'art. 36, comma 3, del presente decreto".


L'imputazione è stata successivamente integrata dal Pubblico Ministero nel corso del giudizio di primo grado (udienza del 1 aprile 2015) mediante inserimento del comma 6-ter dello stesso articolo, che recita che "I regolamenti di cui al testo unico di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 110, comma 6, si adeguano ai principi di cui al comma 6".


La contestazione menziona, inoltre, la violazione dell'art. 78 TUIEL che al comma 1 recita che "il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori di cui all'art. 77, comma 2, e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni".


Non v'e', invece, menzione di alcuna norma di legge primaria impositiva di un obbligo di astensione, tanto che la Corte di appello ha ritenuto di indicarlo come ulteriore limite negativo all'adozione di atti amministrativi conservanti margini di discrezionalità.


E' significativo per quanto qui d'interesse rilevare che, all'esito del giudizio di primo grado, la violazione dell'art. 323 c.p. era stata dal Tribunale collegata - unicamente a quella dell'obbligo di valutazione comparativa delle norme regolamentari applicabili (art. 23 del Reg. Com. n. 120 del 24 settembre 2008) in relazione all'art. 110 TUEL (pag. 19 e 25 sent. Tribunale Castellammare di Stabia del 17 febbraio 2017).


Dalla sentenza impugnata si ricava, invece, che alla violazione dell'obbligo di valutazione comparativa (pag. 37) si è aggiunta quella della mancata verifica dell'assenza di risorse interne all'amministrazione (pag. 36) - che trova, come visto, riscontro nel D.Lgs. n. 165 del 2011, art. 7, comma 6 - nonché la violazione dell'art. 97 Cost. con gli addentellati argomentativi di cui sopra (v. ancora pag. 36 e 40 sent. impugnata), da cui le proteste difensive di violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., che devono, tuttavia, ritenersi superate dal complesso delle presenti considerazioni.


Ciò conferma il rilievo che nell'impossibilità di ravvisare nella fattispecie considerata un immediato interesse proprio dell'allora Sindaco B. o di un suo prossimo congiunto, occorreva una specifica previsione di legge ("negli altri casi prescritti") a determinare un eventuale suo obbligo di astensione.


E' corretto, infatti, sostenere che in tema di abuso di ufficio, la novella di cui al D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con mod. dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, lì dove ha ristretto l'ambito applicativo del reato, richiedendo l'inosservanza di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, non riguarda l'abuso che si realizza mediante la violazione dell'obbligo di astensione (Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 28115), ma i presupposti di fatto o normativi che fondano l'obbligo sono quelli sopra indicati e non operano come limiti intrinseci al dispiegarsi dell'azione amministrativa.


Conclusivamente la condotta ascritta ai ricorrenti al capo A dell'imputazione non è più prevista dalla legge come reato per effetto della modifica dell'art. 323 c.p. ad opera della L. n. 120 del 2020, da cui la necessità di annullare senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e le correlate statuizioni di natura civile adottate ai sensi dell'art. 578 c.p.p..


3. Delitto di peculato (capo C), ricorrente D.V..


Prima di affrontare l'esame dei motivi di ricorso relativi a tale capo della decisione, occorre premettere che la contestazione contempla il concorso del ricorrente D.V. con il funzionario del Comune di Castellammare di Stabia, Ba.Vi., dirigente del settore Risorse Umane, condannato in primo grado ma assolto in grado di appello con la formula perché il fatto non costituisce reato.


Alla luce dei plurimi e specifici rilievi difensivi (quarto, quinto e sesto motivo di ricorso), si tratta, pertanto, di comprendere a che titolo sia stata riaffermata la responsabilità del ricorrente, attesa la pacifica sua qualifica di concorrente extraneus rispetto al reato proprio di peculato ascritto al pubblico funzionario.


A tale riguardo vale subito rimarcare che a pag. 65 della sentenza impugnata si legge che D.V. non rivestiva alcun incarico pubblico, in relazione al quale nessuna rappresentanza dell'Ente comunale era per lui immaginabile; alla precedente pag. 17 si era, del resto, già precisato che la Corte di appello condivideva l'impostazione del tema della qualifica soggettiva svolta dal Tribunale.


Atteso l'espresso rinvio alla sentenza di primo grado è d'uopo fissare l'attenzione su detta pronuncia, dove a pag. 16 si trova l'affermazione che "la ricostruzione tecnico-giuridica sviluppata dalle difese appare al Tribunale persuasiva (...). La pur laconica convenzione sottoscritta dal D.V. non denota alcun tratto di una prestazione lavorativa di carattere subordinato (...) né pone il D.V. all'interno della struttura dirigenziale del Comune, ma istituisce un rapporto di lavoro autonomo consistente in una prestazione d'opera intellettuale assicurata da un professionista esterno, la cui disciplina sostanziale è di fatto rimessa dalla legge (...) al regolamento comunale".


Ancora a pag. 70 della sentenza di primo grado si precisava, inoltre, che il coimputato Ba. "ha finito per riconoscere che il controllo di congruità sui rimborsi spese presentati da D.V. era dovuto, anche perché la Procura Regionale della Corte dei conti, con invito a dedurre del 5 marzo 2014 indirizzato agli imputati, aveva affermato che in nessun caso poteva mancare la prova delle inerenza della spesa".


Proseguiva il Tribunale che "sussiste, pertanto, il dolo del reato alla luce della reiterazione dei mandati di pagamento, della particolare competenza del Ba. e dei rapporti di costui con D.V. (pag. 73). Si deve, pertanto, ritenere che il Ba. abbia consapevolmente agito nei termini descritti allo scopo di non frapporre ostacoli a chi ( D.V.) sapeva essere legato da vincoli strettissimi con l'esponente apicale dell'amministrazione comunale".


Il sesto motivo di ricorso riassume bene i termini della questione, osservando che in entrambe le sentenze D.V. viene definito non già nei consulente bensì collaboratore esterno dell'ente comunale a contenuto di alta professionalità per obiettivi determinati ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6, privo di qualsivoglia finzione rappresentativa dell'ente locale (pag. 47 sent. impugnata) poiché soggetto privato estraneo alla compagine amministrativa (pag. 49 sent. impugnata).


Conclusivamente, i giudici dei gradi merito del giudizio hanno qualificato il ricorrente D.V. soggetto estraneo all'amministrazione comunale (il parametro di riferimento normativo essendo l'art. 110 TUEL) e concorrente con il Ba. nella consumazione del delitto di peculato, materialmente realizzato dal secondo mediante presentazione di richieste di rimborso relative a spese palesemente estranee all'incarico di collaborazione svolto e dal primo mediante la liquidazione dei relativi mandati di pagamento, in assenza di ogni effettivo controllo circa la pertinenza delle spese stesse alla natura del servizio.


Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte di appello ha, però e come anticipato, assolto il funzionario comunale, sostenendo che "sono emersi elementi che inducono a ritenere che sussista il ragionevole dubbio che la natura personalistica dell'incarico che D.V. aveva ricevuto e l'evanescenza delle prestazioni e dell'attività svolte da costui, di fatto portarono il Ba. a non eseguire il controllo dovuto e a fidarsi delle dichiarazioni del richiedente i rimborsi. Ne deriva che non può escludersi la sussistenza di un atteggiamento della volontà colposa, rilevante solo in sede amministrativa, cosicché l'imputato deve essere assolto dal reato ascrittogli ex art. 530 cpv. c.p.p. perché il fatto non costituisce reato" (pag. 49 sent. impugnata).


Il proscioglimento pronunciato dalla Corte di merito ha, tuttavia, introdotto una grave contraddizione logico - giuridica rispetto alla decisione di confermare la condanna del ricorrente D.V..


Una volta, infatti, assolto, sia pure per mancanza di dolo, I3attinelli che aveva la giuridica disponibilità del denaro e considerato che il ricorrente non rivestiva alcun incarico pubblico, resta da chiedersi in quale diverso modo si sia strutturata la condotta tipica di appropriazione del denaro in forma concorsuale dell'extraneus rispetto al pubblico ufficiale e a chi in definitiva sia imputabile la condotta tipica penalmente rilevante di appropriazione.


Il tema dell'induzione in errore del pubblico ufficiale autore dell'atto dispositivo del pubblico denaro è stato già affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, ma in relazione al diverso caso che altri pubblici ufficiali, responsabili dell'adozione di atti intermedi della procedura, fossero i responsabili delle condotte ingannevoli.


E' stato così affermato il principio che è configurabile il delitto di peculato in relazione al denaro pubblico il cui possesso, per effetto delle norme interne dell'ente pubblico che prevedono il concorso di più organi ai fini dell'adozione dell'atto dispositivo, fa capo congiuntamente a più pubblici ufficiali, anche se, di essi, quelli che emettono l'atto finale del procedimento non concorrono nel reato per essere stati indotti in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria (Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096 in fattispecie di ritenuta responsabilità di funzionari di un Comune che avevano istruito le pratiche per l'emissione di titoli di spesa poi sottoscritti da dirigenti o altri funzionari dei quali avevano carpito la buona fede, mediante falsi documentali ed artifici contabili).


Il caso in esame è palesemente diverso.


Stando alla sentenza impugnata, il collaboratore esterno dell'amministrazione comunale, come tale extraneus rispetto all'agente qualificato, si è limitato a presentare richieste di rimborso, relative a spese palesemente inconferenti rispetto all'incarico svolto, mentre il pubblico ufficiale, in pratica suggestionato dalla vicinanza del richiedente al Sindaco, avrebbe omesso colposamente ogni controllo in ordine alla pertinenza delle spese e di conseguenza alla spettanza dei rimborsi richiesti.


In termini di pura dogmatica generale del reato, l'assoluzione di uno dei concorrenti, in special modo in delitti di evento (es. omicidio, furto, etc.), risulta giuridicamente e logicamente compatibile rispetto alla conferma della responsabilità di uno o più concorrenti.


Nel caso, tuttavia, di concorso nel reato proprio, qual è il peculato di cui all'art. 314 c.p. ascrivibile esclusivamente al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio, a fronte del proscioglimento del soggetto qualificato responsabile della condotta tipica di appropriazione del pubblic:o denaro, sorge la necessità di spiegare in maniera convincente in che modo la frazione di condotta riferibile al soggetto estraneo abbia comunque determinato l'evento, conservando autonoma rilevanza penale sulla base di una, eventualmente diversa (artt. 48,482,483,476 e 640-bis c.p. o altro titolo), qualificazione giuridica rifluente anche sulla questione di competenza territoriale posta dalla difesa.


4. E' questo il compito che viene demandato ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui gli atti vanno rinviati per nuovo giudizio, previo annullamento della sentenza impugnata in relazione al capo C dell'imputazione.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto contestato al capo A non è più previsto dalla legge come reato.


Annulla, altresì, la medesima sentenza con riferimento al capo C e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.


Così deciso in Roma, il 10 giugno 2022.


Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2022

bottom of page