La massima
Integra il delitto di abuso di ufficio e non quello di peculato la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione.
Fonte: CED Cassazione Penale 2021
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La sentenza integrale
(Cassazione penale , sez. VI , 01/10/2020 , n. 37074
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 2 aprile 2019, la Corte di appello di Milano riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Sondrio del 17 dicembre 2015 che, all'esito di giudizio ordinario, aveva condannato gli imputati, indicati in epigrafe, per i reati agli stessi rispettivamente ascritti ai capi A), B), D), E), F), G), H), I), i), M), esclusi i punti 3 e 6, N), O), Q), V), Y), assolto i predetti dai reati ascritti ai capi C), M), punti 3 e 6, T), W), X), e dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati ascritti ai capi K), P), S), U), A.1), D.1), nonchè al risarcimento dei danni in favore delle numerose parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede, oltre la condanna alle spese di giudizio in favore delle stesse, e le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici.
In particolare, le imputazioni, per quel che interessa questo procedimento, avevano ad oggetto i seguenti capi: A), B), D), E), F), G), per i delitti di concussione di cui agli artt. 110 e 317 c.p.; H) ed I), per i delitti di tentata concussione di cui agli artt. 110,56 e 317 c.p.; 3), tentata concussione, ascritta al solo P.S.; K), delitto di corruzione di cui all'art. 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 1, e art. 319 c.p.; M), N), O), Q) delitti di peculato di cui all'art. 314 c.p., ascritti in parte in concorso e in parte singolarmente a P.S., S.L.M. e L.G. (a L. solo il capo Q); capo V), delitto di falso in atto pubblico di cui agli artt. 110 e 476, comma 2, c.p., ascritto a P., S. e M.S. per avere formato la falsa delibera del 29 dicembre 2006 del Consiglio direttivo della Comunità (OMISSIS) con cui per ragioni di urgenza la Comunità Montana affidava alla società (OMISSIS), amministrata da P., la gestione delle procedure per la ristrutturazione del polo fieristico di Morbegno con un impegno di spesa per la detta Comunità di circa Euro 2.400.000,00; capo Y), delitto di falso in atto pubblico di cui agli art. 110 c.p., e art. 476 c.p., comma 2, ascritto a P., M. (oltre che a R. e F., imputati non ricorrenti), relativo sempre ad una falsa delibera del Consiglio direttivo della Comunità (OMISSIS) con cui si approvava il rimborso spese alla (OMISSIS) s.r.l. dell'importo di Euro 158.000,00, per giustificare esborsi non previamente autorizzati da parte della citata Comunità montana.
g Si prescinde dalle ulteriori imputazioni relative ai reati di truffa, turbativa d'asta, falso, di cui ai residui capi, le cui statuizioni non sono state investite dai motivi di impugnazione, così come anche i capi da A1) a F1) per i reati di corruzione, turbativa d'asta, abuso di ufficio, correlati alla gara indetta a seguito di una frana dal Comune di Brema per i lavori di consolidamento dei versanti e la realizzazione delle infrastrutture per il collegamento del centro abitato di Berna con il fondovalle, ugualmente non investiti dai motivi di ricorso (reati dichiarati prescritti).
1.1. All'esito del giudizio di primo grado, gli imputati sono stati ritenuti responsabili e condannati per i seguenti reati e relative pene:
- P.S., per i delitti di cui ai capi A), B), D), E), F), G), H), I), J), M), N), Q), V), Y) (ovvero concussioni, tentate concussioni e peculati), esclusi i punti M3) e M6), alla pena di 9 anni e 2 mesi di reclusione;
- B.R., per i delitti di cui ai capi A), B), D), E), F), G), H) (concussioni), alla pena di 4 anni e 10 mesi di reclusione;
- M.S., per i delitti di cui ai capi G) (concussione ai danni dei F.), V) e Y) (falsi in atto pubblico), alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione;
- G.F., per il delitto di cui al capo G (concussione ai danni dei F.), alla pena di 4 anni di reclusione;
- S.L.M., per i delitti di cui ai capi M), O), Q) (peculati) e V) (falso), esclusi i punti M.3) e M.6), alla pena di 4 anni e 10 mesi di reclusione;
- L.G., per il delitto di peculato di cui al capo Q) alla pena di 2 anni di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nei confronti degli imputati B.A. e R.R., chiamati a rispondere a titolo di concorso per il solo reato di corruzione ascritto al capo K), con l'anzidetta sentenza di primo è stata dichiarata la prescrizione del reato, come nei confronti degli altri coimputati P.S., B.R. e G.F..
1.2. All'esito del giudizio di appello risultano le seguenti riforme:
- assoluzione per i capi V) e Y), nei confronti di P. e M. per insussistenza del fatto;
- non doversi procedere per prescrizione dei reati nei confronti di:
P. per i capi H), I), 3), M.7);
B. per il capo H);
S. per il capo M.7);
- con conseguente rideterminazione della pena nei confronti di:
P., in 7 anni e 3 mesi di reclusione;
B., in 4 anni e 7 mesi di reclusione;
M., in 4 anni e 8 mesi di reclusione;
S., in 4 anni e 8 mesi di reclusione.
1.3. Quanto ai fatti oggetto del procedimento, dalle sentenze di merito risulta essere stata accertata l'esistenza di un accordo corruttivo (capo K) intercorso tra il presidente della Comunità (OMISSIS), P.S., e l'imprenditore G.R., in forza del quale il predetto funzionario pubblico, con il concorso consapevole degli altri imputati, che a vario titolo intervenivano nella vicenda, convenivano di consentire al predetto imprenditore di realizzare un capannone industriale di notevoli dimensioni in un'area a destinazione agricola, attraverso l'adozione di tutti gli atti amministrativi necessari allo scopo sul piano della regolarità urbanistica, di competenza del Comune di Cercino, in particolare attraverso l'approvazione di una variante del Piano Regionale Generale (PRG) di detto Comune e di un piano di insediamento produttivo industriale (P.I.P.), allo scopo di consentire alla società facente capo al predetto imprenditore ("(OMISSIS) s.p.a.") di acquisire le aree su cui doveva sorgere il previsto insediamento industriale attraverso un preordinato piano criminoso che includeva la necessaria opera di persuasione-costrizione dei diversi proprietari interessati dal P.I.P. a cedere i loro terreni al predetto imprenditore ad un prezzo più basso di quello di mercato, per dare modo al medesimo imprenditore di conseguire l'assegnazione dell'area interessata dal P.I.P..
In particolare, le concussioni ascritte ai diversi imputati ( P., B. G., M.), consistite nella prospettiva di vendere al predetto imprenditore ad un prezzo più alto dell'indennità di esproprio, ma comunque più basso di quello di mercato, rientravano nel predetto piano criminoso essendo funzionali a fare conseguire all'impresa di G. la maggiore quota di proprietà dell'area interessata dal P.I.P., per dare una parvenza di imparzialità e regolarità all'assegnazione al predetto imprenditore di tale area, sita nel Comune di (OMISSIS) in località Piussogno, che doveva essere espropriata per effetto dell'approvazione del P.I.P., mediante la previsione di una clausola di preferenza che prevedeva, tra i criteri per la formazione della graduatoria di assegnazione delle aree comprese nel comparto n. 53 sottoposto al citato P.I.P., quello di "precedenza a prescindere dalla posizione in graduatoria, al richiedente proprietario della maggior parte del lotto da assegnare, ovvero che fosse "in possesso dei preliminari di vendita della maggior percentuale di area del (predetto) lotto...".
Più specificamente, i predetti imputati P., B., G., M. concorrevano, nelle rispettive qualità (solo i primi tre nel reato di corruzione e nelle connesse ipotesi di concussione, mentre M. solo della concussione di cui al capo G):
1) B.R., quale sindaco di (OMISSIS), e G.F., quale segretario comunale dello stesso Comune, per essersi attivati per le approvazioni degli atti amministrativi urbanistici di competenza del Comune di (OMISSIS), e per essersi personalmente adoperati su incarico del P. per costringere o indurre alcuni dei cittadini del suo Comune a vendere le terre al G. ( G. risponde per quanto riguarda le concussioni solo per il capo G relativo alla vicenda dei F.).
2) M.S., nella qualità di segretario della Comunità (OMISSIS), per essersi attivato su incarico del P. per costringere o indurre alcuni dei cittadini del suo Comune a vendere le terre al G., limitatamente al capo G (concussione in danno dei F.).
3) B.A. - che risponde solo per il capo K) relativo al concorso nella corruzione dichiarata prescritta già in primo grado - consigliere comunale di maggioranza del Comune di (OMISSIS), e socio dell'architetto R. dello studio professionale incaricato per la redazione del progetto del P.I.P. e per la realizzazione del capannone industriale, per essersi in generale attivato per le approvazioni degli atti amministrativi urbanistici di competenza del Comune di (OMISSIS), ed in particolare anche non astenendosi allorchè fu deliberata l'approvazione del P.I.P. alla cui redazione progettuale aveva partecipato.
4) R.R. - che risponde solo per il capo K) relativo al concorso nella corruzione dichiarata prescritta già in primo grado - in qualità di architetto titolare dello studio associato con B., per avere redatto il progetto del P.I.P., e poi quello per la realizzazione del capannone industriale, beneficiando dei compensi erogati dall'impresa G., che si assumono "gonfiati dalle tangenti" corrisposte a P., che aveva indicato all'imprenditore il predetto professionista da incaricare per la progettazione del capannone industriale;
5) L.B., Sindaco di (OMISSIS) (non appellante, nè ricorrente avverso la sentenza di prescrizione del reato dichiarata in primo grado), per avere concorso nell'approvazione della variante del PRG, attivandosi per indurre la Giunta del proprio Comune a deliberare nello stesso giorno la medesima delibera approvata dalla Giunta del Comune di (OMISSIS) per richiedere alla Amministrazione della Provincia di Sondrio l'inserimento dell'area interessata dal P.I.P. nel piano territoriale provinciale, facendo riferimento falsamente alle sollecitazioni pervenute "da alcuni imprenditori", sebbene del tutto assenti, se non l'unica richiesta ufficiosa di G., appoggiata da P..
6) V.S. (appellante, non ricorrente, con prescrizione in primo grado per il reato di corruzione di cui al capo K) e assoluzione in grado di appello dalle concussioni per non avere partecipato fattivamente all'opera di coercizione-induzione, ma essendosi occupata solo di curare la redazione dei contratti preliminari per conto della F.I.A.L. di G. e nell'interesse di P.), quale legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., società che incamerava i compensi versati dalle società facenti capo al predetto imprenditore G.R., destinati a retribuire il P., considerato il vero dominus di detta società.
1.4. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il P., venuto a conoscenza della necessità di G. di rinvenire un'area per un proprio insediamento industriale, non avendo potuto realizzarlo in altro sito a causa di alcuni espropri, si sarebbe adoperato per aiutarlo per interessi personali ed in cambio di varie utilità, procurandogli con la collaborazione del Sindaco di (OMISSIS), B.R., l'area utile allo scopo, utilizzando tutta la sua influenza politica nella zona, ottenendo come contropartita delle somme di denaro versate dalla (OMISSIS) di G., acquirente dei terreni, alla (OMISSIS) S.r.l., di V.S., considerata prestanome del P., nella forma di compensi "gonfiati" per l'attività di mediazione immobiliare svolta dalla predetta società.
In particolare, detti compensi, costituenti il prezzo della corruzione, sono stati individuati oltre che nella differenza (Euro 163.650,00) tra quanto incassato dalla (OMISSIS) s.r.l. (Euro 214,820,00) e quanto speso in relazione alla stipula dei preliminari di vendita (Euro 51.169,20), anche nelle ulteriori utilità erogate in forma di compensi pagati (Euro 114.000,00) all'architetto R., socio di studio del consigliere comunale di (OMISSIS), B., nonchè con il regalo di un orologio del valore di 3.500,00 Euro al P. (da questi poi regalato a G.), il pagamento di un viaggio a Dubai del valore di circa 10.000 Euro, offerto da G. a P. e S., e dagli ulteriori compensi "gonfiati", in relazione a progetti per impianti eolici commissionati dalla (OMISSIS) di G. alla (OMISSIS) s.r.l. dei fratelli L., ritenuti prestanomi di P., nonchè alla già citata (OMISSIS) s.r.l..
La natura fittizia delle prestazioni concernenti l'elaborazione di progetti commissionati dalla (OMISSIS) di G. alle predette società, entrambe ritenute facenti capo al P., avrebbe trovato riscontro in una serie di elementi, valorizzati dai giudici di merito, tra cui l'obiettiva assenza di competenze professionali di dette società, che avrebbero dovuto incaricare a loro volta altri tecnici esterni per eseguire i progetti, palesandosi l'irragionevolezza sul piano economico della loro intermediazione, a fronte della capacità e competenze professionali della (OMISSIS) che era dotata di personale ben più qualificato, e che non avrebbe avuto bisogno per realizzare impianti eolici di rivolgersi alle predette società, peraltro espressamente segnalate dallo stesso P., e gestite l'una - la (OMISSIS), priva di strutture e dipendenti - da un operaio con la licenza di terza media, L.E., che lavorava di fatto per la società (OMISSIS) di cui P. era l'amministratore unico, e l'altra - la (OMISSIS) - gestita ed amministrata dalla già citata V.S., che si era occupata della stipula dei preliminari di vendita per conto della (OMISSIS) di G., senza alcuna esperienza nel campo dell'energia alternativa.
In diverso contesto si inseriscono, invece, le plurime ipotesi di peculato contestate a P., S. e L., relativamente alla appropriazione indebita delle disponibilità finanziarie della (OMISSIS) s.r.l., ritenuta organismo di diritto pubblico, avente come principale oggetto sociale l'organizzazione di eventi fieristici, società a totale partecipazione pubblica (10% Comune di (OMISSIS) e 90% Comunità (OMISSIS), presieduta da P.), poi dichiarata fallita.
Al P., amministratore unico, e a S., direttore generale della predetta società, è stata attribuita la veste di pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio, in considerazione della natura pubblica del servizio affidato dai predetti enti pubblici territoriali per la gestione del polo fieristico di (OMISSIS) prima gestito dall'Ente Fiera di (OMISSIS) - e degli ingenti finanziamenti pubblici di cui la predetta società ha fruito.
Ai capi da M.1) a M.11) sono stati contestati diversi fatti di peculato, per spese operate da P. e S. con l'uso delle carte di credito aziendali rispetto ai quali la sentenza di primo grado ha assolto dai punti M.3) e M.6) ritenendo non provata l'estraneità della relativa spesa agli scopi sociali (pranzi e regali di prodotti valtellinesi offerto a funzionari della Regione Lombardia, ritenuti coerenti con le finalità promozionali dell'economia valtellinese); in appello è stata dichiarata la prescrizione delle spese del punto M.7) (viaggio di piacere ad (OMISSIS) dal 7 al 9 giugno 2006).
Ulteriori peculati sono contestati ai capi N) e da N. 1) a N. 3) al solo P., al capo O), ascritto al solo S. e, infine, al capo Q), ascritto ad entrambi in concorso con L.E..
Al capo Q) si contesta il reato di peculato in concorso nei confronti di P., L.E. e S., per le appropriazioni di somme pari all'importo delle fatturazioni per il totale di 48 mila Euro della (OMISSIS) ritenute relative ad prestazioni fittizie di lavoro, versate dalla (OMISSIS) per pagare le stesse attività lavorative svolte da L.G. e già retribuite attraverso le fatture rilasciate dal Consorzio Porte di Valtellina, ente di fatto controllato da P., di cui L. risultava formalmente dipendente, essendo stata la (OMISSIS) ritenuta una società facente capo in realtà sempre a P..
2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati in epigrafe indicati, denunciando, a mezzo dei rispettivi difensori, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. P.S., a mezzo dei suoi difensori, ha presentato ricorso deducendo i seguenti motivi.
3.1. Violazione di legge in relazione alla eccepita nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e degli atti conseguenti, perchè notificato senza l'avvertimento previsto come obbligatorio per legge ex art. 419 c.p.p., commi 1 e 7, sullo svolgimento del procedimento in contumacia in caso di non comparizione dell'imputato.
Si rileva che il Tribunale di Sondrio aveva rigettato l'eccezione rilevandone la intempestività qualificandola come nullità a regime intermedio, mentre la Corte di appello, sull'implicita infondatezza della rilevata tardività, ha invece rigettato l'eccezione ritenendo non sanzionata a pena di nullità la mancanza di detto avvertimento, richiamando analogamente quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità per l'analogo avviso previsto nel decreto che dispone il giudizio, ma con riferimento all'assenza e non alla contumacia, in tal modo assimilando erroneamente i due istituti, da considerarsi invece distinti, e senza considerare il diverso dato testuale delle norme di riferimento, non essendovi spazio interpretativo per estendere all'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, la ravvisata limitazione delle ipotesi di nullità alle sole omissioni relative alle indicazioni dei requisiti previsti per il decreto di citazione a giudizio dall'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. f), considerato che l'art. 419 c.p.p., comma 7, prevede la sanzione della nullità per la violazione della previsione di cui al comma 1, incluso quindi anche il predetto avvertimento.
3.2. Violazione di legge per la nullità assoluta del decreto emesso dal giudice dell'udienza preliminare di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per l'appello, perchè entrambi erroneamente notificati all'imputato, presso un domicilio eletto, revocato e superato dalla successiva elezione di domicilio presso lo studio dell'avvocato B.G., in via (OMISSIS), la cui nomina è stata poi revocata dalle successive nomine fiduciarie (avvocati De Lillo, Traini, Turconi), che non hanno tuttavia modificato il luogo del domicilio eletto non essendo state accompagnate da nuove elezioni di domicilio.
In particolare, si rileva che le notifiche dei predetti atti introduttivi nei confronti dell'imputato, rimasto sempre contumace, sono state erroneamente eseguite presso lo studio dell'avvocato Maurizio Gerosa in via (OMISSIS), sebbene tale avvocato fosse stato successivamente revocato e sebbene sia intervenuta come detto la nuova elezione di domicilio contestuale alla nomina fiduciaria dell'avv. B..
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al discrimine tra gli artt. 317 e 319 quater c.p., nonchè in relazione alla corretta interpretazione della disciplina urbanistica ed amministrativa in tema di determinazione dell'indennità di esproprio, ed in merito alla colpevolezza per i reati di concussione e di tentata concussione (capi h), i), j)) e di corruzione (capo k) per i quali è stata dichiarata la prescrizione, per carenza di motivazione da ritenersi assente o apparente sui diversi punti che erano stati denunciati con i motivi di appello, e che sono stati specificamente riportati nell'atto di ricorso, con l'articolazione in sette sotto-motivi dalla lettera a) alla lettera h).
In particolare:
a) sulla legittimità dell'attività svolta da P. per le prerogative proprie della sua qualità di presidente della Comunità (OMISSIS) a sostegno dell'insediamento produttivo di (OMISSIS), a tutela dello sviluppo economico della zona, anche sotto il profilo occupazionale, rientrando tale compito tra quelli previsti dal programma 2006/2008 della predetta Comunità. Considerato che l'insediamento che G. si proponeva di realizzare avrebbe garantito la possibilità di creare circa 100-150 nuovi posti di lavoro nel mandamento di (OMISSIS). Con ulteriori profili attinenti alle modalità con cui è stata individuata l'area per l'ubicazione dell'insediamento, sulla origine dell'iniziativa imprenditoriale partita autonomamente dall'imprenditore G. e non su istigazione del P., sul ruolo autonomo svolto dal sindaco di (OMISSIS), B., e sull'assenza di prove della sua subordinazione ai voleri di P..
b) sull'insussistenza dell'accordo corruttivo, considerata la premessa illecita che ha condizionato tutto l'iter amministrativo, evidenziandosi nei motivi di appello che era mancato qualsiasi arricchimento personale di P., che la procedura amministrativa non presentava vizi di legittimità come dimostrato da una consulenza autorevole del prof. Villata, che le assunte utilità corrisposte dall'impresa G. costituivano il pagamento di prestazioni effettivamente rese dai professionisti o dalle società incaricate ((OMISSIS), (OMISSIS)), senza alcun riscontro di trasferimenti di denaro da costoro a P., o mere liberalità del tutto lecite (come il pagamento di un viaggio o il regalo di un orologio), che non poteva ritenersi provata l'interposizione soggettiva della V., essendo la (OMISSIS) una società della sua famiglia, che l'autovettura Audi A3 intestata alla società non poteva ritenersi di proprietà del P., solo perchè dalle intercettazioni risultava che si era interessato per il suo acquisto, ed essendo detta auto stata poi venduta dalla (OMISSIS) al marito della V.. Analogamente si censuravano le argomentazioni sulla base delle quali la (OMISSIS) dei fratelli L. è stata ritenuta lo schermo per l'incasso da parte del P. delle presunte utilità versategli da G., attraverso la (OMISSIS).
c) Sulla legittimità dell'iter amministrativo di adozione e di approvazione del piano urbanistico e del progetto, si evidenzia l'omessa considerazione del parere espresso da un illustre cattedratico (prof. Villata), in particolare sulla correttezza della prassi seguita dal Sindaco di (OMISSIS) di contattare i proprietari dell'area interessata per proporre loro di cedere la terra al fine di evitare l'esproprio da parte del Comune.
d) Circa il valore effettivo delle aree, ritenuto erroneamente di molto inferiore al reale valore di mercato, si rappresenta la rilevanza essenziale alle ipotesi di concussione ascritte di tale aspetto che è stato valutato facendosi riferimento alla nuova disciplina conseguente alla sopravvenuta sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007 che ha dichiarato l'incostituzionalità dei criteri che erano stati prima di allora seguiti legittimamente dalla Amministrazione. Si rileva poi che la Corte ha omesso di motivare sulla rilevanza della clausola apposta ai contratti preliminari che li tutelava nel caso di maggiore importo dell'indennizzo, e sulla considerazione che il Comune di (OMISSIS) in data 23 aprile 2008, preso atto della pronuncia della Corte Costituzionale prevedeva una clausola contrattuale che trasferiva sulla società di G. il rischio dei maggiori costi derivanti per il pagamento dell'indennizzo di esproprio secondo i nuovi criteri introdotti dalla L. n. 244 del 24 dicembre 2007, cui seguiva, dopo la comunicazione del valore di 50 Euro al mq fissato per tutta l'area del P.I.P. n. 53, la richiesta da parte del sindaco B. rivolta all'impresa G. di pagare la differenza tra l'indennità di cessione amichevole e/o esproprio ed il valore dei terreni secondo l'importo quantificato dalla Commissione espropri, cosa che l'impresa ha poi fatto consentendo al Comune di indennizzare gli ex-proprietari.
Si evidenziava che il valore dell'area sebbene incrementato dalla variante urbanistica, doveva tenere conto che si tratta di area sottoposta a vincolo idrogeologico soggetta ad esondazione del fiume (OMISSIS) e che le norme vigenti ne consentivano l'edificabilità solo ad una quota di mt. 210,50, che imponeva dei costi da parte dell'aggiudicatario per la realizzazione di una cd. ripiena, ribadendosi quindi che il pezzo di 11 Euro proposto per la cessione volontaria era da ritenersi in linea con il valore di mercato anche tenendo conto della nuova destinazione urbanistica per l'approvazione del P.I.P..
e) Circa le lecite modalità di cessione volontaria delle aree, che non sarebbero state imposte con minaccia ma liberamente accettate da numerosi proprietari che hanno acconsentito a cedere i propri terreni alle stesse condizioni dei denuncianti, peraltro mossisi dopo tre anni dai fatti (nel 2010), senza considerare che alcuni episodi si sono riferiti a trattative intervenute dopo l'approvazione della variante urbanistica in previsione del P.I.P., che rendeva a quel punto certo l'esproprio. Inoltre, si rileva il travisamento del dato relativo alla circostanza che le trattative intercorse dalla metà dell'anno 2006 sono state ritenute come antecedenti alla adozione del P.I.P., la cui data di adozione era del 10 luglio 2006.
f-g) Si censura l'omessa motivazione dell'appello in punto di tempistica delle diverse ipotesi di concussione in rapporto all'iter amministrativo, essendosi evidenziato che parte dei fatti sono successivi all'approvazione definitiva della variante ed all'invio della comunicazione di avvio della procedura espropriativa. Nel predetto sottoparagrafo sono poi trattati nel ricorso i diversi capi di imputazione relativi alle concussioni consumate (capi A), B), D), E), F),G)) e a quelle tentate (capi H), J), I)) tutte accomunate dalla mancanza assoluta di coartazione, evidenziandosi che per il capo A) il preliminare è stato concluso alla riunione pubblica del 16 luglio 2006 tenutasi presso la sala Consiliare del Municipio di (OMISSIS) e che tutti hanno potuto liberamente valutare la convenienza o meno dell'accordo. Inoltre si censura la motivazione con cui la sentenza di appello ha ravvisato l'ipotesi della concussione per minaccia ex art. 317 c.p., anzichè quella per induzione che in applicazione del nuovo più favorevole trattamento sanzionatorio sarebbe prescritto, evidenziandosi che i possessori dei terreni hanno agito per un proprio tornaconto personale, conseguendo un vantaggio che sebbene non illegittimo costituiva comunque la ragione della loro libera scelta.
3.2. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alle ipotesi di peculato sotto plurimi profili. Innanzitutto, perchè è carente la qualità soggettiva di incaricato di pubblico servizio sia in P. che nel concorrente S., in considerazione della natura privata della (OMISSIS) s.r.l., e dell'esclusione del carattere pubblico del servizio svolto, per il suo carattere commerciale. Al riguardo si ribadiscono le osservazioni dei pareri tecnici assunti nel corso del dibattimento e che non sono stai adeguatamente soppesati.
Si rileva che una volta escluso che la società avesse natura di società in house dei soci pubblici, Comunità (OMISSIS) e Comune di (OMISSIS), difettandone i presupposti previsti dal D.Lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, comma 4, (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - T.U.E.L.) - nella specie la previsione statutaria della partecipazione pubblica come esclusiva, la prevalenza dell'attività sociale a favore degli enti pubblici soci e le forme di controllo analogo - viene meno ogni possibilità di una sua configurazione come organismo pubblico.
Ciò perchè l'oggetto sociale relativo alla gestione di strutture per l'organizzazione di manifestazioni quali fiere, mostre congressi aventi natura varia, e comunque anche economica e commerciale, non può essere qualificato come servizio pubblico.
Inoltre si ribadiscono le censure sulle argomentazioni utilizzate per escludere la rilevanza di un errore di fatto scusabile, circa la natura pubblica o privata della società e della veste in cui gli imputati hanno agito.
Nell'ambito di questo motivo, vengono articolati dei sotto-motivi con riferimento alle singole imputazioni di peculato di cui ai capi M1), M2), M4), M5), M7), M8), M9), M10), N1), N2), N3) e Q), con cui si deduce l'omessa motivazione in merito alla congruenza di dette spese ed uscite della società (OMISSIS) per cene, viaggi, acquisti di cesti natalizi, esborsi per premi di produzione e polizze assicurative, con le finalità e gli scopi promozionali della società e della ricerca di nuovi eventi da organizzare essendo le entrate maggiori correlate alla locazione degli spazi espositivi.
Con riferimento ai premi la Corte di appello non ha risposto sulle censure relative all'estraneità del P. al fatto, essendo state deliberate quanto questi non era più amministratore.
Inoltre, con riferimento al capo Q) si evidenzia l'omessa motivazione sulla effettiva operatività della società (OMISSIS) di L.G. le cui fatture non potevano essere a ragione ritenute emesse per prestazioni inesistenti.
3.3. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di proscioglimento per prescrizione maturata prima della sentenza di appello per il peculato di cui al capo N2), che si riferisce ad una ricevuta fiscale del 3 giugno 2005 con l'annotazione "figli P.", considerato il termine massimo di anni 12 e mesi 6, come deciso per il capo M7), prescrittosi in base agli stessi calcoli il 9 dicembre 2018.
3.4. Con il sesto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla pena, al diniego delle attenuanti generiche, alla determinazione degli aumenti per continuazione, nonchè alla mancata rideterminazione della pena per effetto dell'assoluzione intervenuta in appello nei confronti di V.S. con il venir meno dell'aggravante del numero dei concorrenti di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 1, relativamente al reato di concussione di cui al capo G) (caso F.).
Rilevandosi al riguardo il comportamento processuale, l'incensuratezza, il decorso del tempo dai fatti in assenza di altre condanne, inoltre deducendo la errata applicazione retroattiva del testo nuovo dell'art. 62 bis c.p., che preclude la possibilità di valorizzare il solo stato di incensuratezza per la concessione delle attenuanti generiche. Con specifico riguardo al capo G) si denuncia che la pena di anni 4 aumentata a 5 anni per l'aggravante contestata, come determinata in primo grado, non potesse essere confermata in appello una volta esclusa l'aggravante per effetto dell'assoluzione della coimputata che ne giustificava l'applicazione per il numero pari o superiore a 5.
4. Ricorso di S.L.M..
4.1. Vizio di motivazione per contraddittorietà logica in merito all'omessa motivazione sulle ragioni per le quali la Corte di appello di Milano ha assolto i correi R., P. e M. dal reato di falso di cui al capo V, senza estendere la stessa pronuncia assolutoria nei confronti del ricorrente, sebbene la sua posizione non fosse stata adeguatamente soppesata neppure nel giudizio di primo grado.
In particolare, si fa riferimento al falso materiale concernente la delibera n. 427 del 29 dicembre 2006 che sarebbe stata formata ad hoc a distanza di molto tempo, tra il 29 dicembre 2006 e il 22 febbraio 2007 per dare una copertura formale all'assegnazione da parte della Comunità (OMISSIS) dell'incarico per l'esecuzione delle procedure finalizzate a gestire l'affidamento della gara di appalto per dei lavori di ristrutturazione di un padiglione del polo fieristico. L'unico elemento valorizzato a suo carico sarebbe stato solo quello di aver curato la fase organizzativa dell'evento, in qualità di direttore tecnico della società (OMISSIS), pur senza aver preso parte alla fase deliberativa.
Più precisamente si rappresenta che la motivazione di riforma della Corte di appello ha escluso la prova della stessa sussistenza del fatto e si richiede pertanto anche la rideterminazione della pena essendo stata confermata la pena irrogata dal primo giudice al netto della sola riduzione di due mesi per il reato dichiarato prescritto di cui al capo M7.
4.2. Il secondo motivo verte sempre sulla stessa questione relativa al capo V circa la carenza di motivazione sul contributo causale fornito dall'imputato.
4.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge in merito alla conferma della condanna per i reati di peculato ascritti ai capi M), O), Q), sul rilievo della insussistenza della natura giuridica di organismo di diritto pubblico della società (OMISSIS).
In particolare, si denuncia la violazione del disposto del D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163, art. 3, comma 26, che elenca i requisiti che un ente giuridico congiuntamente deve possedere perchè possa essere considerato tale.
Si osserva, anche, che sono carenti gli elementi perchè possa essere considerata società in house ai sensi dell'art. 113, comma 4, T.U.E.L., richiamandosi anche le pronunce comunitarie (causa C-44/96) secondo cui non possono essere considerati organismi di diritto pubblico quelli che nascono per soddisfare esigenze di carattere commerciale e/o industriale, come sancito dalle Sez. Un. civili con la sentenza n. 97 del 4 aprile 2000 con riferimento agli enti che organizzano fiere, operando in ambito concorrenziale.
Si denuncia l'omessa motivazione con riferimento ad altre due caratteristiche della citata società, ovvero che è stata dichiarata fallita e che il suo personale è stato assunto con le modalità delle imprese private.
Sempre nel contesto del terzo motivo si denuncia anche la violazione di legge in merito alla conferma della condanna per i reati di peculato ascritti ai capi M), O), Q), senza considerare che spesso gli incontri extra-lavoro sono quelli più proficui per gli scopi dell'Ente fiera, oltre al travisamento del dato circa la chiusura per ferie della società nel mese di agosto cui si riferiscono alcune delle spese relative all'acquisto di cioccolatini il giorno 2 agosto 2008, non avendo il ricorrente in quell'anno beneficiato neppure di un giorno di ferie, e che la destinazione degli acquisti di carne era per il consumo dei dipendenti che non godevano di un servizio mensa, mentre i cioccolatini venivano posizionati all'ingresso degli uffici a disposizione degli ospiti. Con riferimento al peculato di cui al capo Q) si osserva che si tratta di uscite relative a prestazioni effettive rese da terzi, e che comunque non è provato il profitto del direttore della (OMISSIS).
4.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio di motivazione per contraddittorietà in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio.
5. Ricorso di L.G..
5.1. Vizio di motivazione in relazione all'accertamento del carattere fittizio della società (OMISSIS), sulla sua riferibilità a P., sui versamenti in banca del 25% del capitale sociale all'atto della costituzione da parte del P., che andava considerato solo come un mero favore fatto al cugino L.G. perchè effettuato per conto dei sottoscrittori L.G. e G., sulle modalità di costituzione della società circa la deposizione resa dal teste F., sull'assenza di operazioni sul conto della (OMISSIS) da parte di P..
5.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione sulla valutazione delle fonti di prova: 1) in merito alla reale riferibilità a L.G. della (OMISSIS), sebbene il commercialista F. di (OMISSIS) avesse evidenziato che non aveva una propria sede e nè strutture operative, 2) in merito alla fattura del 23 aprile 2008 di 40.000,00 Euro oltre IVA emessa dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) con la causale "Allestimenti scenografici e strutturali", ovvero l'attività che L. effettuava realmente nei confronti di detta società; 3) in merito alla circostanza che P. non ha mai effettuato operazioni bancarie per conto della (OMISSIS); 4) in merito alla fattura emessa il 2 luglio 2008 nei confronti della (OMISSIS) dall'architetto M. di 31.200,00 Euro per prestazioni di progettazione e pratiche amministrative ed altri eventi di competenza della società (OMISSIS), che il predetto architetto ha spiegato avere emesso a nome della (OMISSIS) perchè glielo aveva richiesto S. (direttore della (OMISSIS)) e che andava ricollegata al pagamento operato dalla quest'ultima società alla (OMISSIS) con la citata fattura di 40.000,00 Euro.
Ulteriore punto toccato dal ricorso è quello delle prestazioni lavorative di L.G., documentate dalla succitata fattura emessa dalla (OMISSIS), giustificata dal fatto che L. era solito lavorare nei giorni festivi e di notte, e ciò spiega perchè i compensi straordinari non fossero inclusi in quelli ordinari che lo stesso lavoratore percepiva dal Consorzio Turistico Porte di Valtellina di cui era dipendente.
Ultimo punto affrontato, nell'ambito del secondo motivo, è quello delle fatture emesse dalla (OMISSIS) ("nella sua breve vita... emetteva solo quattro fatture"), di cui una è quella di quarantamila Euro già più volte richiamata, e poi ci sono le due fatture di diciottomila e di dodicimila Euro emesse alla (OMISSIS) s.p.a. ( G.) per lo studio e progetto per la realizzazione di un parco eolico, ed una quarta fattura per la vendita di un computer.
Con le proprie censure il ricorrente contesta le valutazioni operate dalla Corte distrettuale rispetto alle modalità di pagamento delle spese di alloggio, poste a carico della (OMISSIS), sebbene il ricorrente avesse addotto di avere effettuato le proprie prestazioni come lavoratore autonomo.
Ulteriori considerazioni riguardano le intercettazioni da cui si evincerebbe soltanto che il P. fu interpellato da L. a causa di un errore nella numerazione delle fatture, frutto di semplice ignoranza delle regole di contabilità. Mentre con riferimento alla progettazione del parco eolico, si osserva che l'incarico fu affidato dalla (OMISSIS) all'ing. C.A. e le fatture emesse dalla (OMISSIS) nell'ottobre del 2007 e nel maggio del 2008 erano relative al progetto consegnato alla committente (OMISSIS), come riscontrato dalla fattura emessa il 14 marzo 2013 dall'ing. C. nei confronti della (OMISSIS).
5.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge per nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza a preliminare, carente dell'avvertimento all'imputato che in caso di mancata comparizione si procede in sua contumacia.
Sul punto si rileva che il Tribunale, riproducendo la stessa motivazione del giudice dell'udienza preliminare, qualificandola come nullità a regime intermedio, ne ha rilevato erroneamente la sanatoria per tardività della relativa eccezione.
5.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge per avere la Corte di appello condannato il ricorrente L.G. alla rifusione delle spese in favore delle parti civili Regione (OMISSIS), P.F. +16 e P.S. + 20, sebbene nei confronti di L. nel giudizio di primo grado non vi fosse stata la relativa condanna alle statuizioni civili e nè una formale costituzione nei suoi confronti, se non dell'unica parte civile (OMISSIS).
6. Ricorso di B.R..
6.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge per nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza a preliminare, carente dell'avvertimento all'imputato che in caso di mancata comparizione si procede in sua contumacia.
Sul punto si rileva che l'eccezione era stata sollevata all'udienza preliminare del 19 dicembre 2012, ed era stata rigettata dal giudice dell'udienza preliminare, avendola qualificata come nullità a regime intermedio, perchè non dedotta alla prima udienza.
La stessa motivazione era stata ripresa dal Tribunale che ne aveva rilevato la tardività perchè non dedotta alla prima udienza del 24 gennaio 2011 ma solo a quella del 19 dicembre 2012.
La Corte di Appello, invece, senza fare più riferimento alla tardività, respingeva l'eccezione sul rilievo che anche per l'avviso dell'udienza preliminare vale lo stesso principio applicato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, 14 marzo 2018) per il decreto che dispone il giudizio, secondo cui tale omissione non è causa di nullità, non trattandosi di un requisito in senso proprio ma di un mero ammonimento.
Il ricorrente contesta questa interpretazione evidenziando la diversità del dato testuale delle norme di riferimento (artt. 419 e 429 c.p.p.), in particolare rimarcando che l'art. 419 c.p.p., ricollega la sanzione alla violazione dell'intera disposizione, senza riferirsi ai requisiti dell'atto.
6.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al mancato esame dei motivi di appello in relazione al discrimine tra gli artt. 317 e 319 quater c.p., nonchè in merito alla colpevolezza per i reati di concussione (capi A), B), D), F), G)) per carenza di motivazione da ritenersi assente o apparente sui diversi punti che erano stati denunciati con i motivi di appello, e che sono stati specificamente riportati nell'atto di ricorso con l'articolazione in altri sotto-motivi per ciascuna delle imputazioni ascritte dalla lettera A) alla lettera G).
In particolare si censura l'assenza di motivazione in punto di ricostruzione della condotta del Sindaco B. in termini di coercizione o minaccia, l'omessa valutazione dei contratti preliminari prodotti ed acquisiti agli atti, allegati al ricorso, con particolare riferimento alla clausola contrattuale che prevedeva che nel caso di espropriazione dell'area il preliminare si sarebbe risolto con facoltà della promittente parte venditrice di trattenere l'indennità di cessione bonaria proposta dalla pubblica amministrazione con la rinuncia della parte promittente acquirente alla restituzione degli eventuali acconti già versati, quali corrispettivo per l'utilizzo del bene immobile oggetto del contratto.
Quindi in forza di questa clausola nessun danno poteva subire il promittente venditore potendo percepire l'indennizzo dovutogli a titolo di esproprio e trattenere anche gli acconti già riscossi.
Si passano, poi, in rassegna le dichiarazioni rese dalla persone offese dei reati di concussione, riportate nel ricorso, A.R., C.L., P.A., G.R., G.C., F.F., da cui si evince che mai i predetti si sono sentiti minacciati, quanto semmai ingannati dalla prospettazione di un prezzo ritenuto troppo basso rispetto al valore del bene, e che in particolare G.R., capo del nucleo operativo dei Carabinieri, si era anche premurato di smentire su un articolo di stampa di essere stato minacciato dal Sindaco di (OMISSIS).
Si rileva, inoltre, che l'operazione promossa da G. era da considerarsi assolutamente vantaggiosa per le casse del Comune di (OMISSIS), attraverso la trasformazione di un'area agricola ad area industriale, grazie agli oneri di urbanizzazione ed alla riscossione dell'ICI, con la conseguente esclusione del delitto di concussione, essendo l'utilità richiesta ad esclusivo profitto dello stesso ente pubblico e non a vantaggio del pubblico ufficiale.
Inoltre, si rileva che dopo che la Commissione Provinciale Espropri ebbe a fissare in cinquanta Euro al mq il valore dei terreni espropriati, il Sindaco si attivò per inserire una nuova clausola contrattuale che trasferisse su G. gli oneri dei maggiori costi per il Comune tenuto ad integrare la differenza tra gli indennizzi versati e quelli maggiori spettanti ai proprietari.
Si contesta, inoltre, il travisamento delle dichiarazioni rese da B. che mai ha ammesso di avere perseguito gli interessi di G., ma solo quelli del Comune da lui rappresentato: secondo il ricorrente si potrebbe dire che è stato B. ad usare G. per il bene del Comune e non viceversa.
6.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 317 c.p. con riferimento al capo E) (vicenda S.), evidenziandosi come l'opera di persuasione svolta dal sindaco non ha avuto alcuna efficacia sulla decisione del S., che sarebbe poi stato convinto della convenienza della vendita da parte dell'intervento successivo di altre persone ( V., G. e P.).
Si censura anche il travisamento della sua deposizione che viene riportata per intero nel ricorso, e che contraddice anche la consumazione del delitto di concussione, che potrebbe semmai essere riqualificato in tentativo, non avendo il S. dato seguito al preliminare, avendolo poi impugnato in sede giudiziaria conseguendo un indennizzo maggiorato pari al valore di 50 Euro al mq.
6.4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al discrimine tra il reato di concussione di cui all'art. 317 c.p., e il reato di induzione di cui all'art. 319 quater c.p., osservandosi che tutti gli episodi ascritti al B. possono al più riferirsi ad una condotta di persuasione e non di minaccia o coercizione.
6.5. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, essendo stata applicata una pena base superiore al minimo edittale di anni quattro (anni quattro e mesi due), e non essendosi dato rilievo al fatto che con il suo operato ha permesso al Comune di conseguire maggiori entrate trasformando un terreno agricolo e paludoso in industriale, oltre ad essersi attivo per fra gravare su G. l'onere economico per il pagamento della quota integrativa dell'indennizzo di esproprio a seguito della rivalutazione dei terreni.
7. Ricorso di M.S..
7.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ricostruzione della condotta del M. che si sarebbe limitato a dare un mero consiglio al F., essendo legati da un rapporto di amicizia, ed essendo stato il F. a chiamarlo, per la loro pregressa conoscenza risalente a quando F. era sindaco di (OMISSIS) e M. segretario comunale di quello stesso centro. Inoltre, si rappresenta che non vi è prova che abbia conseguito un vantaggio personale e che non era titolare di cariche pubbliche nel Comune di (OMISSIS), rivestendo il ruolo di segretario della Comunità (OMISSIS).
Inoltre, si rappresenta che il F. allorquando vi fu l'intervento di M., aveva già ricevuto la notifica della determinazione di espropriazione per pubblica utilità per l'attuazione del P.I.P. 53.
7.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata fornito risposta ai motivi di appello, con riferimento anche alla dedotta inutilizzabilità della consulenza del pubblico ministero e comunque per avere ritenuto il M. partecipe del c.d. sistema P., senza indicarne le prove e considerato che in relazione al reato di corruzione nulla viene ascritto al M..
7.3. Con il terzo, quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata riqualificazione del reato nell'ipotesi prevista dall'art. 319 quater c.p., non potendosi ravvisare alcuna minaccia nella condotta di M. il cui intervento è stato sollecitato dalla stessa persona offesa ed essendo al più limitato ad un'opera di persuasione e di induzione.
7.4. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione con riguardo alla omessa riqualificazione nel reato di corruzione ex art. 319 c.p., per coerenza con l'affermazione della Corte di appello secondo cui gli episodi di concussione devono essere inseriti nell'accordo corruttivo ascritto al capo K), dichiarato prescritto.
7.5. Con il sesto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata rideterminazione della pena per effetto dell'assoluzione intervenuta in appello nei confronti di V.S. con il venir meno dell'aggravante del numero dei concorrenti di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 1.
7.6. Con il settimo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e all'entità della pena
7.7. Con l'ottavo motivo si deduce violazione di legge in relazione alla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ove si ritenga di derubricare il fatto ai sensi dell'art. 319-quater c.p..
7.8. Con il nono motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello condannato il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili Regione Lombardia, P.F. + 16 e P.S. + 20, (OMISSIS) sebbene nei confronti di M. nel giudizio di primo grado non vi fosse stata la relativa condanna alle statuizioni civili e nè una formale costituzione nei suoi confronti, se non dell'unica parte civile F..
8. Ricorso di G.F..
8.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al capo G), per il delitto di concussione, essendo state travisate le deposizioni di F.F. e F.F. che non avrebbero mai parlato di minacce o di pressioni poste in essere da G., M., P. e B.. Ma solo che erano stati solo informati della procedura di esproprio già in corso e che li ponevano di fronte alla scelta se vendere o subire l'esproprio.
Nel ricorso sono riportati i verbali delle deposizioni testimoniali interessate a riscontro di quanto dedotto.
8.2. Con il secondo e terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata riqualificazione del reato nell'ipotesi prevista dall'art. 319 quater c.p., non potendosi ravvisare alcuna minaccia nella condotta di G. essendosi al più limitato ad un'opera di persuasione e di induzione.
8.3. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata rideterminazione della pena per effetto dell'assoluzione intervenuta in appello nei confronti di V.S. con il venir meno dell'aggravante del numero dei concorrenti di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 1.
8.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello condannato il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili P.F. +16 e P.S. + 20, sebbene nei confronti di G. nel giudizio di primo grado non vi fosse stata la relativa condanna alle statuizioni civili e nè una formale costituzione nei suoi confronti, essendo le relative statuizioni civili relative solo al Comune di (OMISSIS) ed ai F..
9. Ricorso di B.A..
9.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al capo K), per avere la Corte di appello con motivazione apparente ritenuto di escludere l'evidenza della insussistenza del reato di corruzione.
In particolare il ricorrente riproduce nel testo del ricorso per cassazione i motivi di appello che non hanno trovato alcuna risposta nella sentenza, con riferimento alle censure alle valutazioni operate dai consulenti tecnici del pubblico ministero, all'inutilizzabilità delle intercettazioni, perchè relative ad altro procedimento e quindi non utilizzabili ai sensi dell'art. 270 c.p.p..
Si rappresenta che le intercettazioni ambientali utilizzate a carico di B. n. 254-255-256 erano state autorizzate nel distinto procedimento concernente le ipotesi di corruzione e turbativa d'asta relative ai lavori per la frana di Brema e quindi per fatti privi di qualsiasi correlazione con i fatti concernenti la realizzazione del capannone nel territorio del Comune di (OMISSIS), come tali inutilizzabili nel presente procedimento.
Inoltre, si evidenzia la mancanza di motivazione sulla questione della correttezza formale delle procedure adottate per le delibere comunali di variazione urbanistica e di approvazione regionale della variante generale per come rilevato dal prof. Villata, consulente della difesa, evidenziandosi che la posizione di conflitto di interessi in cui B. si è trovato quale consigliere comunale che ha partecipato alla delibera di approvazione della variante al PRG per la veste di socio dello studio tecnico dell'arch. R., incaricato del relativo progetto, potrebbe assumere rilevanza solo per il diverso reato di cui all'art. 323 c.p., ma non per il reato previsto dall'art. 319 c.p..
9.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello condannato il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili sebbene nei confronti di B. non vi sia stata alcuna condanna nella sentenza di primo grado alle statuizioni civili, essendo il reato ascrittogli stato dichiarato estinto per prescrizione.
10. Ricorso di R.R..
10.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al capo K), per avere la Corte di appello con motivazione apparente ritenuto di escludere l'evidenza della insussistenza del reato di corruzione.
Ripropone le stesse censure dei motivi di appello, evidenziando che doveva essere rilevata la nullità del capo di imputazione per indeterminatezza della condotta ascrittagli, e che non sono state indicate le condotte a suo carico, essendosi limitato a svolgere l'incarico per il Comune di (OMISSIS), in ausilio ad un collega inesperto ( D.).
10.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte di appello condannato il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili sebbene nei confronti di R. non vi sia stata alcuna condanna nella sentenza di primo grado alle statuizioni civili, essendo il reato ascrittogli stato dichiarato estinto per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente e onde evitare inutili ripetizioni, è opportuno fissare i principi al quale il Collegio farà riferimento nel valutare l'ammissibilità delle censure proposte sia dal punto di vista della specificità delle doglianze sia relativamente alla portata del vizio di motivazione, di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), più volte dedotto dai ricorrenti.
1.1. Relativamente al primo aspetto, va ribadito che il ricorso per cassazione deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica, non potendosi pertanto limitare a generiche critiche di dissenso sulla risposta fornita dal giudice di appello alle questioni sollevate con il gravame. Ne consegue che là dove sia censurata la valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame è onere del ricorrente specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (tra tante, Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C, Rv. 275853). Nè è consentito - pena la inammissibilità per aspecificità del ricorso - la reiterazione degli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex multis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).
1.2. Quanto ai vizi della motivazione rilevanti in sede di legittimità, è principio oramai consolidato quello secondo cui, ai fini del controllo ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (per tutte, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Va altresì rammentato il perimetro del sindacato di legittimità sulla logicità della motivazione: l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificare il significato probatorio delle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione della lett. e) dell'art. 606 c.p.p., comma 1, intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Alla Corte di cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi e più convincenti rispetto a quelli fatti propri dal giudice del merito.
Così come non è affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.
In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217). Pertanto, la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.
Corollario di tale pacifico approccio è il principio, ribadito anche dal C.M. della corte di legittimità e di rilievo nel procedimento in esame, in cui le prove sono costituite in larga parte da captazioni di conversazioni, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
1.3. Ciò premesso, di seguito sono esaminati i motivi di ricorso di ciascun ricorrente seguendo, per facilitare la lettura della motivazione, l'ordine e la numerazione ad essi data nella loro esposizione in premessa.
2. Il primo motivo di ricorso di P. e i motivi, primo e terzo, proposti dai ricorrenti B. e L., afferenti la medesima questione di nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, possono essere trattati congiuntamente, perchè presentano un comune profilo di inammissibilità oltre ad essere privi di fondamento per le stesse ragioni, seppure diverse da quelle indicate nella motivazione delle sentenze emesse nei due gradi del giudizio di merito.
Si deve, peraltro, rilevare che L., diversamente dagli altri due ricorrenti, non risulta avere dedotto la questione nei motivi di appello, e ciò rende il suo motivo inammissibile anche sotto questo specifico profilo ex art. 606 c.p.p., comma 3, poichè la denunciata inosservanza non integra, comunque, nullità insanabile, trattandosi di una violazione di legge non rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo, in quanto non sanzionata a titolo di nullità assoluta ai sensi dell'art. 179 c.p.p..
A prescindere da tale rilievo, che riguarda solo L. e che assume nei suoi confronti carattere assorbente, si deve rimarcare più in generale con riguardo ai predetti ricorrenti la carenza di allegazione del decreto di fissazione dell'udienza preliminare, ovvero dell'atto che a norma dell'art. 418 c.p.p., è emesso dal giudice dell'udienza preliminare e che, oltre a contenere la fissazione del giorno, ora e luogo dell'udienza in camera di consiglio, include nel suo dispositivo anche l'avvertimento delle conseguenze della mancata comparizione dell'imputato, di cui poi viene dato avviso a norma dell'art. 419 c.p.p., a cura della cancelleria del giudice, incaricata delle notificazioni.
Si rileva che il ricorrente P. ha allegato copia integrale del solo avviso di udienza del proc. n. 306/2010 RGNR (1654/11 R.G. G.I.P.) datato 22 agosto 2011, e solo una parte (le prime due pagine) del diverso avviso di fissazione dell'udienza preliminare del proc. 741/11 RGNR (1653/11 R.G. G.I.P.), mentre il ricorrente B. ha fatto riferimento all'avviso di fissazione datato 22 agosto 2011, indicato come contenuto negli atti del procedimento, senza allegarlo al ricorso; e nulla ha allegato al riguardo anche il ricorrente L..
Orbene costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che la parte che deduce la nullità di un atto processuale, che non faccia parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, ha l'onere di indicare specificamente gli atti sui quali l'eccezione si fonda e di allegare tali atti, in specie quando si tratti di atti che non transitano nel fascicolo del dibattimento, come quelli concernenti l'udienza preliminare, che vengono inseriti a norma dell'art. 433 c.p.p., nel fascicolo del pubblico ministero.
Nel caso di specie, quindi, questo Collegio non è stato messo in condizione di verificare la fondatezza della dedotta carenza dell'avvertimento all'imputato delle conseguenze della sua mancata comparizione, previsto dall'art. 419, comma 1, come novellato dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 2 quinquies, conv., con mod., dalla L. 5 giugno 2000, n. 144, a seguito della entrata in vigore della L. 16 dicembre 1999, n. 479 (c.d. legge Carotti) e che ha anticipato la dichiarazione di contumacia, prima prevista solo per la fase del giudizio, alla fase dell'udienza preliminare.
Al riguardo si deve osservare che seppure gli avvisi del decreto di fissazione dell'udienza sono adempimenti curati dalla cancelleria su ordine del giudice ex art. 419 c.p.p., e sebbene nulla vieti che l'avvertimento delle conseguenze della mancata comparizione dell'imputato possa essere anche contenuto nell'avviso sottoscritto dal funzionario di cancelleria, cionondimeno, nella ordinaria formazione degli atti giudiziari, trattandosi di un requisito di validità dell'avviso diretto all'imputato e previsto a pena di nullità, esso trova la sua naturale collocazione, anche per buona prassi giudiziaria, nel decreto di fissazione dell'udienza preliminare emesso e sottoscritto dal giudice.
Solo in tal modo viene assicurato il doveroso controllo della ritualità e validità del contenuto dell'avviso rivolto all'imputato, che spetta al giudice e che non può essere demandato alla successiva redazione e compilazione degli avvisi rimessa all'attività esecutiva che spetta alla cancelleria.
L'art. 419 c.p.p., comma 1, stabilisce, infatti, che nei confronti del solo imputato - tralasciando la persona offesa che qui non rileva - sia notificata, oltre all'avviso dell'udienza con le coordinate di tempo e di luogo, la richiesta di rinvio a giudizio con l'avvertimento delle conseguenze della mancata comparizione, mentre per il difensore, il comma 2 dello stesso articolo disciplina adempimenti differenti, non essendo previste nè l'allegazione della richiesta di rinvio a giudizio, nè l'avvertimento della contumacia, ma soltanto i diversi avvertimenti della facoltà di prendere visione degli atti e di presentare memorie e produrre documenti.
Quindi, la circostanza dedotta dai ricorrenti che nell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare sottoscritto dal funzionario di cancelleria, non sia stato inserito l'avvertimento relativo alla contumacia (come emerge dal documento in copia datato 22 agosto 2011, allegato al ricorso di P.), è palesemente inidonea a dimostrare la fondatezza dell'assunto posto a base della dedotta questione di nullità, tenuto conto, oltre a quanto detto sulla pluralità e diversità degli atti che vengono notificati all'imputato rispetto a quelli destinati al difensore, anche della peculiarità della vicenda processuale in esame in cui vi è stata la riunione di due procedimenti penali disposta nel corso della fase dell'udienza preliminare, preceduta quindi dall'emissione e notificazione di due decreti, e dei rispettivi avvisi, di fissazione dell'udienza in camera di consiglio nei distinti procedimenti.
Sarebbe stato onere dei ricorrenti compulsare la segreteria del pubblico ministero, o l'ufficio della cancelleria del giudice dell'udienza preliminare, per ottenere le necessarie attestazioni riguardo al contenuto degli atti notificati agli imputati in quella fase processuale, e non limitarsi ad allegare la copia dell'avviso dell'udienza che costituisce solo uno degli atti di cui è prevista la consegna in sede di notificazione all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza preliminare.
Al profilo di inammissibilità or ora esaminato, si aggiungono ulteriori ragioni che giustificano il rigetto della comune eccezione di nullità dedotta dai ricorrenti.
Dalla descrizione della fase dell'udienza preliminare riportata nei motivi di appello dell'imputato B., si evince che la questione della nullità dell'avviso dell'udienza preliminare per omesso avvertimento relativo alla contumacia è stata dedotta per la prima volta all'udienza del 19 novembre 2012, dopo che si erano tenute altre precedenti quattro udienze camerali (15 novembre 2011; 24 gennaio, 21 febbraio e 18 settembre 2012), nel corso delle quali era stata verificata la regolarità della costituzione delle parti con la conseguente dichiarazione di contumacia degli imputati non comparsi ed erano state svolte attività processuali ed istruttorie relativamente alla verifica della sussistenza delle condizioni per disporre la riunione dei due procedimenti n. 306/2010 RGNR (1654/11 R.G.G.I.P.) e n. 741/11 RGNR (n. 1653/11 R.G.G.I.P.), nonchè l'espletamento di una perizia ai fini della trascrizione delle intercettazioni.
Sebbene la normativa dell'udienza preliminare non preveda un termine di decadenza per la deducibilità delle questioni preliminari, come invece previsto per il giudizio dibattimentale dall'art. 491 c.p.p., tuttavia è comunque fissato come necessario adempimento preliminare che il giudice proceda innanzitutto al controllo della regolare costituzione delle parti, in funzione dell'eventuale immediata rinnovazione degli avvisi, delle citazioni delle parti e delle relative notificazioni, ove si rilevino cause di nullità o omissioni.
L'udienza preliminare ha, infatti, una struttura essenzialmente bifasica, che si compone della fase iniziale della costituzione delle parti (ex art. 420 c.p.p.), dedicata alla verifica della ritualità degli avvisi previsti per le parti processuali, seguita dalla fase di apertura della discussione ex art. 421 c.p.p. nel corso della quale si può poi innestare - una eventuale fase istruttoria a norma dell'art. 421 bis c.p.p., affidata al pubblico ministero, con la conseguente rifissazione, al compimento degli atti di indagine, di una nuova udienza preliminare, una integrazione probatoria svolta dallo stesso giudice dell'udienza preliminare a norma dell'art. 422 c.p.p. o, ancora, altre attività processuali diverse ed eventuali, come la modifica dell'imputazione, decisioni sulla riunione o la separazione del procedimento, decisioni sulla competenza, ecc.
Quindi, pur nella maggiore flessibilità della predetta disciplina, che rimette al giudice il potere di concordare con le parti l'ordine di svolgimento delle attività processuali, non è certamente consentito prescindere dal necessario preliminare controllo della rituale costituzione del rapporto processuale.
Sarebbe contrario ad ogni più elementare principio di ordinato svolgimento del processo, coerente con insopprimibili esigenze di economia processuale, l'espletamento di attività afferenti l'istruttoria o la deliberazione di questioni rilevanti nel successivo andamento processuale, che venissero anticipate rispetto al pregiudiziale controllo della regolarità della citazione delle parti, atteso che ogni attività processuale risulterebbe esposta al concreto e prevedibile rischio di caducazione ove il rapporto processuale non dovesse risultare validamente costituito.
Ed è, quindi, sempre nella fase della costituzione delle parti che si colloca necessariamente ed inderogabilmente la dichiarazione di contumacia, che precede il passaggio all'ulteriore fase della discussione, nella quale si collocano tutte le altre possibili questioni processuali, oltre che lo svolgimento dell'eventuale attività istruttoria che precede la deliberazione conclusiva con l'adozione dei provvedimenti previsti dall'art. 424 c.p.p..
L'art. 420 quater c.p.p., comma 1, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto il processo in absentia, disponeva che la contumacia dell'imputato dovesse essere dichiarata "sentite le parti", essendo prevista la necessaria instaurazione del contraddittorio sullo specifico punto.
Per altro verso, le disposizioni concernenti gli avvisi di fissazione dell'udienza preliminare e la loro notificazione dettate nell'art. 419 c.p.p., commi 1 e 4, sono previste a pena di nullità dall'ultimo comma del medesimo articolo.
In particolare, la sanzione processuale è prevista con riguardo sia alla fattispecie di vera e propria omissione degli avvisi destinati all'imputato o alla persona offesa o della loro notificazione, e sia con riguardo a quella della mancata o insufficiente indicazione nell'avviso delle complete coordinate spazio - temporali della celebranda udienza ovvero dell'omissione dell'avvertimento diretto all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia, nonchè a quella del mancato rispetto del termine di comparizione di dieci giorni.
Pur volendosi seguire la tesi che riconosce a tale omissione la natura di una nullità relativa (vedi Sez. 1, n. 26012 del 4/6/2003, Di Pietrantonio, Rv. 227379) e quand'anche si volesse riconoscere a detta violazione la natura di nullità di ordine generale, tuttavia, certamente non trattandosi di una nullità assoluta, trovano applicazione le regole generali previste dagli artt. 182 e 183 c.p.p., in tema di deducibilità e di sanatoria.
Alla stregua di siffatte regole, si deve ritenere che la nullità per omesso avvertimento relativo alla contumacia non può essere più dedotta se il difensore, che abbia ritualmente preso parte all'udienza in cui è stata dichiarata la contumacia, non vi si sia opposto eccependo immediatamente la nullità.
La finalità dell'avvertimento che si assume omesso è, infatti, solo quella di mettere l'imputato in condizione di conoscere le conseguenze processuali che derivano dalla sua mancata comparizione.
Si tratta, quindi, di un avvertimento funzionale alla ritualità della dichiarazione di contumacia, di guisa che dopo che la contumacia sia stata dichiarata senza eccezioni di sorta, viene inevitabilmente meno l'interesse della parte processuale, rimasta contumace nel corso anche delle successive udienze, a dolersi del predetto mancato avvertimento, dovendosi evidentemente ritenere che, nonostante la sua omissione, la scelta dell'imputato di non partecipare personalmente all'udienza sia avvenuta nella piena consapevolezza delle conseguenze che la normativa processuale prevede, e che, pertanto, anche l'avvertimento omesso abbia perso di significato, apparendo priva di giustificazione la rinnovazione di un avvertimento che ha esaurito la propria finalità per gli sviluppi processuali che sono seguiti alla dichiarazione di contumacia.
Quindi, non evincendosi dai motivi di impugnazione che nel corso della prima udienza preliminare, dedicata alla verifica della costituzione del rapporto processuale - cui sono poi seguite le ulteriori udienze svolte per l'espletamento della perizia e per decidere sulla riunione dei procedimenti - sia stata dedotta la nullità della dichiarazione di contumacia degli imputati non comparsi, si deve ritenere che la nullità dell'avviso per omesso avvertimento delle conseguenze della mancata comparizione dell'imputato, anche ove ipoteticamente sussistente, non poteva più essere eccepita nel corso delle successive udienze.
L'unico diretto effetto invalidante della carenza dell'avviso in questione è costituito dalla nullità della dichiarazione di contumacia, di guisa che è onere della parte, rappresentata dal difensore, che assiste alla dichiarazione di contumacia, dedurla tempestivamente nella stessa udienza a norma dell'art. 182 c.p.p., comma 2, secondo cui quando la parte vi assiste, la nullità deve essere eccepita prima del compimento dell'atto, o subito dopo.
Va, peraltro, precisato che la eccepita nullità dell'avviso dell'udienza preliminare, poichè investe un atto processuale formatosi non in presenza della parte, non è di per sè soggetta al limite temporale di deducibilità di cui all'art. 182 c.p.p., comma 2.
Come opportunamente dedotto dai ricorrenti non è corretto, quindi, quanto affermato dal giudice di primo grado in merito alla tardività della eccezione, atteso che il predetto termine non era decorso con riferimento alla nullità dell'atto presupposto, ma lo era rispetto alla nullità derivata che inficiava l'atto conseguente, ovvero la dichiarazione di contumacia.
Nel caso in esame, va, inoltre, puntualizzato che non assume alcuna rilevanza stabilire se le violazioni delle disposizioni di cui all'art. 419 c.p.p., comma 1, configurino una nullità relativa o a regime intermedio, poichè i ricorrenti hanno dedotto la questione di nullità nel termine più breve previsto per le nullità relative dall'art. 181 c.p.p., comma 2, ovvero prima della emissione del provvedimento con cui il giudice definisce l'udienza preliminare ex art. 424 c.p.p., per poi riproporla tempestivamente nelle successive fasi e gradi di giudizio.
Si deve, quindi, ribadire che la ragione della indeducibilità della predetta nullità non va ravvisata nella decorrenza dei termini previsti dagli artt. 180 e 181 c.p.p., e art. 182 c.p.p., comma 2, ma nel disposto di cui all'art. 182 c.p.p., comma 1, secondo cui le nullità, sia "intermedie" che relative, non possono essere eccepite da chi non ha interesse all'osservanza della disposizione violata.
Assume, inoltre, rilievo nel caso di specie anche la sanatoria generale prevista dall'art. 183 c.p.p., comma 1, lett. a), allorchè dalla complessiva condotta processuale si possa desumere che la parte ha accettato gli effetti dell'atto nullo.
Per un verso, infatti, la sanatoria della dichiarazione di contumacia conseguente alla partecipazione del difensore è incompatibile con la persistenza di un interesse della parte all'osservanza della norma diretta a garantire all'imputato la conoscenza delle conseguenze della sua mancata comparizione quale presidio di garanzia di siffatta consapevolezza.
Per altro verso, la mancata opposizione alla dichiarazione di contumacia costituisce espressione dell'accettazione dell'effetto dell'atto nullo, in quanto l'avviso dell'udienza, sebbene privo del predetto avvertimento è stato per comportamento concludente ritenuto presupposto sufficiente ai fini della dichiarazione di contumacia, in considerazione della presenza del difensore di fiducia, ritualmente citato, che nulla ha eccepito al riguardo, e dell'assistenza tecnica dal medesimo prestata in favore del proprio assistito.
Neppure può ritenersi che la mancata comparizione dell'imputato sia di ostacolo alla sanatoria della dichiarazione di contumacia, costituendo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che la parte su cui grava l'onere di eccepire, ex art. 182 c.p.p., comma 2, la nullità di un atto al quale assiste è solo il difensore - ovvero il pubblico ministero - in nessun caso l'indagato o l'imputato nè altra parte privata, in quanto l'ordinamento processuale privilegia la difesa tecnica rispetto all'autodifesa, che non è mai consentita in via esclusiva, ma solo in forme che si affiancano all'imprescindibile apporto di un esperto di diritto abilitato alla professione legale (Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024).
Questo principio è stato ribadito anche con riguardo alla dichiarazione di contumacia, essendosi stabilito con riferimento ad un diverso caso di nullità di ordine generale, che "l'ordinanza dichiarativa della contumacia di imputato non comparso in udienza in quanto detenuto, il cui stato sia noto al tribunale, è affetta da nullità a regime intermedio che deve essere immediatamente eccepita dal difensore presente in udienza, ex art. 182 c.p.p., comma 2, pena la sanatoria della nullità, mentre è preclusa all'imputato la possibilità di sollevare personalmente tale eccezione in un momento successivo, poichè la parte su cui grava l'onere di eccepire la nullità di un atto al quale assiste è solo il difensore, atteso che il nostro ordinamento privilegia la difesa tecnica rispetto all'autodifesa, che non è mai consentita in via esclusiva" (Sez. 2, n. 26603 del 29/05/2019, Cirelli, Rv. 276576).
Le considerazioni che precedono rendono, quindi, superfluo ogni ulteriore approfondimento della questione dedotta dai ricorrenti in merito alla impossibilità di estendere al caso in esame il principio di diritto affermato da questa Corte di Cassazione in tema di nullità del decreto di citazione per l'omesso avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia, previsto dall'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. f), secondo cui, il predetto avvertimento non essendo qualificabile come "uno dei requisiti" della citazione, in applicazione del principio di tassatività delle nullità, la sua omissione non sarebbe causa di nullità del decreto di citazione a giudizio (Sez. 2, n. 36097 del 14/05/2014, Diodato, Rv. 260354).
Al riguardo questo Collegio non può però esimersi dal rilevare come l'argomento basato sul dato testuale della lettera della legge (l'art. 419 c.p.p., comma 7, non contiene il riferimento ai "requisiti", ma solo alle "disposizioni di cui al comma 1...") risulti difficilmente superabile, ma imporrebbe comunque una soluzione interpretativa sistematica e unitaria per evitare dicotomie ingiustificate sul piano della patologia processuale della disciplina degli avvisi dell'udienza preliminare rispetto a quella prevista senza sostanziali differenze per la citazione a giudizio, in specie se rapportata ai procedimenti a citazione diretta, in cui manca l'udienza preliminare.
3. Anche il secondo motivo proposto dal ricorrente P. è infondato, oltre a presentare un insuperabile profilo di inammissibilità per genericità delle premesse storico-processuali sottoposte all'esame di questa Corte, non potendosi prescindere dalle variabili implicite nella precisa ricostruzione dei tempi e delle modalità dell'elezione di domicilio, allorchè si contesti la validità ed efficacia di una domiciliazione a base volontaria che si assume revocata da una successiva elezione di domicilio, senza tenere conto della diversità dei procedimenti penali e degli effetti che la riunione di più procedimenti determina in relazione alla validità delle plurime elezioni di domicilio effettuate prima della riunione.
Secondo l'orientamento consolidato di legittimità, in tema di elezione domicilio ai fini delle notificazioni, è stato affermato, che ove siano state effettuate diverse elezioni di domicilio in procedimenti poi riuniti, entrambe, stante l'unificazione dei procedimenti, hanno pari e indistinta validità ai fini delle notificazioni (Sez. 6, n. 676 del 07/12/1998, Carini, Rv. 213902).
Il ricorrente si è limitato a dedurre che elezione di domicilio presso lo studio dell'avvocato Maurizio Gerosa in via (OMISSIS), sarebbe stata revocata per effetto della nuova elezione di domicilio in via (OMISSIS) presso l'avv. B., contestuale alla nomina fiduciaria del predetto avvocato.
Senonchè dalla visione delle copie degli atti relativi alle due elezioni di domicilio allegate al ricorso, e dal raffronto con le copie trasmesse dalla Corte di appello di Milano, si evince che mentre la prima elezione di domicilio del 20 maggio 2008 effettuata presso lo studio dell'allora difensore di fiducia, avv. Gerosa, non reca il numero del procedimento penale, ma solo l'indicazione dei titoli di reato corrispondenti a quelli oggetto dei due procedimenti poi riuniti (artt. 416,317,319,353,314,476,477,479 e 490 c.p.), l'elezione di domicilio presso l'avv. B., contestuale alla nomina del difensore di fiducia, reca la data del 10 luglio 2008 ed il riferimento al proc. n. 4068/07 RGNR (1102 G.I.P.), nonchè la data di deposito presso la segreteria della Procura della Repubblica (P.M. Dott.ssa C.) del Tribunale di Sondrio in data 4 agosto 2008.
Di contro, l'atto di nomina dell'avv. B. con la contestuale elezione di domicilio presso il suo studio, che è stato allegato al ricorso, reca le stesse date di deposito sopra indicate, ma l'indicazione della segreteria di un diverso Pubblico Ministero (Dott. Latorre), e il riferimento ad altro procedimento penale (RGNR n. 3961/07).
Considerato che i procedimenti penali riuniti nel corso dell'udienza preliminare recano numeri diversi, sia del registro di notizie di reato (741/11 e 306/10 RGNR e sia del registro G.I.P. (1653/11 e 1654/11), si deve ritenere che le due elezioni di domicilio presso l'avv. B. si riferiscano a diversi procedimenti penali, pendenti nella fase delle indagini preliminari, che si deve presumere siano poi stati riuniti nella fase delle indagini preliminari, per confluire nei due procedimenti penali portanti, riuniti nel corso dell'udienza preliminare.
Ma la pluralità di elezioni di domicilio eseguite in diversi procedimenti penali successivamente riuniti, di cui non è stata affatto chiarita la genesi e gli sviluppi, non comporta automaticamente la revoca tacita dell'elezione di domicilio eseguita per prima in base al solo dato cronologico, dovendosi al contrario ritenere che tutte conservino validità, allorchè si tratti di plurimi procedimenti penali e allorchè l'imputato, anche per il tramite del suo difensore che lo rappresenta, non abbia provveduto a comunicare all'Autorità giudiziaria che procede la volontà di revocare le precedenti elezioni di domicilio.
Nel caso di specie, tenuto conto della pluralità dei procedimenti penali successivamente riuniti, l'imputato ha operato diverse nomine di difensori di fiducia, nel corso del tempo, operando in momenti diversi plurime elezioni di domicilio presso due diversi avvocati, successivamente entrambi revocati, senza però mai chiarire all'autorità giudiziaria procedente quale delle elezioni di domicilio dovesse ritenersi valida all'esito della riunione dei procedimenti disposta nel corso dell'udienza preliminare.
Si deve, infatti, tenere conto che a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 1, la revoca della prima elezione deve essere effettuata nella forma prescritta, cioè con dichiarazione raccolta a verbale dal cancelliere ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore, pertanto, non essendo stato comunicato nulla al riguardo al Giudice dell'udienza preliminare in occasione della riunione dei procedimenti penali, si deve ritenere che la prima elezione di domicilio fosse ancora valida ed efficace, come anche quella successiva, atteso che la revoca tacita presuppone che le plurime elezioni di domicilio siano intervenute tutte nell'ambito di un medesimo procedimento.
Nel caso di specie, deve rilevarsi come il ricorrente non abbia affatto chiarito tale aspetto processuale, essendosi limitato ad indicare l'ordine temporale delle elezioni di domicilio, invocando l'applicazione di un principio che presuppone la identità e unicità del procedimento penale, in cui le elezioni di domicilio si sono susseguite.
Si deve ribadire che ogni mutamento della dichiarazione o elezione di domicilio, ritualmente comunicato all'autorità procedente, comporta revoca della precedente dichiarazione o elezione, non essendovi la possibilità di elezione plurima.
Ma se le plurime elezioni di domicilio riguardano distinti procedimenti penali, successivamente riuniti, la revoca della elezione di domicilio deve essere oggetto di formale ed espressa comunicazione, non essendo ammessa in tal caso la revoca tacita.
Se è vero che la finalità dell'elezione di domicilio è quella di consentire all'autorità giudiziaria di individuare un recapito certo del destinatario degli atti giudiziari, ed a quest'ultimo di assicurarsi una sicura e tempestiva ricezione di essi, è altrettanto vero che tale finalità presuppone che anche la revoca del domicilio sia certa allorchè le elezioni di domicilio siano state operate in procedimenti distinti.
Sul piano formale della ritualità della notificazione della citazione a giudizio dell'imputato deve trovare applicazione la rigorosa disciplina che regola le forme e le modalità dell'elezione di domicilio anche con riguardo alla sua revoca, non potendosi dare rilievo a situazioni di incertezza circa la perdurante validità di una elezione di domicilio imputabili a carenze di comunicazione all'Autorità giudiziaria che procede, allorquando non è affatto in discussione - come nel caso di specie la conoscenza effettiva della pendenza del procedimento da parte dell'imputato, desunta da altri indici certi, desumibili dalla successione temporale delle nomine dei difensori di fiducia avvenute in fasi processuali diverse, di cui le ultime intervenute nel corso dell'udienza preliminare.
Si deve anche osservare che la questione, essendo stata dedotta soltanto e per la prima volta in sede di ricorso per cassazione, può assumere rilevanza solo ove dia luogo ad una ipotesi di nullità assoluta nella notificazione eseguita presso uno soltanto dei plurimi domicili, sebbene tutti validi perchè non espressamente revocati a seguito della disposta riunione dei procedimenti penali a carico dell'imputato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la nullità assoluta ed insanabile della citazione dell'imputato, ai sensi dell'art. 179 c.p.p., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa del tutto o quando, eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato (Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo, Rv. 239396; Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 27177; Sez. 2, n. 50389 del 27/09/2019, Khaleque Abdul, Rv. 277808).
Sotto tale diverso profilo, si deve rilevare che ove vi siano plurime elezioni di domicilio in procedimenti penali diversi a carico dello stesso imputato, e nessuna di esse sia stata validamente revocata dopo la formale riunione dei procedimenti, anche ove si optasse per una interpretazione più rigorosa che imponesse la notificazione presso ciascuno dei predetti domicili, la relativa omissione non potrebbe mai dare luogo ad una violazione sanzionata con la nullità assoluta, dovendosi ritenere che la notificazione eseguita anche in uno soltanto dei domicili eletti, purchè formalmente validi, sia comunque idonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, di guisa che l'omessa notificazione rispetto all'altro domicilio eletto potrebbe dare luogo soltanto ad una nullità d'ordine generale a regime intermedio, soggetta ai termini di deduzione di cui all'art. 182 c.p.p., comma 2.
4. Con riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente P. con riferimento alle imputazioni relative al delitto di corruzione (capo K) e ai connessi reati di concussione, nella forma tentata e consumata, se ne deve rilevare la complessiva infondatezza rispetto alle questioni in punto di qualificazione giuridica e l'inammissibilità rispetto a tutte le censure che investono l'accertamento dei fatti.
Nella sentenza di appello si fornisce adeguata risposta a tutte le critiche mosse dal ricorrente in ordine all'accertamento dell'accordo corruttivo intercorso tra G. e P., evidenziandosi l'irrilevanza delle finalità dell'azione politica rispetto alle concrete modalità operative con cui, in modo peraltro incontestato, l'amministrazione pubblica si è attivata per rendere possibile l'edificazione di un capannone industriale in una zona agricola, al fine precipuo di assecondare gli interessi di un solo imprenditore e senza neppure consentire ad altri imprenditori di partecipare in modo paritario all'aggiudicazione dell'area interessata dall'espropriazione per pubblico interesse.
L'accordo corruttivo, che ha condizionato tutto l'iter amministrativo della procedura di esproprio, è stato ricostruito grazie alle risultanze istruttorie emerse dalle operazioni di intercettazione dei dialoghi molto eloquenti intercorsi tra P. ed i suoi complici, sulla base delle quali sono stati oggetto di valutazioni immuni da vizi logici tutti gli ulteriori aspetti della vicenda relativi alla ricostruzione del prezzo della corruzione, versato al P. dall'impresa G. attraverso il pagamento delle prestazioni rese dalle società (OMISSIS) e (OMISSIS), la ravvisata interposizione di L.G. e V.S., quali soggetti per mezzo dei quali il P. gestiva di fatto le due predette società, le anomalie della procedura amministrativa di esproprio piegata agli interessi dell'impresa G., la correlazione delle regalie offerte al P. con l'accordo corruttivo.
La motivazione della sentenza di appello fornisce una rappresentazione lineare dei dati probatori posti a fondamento della ricostruzione dell'accordo corruttivo, evidenziandone in modo conforme alla sentenza di primo grado l'assoluta centralità nella espropriazione dell'area su cui doveva essere realizzato il progetto industriale della impresa G., portato avanti dal P. per interessi personali.
L'attività concussiva è stata coerentemente descritta come funzionale all'aggiudicazione dell'area al G., perchè diretta contro i proprietari della zona sollecitati a vendere i propri terreni al predetto imprenditore ad un prezzo imposto, predeterminato e non negoziabile, con l'alternativa di dovere altrimenti soggiacere ad una espropriazione con il pagamento di un indennizzo inferiore al prezzo della proposta vendita, e prima che fossero intervenute le delibere per la variante urbanistica e per l'approvazione del P.I.P.
Sono palesemente inammissibili tutte le censure che attraverso una rilettura dei dati probatori, sollecitano una nuova valutazione di merito, senza confrontarsi con il contenuto delle intercettazioni telefoniche, e con le ulteriori risultante offerte dai riferimenti ai contenuti delle sua agende personali e dalla delega ad utilizzare l'auto aziendale rilasciata al P., posti a fondamento della veste di socio occulto e/o di amministratore di fatto della (OMISSIS), gestita dalla coimputata V.S., legata al P. anche da una relazione sentimentale.
Manifestamente infondati sono, poi, i rilievi che attraverso la valorizzazione dell'affermata regolarità amministrativa della prassi seguita dal Sindaco di (OMISSIS) di contattare i proprietari dell'area interessata per proporre loro di cedere la terra al fine di evitare l'esproprio da parte del Comune, appaiono avulsi dall'insuperabile evidenza della illiceità di una intromissione nell'azione pubblica dell'interesse del privato che rappresenta la finalità principale dell'espropriazione.
Seppure possa ritenersi lecito che il Comune anche per evitare contenziosi proponga ai privati di cedere ad un ente pubblico il terreno ad un prezzo concordato per evitare di subire l'esproprio, dalla lettura della motivazione dei giudici di merito emerge una radicale differenza tra tale legittima prassi e le modalità adoperate nel caso concreto per favorire gli interessi dell'impresa privata del G..
Dalle deposizioni delle persone offese, secondo le valutazioni operate dai giudici di merito, l'offerta rivolta ai proprietari dei terreni di cui si erano fatti promotori i rappresentati più autorevoli del Comune di Cercina (in primis, lo stesso Sindaco), era quella di vendere non già al Comune, ma di vendere direttamente al privato.
In tal modo si rendeva palese anche agli stessi proprietari l'obiettiva illiceità dell'azione della Pubblica Amministrazione, rappresentata dallo stesso Sindaco del Comune di (OMISSIS), B.R., che agiva nella insolita veste di mediatore per convincere i proprietari a vendere ad un privato, così da assicurargli il titolo di prelazione previsto dalla clausola di preferenza per l'aggiudicazione del P.I.P..
Le argomentazioni del ricorrente non sono idonee ad incrinare il fondamentale passaggio logico della sentenza impugnata che si poggia sulla correlazione tra le concussioni poste in essere in prima persona dal sindaco di (OMISSIS) ( B.R.), e la finalità di assecondare il piano criminoso ideato dal P. diretto a consentire al G. di conseguire la maggiore quota di proprietà o di possesso dell'area interessata, attraverso la stipula dei contratti preliminari curati dalla (OMISSIS) di V., necessario presupposto per assicuragli l'aggiudicazione dell'area interessata dal P.I.P..
Ne discende anche l'infondatezza di tutti i rilievi incentrati sulla congruità della proposta di vendita ad un prezzo di 11 Euro al mq, perchè ritenuta coerente con il valore di mercato, in alternativa al pagamento di un indennizzo di esproprio sensibilmente più basso (pari a 3-4 Euro al mq), che costituiva la prospettiva rappresentata come conseguenza certa ed inevitabile del rifiuto di vendere al G..
In tale contesto, la determinazione del valore di mercato dei terreni da espropriare costituisce un dato che è stato giustamente ritenuto non determinante neppure ai fini della qualificazione del reato di concussione nella forma dell'abuso costrittivo o in quella meno grave dell'induzione indebita.
Lo strumentale ricorso all'espropriazione per consentire ad un singolo ed individuato imprenditore privato di conseguire la disponibilità di un'area di proprietà altrui per realizzare il proprio progetto industriale, senza assicurare la partecipazione anche di altri imprenditori all'iniziativa ove ritenuta effettivamente di pubblico interesse per l'economia locale, costituisce la ragione principale del riconosciuto carattere abusivo dell'esercizio del pubblico potere di espropriazione, utilizzato indebitamente come strumento di pressione per costringere i privati a vendere contro la propria volontà, attraverso l'imposizione di un prezzo di per sè ingiusto perchè non liberamente negoziabile.
La richiesta di vendere ad un privato ad un prezzo imposto, con la prospettiva alternativa di subire una espropriazione con il pagamento di un indennizzo inferiore a tale prezzo, considerato il diretto intervento dei rappresentati degli enti pubblici territoriali, nella assenza di una trasparente ed imparziale salvaguardia di un interesse pubblico, contraddetta palesemente dalla spendita del nome dell'imprenditore favorito, è stata coerentemente ritenuta assorbente rispetto a tutte le censure dedotte sulla congruità del prezzo di vendita imposto, essendo l'abuso del potere pubblico di espropriazione e l'ingiustizia dell'imposizione di un prezzo non negoziabile profili di fatto già di per sè idonei ad integrare la condotta prevaricatrice che connota il reato di concussione.
In altri termini, secondo la coerente impostazione seguita dai giudici di merito, l'abuso di potere, presupposto necessario del delitto di concussione, si è concretizzato nella fattispecie in esame, non solo nella determinazione di un indennizzo ingiusto, ma anche e soprattutto nella stessa finalità dell'espropriazione diretta a perseguire non già un interesse pubblico, bensì l'interesse di un singolo imprenditore, con modalità rese palesi dalla stessa prospettazione della vendita volontaria in favore di un privato, sostenuta dai soggetti pubblici che hanno assecondato l'accordo corruttivo che ne era alla base, ancor prima della delibera di approvazione del P.I.P..
Neppure possono condividersi le ulteriori doglianze che, richiamandosi alla nuova disciplina in tema di espropriazione conseguente alla sopravvenuta sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'incostituzionalità dei criteri di determinazione dell'indennizzo, non tengono conto che il prezzo di vendita è risultato sensibilmente più basso di quello di mercato a prescindere dai nuovi criteri legali volti ad assicurare un ristoro serio e non meramente simbolico, con la conseguente infondatezza dei diversi apprezzamenti sul prezzo di mercato basati sulle caratteristiche dei terreni oggetto dei preliminari di vendita e sui costi di edificabilità correlati al rischio di esondazione dei fiumi, palesemente contraddetti dalla valutazione finale stabilita in sede di esproprio.
Apprezzamenti che sono stati nuovamente riproposti in sede di ricorso per cassazione ma che sono stati motivatamente ritenuti incongrui dalla Corte territoriale in ragione della determinazione dell'importo dell'indennizzo fissato in sede di contenzioso amministrativo in Euro cinquanta al mq per tutta l'area del P.I.P. n. 53, quindi di un valore non solo sensibilmente superiore all'importo dell'indennizzo di esproprio (pari ad Euro 3-4 al mq), prospettato in sede di stipula dei preliminari come alternativo alla vendita, ma soprattutto anche sensibilmente superiore al prezzo di vendita che si pretendeva di imporre ai proprietari (pari ad Euro 11 al mq), per l'implicita considerazione che i nuovi criteri legali, pur se conseguenti alla richiamata pronuncia di incostituzionalità, nel fissare in cinquanta Euro al mq l'importo dell'indennizzo, dimostravano che la determinazione del prezzo proposto in sede di vendita volontaria ad un privato acquirente era obiettivamente iniquo perchè sensibilmente inferiore a quello di mercato, tenuto conto anche della preordinata modificazione della destinazione urbanistica dell'area da agricola a edificabile.
Le ulteriori doglianze circa l'omessa motivazione sulla rilevanza della clausola apposta ai contratti preliminari in caso di espropriazione e sulla decisione del Comune di (OMISSIS) adottata in data 23 aprile 2008 di trasferire sulla società di G. il maggiore costo derivante per il pagamento dell'indennizzo di esproprio secondo i nuovi criteri introdotti dalla L. n. 244 del 24 dicembre 2007, e secondo l'importo quantificato dalla Commissione espropri, sono prive di fondamento perchè omettono di confrontarsi con l'irrilevanza di siffatte emergenze rispetto alla complessiva e più generale ricostruzione del fatto.
Quanto alla clausola contrattuale che prevedeva la risoluzione del contratto preliminare nel caso di espropriazione è sufficiente rilevare come le doglianze difensive - per tale ragione inammissibili per genericità - non tengono conto della considerazione implicita nella ricostruzione logica operata nel giudizio di merito che la stipula dei preliminari "in serie", curata dalla (OMISSIS) di V., avrebbe scongiurato l'avverarsi di una tale eventualità, rendendo detta clausola concretamente inutile, essendo scontato che la preordinata e prevista aggiudicazione del P.I.P. all'impresa del G. avrebbe di fatto escluso la possibilità di una espropriazione dei terreni che il G. medesimo fosse riuscito ad acquisire direttamente dai privati in via negoziale.
Inoltre, nella motivazione della sentenza di primo grado (pag. 63), richiamata da quella del giudice di appello, si individua come ulteriore indice del favore arrecato all'impresa G. il fatto che il prezzo della vendita volontaria dei terreni imposta ai proprietari (pari ad 11 Euro al mq) risultava inferiore al prezzo di aggiudicazione dei terreni che l'impresa aggiudicataria del P.I.P. avrebbe pagato per la parte residua dei terreni espropriati (pari a 30 Euro al mq), a dimostrazione, per un verso, dell'iniquità del prezzo delle cessioni volontarie imposto ai privati e, per altro verso, della convenienza del G. a conseguire per via negoziale la maggiore parte possibile dell'area interessata dal P.I.P..
Con riferimento all'altro profilo denunciato, relativo al trasferimento a carico di G. dei maggiori oneri gravanti sul Comune per il pagamento della differenza tra il maggiore importo dell'indennizzo di esproprio determinato in Euro cinquanta al mq, rispetto a quello minore versato ai proprietari terrieri, si tratta all'evidenza di fatti sopravvenuti rispetto al tempus commissi delicti, successivi anche alle iniziative giudiziarie intraprese dai proprietari espropriati, che assumono il significato di atti riparatori, rispetto ai danni già cagionati indirettamente al Comune esposto alle legittime pretese risarcitorie dei proprietari espropriati.
Del tutto inammissibili sono le ulteriori censure sulla tempistica delle cessioni volontarie dei terreni, essendo irrilevante nella ricostruzione della vicenda che non tutte le trattative negoziali si siano definite con la stipula del preliminare in epoca precedente all'adozione del P.I.P., essendo stato chiarito come gli accordi ponessero delle scadenze, nel senso che solo ove la stipula del preliminare fosse avvenuta prima della attivazione della procedura di esproprio, la vendita avrebbe potuto essere fatta all'impresa di G., mentre nel caso di ritardo, la vendita sarebbe stata fatta al Comune e ad un prezzo più basso (7 Euro, anzichè 11 Euro al mq).
Ma si tratta di aspetti che non incidono sulla sussistenza degli elementi che integrano il delitto di concussione, poichè non escludono la ravvisata strumentalizzazione del pubblico potere, che attraverso il suo esercizio distorto è stato piegato all'interesse del privato corruttore, con una evidente prevaricazione intimidatrice posta in essere nei confronti dei proprietari dei terreni inclusi nel progetto di trasformazione urbanistica, posti di fronte all'alternativa di subire una ingiusta espropriazione o di assecondare la meno afflittiva, ma comunque iniqua, richiesta di vendita volontaria al privato imprenditore, favorito in modo smaccatamente indebito da un abuso di potere evidente agli stessi concussi.
Risulta, pertanto, evidente anche l'infondatezza degli ulteriori rilievi sulla qualificazione dei reati a titolo di concussione, nella forma consumata (capi A), B), D), E), F), G)), e tentata (capi H), J), I)) - capi questi ultimi già dichiarati prescritti in grado di appello - e sulla invocata dichiarazione di prescrizione previa riqualificazione nella più lieve ipotesi dell'induzione indebita punita dall'art. 319-quater c.p..
Con argomenti ineccepibili in diritto e in fatto nelle sentenze di primo e secondo grado, è stata respinta la tesi difensiva (ripresa anche nei ricorsi di B. e G.), secondo cui non vi sarebbe stata alcuna coartazione in occasione della stipula dei preliminari di vendita, sia perchè i proprietari sarebbero stati messi in condizione di valutare liberamente la convenienza o meno della proposta, e sia perchè anche costoro avrebbero agito per un proprio tornaconto personale, conseguendo un vantaggio, che sebbene non illegittimo, costituiva la ragione della loro adesione alla vendita volontaria del terreno.
La congiunta lettura che le conformi sentenze di primo e secondo grado offrono delle emergenze processuali, sia analiticamente che globalmente valutate, accredita invece, sulla base di un ragionevole percorso logico-espositivo, la fondatezza della ricostruzione dei fatti, in cui assume rilievo centrale la circostanza che i promittenti venditori erano tutti a conoscenza che l'espropriazione poteva essere evitata soltanto aderendo alla proposta di acquisto al prezzo non negoziabile fissato nell'importo di undici Euro al mq e con la conseguente vendita "volontaria" non già al Comune di (OMISSIS), ma direttamente al privato imprenditore ((OMISSIS)), che avrebbe beneficiato in ogni caso dell'espropriazione dei terreni rimasti invenduti, perchè ricadenti nell'area interessata dal P.I.P.
I Giudici di merito, in tal modo, hanno fatto buon governo dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera, Rv. 258470), secondo cui nello schema dell'art. 319 quater c.p., dell'abuso induttivo rientra solo il caso in cui il destinatario dell'offerta proveniente dal pubblico ufficiale si determini a prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, in quanto motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale.
La tipicità della fattispecie induttiva è, quindi, integrata dai due elementi, di cui il primo, comune anche alla fattispecie dell'abuso costrittivo, è dato dalla prevaricazione del pubblico agente, il secondo, che la contraddistingue dall'altra fattispecie, è dato dal fine determinante di un indebito vantaggio dell'extraneus.
Si è precisato che il funzionario pubblico, ponendo in essere l'abuso induttivo, opera comunque da una posizione di forza e sfrutta la situazione di debolezza psicologica del privato (in ciò si concreta la prevaricazione), mentre il privato presta acquiescenza alla richiesta non per evitare un danno contra ius, ma con l'evidente finalità di conseguire un vantaggio indebito (certat de lucro captando), che giustifica la sanzione a suo carico.
Il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p., è invece caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.
Nelle decisioni di merito è stato motivatamente esclusa qualsiasi forma di indebito tornaconto dei promittenti venditori, i quali non avendo alcuna possibilità di sottrarsi all'indebita espropriazione, sono stati costretti ad aderire all'offerta perchè posti di fronte all'alternativa tra subire due mali, entrambi ingiusti, di gravità crescente.
Il male minore dato dalla vendita volontaria a prezzo non negoziabile e ritenuto comunque iniquo, e l'altro più grave, dato dall'esproprio con un minimo indennizzo, di molto inferiore al prezzo offerto su base negoziale, oltre che ingiusto perchè fissato in un importo irrisorio rispetto al valore venale del bene.
Il conseguimento di un prezzo di vendita più conveniente dell'indennizzo di esproprio (11 Euro anzichè 4 Euro al mq) non può essere inteso come il tornaconto indebito che caratterizza l'abuso induttivo.
Innanzitutto, perchè non si configura come un vantaggio di carattere indebito, poichè si tratta del corrispettivo del trasferimento di proprietà che il privato aveva titolo a reclamare e conseguire in assenza di una regolare e legittima procedura di esproprio per pubblico interesse.
Diversamente, ove l'espropriazione fosse stata legittimamente deliberata nel contesto di una regolare procedura amministrativa diretta a perseguire il pubblico interesse, anche l'accordo con i proprietari avrebbe potuto ipoteticamente assumere una rilevanza penale dal lato del destinatario dell'espropriazione, nel caso in cui anche costui fosse stato indebitamente e selettivamente favorito rispetto ad altri proprietari, costretti a subire senza alternative l'espropriazione dei loro terreni dietro il pagamento del minore previsto indennizzo.
Ma essendo stata motivatamente evidenziata la stretta correlazione tra l'espropriazione dei terreni e l'accordo corruttivo intercorso con l'imprenditore favorito dall'abuso di potere, non solo si è escluso che i proprietari dei terreni abbiano ricevuto l'offerta di un vantaggio indebito attraverso la stipula dei preliminari di vendita, ma si è al contrario evidenziato come ai predetti siano stati illegittimamente compressi i diritti di proprietà e della libertà negoziale, espressione dell'autonomia privata, al fine di favorire non già un pubblico interesse, ma l'interesse privato.
Nel contesto descritto dai giudici di merito l'adesione alla vendita volontaria, con l'imposizione dell'acquirente e del prezzo di vendita, costituisce l'equivalente dell'erogazione "di denaro o di altra utilità" che a norma dell'art. 317 c.p., integra l'oggetto della richiesta indebita avanzata dal pubblico ufficiale attraverso l'abuso dei suoi poteri, alla quale il privato è costretto ad aderire perchè posto di fronte alla scelta se subire la prevaricazione del pubblico potere o resistervi, ma così esponendosi alle conseguenze pregiudizievoli insite nel male minacciato attraverso l'abuso di potere.
Nel caso in cui la prospettiva di un esercizio sfavorevole del potere pubblico, sia diretta al fine di costringere il privato ad una prestazione indebita, tale prospettazione integra certamente la minaccia di un danno ingiusto, in quanto non funzionale al perseguimento del pubblico interesse, ma chiaro indice di sviamento dell'attività amministrativa dalla causa tipica.
In questa ipotesi, il privato è certamente vittima di concussione, in quanto si "piega" all'abuso, proprio per scongiurarne gli effetti per lui ingiustamente dannosi.
Mentre non assumono rilevanza le modalità aggressive o violente che caratterizzano la richiesta indebita, essendo la minaccia implicita nell'alternativa cui il privato si trova esposto, tra subire il male minacciato o cedere alla richiesta, senza acquisire da parte sua alcun ingiusto vantaggio o indebito favore.
Soltanto se l'atto discrezionale, pregiudizievole per il privato, è prospettato nell'ambito di una legittima attività amministrativa e si fa comprendere che, cedendo alla pressione abusiva, può conseguirsi un trattamento indebitamente favorevole, obiettivo questo condiviso e fatto proprio dal soggetto privato, viene ad integrarsi il reato di induzione indebita.
In conclusione, la qualificazione in termini di induzione indebita è stata esclusa con argomenti logici aderenti alla complessiva ricostruzione dell'azione amministrativa come frutto di un palese abuso di potere, rivolto a favorire l'impresa G., al fine che potesse conseguire, in esclusiva e senza la partecipazione di altri concorrenti potenzialmente interessati, l'assegnazione dell'area espropriata e l'aggiudicazione del progetto di insediamento produttivo, ancor prima della pubblicazione delle relative delibere, attraverso l'acquisto della maggiore quota di possesso dell'area da espropriare.
5. Con riferimento ai delitti di peculato, i motivi di ricorso sono solo in parte fondati, limitatamente ad alcuni dei fatti ascritti ai capi M4), M10), M11), essendo per il resto infondati con riguardo alle doglianze espresse sulla qualità soggettiva di incaricato di pubblico servizio attribuita al P. ed all'altro ricorrente S., in relazione alla natura giuridica della società (OMISSIS), di cui si censura l'inquadramento nella categoria di organismo di diritto pubblico.
La questione della qualità soggettiva può essere trattata congiuntamente, per entrambi i predetti ricorrenti, essendovi una sostanziale identità degli argomenti posti a base delle medesime doglianze.
Si deve, in via preliminare, ribadire il consolidato orientamento di legittimità secondo cui anche le società di diritto privato che hanno ad oggetto l'attività di pubblico interesse come l'attività fieristica, allorchè siano controllate dagli enti pubblici territoriali, svolgono un servizio pubblico con la conseguente qualifica di incaricato di pubblico servizio per coloro che ricoprano ruoli direttivi-gestionali in seno alle predette società.
L'interesse generale sotteso alla disciplina delle attività fieristiche giustifica la natura pubblica del servizio svolto per conto degli enti territoriali locali che ne hanno delegato la gestione, con costanti finanziamenti pubblici (Sez. 6, n. 44667 del 08/10/2019, Cristini, Rv. 278191).
La carenza di disposizioni statutarie conformi al modello delle c.d. società in house, (ovvero l'esistenza di uno statuto da cui emerga che sia stata costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e della quale i medesimi enti siano gli unici soci, che esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e sia assoggettata a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, secondo i principi fissati dalle Sez. U civ., n. 26936 del 02/12/2013, Rv. 628673), non rileva agli effetti della qualificazione della natura pubblica o privata del servizio svolto, perchè la necessità di una previsione statutaria vincolante nella dinamica evolutiva della società risponde a finalità diverse, volte ad evitare elusioni delle regole di trasparenza, imparzialità e pubblicità che gli enti pubblici territoriali devono in linea di principio sempre osservare nella cura dei servizi pubblici di loro spettanza, anche quando siano gestiti, in regime di affidamento diretto, senza l'osservanza delle procedure di gara, da parte di soggetti giuridici distinti costituiti nella forma delle società di capitali.
La carenza di previsioni statutarie conformi ai criteri di elaborazione giurisprudenziale, poi recepiti anche sul piano normativo, per la c.d. gestione in house dei servizi pubblici, non assume alcuna rilevanza ai fini della qualificazione di incaricato di pubblico servizio in capo ai soggetti che assumono ruoli decisionali in detti organismi, per la evidente ragione che le normative richiamate dal ricorrente (art. 113 T.U.E.L.) sono funzionali a prevenire l'elusione delle procedure di evidenza pubblica, la cui inosservanza produce conseguenze solo sul piano della regolarità delle modalità di affidamento diretto dei servizi pubblici, senza mettere in discussione il presupposto della natura pubblica del servizio affidato dall'ente territoriale in deroga alle procedure della pubblica gara.
Le argomentazioni del ricorrente sono state condivisibilmente superate nella sentenza di appello, ribadendosi le solide ragioni indicate nella sentenza di primo grado, per la inammissibile confusione dei due piani normativi, quello della regolarità delle modalità e condizioni dell'affidamento diretto del servizio di gestione del polo fieristico da parte dell'ente territoriale competente, nel caso di specie il Comune di (OMISSIS) e la Comunità (OMISSIS), con quello della natura pubblica del servizio affidato in gestione ad un nuovo soggetto giuridico costituito nella forma di una società di capitali.
Le censure di omessa motivazione sono pertanto infondate, a fronte di due pronunzie di merito che hanno valorizzato dati fattuali incontestati che costituiscono indici evidenti non solo della natura pubblica del servizio, ma anche della piena consapevolezza da parte dei ricorrenti del ruolo pubblico rivestito.
La genesi della società, le ragioni della sua costituzione per l'affidamento diretto della gestione del polo fieristico in subentro al disciolto Ente Fieristico di (OMISSIS), la partecipazione totalitaria del capitale sociale in mano pubblica, diviso tra la Comunità (OMISSIS) per la quota del 90 % ed il Comune di (OMISSIS) per la residua quota del 10%, la finalità di interesse generale perseguita dai predetti soci pubblici fondatori per la promozione culturale, economica, sociale del territorio, il costante finanziamento pubblico di detta società, la designazione dei membri del consiglio di amministrazione da parte degli stessi enti pubblici territoriali, la condivisione di ruoli di vertice da parte di P., nel contempo liquidatore del disciolto Ente Fieristico di (OMISSIS), amministratore unico della società (OMISSIS) e presidente della Comunità (OMISSIS), costituiscono la base fattuale della ravvisata natura pubblico del servizio svolto, in linea con il principio di diritto oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della configurazione del reato di peculato, i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di un ente di diritto privato possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, allorquando la ragione d'essere dell'ente risieda nel generale perseguimento di finalità connesse a servizi di interesse pubblico, a nulla rilevando che dette finalità siano realizzate con meri strumenti privatistici (Sez. 6, n. 44667 del 08/10/2019, Cristini, Rv. 278191; Sez. 6, n. 1327 del 07/07/2015, Rv. 266265).
6. Per le stesse ragioni anche le ulteriori censure in merito all'invocato errore di fatto sulla qualifica di pubblico servizio appaiono infondate oltre che inammissibili perchè reiterative di argomentazioni che investono il fatto e che sono state già adeguatamente e motivatamente respinte, in ragione della presenza di plurimi incontestabili indici obiettivi del carattere pubblico del servizio svolto, oltre che della provenienza pubblica delle dotazioni finanziarie e della loro destinazione al soddisfacimento di finalità di interesse generale, elementi di fatto che non potevano essere ignorati, considerati i ruoli di vertice rivestiti dai due ricorrenti, ed in particolar modo tenuto conto del doppio ruolo rivestito dal P., di presidente della Comunità (OMISSIS) e di amministratore unico della società (OMISSIS).
7. Per quanto riguarda le censure mosse sui singoli fatti di peculato, si tratta in linea generale di motivi inammissibili in quanto rivolti a sollecitare una rivalutazione dei profili di merito della regiudicanda, come tale incompatibile con l'odierno scrutinio di legittimità.
Si deve preliminarmente rilevare ai fini del vaglio della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte d'appello, che tale decisione non può essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che l'iter motivazionale di entrambe si dispiega secondo sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti.
Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (in tal senso, vedi Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Rv. 252615).
La estraneità delle spese descritte nei capi di imputazione (Mi.), M2), M5), M7), M8), M9), N1), N2), N3) e Q)) è stata oggetto di concorde valutazioni in primo ed in secondo grado, con motivazioni conformi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni tratti essenzialmente dal contenuto di intercettazioni, con una saldatura delle due sentenze in unico corpo argomentativo, che non presenta vizi logici manifesti o carenze motivazionali rilevabili in questa sede di legittimità.
Quanto al capo Q, relativo al peculato contestato in concorso con il coimputato L.G. si rinvia, per evitare inutili ripetizioni, anche alle ulteriori considerazioni esposte nella trattazione del ricorso proposto nell'interesse del predetto ricorrente (vedi infra).
Con riferimento ai peculati ascritti ai capi M4) e M11) (che corrisponde al capo M10) nell'intestazione della sentenza di primo grado) valgono le seguenti considerazioni.
L'utilizzo di manodopera della (OMISSIS) per svolgere attività di trasporto materiale elettorale (gazebo e altro) per il partito "Forza Italia" (di cui al capo M4), non può integrare il reato di peculato, in difetto degli elementi necessari ad integrare la fattispecie dell'appropriazione di "denaro o di cosa mobile altrui" (Sez. 6, n. 10015 del 16/05/1991, Burgaretta, Rv. 188243), vertendosi in una ipotesi di abuso di ufficio realizzato attraverso la distrazione della manodopera retribuita dalla (OMISSIS) per svolgere una prestazione lavorativa priva di correlazione con gli scopi sociali dell'ente e al fine di arrecare intenzionalmente ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Così riqualificato il reato ai sensi dell'art. 323 c.p., trattandosi di fatti commessi da ultimo in data 28 novembre 2007, se ne deve rilevare la intervenuta prescrizione, maturata ancora prima della pronuncia della sentenza di primo grado (28 maggio 2015).
Con riferimento ai peculati ascritti al capo M10) (secondo la numerazione dell'intestazione sentenza di appello, corrispondente al capo M9) della sentenza di primo grado), le autoliquidazioni in busta paga di S.L. di premi di produzione privi di giustificazione, essendo relativi ad un periodo in cui P. non rivestiva più la carica di amministratore unico della (OMISSIS) (dismessa dal giugno 2008), non possono evidentemente essere ascritti a titolo di peculato per la perdita della qualità soggettiva richiesta dalla norma penale, ma in ogni caso presuppongono una valutazione più approfondita del materiale probatorio, al fine di chiarire i rapporti intercorrenti tra il P. ed il nuovo amministratore unico, al predetto subentrato dal giugno 2008 e di cui si fa cenno solo nella motivazione della sentenza di primo grado ( M.M.).
Si deve al riguardo richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità, secondo cuì ai fini della configurabilità della qualifica di amministratore di fatto in capo all'agente, è necessario che il medesimo abbia concretamente svolto, con il tacito consenso o con l'acquiescenza o quantomeno con la tolleranza dell'organo formalmente investito dell'amministrazione, un'attività rientrante nell'ambito della pubblica funzione, non essendo invece sufficiente il semplice esercizio, da parte del predetto, di una continuativa influenza sulle decisioni assunte dagli amministratori dell'ente (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Boia, Rv. 279555), dovendosi altrimenti vagliare la ricorrenza di altre ipotesi di reato, come la truffa o il traffico di influenze.
Se ne impone, pertanto, l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio.
Con riferimento al capo M11) della intestazione della sentenza di appello (corrispondente al capo M10) della sentenza di primo grado), relativo ai peculati commessi negli anni 2009 e 2010 con riguardo al pagamento dei premi delle polizze assicurative intestate a P. e S., si rileva la medesima carenza di motivazione della sentenza impugnata in merito ai rapporti con il nuovo amministratore, essendo necessario un approfondimento che specifichi le modalità con cui sono avvenuti i pagamenti delle polizze e le ragioni della loro mancata revoca dopo che erano venute meno le condizioni che ne giustificavano la stipula, ciò anche ai fini della verifica della più corretta qualificazione giuridica del fatto.
Con riferimento al capo M9 della intestazione della sentenza di appello (corrispondente al capo M8) della sentenza di primo grado), relativo al peculato consumato in data 16 maggio 2007 in Napoli con l'utilizzo della carta di credito aziendale per l'acquisto di capi di abbigliamento (Euro 450), ne deve essere rilevata la prescrizione, essendo decorso il termine massimo di anni 12 e mesi 6 così computato ai sensi dell'art. 161 c.p., comma 2.
Con riguardo al capo N2) relativo al peculato dell'importo di Euro 35,50 per il pagamento della spesa di una cena ai propri figli, con fattura posta a carico della (OMISSIS), si deve rilevare la intervenuta prescrizione, essendo risultato fondato il quinto motivo di ricorso.
Si tratta effettivamente di una spesa riferita ad una ricevuta fiscale del 3 giugno 2005 con l'annotazione "figli P.", per cui non si comprende nè risulta giustificata in alcun modo nelle sentenze di merito la diversa data del 17 novembre 2007 indicata nel capo di imputazione come quella di consumazione del reato, considerato il termine massimo di anni 12 e mesi 6 ex art. 161 c.p., comma 2, e l'assenza di cause di sospensione non rilevate.
Pe le stesse ragioni, deve dichiararsi anche la prescrizione dei reati di cui ai capi M1), M2), M5), N1), N3) relativi a peculati commessi rispettivamente il 4, 7, 17 novembre, il 21 e 6 dicembre 2007, essendo decorso il termine massimo di prescrizione di anni 12 e mesi 6, anche computando la sospensione prevista per i procedimenti con udienza fissata nella "prima fase" dell'emergenza (periodo dal 9 marzo all'11 maggio 2020) D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ex art. 83, comma 4, pari a sessantaquattro giorni.
Non è, invece, applicabile la sospensione di cui al citato art. 83, comma 9, dettata per la seconda fase dell'emergenza (periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020), che concerne i soli procedimenti, rinviati d'ufficio, per i quali l'udienza era già fissata in tale successivo periodo, o per quelli che originariamente fissati nel primo periodo siano poi stati rinviati in una udienza compresa nel secondo periodo e siano stati ulteriormente rinviati in esecuzione del provvedimento del capo dell'ufficio (vedi, Sez. U. del 26/11/2020, Sanna, come da informazione provvisoria n. 23).
Nel presente procedimento, infatti, l'udienza del 24 marzo 2020 è stata rinviata all'1 ottobre 2020.
8. I motivi sul diniego delle circostanze attenuanti generiche sono inammissibili, poichè la Corte territoriale ne ha congruamente spiegato le ragioni, evidenziando il ruolo prioritario svolto dal ricorrente nel sistema di collusioni e complicità dal medesimo creato e diretto.
Si deve rilevare, invece, la fondatezza del motivo relativo alla mancata esclusione dell'aggravante del numero di persone di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 1, ascritto in relazione alla concussione di cui al capo G), che deve essere eliminata per effetto dell'assoluzione della coimputata V., disposta con la sentenza di appello.
Non essendo stata indicata la misura dell'aumento disposto per la predetta aggravante, l'annullamento della relativa statuizione, impone il rinvio per la rideterminazione complessiva della pena, che dovrà tenere conto anche delle intervenute prescrizioni dei reati di peculato qui dichiarate.
9. I primi due motivi del ricorso di S. sono fondati.
Effettivamente nella motivazione della sentenza della Corte di appello si è dato conto delle ragioni per le quali è stata esclusa la sussistenza del fatto, per il ravvisato carattere informale delle deliberazioni della Comunità Montana, e per la carenza di prove che la delibera n. 427 del 21 dicembre 2006 fosse stata oggetto di una falsificazione del suo contenuto in merito alla decisione di affidare alla (OMISSIS) per ragioni di urgenza la gestione delle procedure di gara per la ristrutturazione ed il completamento del polo fieristico provinciale di (OMISSIS).
Ne segue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo V) perchè il fatto non sussiste, non giustificandosi nè essendo necessari nuovi apprezzamenti di merito della vicenda ex art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), considerate le valutazioni espresse dal giudice dell'appello che ha escluso la stessa materialità del reato, con la conseguente assimilazione della posizione del ricorrente a quella degli altri coimputati assolti per insussistenza del fatto ( R., P. e M.).
Non è necessario sul punto neppure il rinvio al giudice di merito per la determinazione della pena, essendo stata indicata nel computo operato dalla Corte di appello ai fini della determinazione della pena, la misura del relativo aumento disposto in mesi due di reclusione per il predetto capo V), che va pertanto eliminato.
10. Quanto ai residui motivi, si deve rilevare la infondatezza e la parziale inammissibilità delle censure dedotte con riguardo ai reati di peculato ascritti ai capi M), O), Q), sul rilievo della insussistenza della natura giuridica di organismo di diritto pubblico della società (OMISSIS), per le ragioni già esposte nel trattare il quarto motivo del ricorso di P..
Con riferimento alle ulteriori doglianze articolate sempre con riferimento ai predetti capi di imputazione, ma con riguardo al diverso profilo dell'accertamento della estraneità delle spese contestate agli scopi sociali dell'ente, si deve solo aggiungere che trattandosi di censure in fatto che non sono state oggetto di alcuna deduzione nei motivi di appello, non possono essere dedotte in sede di legittimità.
Ciò perchè con il ricorso per cassazione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza, non possono essere dedotte questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciarsi, non essendo ravvisabile il difetto di motivazione rispetto ai punti della decisione sottratti alla sua cognizione per il principio devolutivo (Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368).
11. Tuttavia, considerato che il ricorso nel suo complesso è infondato e non totalmente inammissibile, deve essere rilevata la prescrizione dei reati di cui ai capi M1), M2), M5), M9) relativi a peculati commessi rispettivamente il 4 e 7 novembre, il 21 dicembre e il 16 maggio 2007, essendo decorso il termine massimo di prescrizione di anni 12 e mesi 6, anche computando la sospensione prevista per i procedimenti con udienza fissata nella "prima fase" dell'emergenza (periodo dal 9 marzo all'11 maggio 2020) D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ex art. 83, comma 4, pari a sessantaquattro giorni, non essendo invece applicabile la sospensione di cui al citato art. 83, comma 9, dettata per la seconda fase dell'emergenza (periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020), che concerne i soli procedimenti, rinviati d'ufficio, per i quali l'udienza era già fissata in tale successivo periodo, o per quelli che originariamente fissati nel primo periodo siano poi stati rinviati in una udienza compresa nel secondo periodo e siano stati ulteriormente rinviati in esecuzione del provvedimento del capo dell'ufficio; diversamente quindi da questo procedimento, in cui l'udienza del 24 marzo 2020 è stata rinviata all'1 ottobre 2020 (Sez. U. del 26/11/2020, Sanna, come da informazione provvisoria n. 23).
12. Con riferimento ai peculati ascritti ai capi M4), nonchè M10) e M11) (che corrispondono ai capi M9) e M10) nell'intestazione della sentenza di primo grado), per l'effetto estensivo dell'accoglimento del ricorso di P., deve disporsi l'annullamento senza rinvio per il capo M4), previa riqualificazione del fatto come abuso di ufficio, perchè estinto per prescrizione e l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio per i capi M10) e M11).
13. I motivi sul diniego delle circostanze attenuanti generiche sono inammissibili poichè la Corte territoriale ne ha congruamente spiegato le ragioni, evidenziando la gravità dei fatti e l'intensità del dolo in relazione alla pluralità dei fatti addebitati al ricorrente ed alla loro abitualità.
Deve, pertanto, dichiararsi l'irrevocabilità della condanna per i capi O) e Q), e disporsi l'annullamento con rinvio anche per la rideterminazione complessiva della pena, tenendo conto delle prescrizioni dei reati dichiarate in questa sede.
14. Tutti i motivi dedotti nel ricorso di L.G. sono infondati, oltre che in parte inammissibili, con la sola esclusione di quelli relativi alle statuizioni civili.
Con i primi due motivi si ripropongono le medesime censure già dedotte nei motivi di appello, formulandosi delle critiche aspecifiche rispetto alla trama argomentativa della sentenza impugnata, che si risolvono nella richiesta di una rilettura del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità, in assenza dei vizi logici denunciati.
Le valutazioni dei giudici di merito sull'utilizzo della società (OMISSIS) da parte del P. come schermo per operare fraudolente triangolazioni, attraverso l'emissione di fatturazioni di comodo per creare costi fittizi e dare una giustificazione contabile alle sottrazioni di denaro dalle casse della (OMISSIS), sono state basate su coerenti argomenti logici aderenti alle risultanze probatorie attestanti il coinvolgimento del P. nelle vicende della citata società, sin dalla sua costituzione, con riferimenti precisi anche alla individuazione delle fatturazioni dal medesimo sollecitate per prestazioni inesistenti, supportate da una motivazione adeguata, puntuale ed immune di vizi logici, aderente alle risultanze delle intercettazioni richiamate nella sentenza impugnata.
15. Le censure articolate dal ricorrente in merito alla fattura del 23 aprile 2008 di 40.000,00 Euro, emessa dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) con la causale "Allestimenti scenografici e strutturali", sollecitano soltanto una nuova valutazione del materiale probatorio, senza fornire argomenti utili a supportare i denunciati vizi logici riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto.
Il materiale probatorio raccolto nell'istruttoria dibattimentale è stato sottoposto ad una compiuta disamina dai giudici di merito che hanno ben esposto le ragioni per le quali si è ritenuta provata la duplicazione delle fatturazioni relative alle medesime prestazioni lavorative, già retribuite al L., e quindi anche se non oggettivamente inesistenti, ingiustificate sotto il profilo della duplicazione dei costi posti a carico della (OMISSIS).
Non si coglie, infatti, alcuna illogicità nella condivisibile ravvisata incoerenza di prestazioni lavorative retribuite sulla base di una differente intestazione del rapporto di lavoro in capo a due diverse società rispetto a opere eseguite nel medesimo contesto e con orari di lavoro corrispondenti a quelli degli altri prestatori d'opera, che senza ragione avrebbero invece subito un trattamento retributivo peggiore, diversamente dal L..
Altrettanto coerente è la motivazione della sentenza impugnata con riferimento alle altre fatturazioni emesse dalla (OMISSIS) rispetto a prestazioni di progettazione e pratiche amministrative di competenza della società (OMISSIS), svolte da professionisti esterni, che, senza mai avere avuto alcun rapporto con la società intestata a L., inspiegabilmente hanno fatturato a nome della (OMISSIS) che, poi, ha rifatturato i predetti medesimi servizi alla (OMISSIS).
Analoghe considerazioni devono ripetersi per le deduzioni relative alle due fatture emesse dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) di G. per il progetto di un parco eolico, per la ravvisata illogicità dell'intermediazione di detta società rispetto a prestazioni che il G. avrebbe richiesto al P..
16. Il terzo motivo, relativo alla dedotta nullità dell'avviso dell'udienza preliminare, è inammissibile per le ragioni già esposte nel trattare il primo motivo del ricorso di P., che investe la medesima questione.
17. Fondato è, invece, il quarto motivo di ricorso limitatamente alle statuizioni sulle spese ad eccezione di quelle disposte in favore della Regione (OMISSIS).
Effettivamente risulta evidente l'errore in cui è incorso il giudice di appello per avere compreso nella condanna alla rifusione delle spese del grado di appello, disposta in favore delle parti civili P.F. + 16 e P.S. + 20, anche il L., sebbene nei confronti del predetto non sia stata pronunciata alcuna condanna in primo grado per il risarcimento richiesto dalle predette parti civili in relazioni a titoli di reato non ascritti al L..
Deve, pertanto, essere disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di L.G. limitatamente alla condanna al pagamento delle spese in favore delle anzidette parti civili, con il rigetto del ricorso nel resto.
Va, infine, disposta la condanna del L. anche al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Regione Lombardia nel presente giudizio, in relazione alla conferma in appello della condanna emessa dal Tribunale a titolo di risarcimento dei danni.
18. Passando all'esame del ricorso di B.R., con riferimento alle censure relative ai reati di concussione al medesimo ascritti in concorso con P.S., si devono richiamare le considerazioni esposte nel trattare il ricorso di quest'ultimo, essendo identiche le questioni dedotte con riferimento alla ricorrenza dei presupposti dell'abuso di potere e della coercizione.
In aggiunta a quanto già osservato in punto di qualificazione giuridica dei fatti, si deve rilevare l'infondatezza della prospettazione in termini di truffa, sostenuta in via subordinata dal predetto ricorrente, attraverso una lettura riduttiva e parziale delle testimonianze rese dalle persone offese A.R., C.L., P.A., G.R. e C., F.F., i cui verbali sono stati allegati al ricorso.
Preliminarmente si deve ricordare che in sede di giudizio di legittimità, allorchè sia dedotto il travisamento della prova, rimane fermo il divieto di ricostruire il fatto in modo diverso rispetto alla ricostruzione operata dal giudice di merito, dovendosi solo verificare, attraverso la motivazione e gli atti allegati al ricorso, se il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione una prova inesistente, o abbia presupposto come esistente una prova mai assunta.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili.
Ciò premesso, dalla lettura delle trascrizioni delle de