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Frode informatica: è aggravata in caso di accesso abusivo ad un servizio di home banking


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di frode informatica

La massima

In tema di frode informatica, la nozione di “identità digitale”, che integra l'aggravante di cui all' art. 640-ter, comma 3, c.p. , non presuppone una procedura di validazione adottata dalla pubblica amministrazione, ma trova applicazione anche nel caso di utilizzo di credenziali di accesso a sistemi informatici gestiti da privati. (Fattispecie in cui è stata ritenuta l'aggravante in un caso di accesso abusivo a un servizio di home banking - Cassazione penale , sez. II , 20/09/2022 , n. 40862).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 20/09/2022 , n. 40862

CONSIDERATO IN FATTO

1.Con l'impugnata ordinanza il Tribunale del Riesame di Venezia rigettava l'istanza ex art. 309 c.p.p. proposta avverso il provvedimento del Gip in data 1/4/2022, che aveva applicato a B.J. la misura degli arresti domiciliari in relazione ai delitti di cui all'art. 110 c.p., art. 640ter c.p., comma 3, (capo c); art. 497 bis c.p., comma 2, (capo e), art. 648 ter.1 c.p. (capo g), art. 648 c.p. (capo I).


2.Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'indagato, Avv. Franco Monteverde, deducendo:


2.1 la violazione dell'art. 306 c.p.p., art. 309 c.p.p., comma 10. Perdita di efficacia della misura cautelare per tardivo deposito del a motivazione del Tribunale del Riesame.


La difesa eccepisce che l'ordinanza impugnata, resa il 29/4/2022, senza riserva di termine per la motivazione, è stata comunicata a mezzo PEC ai difensori il 3/6/2022 e reca un timbro di deposito illeggibile. Pertanto, costituendo la data di deposito un requisito essenziale dell'atto, in assenza di chiare indicazioni circa l'avvenuto adempimento nel termine di legge di gg. 30, scadente il 29/5/2022, l'ordinanza deve ritenersi tardivamente depositata con conseguente perdita d'efficacia della misura;


2.2 in subordine, la difesa solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p. per violazione dell'art. 13 Cost. nella parte in cui non prevede un termine perentorio per la comunicazione della motivazione dell'ordinanza del riesame alle parti. La difesa ritiene che ove il deposito del provvedimento risulti tempestivo si pone, comunque, il problema della tempistica della comunicazione alle parti giacché il lasso di tempo che intercorre tra deposito e notificazione costituisce un illegittimo ed arbitrario prolungamento della restrizione della libertà personale del soggetto cautelato, costituendo un vulnus nel sistema delle impugnazioni cautelari caratterizzato da tempistiche stringenti, poste a presidio del fondamentale principio dell'inviolabilità della libertà personale;


2.3 illegittimità dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2, nonché assenza di valutazione degli elementi a favore dell'indagato.


La difesa lamenta che i giudici del riesame hanno omesso di fornire risposta alle doglianze relative alla mancata considerazione da parte del Gip che ha emesso la misura in rinnovazione delle dichiarazioni rese dal B. nel corso dell'interrogatorio di garanzia dinanzi al Gip di Bologna in data 28/3/2022;


2.4 la violazione dell'art. 293 c.p.p., comma 1 ter, in relazione all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), nonché degli artt. 13 e 24 Cost., omessa informativa al difensore dell'esecuzione della misura.


Il difensore deduce che il codifensore, Avv. M., designato dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia, non ha avuto comunicazione dell'avvenuta esecuzione della misura cautelare nei confronti dell'assistito in data 7/4/2022, con conseguente lesione dei diritti di difesa dell'indagato e nullità del provvedimento dispositivo della misura;


2.5 la violazione dell'art. 5 par. 3 CEDU e degli artt. 294, 302 e 306 c.p.p. per omesso interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare.


La difesa deduce che l'ordinanza impugnata ha respinto con motivazione non condivisibile le eccezioni difensive concernenti l'omesso interrogatorio di garanzia dell'indagato a seguito di rinnovazione della misura per effetto della dichiarazione di incompetenza del Gip di Bologna. Al riguardo osserva che l'originaria misura emessa dal Gip di Bologna in data 14/3/2022 aveva cessato la propria efficacia il 3 aprile seguente mentre il provvedimento del Gip di Venezia, sebbene emesso l'1/4/2022, è stato eseguito solo il 7 aprile seguente. Pertanto poiché detta ordinanza non era meramente rinnovativa della prima sussisteva l'obbligo in capo al giudice di espletare l'interrogatorio di garanzia. Infatti, in assenza di esecuzione del nuovo provvedimento, mancava un valido titolo che autorizzasse la privazione della libertà personale del ricorrente che doveva essere rimesso in libertà;


2.6 la violazione dell'art. 5 par. 3 CEDU nonché dell'art. 294 c.p.p. per omesso interrogatorio dell'indagato sottoposto a misura cautelare in presenza di nuovi elementi fattuali. Secondo la difesa il Tribunale cautelare ha erroneamente disatteso i rilievi difensivi che sostenevano la necessità che il Gip procedesse ad interrogatorio di garanzia in presenza di elementi fattuali nuovi emersi dalle dichiarazioni del coindagato T., richiamate dal giudice in sede di emissione dell'ordinanza genetica;


2.7 errata applicazione dell'art. 640ter c.p., comma 3, e manifesta illogicità della motivazione; errata qualificazione giuridica del reato di cui al capo c) (frode informatica mediante utilizzo indebito dell'identità digitale di R.M.).


La difesa sostiene che le credenziali di accesso tramite internet al conto corrente bancario non costituiscono identità digitale del titolare alla stregua di quanto previsto dal D.Lgs. n. 82 del 2005. Infatti, le norme vigenti non prevedono l'accesso ai conti correnti bancari mediante identità digitale MEI tramite credenziali quale il nome utente e la password. Il Tribunale del riesame ha, al contrario, ritenuto che il concetto di identità digitale corrisponda all'univoca individuazione di un soggetto su piattaforme digitali on line, citando la sentenza di Sez. 2 n. 23760/2020, effettuando una valutazione non condivisibile in quanto il D.P.C.M. 24 ottobre 2014 ha fornito una chiara definizione di identità digitale all'art. 1, comma 1, lett. o), affermando che la stessa costituisce la rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra utente e suoi attributi identificativi, verificata attraverso l'insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale secondo le modalità del decreto e i suoi regolamenti attuativi. Pertanto, il concetto di identità digitale non può prescindere dalla verifica a parte della PA della reale identità del soggetto che la utilizza.


Secondo la difesa il fatto contestato sub c), consistito nell'accesso al conto corrente bancario della p.o. mediante l'impiego delle credenziali abilitanti l'home banking carpite con l'inganno doveva essere ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 640ter c.p., comma 1, e non comma 3;


2.8 assoluta mancanza di motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo c), stante l'assenza di elementi che attestino un contributo causale del B. alle condotte contestate, profilo pretermesso dall'ordinanza impugnata;


2.9 errata applicazione dell'art. 497bis c.p. e manifesta illogicità della motivazione. Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento al capo e).


Con riguardo al rinvenimento nella cartella download dell'indagato di un documento digitale contenente la scansione del documento di identità della p.o. recante l'effige fotografica di C.M., la difesa sostiene che detto elemento non legittima l'addebito al prevenuto del concorso nella fabbricazione e nel possesso del documento falso, che si assume esibito dal C. in un esercizio commerciale di Pescara, avendo il Tribunale cautelare affermato la gravità indiziaria facendo ricorso a mere presunzioni, stante l'assenza di dati investigativi a conforto dell'esibizione del documento contraffatto e di contatti tra gli indagati B. e T. e il C.;


2.10 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo all'addebito di autoriciclaggio di cui al capo g). La difesa lamenta che l'ordinanza impugnata ha confermato la gravità indiziaria per il delitto di autoriciclaggio con motivazione incongrua, trascurando la tracciabilità dei flussi bancari derivante dalla normativa comunitaria e il difetto, nella specie, dell'attività dissimulatoria richiesta dalla norma incriminatrice. Aggiunge che l'attività di trasferimento di fondi tramite operazioni bancarie non è idonea ad occultare la provenienza delittuosa del danaro secondo la giurisprudenza di legittimità;


2.11 la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di ricettazione di cui al capo I).


Assume la difesa che non risultano acquisiti elementi idonei a supportare la sussistenza del reato di ricettazione sia con riguardo alla provenienza delittuosa dei dati personali rinvenuti su files informatici sia in relazione alla consapevole ricezione e detenzione degli stessi da parte del ricorrente, il quale ha riferito in sede di interrogatorio che la data di formazione dei file è precedente rispetto alla acquisita disponibilità del computer in cui sono stati rinvenuti. Sul punto l'ordinanza impugnata ha reso una motivazione congetturale ed apodittica, affermando la natura illecita dei dati in assenza di elementi di supporto ed invertendo l'onere della prova laddove valorizza l'assenza di emergenze circa un lecito acquisto.


RITENUTO IN DIRITTO

1.Il primo motivo è manifestamente infondato. Dall'accesso agli atti, giustificato dalla natura della doglianza, consta l'avvenuto deposito dell'ordinanza impugnata in data 6 maggio 2022, nel pieno rispetto del termine previsto dall'art. 309 c.p.p., comma 10.


La subordinata eccezione di incostituzionalità dell'art. 309 codice di rito per contrasto con l'art. 13 della Carta Fondamentale nella parte in cui non prevede un termine perentorio per la comunicazione/notificazione della motivazione dell'ordinanza del riesame è priva di rilevanza, prima ancora che manifestamente infondata. La difesa muove dal presupposto che la mancata previsione di un termine perentorio per la comunicazione del provvedimento che definisce la procedura di riesame determini un ingiustificato ed illegittimo prolungamento dello stato di custodia in violazione dell'art. 13 Cost.. La difesa offre di detta norma un'interpretazione che assolutizza il concetto di inviolabilità della libertà personale senza considerare che il comma 2 espressamente ne leciittima la restrizione per atto motivato dell'autorità giudiziaria nei casi e modi previsti dalla legge. Nella specie lo status cautelare dell'indagato era supportato da valido titolo confermato in sede di riesame sicché non si comprende quale pregiudizio sia in concreto derivato all'indagato dalla notifica dell'ordinanza in un termine non normativamente previsto e contingentato, atteso che da detto adempimento decorre per la difesa il termine per l'impugnazione e in detto lasso temporale decorrono, altresì, i termini di custodia.


Invero, la difesa sollecita un intervento manipolativo, suggerendo addirittura un termine non superiore ad un giorno per la notificazione del provvedimento decorrente dalla data di effettivo deposito del provvedimento, esondando dai limiti del sindacato riservato al Giudice delle Leggi.


2. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo che lamenta la violazione dell'art. 292, comma 2 ter, codice di rito per avere l'ordinanza impugnata trascurato una compiuta valutazione delle dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in tema di misure cautelari, nella nozione di "elementi a favore" che devono essere valutati dal giudice a pena di nullità dell'ordinanza, rientrano soltanto elementi di natura oggettiva e concludente, rimanendo escluse le mere posizioni difensive negatorie, le semplici prospettazioni di tesi alternative e gli assunti chiaramente defatigatori, così come non vi rientrano le interpretazioni alternative degli elementi indiziari, che restano assorbite nel complessivo apprezzamento operato dal giudice della libertà (Sez. 5, n. 44341 del 13/05/2019, Rv. 277127; Sez. 6, n. 12442 del 9/3/2011, Rv. 249641).


Trattasi di principio del tutto coerente con il dettato normativo che nel richiamare la necessaria valutazione degli elementi a carico ed a favore dell'indagato evoca espressamente in forma binaria l'art. 358 e l'art. 327 bis c.p.p., ovvero gli esiti dell'attività investigativa del P.m. e delle investigazioni difensive.


3. Risulta immeritevole di accoglimento anche il quarto motivo che eccepisce la nullità dell'ordinanza impugnata per effetto dell'omessa informativa circa l'esecuzione della misura cautelare al codifensore Avv. Martini Barzolai.


Sebbene, come evidenziato dalla difesa, l'ordinanza impugnata sia rimasta silente sull'eccezione di nullità in questione, concentrando le proprie considerazioni sull'omesso avviso di deposito dell'ordinanza custodiale (pag. 5/6), ritiene il Collegio che le censure difensive fossero geneticamente infondate con conseguente irrilevanza dell'omessa motivazione sul punto del Tribunale cautelare.


3.1 La funzione dell'obbligo informativo sancito dall'art. 293, comma 1 ter, codice di rito è quella di mettere il difensore in condizione di conoscere lo stato di sottoposizione del proprio assistito alla misura cautelare e di predisporre quanto necessario all'esercizio del diritto di difesa nella prospettiva dell'espletando interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p.. Nella specie, sotto il profilo della concreta lesione delle prerogative difensive la difesa nulla ha argomentato, sebbene il carattere dell'ordinanza custodiale, emessa a secuito di declaratoria d'incompetenza territoriale e dopo l'interrogatorio di garanzia dell'indagato effettuato dinanzi al Gip di Bologna, avesse comportato la piena discovery degli elementi d'accusa e l'adozione della misura cautelare successivamente confermata dal Gip di Venezia. In detto contesto di mera novazione del titolo cautelare da parte del giudice competente l'omessa comunicazione al codifensore designato in sede di interrogatorio di garanzia dell'esecuzione della misura è priva di qualsivoglia incidenza sull'esercizio dei diritti difensivi, attesa, altresì, l'assenza di elementi di valutazione nuovi e sopravvenuti, già dichiarata dal Gip emittente, che avrebbe imposto di procedere a nuovo interrogatorio.


Va inoltre considerato che l'omissione in discorso era eventualmente suscettibile di ricadute invalidanti solo ed esclusivamente sulle attività funzionalmente derivate, quali l'interrogatorio di garanzia, nella specie non espletato, non potendo l'inadempimento, che si colloca a valle dell'emissione del provvedimento custodiale, retroagire sullo stesso determinandone la nullità, come paventato dalla difesa.


4.Il quinto e sesto motivo possono essere congiuntamente delibati in quanto concernono censure relative all'omesso interrogatorio di garanzia del prevenuto da parte del Gip di Venezia a seguito di rinnovazione della misura.


La difesa assume, da un lato, che la misura è stata tardivamente eseguita con conseguente perdita di efficacia di quella emessa dal giudice incompetente, dall'altro, che l'interrogatorio di garanzia era dovuto a seguito degli elementi fattuali nuovi emersi dall'interrogatorio del coindagato T..


L'ordinanza impugnata ha correttamente ritenuto che l'esame della doglianza fosse preclusa in sede di riesame, facendo corretta applicazione della costante giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua - poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza - non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p.. (Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, Galletto, Rv. 202015; conformi, Sez. 2, n. 4817 del 23/10/2012, dep. 2013, Rv. 254447; n. 33775 del 04/05/2016, Rv. 267851; n. 54267 del 12/10/2017, Rv. 271366, cui adde, Sez. 4, n. 12995 del 5/2/2016, Rv 266294; Sez. 3, n. 13670 del 19/3/2020, Rv. 278770; Sez. 2, n. 24241 del 24/7/2020, Rv. 278491).


4.1 Il Tribunale ha, nondimeno, esaminato anche il merito delle deduzioni difensive, disattendendo con corretti argomenti giuridici la pretesa tardività della rinnovazione e conseguente caducazione dell'originaria misura. Infatti, è giuridicamente inaccoglibile la tesi difensiva, peraltro genericamente articolata, che sostiene che il termine di giorni venti di cui all'art. 27 c.p.p. sia comprensivo dell'esecuzione della nuova ordinanza, interpretazione che collide con l'inequivoco dato testuale della disposizione, secondo cui la misura adottata dal giudice dichiaratosi incompetente cessa di "avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede..".


Per altro verso parimenti infondato è l'assunto per cui l'effettuazione di un nuovo interrogatorio di garanzia sarebbe stato imposto dall'emersione di nuovi elementi fattuali a carico dell'indagato che avrebbero dovuto essere contestati al ricorrente. Questa Corte ha autorevolmente affermato il principio secondo cui le misure cautelari disposte, a norma dell'art. 27 c.p.p., da un giudice, dichiaratosi contestualmente o successivamente incompetente, non perdono efficacia per il mancato espletamento di un nuovo interrogatorio di garanzia da parte del giudice competente il quale abbia emesso nel termine stabilito una propria ordinanza, sempre che non siano stati contestati all'indagato o all'imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'ordinanza emessa dal giudice incompetente (Sez. U, n. 39618 del 26/09/2001, Zaccardi, Rv. 219975; tra tante conformi, Sez.5, n. 3399 del 27/10/2009, dep.2010, Rv. 245836; n. 48246 del 20/9/2016, Rv.268160;Sez. 2,n. 26904 del 21/4/2017 in tema di rinnovazione a seguito di perdita d'efficacia di misura a norma dell'art. 309, comma 10, codice di rito).


Deve aggiungersi che questa Corte ha anche recentemente ribadito in fattispecie analoga che, in tema di misure cautelari disposte da giudice incompetente, non è necessario procedere ad un nuovo interrogatorio di garanzia a seguito della rinnovazione della misura ai sensi dell'art. 27 c.p.p., a meno che non siano contestati all'indagato fatti nuovi, idonei ad incidere significativamente sull'episodio addebitato, rendendolo diverso o ulteriore, escludendo che le sopravvenute dichiarazioni rese da un coindagato rendessero necessaria la rinnovazione dell'interrogatorio, in quanto meramente confermative di elementi di fatto già acquisiti (Sez. 6, n. 3169 del 23/11/2021, dep. 2022, Rv. 282746).


5. Ad esiti reiettivi deve pervenirsi anche in relazione alle censure svolte nel settimo motivo in punto di qualificazione giuridica dei fatti contestati al capo c), dubitando il difensore della ravvisabilità nella specie dell'aggravante di cui all'art. 640ter c.p., comma 3. In particolare opina il ricorrente che non può configurarsi l'indebito utilizzo dell'altrui identità digitale nell'accesso al conto corrente della p.o. mediante l'uso di credenziali carpite con l'inganno.


Le considerazioni difensive in punto di definizione a fini penali del concetto di identità digitale non persuadono.


5.1 Il D.L. n. 93 del 2013, art. 9 convertito con modif. nella L. n. 119 del 2013, ha introdotto il comma dell'art. 640ter c.p. che prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale del delitto di frode informatica allorché il fatto " è commesso con furto o indebito utilizzo dell'identità digitale". Il legislatore non ha fornito alcuna definizione dell'"identità digitale", concetto utilizzato in plurime e diversificate accezioni.


La dottrina ha evidenziato come la traslazione in sede penale di definizioni tratte da fonti esterne, quali quella contenuta al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 1 comma 1, lett. u quater, ovvero quella introdotta ai fini della creazione del Sistema pubblico per la gestione delle identità digitali dei cittadini e imprese, di cui al D.P.C.M. 24 ottobre 2014, trova un evidente ostacolo nel fatto che si tratta di concettualizzazioni o indicazioni metodologiche funzionali agli specifici provvedimenti cui ineriscono, incentrate sulla validazione da parte di un sistema di un insieme di dati finalizzata alla identificazione elettronica dell'utente.


L'Ufficio del Massimario nella relazione alla legge del 21 ottobre 2013, partendo dalla definizione elaborata ai fini del Codice dell'amministrazione digitale, ha affermato che "L'identità digitale è comunemente intesa come l'insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto sotto un processo di identificazione, che consiste (per come definito dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, lett. u-ter) per l'appunto nella validazione dell'insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne consentono l'individuazione nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie anche al fine di garantire la sicurezza dell'accesso". Sebbene si tratti di un concetto attendibilmente destinato ad una più esatta perimetrazione per effetto dell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, non è revocabile in dubbio che la tesi difensiva che pretende di limitare l'identità digitale alle procedure di validazione adottate dalla P.A. (SPID, CIE, firma digitale),debitamente certificate, escludendo le procedure di accesso mediante credenziali a sistemi informatici a gestione privatistica quale i servizi di home banking o le piattaforme di vendita on line, è destituita di giuridico fondamento in quanto si pone in rotta di collisione con la constatazione empirica circa l'esistenza di diverse tipologie di identità digitale, caratterizzate da soglie differenziate di sicurezza in relazione alla natura delle attività da compiere nello spazio virtuale, e con la ratio legis, intesa a rafforzare la fiducia dei cittadini nell'utilizzazione dei servizi on-line e a porre un argine al fenomeno delle frodi realizzate soprattutto nel settore del credito al consumo mediante il furto di identità.


6. Quanto all'ottavo motivo relativo alla ritenuta gravità indiziaria in relazione al capo c), osserva la Corte che l'ordinanza impugnata ha dato adeguato conto dei profili di responsabilità concursuale del prevenuto sia a pag. 7, laddove ha richiamato la cospicua messaggistica tra il ricorrente e il T. concernente la pianificazione dell'attività delittuosa e la condivisione, documentata dalle videoriprese, dei prelievi effettuati tramite sportello ATM di Banca Annia di somme dal conto corrente dello stesso T. ove era confluito il danaro sottratto alla p.o. R., sia a pag. 8, ove risultano richiamate le specifiche modalità esecutive della truffa, materialmente eseguita dal B. che si era isolato in un bed & breakfast in costante contatto con il T., che provvide al saldo del conto.


6.1 I giudici cautelari hanno reso una motivazione esente da profili di illogicità manifesta anche in ordine alla gravità indiziaria circa il concorso del prevenuto nel delitto ex art. 497 bis c.p. e alla sussistenza del delitto di ricettazione con riguardo al rinvenimento di una gran molle di file informatici contenenti dati personali di esercenti attività di tabaccheria sicché non possono trovare ingresso i rilievi difensivi tendenti ad una rilettura degli elementi indiziari acquisiti.


6.2 Quanto al decimo motivo che revoca in dubbio la sussistenza degli estremi costitutivi del delitto di autoriciclaggio in quanto i bonifici del T. verso conti lituani e tedeschi erano tracciabili e quindi privi dell'attitudine ad ostacolare l'individuazione della provenienza delle somme, questa Corte ha in più occasioni chiarito che, ai fini dell'integrazione del reato di autoriciclaggio, non occorre che l'agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza (Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, Rv. 276974), evidenziando, altresì, che l'intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l'idoneità "ex ante" della condotta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, Rv. 276419; n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Rv. 279407).


7.Alla luce della complessiva infondatezza del ricorso se ne impone, pertanto, il rigetto con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 20 settembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2022

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