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Ricettazione: sussiste la mediazione per il solo fatto che l'agente si intrometta nel far acquistare


Corte di Cassazione

La massima

Con la sentenza n.10334/22, la Corte di Cassazione ha affermato che il delitto di ricettazione, nell'ipotesi della mediazione, si perfeziona per il solo fatto che l'agente si intromette nel far acquistare, ricevere od occultare un bene di provenienza delittuosa, non occorrendo, a tal fine, né che il predetto metta in rapporto diretto le parti, né che la refurtiva sia effettivamente acquistata o ricevuta. (Fattispecie in cui l'imputato aveva ricevuto un video di provenienza illecita, frutto del delitto di cui all' art. 615-bis c.p. , e si era poi attivato per la sua commercializzazione).


La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 16/11/2022 , n. 10334

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma, per quel che qui rileva, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di T.A. in ordine al reato di ricettazione aggravata a lui ascritto, perché estinto per intervenuta prescrizione, e ha confermato le statuizioni civili, disponendo la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalle parti civili nel grado.


Si addebita al T. di avere ricevuto per farne successivo commercio, un video di provenienza illecita, in quanto frutto del delitto di cui all'art. 615 bis c.p. consumato il 3 luglio 2009 all'interno dell'abitazione di V.S. detta N., nell'ambito di un'incursione del personale di Polizia nel domicilio del predetto V..


2.Avverso la detta sentenza propone ricorso T.A., deducendo:


2.1 violazione di legge e vizio di motivazione poiché la Corte di appello di Roma con motivazione contraddittoria e illogica e incorrendo nel travisamento dei dati probatori ha prosciolto T. dal reato di ricettazione ritenendo il reato estinto per prescrizione, mentre avrebbe dovuto assolverlo nel merito per insussistenza del fatto o per carenza dell'elemento soggettivo.


Il ricorrente osserva che:


- manca la prova del reato presupposto della ricettazione e cioè del reato di cui al capo O della imputazione previsto dall'art. 615 bis c.p.. Il reato di interferenze illecite nella vita privata non viene integrato dalla condotta di colui che mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva riprende scene di vita privata in un'abitazione in cui sia lecitamente presente. Nel caso di specie, i carabinieri poi incriminati erano entrati nella abitazione della V. per ragioni lecite, cioè per eseguire una perquisizione, e quindi la videoripresa era assolutamente lecita in quanto finalizzata a documentare la propria attività.


-manca la prova dell'elemento oggettivo e soggettivo del delitto previsto dall'art. 648 c.p., poiché il T. non ha mai avuto il possesso del video realizzato dai coimputati, se non per un breve periodo, quando lo consegnò in v sione a Milano negli uffici della (Omissis) per poi riprenderlo e tornare a Napoli; la mera ricezione del mandato a vendere è cosa diversa dalla disponibilità del bene e non integra la condotta prevista dal capo di imputazione. T. infatti non ebbe a partecipare a tutta la prima fase del tentativo di commercializzazione del video; non vide il contenuto del video in modo completo e seppe che era stato girato da transessuali per motivi di gelosia, apprendendo solo in seguito che l'uomo politico ripreso era M.P., sicché manca anche l'elemento soggettivo della ricettazione, cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto. Infine il ricorrente deduce la erronea qualificazione giuridica del fatto che avrebbe dovuto essere ridefinito nella fattispecie dell'incauto acquisto e essere dichiarato prescritto in epoca precedente alla sentenza di primo grado con la conseguente revoca delle statuizioni civili. Ed infatti) il non avere controllato il contenuto del video in un contesto di generale rassicurazione integra quella colpa nella ricezione di un bene che avrebbe potuto essere di provenienza illecita, che costituisce l'elemento materiale oggettivo della contravvenzione e giammai il dolo eventuale della ricettazione.


- la condotta del T. avrebbe dovuto al più essere qualificata ai sensi dell'art. 56 c.p., art. 615 bis c.p., comma 2 essendo consistita nel tentativo di diffondere le immagini ottenute nei modi indicati nel comma 1. Tale fattispecie incriminatrice è perfettamente compatibile con il tentativo di reato. mentre per il principio di specialità la condotta deve rientrare nell'ipotesi di cui all'art. 615 bis c.p. e la clausola di riserva non opera in relazione alle condotte previste dall'art. 648 c.p., trattandosi di reati aventi ad oggetto beni giuridici diversi. Anche questo motivo era stato sollevato con l'atto di impugnazione e la corte non ha fornito sul punto adeguata risposta.


2.2 nullità della sentenza per difetto di correlazione ai sensi dell'art. 521 c.p.p. in quanto il capo d'imputazione relativo alla ricettazione descrive la sola condotta di ricezione del video, mentre in sentenza si condanna per la condotta di interposizione e cioè di mediazione, il che comporta una modifica essenziale del fatto contestato all'imputato. Se si ritiene il fatto meramente diverso si sarebbe dovuto procedere alla modifica dell'imputazione; dinanzi al fatto nuovo si sarebbe dovuto procedere ai sensi dell'art. 518 c.p.p., attivando una serie di prerogative in favore dell'imputato che questi, al contrario, non ha potuto esercitare. Nel caso di specie non vi è contestazione alternativa ma una contestazione chiusa, senza spazio per la condotta di mediazione.


2.3 Omessa motivazione in merito alla doglianza sollevata con i motivi di appello e relativa alla ritenuta sussistenza del delitto previsto dal capo U della rubrica, di omessa denunzia di un fatto integrante un reato, censura che è stata oggetto di specifica devoluzione con i motivi di appello ed è stata totalmente pretermessa dalla Corte territoriale. Osserva il ricorrente che nel caso di specie o vi è ricettazione o vi è omessa denuncia, ma in ragione della identicità dell'oggetto della concotta le due ipotesi delittuose non possono coesistere. Inoltre non ricorre alcuna condotta illecita poiché l'imputato avrebbe dovuto denunciare un fatto per il quale è stato processato con palese violazione del principio del nemo tenetur se detergere.


2.4 Il quarto motivo invoca la revoca della condanna al risarcimento del danno in favore del Ministero dell'Interno e del Ministero della Difesa poiché pronunziato per reati non ascritti all'odierno ricorrente. La corte di appello ha ritenuto che v sia stato un danno diretto ai detti Ministeri in ragione della asserita spendita della funzione da parte dell'imputato nel corso delle trattative per la vendita del filmato in esame che avrebbe arrecato un grave vulnus al prestigio e onorabilità dell'Arma.


Tale affermazione è apodittica poiché non vi è stato alcun danno patito dall'uomo politico, dal V. e dai ministeri in questione ad opera dell'odierno ricorrente e la corte d'appello al riguardo non ha speso alcuna parola. La totale assenza di prova sul punto comporta l'assenza di qualsivoglia materiale probatorio sufficiente ad affermare la condanna generica al risarcimento che andava revocata. Il danno è insussistente anche e soprattutto in ragione della legittimità dell video e, conseguentemente, della insussistenza del reato di ricettazione. In ogni caso non è possibile condannare l'imputato in solido agli altri coimputati in relazione a reati che non gli sono stati contestati.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è nel complesso inammissibile poiché in parte generico, in quanto non si confronta con il tenore della motivazione resa dalla Corte di Appello, e in parte manifestamente infondato, in quanto deduce vizi della motivazione e violazioni di legge che non si ravvisano nelle dettagliate ed esaustive argomentazioni della corte che, versando in ipotesi di doppia conforme affermazione di responsabilità, si saldano con la motivazione ben più estesa e articolata della sentenza di primo grado.


1.1 La prima censura relativa alla pretesa insussistenza del reato presupposto è manifestamente infondata e si fonda su argomentazione che, pur deducendo formalmente vizi della motivazione e violazioni di legge, nella sostanza invoca una diversa ricostruzione dei fatti ed un'alternativa valutazione delle emergenze processuali, che esula dall'ambito del giudizio di legittimità e trova ampia smentita nelle argomentazioni dei giudici di merito, logicamente coerenti e congrue.


La sentenza affronta il problema del reato presupposto di interferenze illecite nella vita privata, sottolineando che i coimputati sono stati condannati con sentenza ormai irrevocabile anche in ordine al delitto di cui all'art. 615 bis c.p. e pertanto nessun dubbio può residuare in merito all'illiceità della provenienza del DVD ricevuto dall'imputato. Tanto deve ritenersi sufficiente ad escludere la rilevanza di ogni altro argomento sviluppato al riguardo nel ricorso.


Va comunque osservato che secondo consolidata giurisprudenza il delitto ricorre anche nell'ipotesi in cui si sia in presenza di un'introduzione lecita in un'abitazione altrui, in quanto la condotta consiste nella registrazione di comportamenti tutelati dalla riservatezza del luogo, con violazione della stessa.


E' stato infatti precisato che integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis c.p. la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all'interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che detto reato non è configurabile allorché l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione. (Sez. 5, Sentenza n. 36109 del 14/05/2018 Ud. (dep. 27/07/2018) Rv. 273598 - 01).


Le questioni agitate dalla difesa in ordine alla sussistenza del reato presupposto, che peraltro presuppongono una diversa ricostruzione in punto di fatto del contesto in cui è stato realizzato il video, sono tutte manifestamente infondate.


Nessuna questione può fondatamente residuare in ordine alla diversa qualificazione della condotta ascritta al T. come ricettazione.


E' noto che la fattispecie criminosa prevista dall'art. 648 c.p. è comprensiva di una multiforme serie di attività successive ed autonome, rispetto alla consumazione del delitto presupposto, finalizzate al conseguimento di un profitto (acquisto, ricezione, rea


occultamento o qualunque forma di intervento nel fare acquistare il bene). Ne consegue che integra gli estremi del delitto di ricettazione la condotta di colui che si intromette nella catena di possibili condotte, successive ad un delitto già consumato, essendo consapevole dell'origine illecita del bene e determinato dal fine di procurare a sé o ad altri un profitto (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il reato di cui all'art. 648 c.p. nella condotta dell'imputato il quale si era intromesso, dietro adeguato compenso per favorire lo scambio di un titolo di credito di provenienza delittuosa tra il prenditore e il cedente). (Sez. 2. Sentenza n. 30062 del 16/06/2003 Ud. (dep. 17/07/2003) Rv. 226569 - 01).


Il delitto di ricettazione, nell'ipotesi della mediazione, si perfeziona per il solo fatto che l'agente si intromette nel far acquistare, ricevere od occultare un bene di provenienza delittuosa, non occorrendo, perché possa dirsi consumato, né che l'agente metta in rapporto diretto le parti né che la refurtiva venga effettivamente acquistata o ricevuta. (Sez. 2, Sentenza n. 7683 del 15/01/2016 Ud. (dep. 25/02/2016) Rv. 266215 - 01).


E' infatti indubbio che T. ha avuto la materiale disponibilità del DVD su cui era registrato il video e si è fatto parte attiva per agevolarne la commercializzazione, ricevendo uno specifico mandato dai coimputati. Tale condotta integra pacificamente l'elemento materiale del reato di ricettazione contestato, che risulta correttamente descritto anche in punto di fatto nel capo d'imputazione, ove si addebita al T. di avere ricevuto il video incriminato per farne successivo commercio.


Sussiste anche idonea motivazione in ordine all'elemento soggettivo della ricettazione poiché a pagina 7 della sentenza la corte ha motivatamente respinto la tesi difensiva secondo cui T. ignorava il contenuto del video e la sua provenienza illecita, osservando che il supporto venne visionato anche alla sua presenza nel corso delle trattative per la vendita e che certamente, avendo ricevuto l'incarico di portare avanti le trattative per la vendita, non poteva ignorare il contenuto del video che era stato incaricato di proporre a potenziali acquirenti. Al riguardo giova ricordare che dalla sentenza di primo grado emerge che T. ha confessato in sede di esame quantomeno il dolo eventuale, laddove ha affermato che nel momento in cui ricevette il mandato di vendita non ritenne necessario approfondire le circostanze in cui il video fosse stato girato, benché sapesse che ritraeva un importante personaggio politico sorpreso in una situazione scabrosa nell'abitazione privata di un transessuale.


All'imputato era, quindi, ben chiaro il contenuto delle immagini che lui stesso aveva portato a Milano e del quale deteneva una copia, poi distrutta all'arrivo della Polizia giudiziaria, e per sua stessa ammissione, nel momento in cui decise di non approfondire l'origine del video accettò il rischio che fosse frutto di una condotta illecita ai danni del soggetto ripreso.


Ma a conferma della sua piena consapevolezza la corte ha richiamato la testimonianza di P.C. e il tenore di diverse conversazioni intercettate tra l'imputato, i coimputati e i soggetti coinvolti nella trattativa, alcune delle quali trascritte integralmente nella sentenza di primo grado, che a giudizio della corte palesano il ruolo avuto da T. che era ben conscio della illiceità del video della cui commercializzazione si stava occupando, specifici elementi, questi, con cui il ricorrente non si confronta.


Ne' può ritenersi che la sentenza di secondo grado abbia omesso di motivare sulla diversa figura di reato di cui all'art. 712 c.p., essendovi stata una motivazione implicita conseguente alla conferma della prospettazione accusatoria.


Giova ricordare che è pacifico e consolidato il principio secondo cui in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata; per la validità della decisione non è necessario infatti che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, ovvero di ciascun rilievo difensivo che sia stato articolato, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio denunciato che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione delle censure difensive implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. In definitiva qualora il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, si da consentire l'individuazione dell'iter logico giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è spazio per il denunciato vizio di preterizione. (V. Cassazione sezione 2 del 19 maggio 2004 numero 29434; Cass. Sez. 2 del 26 maggio 2009 n. 33577),


Allo stesso modo deve ritenersi implicitamente respinta la doglianza relativa alla mancata qualificazione della condotta ascritta all'imputato ai sensi dell'art. 615 bis c.p., comma 2 nella forma tentata, prospettazione che appare all'evidenza manifestamente infondata, sia in ragione della clausola di riserva prevista dall'art. 615 bis c.p., sia perché la condotta dell'imputato in punto di fatto è radicalmente diversa da quella descritta nel comma 2 dell'articolo citato, in quanto il predetto ha ricevuto in consegna il documento video indebitamente registrato, quando il reato di cui all'art. 615 bis c.p. addebitato ai suoi coimputati era stato già consumato, allo scopo di farlo visionare a potenziali acquirenti e agevolare le trattative per la sua vendita, che non è andata a buon fine. Anche se lo scopo della vendita fosse stato quello dell'eventuale pubblicazione, tale elemento rimane nell'ambito dei motivi ad agire, mentre la condotta materialmente posta in essere dal T. non integra neppure nella forma tentata la fattispecie prevista dal comma 2 dell'art. 615 bis c.p., che prevede la diffusione di immagini riservate attraverso mezzi di informazione al pubblico.


1.2 La Corte ha fornito esplicita ed esaustiva risposta in merito all'eccezione di difetto di correlazione tra accusa e sentenza, evidenziando per un verso che l'art. 648 c.p. prevede alternativamente le condotte di ricezione e di intermediazione e per altro verso che la condotta è stata in punto di fatto correttamente contestata all'imputato, che ha avuto la possibilità di difendersi al riguardo. Va ribadito in questa sede che l'imputato ha ricevuto materialmente il DVD in questione per trasportarlo a Milano e farlo visionare ad alcuni possibili acquirenti e tanto basta a rendere generica e manifestamente infondata la censura sollevata al riguardo con il ricorso.


1.3 Anche la terza questione dedotta con il ricorso è inammissibile.


Deve convenirsi che la corte di merito non ha reso esplicita motivazione in ordine alla sussistenza del reato di omessa denuncia contestato al capo LI della rubrica, non rispondendo allo specifico motivo di appello. Va, tuttavia, rilevato che la censura proposta con il gravame era manifestamente infondata poiché alla difesa non può essere sfuggito che il delitto di omessa denuncia, per come indicato nell'imputazione, non si riferisce alla condotta di ricettazione contestata al capo T, ma ai delitti di detenzione illecita di sostanza stupefacente e di favoreggiamento contestati ai capi P e Q della rubrica ai soli coimputati Te., S. e Ta., rispetto a quali il T. non ha offerto alcun contributo causale. Ne consegue che le censure formulate dalla difesa in merito all'asserita coincidenza dell'oggetto giuridico della tutela penale e alla impossibilità per l'imputato di denunciare condotte a lui riferibili si basano su presupposti inesistenti e sono manifestamente infondate, sicché non meritavano una esplicita risposta da parte della Corte di merito.


1.4 La quarta censura relativa alle statuizioni civili è manifestamente infondata poiché a pagina 19 della sentenza la pronunzia sviluppa esaustiva e corretta motivazione osservando che la spendita della funzione dell'imputato nel corso delle trattative per la vendita del filmato ha recato un grave vulnus alla onorabilità dell'Arma dei Carabinieri e anche al Ministero della difesa per il collegamento organico e dell'Interno per il collegamento funzionale dell'imputato.


Al riguardo occorre precisare che la sentenza di secondo grado ha confermato le statuizioni civili della pronunzia di primo grado che in dispositivo ha condannato il ricorrente al risarcimento dei danni cagionati a M.P. e a V.S. nonché, unitamente agli altri coimputati, ai danni cagionati sempre in ordine al reato contestato al capo T al Ministero della difesa e al Ministero dell'Interno.


Deve convenirsi con il ricorrente che nella parte motiva della sentenza di primo grado a pagina 300 si afferma che tutti gli imputati vanno condannati in solido al risarcimento dei danni cagionati al Ministero della difesa e al Ministero dell'Interno per effetto dei reati commessi, da liquidarsi in separata sede, ma l'espressione "in solido", non è stata riportata nel dispositivo. Ne consegue che, nel rispetto della regola generale secondo cui il dispositivo prevale sulla motivazione, deve ritenersi che l'espressione sia un mero refuso della motivazione, che non ha alcuna rilevanza, considerato che non viene riportata nel dispositivo. Non va poi trascurato che la sentenza dispone la condanna generica al risarcimento, sicché il danno verrà liquidato in sede civile ed appare evidente che il T. risponderà soltanto dei danni cagionati con la condotta contestata al capo T della rubrica. Corretta invece risulta la condanna di tutti gli imputati alla rifusione in solido delle spese processuali.


2.In conclusione tutti i motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.


L'inammissibilità del ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, in ragione dell'elevato grado di colpa nel proporre l'impugnazione.


L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese processuali del grado in favore delle parti civili costituite che si ritiene di determinare in misura congrua all'entità dell'impegno profuso in giudizio, come precisato in dispositivo, le dette spese di rappresentanza e difesa verranno liquidate in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari.


La natura dei reati commessi impone l'oscuramento dei dati identificativi delle parti in caso di eventuale diffusione del provvedimento.


P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.


Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Ministero della Difesa e Ministero dell'Interno, in persone dei relativi ministri pro tempore, spese che liquida in complessivi Euro 3000, oltre accessori di legge; condanna l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile V.S.J.A., in favore dell'avv. Antonio Buttazzo dichiaratosi antistatario, che liquida in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge; condanna l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M.P., in favore dell'avv. Massimo Pineschi dichiaratosi antistatario, che liquida in complessivi Euro 2.500, oltre accessori di legge.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 16 novembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2023

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