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Indebita compensazione: un caso di assoluzione (Tribunale di Frosinone - sentenza n. 1413/23)

Si propone di seguito una sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Frosinone, in relazione ad una contestazione per il reato di indebita compensazione ex art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000.


La massima

L'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti non spettanti occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa.



I reati tributari

La sentenza integrale

Tribunale Frosinone, 30/08/2023, (ud. 05/07/2023, dep. 30/08/2023), n.1413

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. A seguito di decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in data 09.04.2021 si procedeva nei confronti di Na.Fr., in epigrafe generalizzato, chiamandolo a rispondere dei reati sopra rubricati. Dopo il compimento degli atti introduttivi al giudizio e, quindi, l'espletamento delle attività indicate negli artt. 484 e seguenti c.p.p., veniva dichiarata l'apertura del dibattimento.

Indi, udite le richieste formulate dalle parti a norma dell'art. 493 c.p.p. ed adottato dal giudice, ex art. 495 stesso codice, il provvedimento in ordine all'ammissione delle prove, aveva luogo l'istruzione dibattimentale, che si articolava nelle udienze ed attraverso gli adempimenti di seguito specificati:

Udienza del 06.04.2022: esame del teste Funzionario Ag. Entrate Le.Li.;

Udienza del 02.11.2022: rinvio per assenza giustificata del teste della difesa;

Udienza del 16.02.2023: esame teste della difesa c.t. dott. St.Sc.

Dichiarata l'utilizzabilità degli atti di cui, ex art. 511 c.p.p., può essere data lettura, le parti concludevano nei termini di cui in epigrafe. Il giudice dava lettura del dispositivo di sentenza di seguito trascritto.

2. Come emerso dall'esame della teste escussa, funzionaria dell'Agenzia delle Entrate, nonché dall'esame del processo verbale di constatazione acquisito in atti, gli uffici finanziari eseguivano un controllo sulla regolarità della posizione contributiva del Na., quale legale rappresentante dell'autofficina Po. Srl, in quanto avrebbe omesso di indicare nella dichiarazione annuale elementi attivi per le annualità 2015, 2016 e 2017 e non avrebbe versato le somme dovute utilizzando crediti IRES inesistenti dal 2015 al 2018.

In particolare, il controllo fiscale scaturiva dal fatto che la società era impegnata nelle riparazioni meccaniche di autoveicoli soprattutto per enti pubblici e pubbliche amministrazioni, di talché era maggiormente attenzionata in merito ai pagamenti dei contributi dei lavoratori, delle imposte e alla regolarità dei carichi pendenti.

Il metodo impiegato dalla società sarebbe stato quello di avvantaggiarsi di crediti IRES inesistenti, impiegando tali somme in compensazione per lo più con debiti di natura previdenziale. Si trattava di una condotta protratta nel tempo e nel dettaglio, l'importo indebitamente compensato sarebbe stato pari a 114.473,00 euro per il 2015; 126.000 euro per il 2016; 214.000 euro per il 2017 e 224.000 euro per il 2018. Il teste ha poi riferito che per l'annualità 2016 c'era un'adesione in corso e la parte aveva effettuato il primo pagamento.

Quanto alle contestazioni di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000, dall'esame delle dichiarazioni dei redditi, i funzionari dell'Agenzia delle Entrate si avvedevano che la società indicava delle operazioni a IVA differita, per cui l'IVA sarebbe stata pagata al momento dell'incasso delle fatture. Tuttavia, quasi tutte le fatture erano state incassate e dunque, si sarebbe trattato di un differimento fittizio. Peraltro, la maggior parte dei versamenti e dei prelevamenti non erano stati giustificati con idonea documentazione e dunque venivano recuperati a tassazione sulla base di una presunzione tributaria.

Sentito all'udienza del 16.02.2023, il consulente tecnico della difesa, dott. Sc., evidenziava che il processo verbale di constatazione trattava di una verifica a carico della società predetta e contestava delle compensazioni effettuate con dei crediti inesistenti, in particolare per il pagamento di contributi INPS e in parte minore anche per imposte.

Non appena l'Agenzia delle Entrate evidenziava tale discordanza tra crediti effettivi e crediti utilizzati per il pagamento dei contributi, il commercialista delegato alla tenuta delle scritture contabili della società si prodigava, chiedendo di poter rateizzare l'ammontare dei contributi che non risultavano effettivamente versati; mentre per l'annualità 2017 rettificava la dichiarazione, avendo ammesso di aver commesso un mero errore in sede di redazione.

Infine, il teste ha dichiarato che nel processo verbale di constatazione non vi erano evidenze che potessero far pensare che tutti gli addebiti sul conto corrente fossero da recuperare a tassazione come ricavi non dichiarati, essendo presenti in ogni caso dei giustificativi.

3. Quanto alle contestazioni di cui all'art. 4 del d.lgs. 74/2000, di cui ai capi a), b) e c), è convincimento del giudice che la ricostruzione eseguita non fornisca una prova di responsabilità che si stagli oltre la soglia del ragionevole dubbio.

Invero, l'accertamento è stato condotto dagli operanti secondo le regole dell'ordinamento tributario; ordinamento che, come è noto, consente il ricorso a presunzioni e, soprattutto, al ricorrere di alcune condizioni, consente una sostanziale inversione dell'onere della prova. Nel senso che, al ricorrere di alcune condizioni normativamente previste (operazioni anomale, irregolarità contabili, mancata risposta a questionari e simili) è il contribuente a dover dimostrare la regolarità della sua condotta fiscale; ed in assenza di una tale dimostrazione le operazioni contestate si assumono in evasione di imposta.

Nel diritto penale vige però un principio opposto, nel senso che è sempre l'accusa a dover fornire la prova - rigorosa - di tutti gli elementi costitutivi del delitto in relazione al quale è stata esercitata l'azione penale.

In definitiva si è in presenza di un accertamento condotto secondo le regole proprie del diritto tributario - come affermato dal consulente della difesa e come confermato del resto dal funzionario dell'Agenzia delle Entrate escusso - che ha trovato solo parziale e non appagante riscontro nella sede dibattimentale.

4. Venendo ora alle contestazioni di indebita compensazione di cui ai capi d), e), f), g) della rubrica, occorre innanzitutto evidenziare che l'art. 10 quater d.lgs. 74/2000-per come modificato dal d.lgs. 158/2015 - è una disposizione a più norme, intendendosi con tale espressione una disposizione che prevede una pluralità di fattispecie incriminatrici, ciascuna integrante un diverso reato. Ciò in quanto, al primo comma viene ritenuta penalmente rilevante la condotta di indebita compensazione, oltre la soglia dei cinquantamila euro annui, attraverso l'utilizzo di crediti non spettanti.

Di contro, l'autonoma fattispecie di cui al secondo comma prevede un più severo trattamento sanzionatorio (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni), in virtù della maggiore gravità della condotta messa in atto dal contribuente che effettui una indebita compensazione tributaria tramite l'utilizzo di crediti inesistenti, sempre oltre la soglia dei cinquantamila euro annui.

Tanto premesso, risulta dunque di fondamentale importanza, ai fini della formulazione di una corretta qualificazione giuridica, comprendere cosa debba intendersi per "credito inesistente" e "credito non spettante". Tenuto conto del fatto che non sussiste una definizione normativa che abbia portata generale, per individuare le distinzioni tra le due tipologie di crediti utilizzati in compensazione, occorre fare ricorso alla normativa in materia di sanzioni amministrative disciplinate dal d.lgs. 471/1997, in particolare all'art. 13.

Ebbene, i requisiti del credito inesistente consistono nella mancanza, in tutto o in parte, dei presupposti costitutivi (ovvero il credito è stato indicato dal contribuente in maniera fraudolenta o, in ogni caso, sulla base di una rappresentazione mendace dei dati) e nella contestuale impossibilità a ricavare tale inesistenza da controlli formali o automatizzati, mentre devono ritenersi non spettanti i crediti esistenti ma utilizzati in misura superiore a quanto spettante ed in ogni caso emergenti direttamente dai controlli operati dall'Ufficio sulla base delle dichiarazioni fiscali presentate oppure dall'incrocio con i modelli di versamento unificato o anche quando il loro utilizzo sia stato realizzato in violazione di regole di carattere procedurale le quali tuttavia non sono previste a titolo costitutivo del credito stesso.

Sebbene la distinzione, sotto il profilo teorico, appaia piuttosto chiara, potrebbe risultare problematico nel caso concreto operare un discrimine tra le due tipologie di crediti indebitamente compensati.

Di recente, allo scopo di fare chiarezza sul tema, è intervenuta anche la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 7613/2022 - che la difesa ha versato in atti - ha puntualizzate battuta il principio dell'alternatività tra le due fattispecie, di talché una compensazione indebita può avere luogo attraverso l'utilizzo di un credito che "non può essere al contempo non spettante ed inesistente, in quanto o esso è inesistente oppure è non spettante". Di seguito, la Corte ha indicato i criteri, già sopra richiamati, da adoperare per qualificare, in qualsiasi situazione, un credito come non spettante o come inesistente.

Ed infine, in merito all'onere della prova, ha precisato che "l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti non spettanti occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa" (Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza n. 7613 del 21/01/2022 Ce. (dep. 03/03/2022) Rv. 282844 - 01). Ne deriva che la Suprema Corte ha disposto la separazione delle fattispecie, facendo confluire nella fattispecie meno rilevante tutte le situazioni investite dal dubbio o in cui l'intento fraudolento non risulti suffragato dall'evidenza.

Ebbene, adottando i descritti criteri nel caso di specie, appare palese come ci si trovi non tanto dinanzi ad un "credito inesistente" sul piano giuridico, bensì ad un "credito non spettante".

Ed invero, si giunge a tali conclusioni sul presupposto che, per poter inquadrare un credito come inesistente, occorre la condizione negativa per cui tale inesistenza non sia agevolmente riscontrabile mediante i controlli automatizzati e cartolari della dichiarazione, circostanza che non ricorre nel caso in esame, posto che, come emerso nel corso dell'istruttoria, l'indebita compensazione è stata desunta proprio all'esito del controllo meramente documentale delle scritture contabili.

Ne consegue che all'imputato è stata erroneamente contestata la fattispecie di cui al secondo comma, anziché quella caratterizzata dal più tenue regime procedimentale e sanzionatorio, di cui al primo comma dell'art. 10 quater.

Si pone allora la questione relativa all'ammissibilità di una riqualificazione del delitto in contestazione.

Già analizzati gli elementi oggettivi tipici necessari ad integrare l'una e l'altra norma incriminatrice, occorre evidenziare come vi sia altresì discordanza sotto il profilo soggettivo. Difatti, quanto al reato perseguito dal secondo comma dell'art. 10 quater, è la stessa inesistenza del credito, salvo prova contraria, a costituire un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti, a fronte di una posta creditoria artificiosamente creata. Di contro, rispetto ai crediti non spettanti, è necessario che vi sia consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non fossero utilizzabili in compensazione, non essendo infrequente che l'indebita compensazione si fondi sulla sincera convinzione dell'effettiva spettanza del credito.

Dunque, sebbene si tratterebbe di operare una riqualificazione in melius per l'imputato, le due fattispecie, a maggior ragione dopo la riforma del 2015 che le ha scisse collocandole in due commi differenti dell'art. 10 quater, risultano divergenti sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, sicché non può ritenersi sussistere l'identità del fatto contestato.

Pertanto, posto che si ritiene di non poter operare una riqualificazione giuridica del fatto contestato, s'impone l'assoluzione dell'imputato con la formula di cui al dispositivo per il delitto allo stesso ascritto in rubrica.


P.Q.M.

Visto l'art. 530 c.p.p.

assolve

Na.Fr. dai delitti ascritti perché il fatto non sussiste.

Giorni sessanta per la motivazione.

Così deciso in Frosinone il 5 luglio 2023.

Depositata in Cancelleria il 30 agosto 2023. di costituire nel bilancio di esercizio dell'anno 2017 ed in eria il 16 gennaio 2024.

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