Approfondimenti
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il delitto di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento è configurabile allorquando lo spossessamento si verifica contro la volontà del proprietario (invito domino) mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della cosa si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima (Cass., sez. V, 27 luglio 2018, n. 36138; Cass., sez. V, 14 aprile 2017, n. 18655, Rv. 269640; Cass., sez. IV, 24 marzo 2017, n. 14609, Rv. 269537).
Ai fini della risoluzione del concorso apparente di più disposizioni incriminatrici secondo i necessari elementi (reciprocamente) specializzanti, la Corte di legittimità ha più volte ribadito come il discrimine tra le fattispecie debba essere individuato attraverso l'analisi delle modalità di impossessamento del bene che forma oggetto dell'azione illecita.
Pertanto, laddove la sottrazione si realizzi invito domino - e dunque contro la volontà del legittimo titolare del diritto di disporre del bene in questione e, in sostanza, di privarsene - si configura il furto laddove, invece, integra il delitto di truffa il trasferimento del possesso della cosa attuato con il consenso del soggetto passivo, viziato da errore per effetto degli artifici e raggiri posti in essere dall'agente.
Si veda, al riguardo, Cass., sez. II, 21 gennaio 2009, n. 3710, Busato ed altro relativa ad un caso in cui è stato ritenuto integrare il delitto di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento, e non quello di truffa, la condotta di chi, manifestando interesse all'acquisto di un veicolo, richieda alla vittima di provarlo dandosi repentinamente alla fuga a bordo del medesimo.
Ed ancora, si veda Cass., sez. V, 17 giugno 2008, n. 36905, Jacovitti, in cui è stato, allo stesso modo, ritenuto sussistente il delitto di furto aggravato da mezzo fraudolento - e non quello di truffa - in relazione alla condotta di un soggetto che si era fatto consegnare, adducendo un pretesto implicante l'intesa di un'immediata restituzione, un bene, nella specie anello di brillanti ed un telefono cellulare, ed era ripartito improvvisamente con la propria auto.
In forza di quanto sopra, risulta evidente che il furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento ricorra ogni qualvolta la consegna del bene non sia atto dispositivo riconducibile alla libera autodeterminazione della persona offesa di spossessarsene, acconsentendo ad una definitiva uscita del bene dalla propria sfera patrimoniale in virtù di una determinazione viziata dagli altrui artifizi o raggiri, ma sia determinata attraverso una strumentale condotta fraudolenta, che ponga l'agente in condizioni di operare la diretta apprensione del bene, dopo essersene procurato la immediata disponibilità materiale a titolo precario e senza che si determini lo spossessamento giuridico del titolare del diritto, contro la volontà del medesimo.
In altri termini, configura il delitto di furto, aggravato dal mezzo fraudolento, l'interversione nel possesso della cosa altrui di cui l'agente sia riuscito a procurarsi, in virtù di una strumentale condotta artificiosa, la mera detenzione, realizzandosi in tal modo la condotta di sottrazione mediante spossessamento declinata all'art. 624 c.p.
Nel reato di truffa, al contrario, la definitiva cessione del bene da parte dell'avente diritto si realizza attraverso un atto dispositivo patrimoniale volontario e consapevole, indotto attraverso una falsa rappresentazione della realtà dell’agente, tale da spingere la persona offesa all'immissione in possesso.
Nella delineata prospettiva, la Corte di Cassazione ha ritenuto, ad esempio, ancora di recente, che integrasse il delitto di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento - e non quello di truffa - la condotta di colui che, fingendosi un incaricato di pubblico servizio, adduca esigenze in ordine ad inesistenti controlli per ottenere la consegna di beni da parte della vittima al fine di prenderne possesso, in quanto tale consegna non è sintomo della sua volontà di spossessarsene definitivamente, consentendo ad una definitiva uscita del bene dalla propria sfera patrimoniale, in virtù di un atto di disposizione viziato dagli altrui artifizi e o raggiri (Cass., sez. V, 14 aprile 2017, n. 18655, Rv. 269640, nella specie l'agente, fingendosi un tecnico dell'acquedotto incaricato di verificare il grado di inquinamento dell'acqua, aveva chiesto alle vittime, persone anziane, di depositare il denaro contante, di cui si sarebbe poi impossessato, nel frigorifero e, allarmandole con un inesistente pericolo di imminente incendio, si era fatto consegnare i gioielli, assumendo di doverli portare al di fuori dell'abitazione per bonificarli).
Analogamente, è stato ritenuta integrata l'ipotesi di furto aggravato nella condotta di colui che, simulando la qualità di agente di polizia, aveva addotto esigenze di inesistenti verifiche o controlli per ottenere la consegna di beni da parte della persona offesa al fine di impadronirsene, ritenendo che, in tale ipotesi, la consegna del bene da parte della persona offesa non fosse conseguenza della volontà di spossessarsene definitivamente, consentendo ad una definitiva uscita del bene dalla propria sfera patrimoniale, in virtù di un atto di disposizione viziato dagli altrui artifizi e o raggiri (Cass., sez. V, 28 ottobre 2014, depositata 2015, n. 6412, Labellarte ed altri, Rv. 262725; Cass., sez. II, 26 settembre 2013, n. 47416, Capogreco, Rv. 257491 in un caso in cui è stato ritenuto integrato il delitto di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento e non di truffa in riferimento alla condotta di colui che, dopo essersi fatto consegnare una somma di denaro al fine di effettuarne il cambio con banconote di diverso taglio, se ne impossessi dandosi repentinamente alla fuga, o il caso di impossessamento di un telefono cellulare, ottenuto mediante il raggiro consistito nella falsa prospettazione al legittimo detentore di averne necessità per un'emergenza familiare).
Nei casi riportati, il soggetto passivo del reato si era privato materialmente del bene non in virtù di un atto di disposizione patrimoniale, viziato dall'altrui attività fraudolenta, che costituisce elemento essenziale del reato di truffa, ma in via del tutto provvisoria e senza la volontà di spossessarsene, mantenendo anzi con la propria presenza la vigilanza ed il controllo su di esso, vanificato dall'improvviso dileguarsi dell'autore del reato.
E', infatti, principio affermato dalla Corte di Cassazione quello secondo il quale in tema di furto, la circostanza aggravante dell'uso del mezzo fraudolento sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, nel corso dell'azione delittuosa, una condotta dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi abbia apprestato, a difesa dei beni di cui ha la disponibilità (Cas., sez. un., 18 luglio 2013, n. 40354, Sciuscio, Rv. 255974; Cass., sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 8094, Pisani, Rv. 259288; Cass., sez. VII, 7 novembre 2014 - depositata 2015 - n. 8757, Pisani, Rv. 262669).
Siffatto orientamento fonda sull'adozione di un corretto canone ermeneutico dell'art. 625 c.p., n. 2, valorizzando il dato letterale del precetto che richiede l'accertamento del valersi di un qualsiasi mezzo fraudolento, in quanto la integrazione della circostanza aggravante è correlata non già alla mera utilizzazione del mezzo che consente il prelievo abusivo - che concretizza, sotto il versante della tipicità, allo prodromico alla condotta di furto - bensì all'impiego del mezzo fraudolento quale strumento finalizzato ad entrare in possesso dei beni in tal guisa prelevati, senza che la persona offesa possa nel contesto spazio temporale realizzare l'interversio possessionis.
Di guisa che la captazione artificiosa della disponibilità del bancomat è funzionale alla preordinata sottrazione del contante prelevato e costituisce condotta, posta in essere nel corso dell'azione delittuosa, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità, ponendosi logicamente oltre la condotta di consumazione del reato ed assurgendo perciò ad autonomo disvalore penale aggiuntivo.
Come del resto evidenziato anche da autorevole dottrina, la ratio della aggravante in esame risiede nella maggiore capacità criminale manifestata dall'agente che agisce superando con la frode gli ostacoli strutturalmente posti a presidio del bene o la custodia apprestata dall'avente dritto.
Appare dunque corretta l'interpretazione della norma di cui all'art. 625 c.p., n. 2 nel senso che l'artificiosa captazione della vigilata disponibilità di uno strumento di prelievo di contante per realizzare la sottrazione del denaro configuri la circostanza richiamata, rinvenendosi in tale condotta tutte le caratteristiche sopra descritte.
Ed invero la nozione di frode richiama l'artificio con cui si sorprende l'altrui buona fede e l'artificio, a sua volta, è un espediente atto ad ottenere effetti estranei all'ordine naturale o all'aspetto immediato delle cose.
Di guisa che entrambe tali caratteristiche ricorrono in ipotesi di prelievo autorizzato mediante artifici e finalizzato all'impossessamento della somma, mentre non è richiesto che per la ricorrenza della frode debba essere reso più elevato - mediante una condotta aggiuntiva - il grado di difficoltà della scoperta dell'inganno (Cass., 28 gennaio 2005, n. 2681, Rv. 231400).
L'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento ricorre quando la condotta, idonea a sorprendere o ad eludere la sorveglianza del detentore, avvenga non soltanto approfittando del momentaneo allontanamento del detentore della res, ma attraverso ulteriori accorgimenti, espressione di scaltrezza, diretti a sorprendere il detentore, nonché a ritardare la scoperta della sottrazione (nella specie attraverso lo scambio di oggetti).
Mezzo fraudolento, dunque, è stato individuato in un'insidia o elemento artificioso o, comunque, in un'operazione straordinaria, improntata ad astuzia, capace di eludere le cautele predisposte dal soggetto passivo a difesa delle proprie cose ed, in genere, a vanificare l'ordinaria vigilanza e custodia della cosa.
In assenza, nella predetta disposizione di legge, di alcun contenuto definitorio sul concetto di destrezza, la dottrina e la giurisprudenza vi hanno tradizionalmente attribuito il significato di abilità motoria e sveltezza, intese in senso fisico, oppure di avvedutezza e scaltrezza, quali doti intellettive, in entrambi i casi applicate e manifestate nel compiere l'atto dell'impossessamento del bene altrui in modo tale da eludere, sviare, impedire la sorveglianza da parte del possessore n modo da rendere più insidiosa ed efficace la condotta criminosa.
Dall'analisi delle situazioni concrete, oggetto di pronunciamento in sede di legittimità, emerge che la capacità operativa, tale da integrare la destrezza, è stata riconosciuta in condotte tipicamente improvvise e repentine, come nel comportamento di c.d. borseggio, nel quale l'agente riesce, con gesto rapido ed accorto, a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell'asportazione in atto dalla sua persona o dai suoi accessori (Cass., sez. II, 16 aprile 1969, n. 946, Rv. 112022) ma anche quando la modalità esecutiva sia avveduta e circospetta, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa (Cass., sez. II, 23 gennaio 1974, n. 6027, Rv. 127987).
Nei successivi sviluppi esegetici la destrezza ha assunto sempre più una dimensione psicologica che pone al servizio dell'attività criminosa doti di particolare ingegno ed abilità, dimostrative di una incrementata pericolosità sociale ed in grado di menomare la difesa delle cose. Si è così riconosciuta la destrezza nell'approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza e neutralizzarne gli effetti (Cass., sez. III, 8 maggio 2007, n. 35872, Rv. 237285; Cass., sez. IV, 17 marzo 2009, n. 13074, Rv. 243876; Cass., sez. V, 30 ottobre 2013, depositata 2014, n. 640, Rv. 257948).
Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, prima o durante l'impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla "res", non essendo, invece, sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Cass., sez. un., 27 aprile 2017, n. 34090, Quarticelli, Rv. 270088).
Pertanto, nei più recenti approdi giurisprudenziali, si è puntualizzato che, in ossequio ai principi di offensività, la modalità esecutiva, per dar luogo all'aggravante, deve rivelare un tratto specializzante ed aggiuntivo rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie base di furto che disveli la sua maggiore capacità criminale e la sua più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto. E' stata così propugnata una nozione restrittiva di tale circostanza aggravante che è stata esclusa nell'ipotesi di furto commesso da chi si limita ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa.
V'è, tuttavia, da riconoscere la perdurante validità - sancita anche di recente dalla Corte di Cassazione - dell'insegnamento nomofilattico secondo cui, perché sussista la circostanza aggravante in parola non e necessario l'uso di un'eccezionale abilità, tale che il soggetto passivo non possa in alcun modo accorgersi della sottrazione, essendo sufficiente che l'agente approfitti di una qualsiasi situazione oggettiva e soggettiva favorevole per eludere la normale vigilanza dell'uomo medio, poiché tale condotta è di per sé indicativa di quella più intensa pericolosità criminale che costituisce la ragione giustificatrice dell'aggravante, la quale, pertanto, non è esclusa dal fatto che il soggetto passivo si accorga della manovra furtiva durante la sua esecuzione: donde la suindicata aggravante è applicabile anche al delitto di furto tentato, quando l'azione posta in essere dall'agente per impossessarsi della cosa, per le sue caratteristiche e con riferimento a tutte le modalità di tempo, di esecuzione e di luogo, si presenti idonea a eludere la vigilanza dell'uomo medio (Cass., sez. II, 20 marzo 2018, n. 12851, Miele e altro, Rv. 272688).
Sotto altro aspetto, come noto, al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza richiedono, perché possa applicarsi la circostanza, che le condizioni di tempo, luogo e persona abbiano in concreto effettivamente ostacolato la pubblica o privata difesa, non essendo sufficiente la idoneità astratta di quelle condizioni a favorire la commissione del reato. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l'età avanzata della vittima del reato, anche a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla L. n. 94 del 2009, è rilevante nel senso che impone al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità (Cass. n. 35997/2018, Riv. n. 248163). Ancora che la valutazione della sussistenza dell'aggravante della minorata difesa va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato (Cass. n. 6608 del 2013 Rv. 258337).
La circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, è configurabile quando l'agente approfitti di circostanze a lui favorevoli, di tempo, di luogo o di persona (anche in relazione all'età), da lui conosciute e che abbiano, in relazione alla situazione fattuale in concreto esistente, ostacolato la reazione dei privati parti lese, agevolando in concreto la commissione del reato.
Quanto alle circostanze relative alla persona, è pacifico che esse considerino situazioni di inferiorità della vittima di cui approfitti l'autore del reato.
Il fondamento dell'aggravante risiede nella considerazione in termini di maggior disvalore della condotta lì dove il reo approfitti, attraverso un meditato calcolo, delle possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l'azione verrà a svolgersi. Secondo la dottrina e parte della giurisprudenza che individuano come soggettiva la circostanza in argomento, la esistenza di detto contesto "oggettivamente agevolativo" dovrebbe rientrare nella previsione del soggetto agente sì da manifestare una più elevata indole criminale, tale da giustificare l'incremento sanzionatorio. Deve però rilevarsi che in sede di applicazione giurisprudenziale anche lì dove si è optato per la natura oggettiva della circostanza (Cass., sez. V, 23 febbraio 2005, n. 14955, Rv 206336), si è comunque posto l'accento sulla necessaria individuazione di concrete condizioni tali da facilitare l'azione delittuosa intrapresa.
E' stato così affermato dalla Corte di legittimità (Cass. n. 40293/2013, Rv. 257248; Cass. n. 6608/2014; Cass. n. 43128/2014) che la valutazione della sussistenza dell'aggravante va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato. Occorre perciò che la difesa sia stata concretamente ostacolata non bastando l'idoneità astratta di quelle condizioni a favorire la commissione del reato (Cass. n. 5266/2006, Rv. 233573; Cass. n. 8819/2010, Rv. 246160; Cass. n. 3598/2011, Rv. 249270).
Analogamente, l'indebita utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui al d.l. n. 143/1991, art. 12, conv. in l. n. 197/1991 (ora previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9), indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine" (Sez. 5, n. 16572 del 20/04/2006, Sabau, Rv. 234460) e che "Non si ha reato impossibile, in riferimento alla fattispecie criminosa di cui all'art. 12 D.L. n. 143 del 1991, nel caso in cui la carta di credito donata venga "bloccata" dal titolare, essendo sufficiente, per l'integrazione del reato, il semplice possesso della carta donata a prescindere dall'utilizzazione, in considerazione della natura di reato di pericolo della fattispecie criminosa disciplinata dagli articoli richiamati" (Sez. 2, n. 37016 del 05/10/2011, Zolli, Rv. 251155).
Tale elaborazione ermeneutica, di cui sono espressione anche le massime di orientamento a tenore delle quali: "Il reato di illecito uso di carta di credito non tutela il bene del patrimonio, ma garantisce, in modo più o meno diretto, i valori riconducibili all'ambito dell'ordine pubblico economico e della fede pubblica" (Cass., sez. VI, 24 aprile 2012, n. 29821, Battigaglia, Rv. 253175; Cass., sez. II, 8 aprile 2011, n. 15834, Bonassi, Rv. 250516; Cass., sez. V, 21 novembre 2006, n. 41317, P.M. in proc. Lavagno e altro, Rv. 235761), si richiama, a ben vedere, ai principi affermati nella materia de qua dal giudice delle leggi e dal giudice di legittimità, nella sua più autorevole composizione, in approfondimento dei temi relativi all'oggettività giuridica e alla struttura del delitto di cui al d.. n. 143/1991, art. 12, conv. in l. n. 197/1991.
In particolare, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 302/2000, ha evidenziato come il d.l. n. 143/1991, art. 12 delinei una figura criminosa dalla fisionomia alquanto variegata: sia per quanto attiene all'oggetto materiale, che si riferisce ad un' ampia gamma di documenti, diversi tra loro per natura, funzione e modalità d'impiego; sia per quel che concerne la condotta penalmente rilevante, essendo contemplata, accanto all'ipotesi dell'indebita utilizzazione dei documenti, da parte di chi non ne sia titolare, anche quella di falsificazione di questi ultimi e di possesso di documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché di ordini di pagamento con essi prodotti.
Da tale rilievo in ordine al profilo strutturale della fattispecie esaminata, il giudice delle leggi ha tratto ragione per stabilire che, sebbene con riguardo ad alcuni dei comportamenti ad essa riconducibili l'offesa al patrimonio individuale concorre a delineare l'oggettività giuridica del reato, tuttavia la conformazione del paradigma punitivo complessivamente considerato depone per la sicura aggressione di interessi di marca pubblicistica: "interessi legati segnatamente all'esigenza di prevenire, di fronte ad una sempre più ampia diffusione delle carte di credito e dei documenti similari, il pregiudizio che l'indebita disponibilità dei medesimi è in grado di arrecare alla sicurezza e speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, alla "fiducia" che in essi ripone il sistema economico e finanziario".
Le Sezioni Unite, del resto, con la sentenza 28 marzo 2001, n. 22902 , Tiezzi, Rv. 218871, hanno chiarito come dall'analisi letterale della norma in esame emerga che il legislatore abbia inteso assicurare la tutela degli interessi evocati mediante la previsione di due condotte: la prima consistente nella indebita utilizzazione, cioè nel concreto uso illegittimo delle carte di credito o delle carte di pagamento - lecita o illecita che sia la loro provenienza - da parte del non titolare al fine di realizzare un profitto per sé o per altri; la seconda consistente nel possesso (inteso come detenzione materiale), nella cessione o nell'acquisizione di tali documenti di provenienza illecita, cioè in una azione che sotto il profilo logico e temporale è distinta dalla prima perché la precede e ne costituisce il presupposto fattuale. Comportamenti, quelli descritti, che, con il loro solo venire in essere, esauriscono la tipicità del fatto incriminato, dando corpo, in ossequio al principio di determinatezza e tassatività dell'illecito penale, a quella "indebita disponibilità" dei documenti presi in considerazione dalla norma suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni "metaindividuali" tutelati; tanto vero che l'eventuale conseguimento, da parte dell'agente, dell'ingiusto profitto con correlativo danno del soggetto passivo rileva, esclusivamente, sotto il profilo della dosimetria della pena (Rv. 218873).
Offrendo tale lettura dell'istituto in disamina, il giudice di legittimità ha legittimato, con il crisma della propria autorevole interpretazione, gli approdi ermeneutici cui erano pervenuti quei filoni della dottrina e della giurisprudenza, che, in conformità alle ragioni di politica criminale che avevano ispirato gli interventi normativi richiamati - diretti a contrastare il riciclaggio del danaro sporco, prevedendo un controllo "a monte" dei movimenti di danaro e di limitazione dell'uso del contante, la cui disciplina andava presidiata con l'energico strumento della repressione penale - avevano posto in luce come il legislatore, conscio della inidoneità dei tradizionali illeciti di evento e di lesione - incentrati sui concetti di danno e di profitto - a fronteggiare le nuove forme di criminalità collegate allo sviluppo dei moderni strumenti di pagamento, avesse optato per una semplificazione delle fattispecie, costruite in chiave di pericolosità e caratterizzate dal fine di profitto e dall'assenza dei profili tipici costituiti dal conseguimento di un vantaggio economico per l'agente e di un pregiudizio della vittima, proprio allo scopo di consentire una apprezzabile facilità di accertamento delle infrazioni allo statuto di disciplina del sistema finanziario, posto che nell'ambito che ad esso si riferisce non è agevole cogliere e dimostrare la perpetrazione di frodi.