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Chi deduce l'inutilizzabilità di un atto deve allegare i documenti su cui si fonda l'eccezione

Ricorso per cassazione

Inutilizzabilità

Con la sentenza n. 23015/23, la Quinta sezione della Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, grava sulla parte che deduce l'inutilizzabilità di un atto l'onere di indicare specificamente i documenti sui quali l'eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale l'imputato aveva eccepito, senza tuttavia documentarlo, che le intercettazioni telefoniche erano state disposte in un procedimento diverso e per un reato non connesso a quello per il quale aveva riportato condanna).


Cassazione penale sez. V, 19/04/2023, n.23015

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del 30 gennaio 2018 del Tribunale di Terni che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di B.M. per più delitti di cui all'art. 453 c.p. e, ritenuta la continuazione tra i reati ed applicate le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.


2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso B.M., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando tre motivi.


2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate dalle quali è stata tratta la prova della sua penale responsabilità, invocando a tal fine il principio, recentemente affermato dalle Sezioni Unite in tema di intercettazioni, secondo il quale il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p. (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395).


Sostiene che la diversità dei procedimenti penali si evince sia dal numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato indicato nella sentenza impugnata, ossia il n. 3619 del 2011 - che lascia intendere che la iscrizione del procedimento nel cui ambito si inserisce la sentenza impugnata in questa sede è successiva alle conversazioni intercettate, intercorse nel 20:LO, la cui captazione dovrebbe quindi essere stata necessariamente autorizzata in un diverso procedimento - sia dall'affermazione, contenuta nella sentenza qui impugnata, che l'indagine era stata avviata "nell'ambito di altra attività investigativa afferente lo sfruttamento della prostituzione".


Poiché i reati di cui all'art. 453 c.p. per i quali il ricorrente è stato condannato non rientrano tra quelli per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza e neppure sarebbero connessi a quelli oggetto dell'altro procedimento, le conversazioni intercettate, in applicazione del principio sopra esposto, sarebbero inutilizzabili in questo processo.


Peraltro, dalla stessa sentenza di appello emerge la rilevanza decisiva delle conversazioni oggetto di intercettazione.


2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), della violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, e della carenza e manifesta illogicità della motivazione, anche per effetto del travisamento della prova.


Segnala che la sentenza di primo grado aveva del tutto omesso di motivare sia in ordine alla chiamata di correo proveniente da T.C., sia in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e che la Corte di appello ha esorbitato rispetto ai suoi poteri, non essendosi limitata ad integrare una motivazione insufficiente sotto taluni aspetti, ma avendo per la prima volta motivato in ordine all'affermazione di responsabilità, operazione che non le era consentita. Essa avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza di primo grado per carenza di motivazione. Peraltro, la carenza di motivazione non avrebbe consentito al ricorrente di contestare con argomenti di merito la propria individuazione quale uno dei conversanti, affermata per la prima volta dalla Corte territoriale. Difatti, la Corte di appello ha affermato che le conversazioni intercettate si svolgono tra il T. ed il ricorrente, indicato quale meccanico dai giudici di appello, mentre, sostiene il ricorrente, egli non ha mai svolto l'attività di meccanico, esercitata dal coimputato B.A., con il quale egli era stato confuso e che era stato prosciolto per non aver commesso il fatto.


2.3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione dell'art. 453 c.p., sostenendo che sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, il fatto andrebbe qualificato ai sensi dell'art. 455 c.p..


Nella sentenza del Tribunale, segnala il ricorrente, si afferma che dalla chiamata di correo e dalle conversazioni intercettate risulta che l'odierno ricorrente era, tra i vari imputati, la persona che si preoccupava di acquisire da terzi le banconote false, cosicché egli era d'accordo quanto meno con un intermediario del contraffattore per piazzare le banconote; la quantità delle banconote e la protrazione nel tempo della condotta portavano ad escludere natura occasionale dei reati e quindi la possibilità di ritenere sussistenti i meno gravi delitti di cui agli artt. 455 e 457 c.p..


Sostiene, allora, il ricorrente che il riferimento ad un intermediario del contraffattore è una mera ipotesi congetturale priva di riscontro oggettivo e comunque non motivata e manifestamente illogica.


Aggiunge che il numero delle banconote è argomento insufficiente se non accompagnato da ulteriori elementi di prova del legame tra chi mette le banconote in circolazione e chi le produce e cita a sostegno alcuni precedenti di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 12192 del 14/01/2015, Raucci, Rv. 263752; Sez. 1, n. 14819 del 19/02/2009, Messina, Rv. 243787). Ne', secondo, il ricorrente, rileva la non occasionalità della condotta.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile.


L'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche o ambientali può essere sollevata per la prima volta innanzi a questa Corte di cassazione ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di una ipotesi di inutilizzabilità assoluta rilevabile anche di ufficio.


Tuttavia, la parte che deduce l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ha l'onere di indicare specificamente gli atti sui quali l'eccezione si fonda e di allegare tali atti qualora non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007).


Difatti, il potere della Corte di cassazione di controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti errores in procedendo non esonera il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall'art. 187 c.p.p., comma 2, degli elementi dai quali dedurre le caratteristiche dell'atto, anche quando venga allegato un vizio che si risolve nell'inutilizzabilità dell'atto stesso (Sez. 6, n. 36612 del 19/11/2020, Grasta, Rv. 280121).


Anche le Sezioni Unite hanno affermato che nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche qualora si proceda con le forme del dibattimento - al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l'eccezione si accompagna l'ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali - positive o negative - addotte a fondamento del vizio processuale (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329).


Nel caso di specie, il ricorrente afferma che le intercettazioni non sarebbero state ab origine autorizzate per il reato di cui all'art. 453 c.p. per il quale si procede in questa sede, ma sarebbero state autorizzate in seno ad altro procedimento penale in relazione ad un diverso reato di sfruttamento della prostituzione che non sarebbe connesso ex art. 12 c.p.p. a quello a lui contestato e al fine di sostenere tale assunto si limita ad evidenziare che nella sentenza di appello si indica un anno di iscrizione nel registro generale delle notizie di reato, il 2011, successivo a quello in cui sono state eseguite le intercettazioni e a richiamare un passo della medesima sentenza in cui si fa riferimento ad indagini per sfruttamento della prostituzione.


A tale ultimo proposito deve osservarsi che le indagini per sfruttamento della prostituzione vengono menzionate nella sentenza di appello solo per affermare che durante dette indagini era stata eseguita una perquisizione domiciliare presso l'abitazione di T.D. ove erano state sequestrate numerosissime banconote false; in essa non si afferma che le intercettazioni telefoniche erano state disposte per il reato di sfruttamento della prostituzione e solo per esso.


Quanto all'anno di iscrizione nel registro delle notizie di reato indicato nell'intestazione della sentenza di appello, esso può ben dipendere da una separazione del procedimento relativo ai reati contestati all'odierno imputato da


altro procedimento cumulativo e relativo a più reati, compresi quelli per i quali è stata emessa la sentenza qui impugnata e ben potrebbe il decreto di autorizzazione alle intercettazioni riferirsi anche ai reati di falso nummario contestati a B.M..


Era onere del ricorrente allegare o quanto meno indicare nel ricorso la posizione all'interno del fascicolo processuale del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione che hanno consentito la captazione delle conversazioni poste a base della decisione, onde consentire a questa Corte di cassazione di stabilire nell'ambito di quale procedimento le intercettazioni fossero state autorizzate, se l'autorizzazione si riferisse anche ai reati di falso nummario per i quali il ricorrente è stato condannato o, in caso negativo, se i diversi reati per i quali le intercettazioni erano state disposte fossero connessi a quelli di cui qui si discute.


Il ricorrente non ha assolto tale onere, cosicché, il motivo di ricorso risulta inammissibile.


2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.


Deve in primo luogo osservarsi che già la sentenza di primo grado ha posto il contenuto delle intercettazioni telefoniche a fondamento della affermazione della penale responsabilità del ricorrente. La Corte di appello si è limitata ad osservare che, contrariamente a quanto affermato nel gravame, le intercettazioni avevano costituito anche oggetto di una perizia disposta dal Tribunale nel corso del dibattimento, nonché ad indicare i passi più rilevanti delle conversazioni intercettate.


La motivazione del Tribunale non può, quindi, dirsi assolutamente carente.


In ogni caso, la totale mancanza della motivazione non rientra tra le ipotesi tassativamente previste dall'art. 604 c.p.p. in cui il giudice di appello può dichiarare la nullità della sentenza impugnata e disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (Sez. 2, n. 19246 del 30/03/2017, Speca, Rv. 270070; Sez. 3, n. 5636 del 08/03/1994, Conocchia, Rv. 197624).


Quanto all'errata attribuzione al ricorrente delle conversazioni intercettate, la questione avrebbe potuto essere sollevata già nel corso del giudizio di primo grado e poi con l'appello, atteso che le conversazioni captate hanno costituito oggetto di una perizia; laddove poi la Corte di appello avesse travisato il contenuto delle trascrizioni, il ricorrente avrebbe potuto dolersene ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma tale vizio non è stato dedotto.


3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3, trattandosi di vizio dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, e comunque manifestamente infondato, atteso che questa Corte di cassazione ha in più occasioni affermato che, ai fini della configurazione del delitto di spendita di monete falsificate previo concerto con colui che ha eseguito la falsificazione o con un intermediario, è sufficiente una qualsiasi intesa, anche mediata attraverso più soggetti, a nulla rilevando che gli intermediari possono essere più o meno vicini ai falsificatori e che questi ultimi e altri precedenti intermediari siano rimasti ignoti e che il "previo concerto", d'altro canto, può desumersi in via indiziaria dalla quantità delle banconote oggetto dell'azione, dalla frequenza e dalla ripetitività dei rapporti di fornitura (Sez. 5, n. 26189 del 03/06/2010, Cuius, Rv. 247903; Sez. 6, n. 3013 del 31/01/1996, Russo, Rv. 204517).


Anche con il precedente indicato dal ricorrente questa Corte di cassazione, pur osservando che il numero rilevante delle banconote falsificate non è sufficiente ad integrare da solo la prova del previo concerto, anche mediato, dell'agente con colui che ha eseguito la falsificazione, costitutivo della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 453 c.p., essendo necessaria la presenza di più indizi sintomatici del concerto, ha indicato tra questi la frequenza e ripetitività delle forniture (Sez. 5, n. 12192 del 14/01/2015, Raucci, Rv. 263752).


Nel caso di specie, il Tribunale ha desunto il "previo concerto" sia dal numero delle banconote falsificate, sia dalla reiterazione delle condotte contestate all'imputato, cosicché risultano rispettati i principi di diritto sopra richiamati.


4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 19 aprile 2023.


Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2023

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