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Concussione: chiede soldi durante l' accertamento, condannato dipendente dell'Agenzia delle Entrate


Corte di Cassazione

La massima

Integra il delitto di concussione, di cui all' art. 317 c.p. , la condotta del dipendente dell'Agenzia delle Entrate che, nella sua qualità di pubblico ufficiale, nel corso di una verifica fiscale, prima della contestazione di specifiche violazioni, richieda al soggetto sottoposto al controllo il pagamento di ingenti somme al fine di evitare prospettate severe sanzioni pecuniarie, quando sia accertata l'assenza di irregolarità ovvero la somma richiesta sia del tutto sproporzionata rispetto all'eventuale sanzione irrogabile (Cassazione penale , sez. II , 26/11/2020 , n. 37922).

Fonte: CED Cassazione Penale 2021



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 26/11/2020 , n. 37922

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 16 maggio 2019, la corte di appello di Bologna, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione che con pronuncia 14 dicembre 2017 aveva annullato la sentenza della stessa corte di appello 1-12-2016, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Ferrara datata 16 settembre 2015, qualificato il reato di cui al capo c) contestato a L.L. quale ipotesi di truffa aggravata, confermata la responsabilità per i fatti di concussione in concorso di cui ai capi a), b), d) ed e) riduceva la pena allo stesso inflitta ad anni 4, mesi 4, giorni 20 di reclusione.


1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avv.to Dario Bolognesi, articolando 23 distinti motivi che vengono di seguito riassunti ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1; con il primo motivo lamentava violazione dell'art. 627 c.p.p., comma 3 e nullità della sentenza per violazione di legge con riguardo a tutti i capi di imputazione per i quali era stata confermata l'ipotesi accusatoria di concussione posto che il giudice di rinvio aveva violato i principi dettati dalla precedente sentenza di annullamento della Corte di Cassazione n. 30436 del 2018 che aveva definito la prima pronuncia della Corte di appello di Bologna gravemente lacunosa e contraddittoria. Riepilogati i punti critici individuati dalla sentenza di annullamento, il ricorso sottolineava come fosse mancata un'adeguata motivazione in ordine all'elemento della costrizione e quindi alla qualificazione dei fatti quali fattispecie concussive, ciò in violazione degli obblighi incombenti sul giudice di rinvio posto che ci si era limitati a rinviare alla sentenza di primo grado e parafrasare la pronuncia oggetto di annullamento omettendo ogni ulteriore approfondimento. Si sottolineava come, ai fini della qualificazione giuridica, assumeva rilievo decisivo la circostanza che l'esito delle verifiche avrebbe potuto provocare ulteriori accertamenti e l'irrogazione di sanzioni così che gli imprenditori potevano avere agito per la realizzazione di un vantaggio dato dalla eliminazione o attenuazione delle conseguenze di eventuali irregolarità; conseguentemente aveva errato il giudice di rinvio nel confermare l'ipotesi della concussione.


1.3 Con il secondo motivo, si lamentava violazione di legge in relazione agli obblighi del giudizio di rinvio quanto alla fattispecie concussiva in danno di P.M. contestata al capo a), poichè, la sentenza impugnata, aveva ripercorso le stesse considerazioni della precedente pronuncia di appello annullata dalla Corte di Cassazione in quanto ritenuta lacunosa e contraddittoria. Con il terzo motivo deduceva erronea applicazione dell'art. 317 c.p., violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per il predetto fatto di reato essendosi erroneamente applicata la norma in assenza degli elementi costitutivi della contestata e ritenuta fattispecie; difatti, l'imputato, tramite il correo Pa.Ma., aveva prospettato al P. le conseguenze sanzionatorie delle irregolarità riscontrate in sede di verifica senza amplificarne la portata e in mancanza di qualsiasi minaccia; si trattava di irregolarità effettive così che le conseguenze sanzionatorie non potevano ritenersi non dovute e quindi ingiuste posto che era stato rappresentato soltanto un danno indeterminato in quanto il procedimento non si era ancora concluso. Doveva, quindi, ritenersi che la proposta di evitare le sanzioni mediante il versamento di una somma di denaro poteva assumere rilievo, eventualmente, quale induzione indebita non essendo accompagnata dalla minaccia di conseguenze pregiudizievoli in caso di rifiuto così che il comportamento della persona offesa era ispirato ad una logica chiaramente utilitaristica, senza che questa fosse stata posta di fronte all'alternativa di condividere la richiesta indebita ovvero subire un pregiudizio ingiusto ed avendo quindi agito, il privato, per realizzare un proprio vantaggio.


Con il quarto motivo lamentava difetto di motivazione quanto alla ritenuta affermazione di responsabilità per il delitto di concussione di cui al capo a), basata su una ricostruzione parziale e sommaria della vicenda che veniva ripercorsa alle pagine 14 e seguenti del ricorso, evidenziando come nulla fosse stato fatto per determinare in P. la condizione che non accettando la proposta sarebbe andato incontro a conseguenze diverse ed ulteriori rispetto a quelle aventi origine dalla precedente verifica, ancora in corso e di cui non era dato prevedere con precisione gli esiti sanzionatori, così che mancava il presupposto della soppressione della libertà di determinazione della persona offesa.


Con il quinto motivo deduceva violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla mancata applicazione della disciplina di cui all'art. 116 c.p. posto che era stato sempre il Pa. a tenere i contatti con la persona offesa e che era stato, pertanto, sempre Pa. a rappresentare gli esiti sanzionatori della verifica in corso senza alcuna consapevolezza di tale condotta da parte del ricorrente che, al più, poteva ritenersi al corrente della commissione del reato di corruzione o di induzione indebita.


Con il sesto motivo lamentava violazione di legge in ordine alla ritenuta consumazione della contestata concussione di cui al capo A), posto che la persona offesa si era rivolta alle forze dell'ordine già prima della consegna del denaro che era stata effettuata al fine di provocarne l'intervento.


1.4 Con il settimo motivo lamentava violazione dell'art. 627 c.p. in relazione agli oneri incombenti sul giudice di rinvio, quanto al capo b) dell'imputazione, posto che, la sentenza impugnata, aveva adottato gli stessi elementi ed argomenti cui si era fatto riferimento nella pronuncia annullata senza operare alcun approfondimento secondo i dettami indicati dalla Suprema Corte con la sentenza di annullamento.


L'ottavo motivo deduceva violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di concussione di cui al predetto capo b) perchè i fatti ricostruiti dovevano ritenersi compatibili con l'ipotesi di induzione indebita di cui all'art. 319 quater c.p.; infatti, le condotte poste in essere non erano tali da configurare un abuso costrittivo posto che il Pa. aveva rappresentato le conseguenze sanzionatorie relative le irregolarità riscontrate per evitare le quali il G. veniva indotto ad effettuare il versamento di denaro. La persona offesa, quindi, non era sicura dell'insussistenza di qualsiasi irregolarità così che mancava una costrizione e l'atteggiamento psicologico della vittima non era corrispondente ad una totale soggezione psicologica in assenza della minaccia di un male ingiusto; ancora, non vi era stata alcuna richiesta di carattere perentorio, ultimativa, di natura reiterata ed insistente così che errata doveva ritenersi la qualificazione giuridica dei fatti.


Con nono motivo si lamentava difetto di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., lett. e), quanto all'elemento oggettivo del reato di cui al capo b), con specifico riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa G.G. e del nipote G.S.; difatti, sul punto, la sentenza impugnata doveva ritenersi manifestamente illogica poichè ignorava la diversa ricostruzione dei fatti fornita dal coimputato Pa.Ma. che aveva collaborato con la giustizia; le dichiarazioni di quest'ultimo poste al confronto con quelle dei testimoni offrivano rappresentazioni incompatibili in ordine ai contenuti ed ai toni delle richieste avanzate. Inoltre, doveva rilevarsi quale elemento decisivo per confutare le conclusioni del giudizio di rinvio che le dichiarazioni dei G. erano successive l'arresto del ricorrente e del Pa.. Manifestamente illogica era anche la pronuncia nella parte in cui affermava l'attendibilità delle dichiarazioni di G.S. che dovevano ritenersi confutate dal contenuto di alcuni messaggi "whatsapp" che venivano richiamati e dai quali risultava come non fosse stata prospettata alcuna persecuzione fiscale.


Con il decimo motivo si deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla fattispecie di concussione di cui al capo b) posto che, nell'affermare la qualificazione del fatto in tali sensi e non come corruzione, non si era fornita adeguata giustificazione della circostanza che era stato proprio il G. a prendere l'iniziativa di contattare il ricorrente L. e ciò al fine di "sistemare" la verifica precedentemente svolta; tale iniziativa assumeva evidente il rilievo per escludere qualsiasi elemento di costrizione.


L'undicesimo motivo lamentava violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla omessa applicazione della disciplina dettata dall'art. 116 c.p. in quanto, essendo stato sempre il Pa. a tenere i rapporti con il G., non vi era alcuna prova della consapevolezza in capo al ricorrente degli esatti contenuti delle prospettazioni effettuate dallo stesso Pa. e l'imputato, pertanto, doveva essere chiamato a rispondere di un reato meno grave.


1.5 Con il dodicesimo motivo si lamentava violazione degli obblighi del giudice di rinvio in relazione al capo d) dell'imputazione poichè, la motivazione della sentenza annullata, era identica a quella assunta dalla Corte di appello di Bologna nel precedente giudizio travolto dall'annullamento. Il tredicesimo motivo deduceva erronea applicazione dell'art. 317 c.p. e nullità della pronuncia per violazione di legge quanto al capo d) della rubrica, in relazione alla ricostruzione dei fatti posto che dalla stessa non emergeva nessuna minaccia nè prospettazione di danni ingiusti bensì, soltanto, la proposta da parte di Pa. di aggiustare una verifica da cui emergevano irregolarità subito raccolta dall'imprenditore M.M.; si trattava, quindi, della rappresentazione delle conseguenze sanzionatorie relative alle irregolarità riscontrate che potevano essere evitate attraverso il pagamento così potendo al più configurarsi l'induzione indebita e non la concussione. Difatti, non vi era stata alcuna condotta prevaricatrice, mancavano richieste perentorie ed ultimative e, l'accordo raggiunto dalle parti, configurava altra e più lieve fattispecie delittuosa.


Il quattordicesimo motivo lamentava travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione sempre in relazione alla penale responsabilità per il delitto di cui al capo d) dell'imputazione nella parte in cui si era evidenziato che il controllo si era poi concluso senza rilievi o sanzioni; la motivazione della sentenza impugnata appariva manifestamente illogica in quanto dava per scontato che l'esito della verifica in tal senso fosse dovuto alla mancanza di irregolarità, piuttosto che al versamento della somma di denaro da parte di M.M. e, tale ricostruzione, appariva del tutto illogica atteso che l'illecita richiesta era finalizzata proprio alla neutralizzazione della verifica. Invero, in tale ipotesi, era risultato che il M. aveva accettato immediatamente di pagare la somma allo scopo di aggiustare l'accertamento così che le dichiarazioni dello stesso erano state travisate dalla Corte territoriale.


1.6 Il quindicesimo motivo deduceva violazione degli obblighi del giudice di rinvio quanto al capo e) dell'imputazione poichè, la motivazione della sentenza impugnata, si sovrapponeva a quella della pronuncia annullata; analogamente alla sentenza annullata, si era ricostruito sommariamente il fatto oggetto dell'imputazione omettendo gli ulteriori approfondimenti cui si era vincolati.


Il sedicesimo motivo deduceva violazione di legge ed erronea applicazione dell'art. 317 c.p. quanto alla affermazione di responsabilità per il delitto di tentata concussione in danno del R. difettando tutti gli elementi costitutivi; non vi era alcuna minaccia di danno ingiusto ma, solo, la rappresentazione delle possibili conseguenze dell'accertamento in corso che veniva correlata alla proposta di intervento vantaggioso per il contribuente compensato con il denaro richiesto. Mancava, pertanto, ogni ipotesi di costrizione tanto più che, il L., non era incaricato della verifica e non avrebbe potuto incidere sulla stessa che veniva svolta da personale diverso. Ne conseguiva la configurabilità al più del reato di induzione indebita nella forma del tentativo posto che la somma prospettata quale possibile sanzione nella misura di 60.000 Euro era frutto di rappresentazione del tutto generica così che l'indeterminatezza del supposto danno escludeva la contestata fattispecie; in ogni caso, Pa. non aveva minacciato la persona offesa ed a fronte del suo rifiuto non aveva insistito e si era allontanato, mancando così qualsiasi intento intimidatorio oltre che il condizionamento della libertà di determinazione della vittima.


Il diciassettesimo motivo lamentava mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riguardo all'elemento oggettivo del reato di concussione contestato al capo e) dell'imputazione posto che non era dato comprendere da dove risultasse che la richiesta del Pa. fosse finalizzata alla minacciosa prospettazione di un male ingiusto e, quindi, alla costrizione al versamento del denaro; il giudice di primo grado ed il giudice di rinvio avevano dato per scontato che l'iniziativa di Pa. costituiva atto idoneo diretto in modo non equivoco ad ottenere il versamento del denaro dietro la prospettazione di possibili esiti negativi del controllo ma, tale ricostruzione, doveva ritenersi fondata su una motivazione manifestamente illogica posto che non era emersa alcuna minaccia ed alcuna insistenza; in ogni caso, non si era adeguatamente spiegato per quali ragioni, quanto alla riferita prospettazione di una sanzione fino a 60.000 Euro, si era ritenuta più affidabile la dichiarazione del teste R.S. piuttosto che quella del Pa. il quale aveva negato di avere fatto riferimento a tale importo. Con il diciottesimo motivo si deduceva violazione di legge e mancanza di motivazione quanto alla applicabilità della disciplina dell'art. 116 c.p. in quanto, essendo emerso che era stato sempre Pa. tenere i rapporti con la persona offesa e che L. non era consapevole degli esatti contenuti della prospettazione; pertanto, nulla consentiva di assumere che l'imputato fosse a conoscenza della richiesta effettuata o della quantificazione della sanzione così che doveva ritenersi al più l'ipotesi differente di corruzione o induzione indebita avendo voluto egli un reato diverso.


1.7 Il diciannovesimo motivo deduceva manifesta illogicità della motivazione quanto alla affermata penale responsabilità per il delitto di truffa aggravata di cui ai fatti descritti al capo c) dell'imputazione posto che il giudice del rinvio aveva operato una ricostruzione dell'episodio analoga a quella svolta dai precedenti giudici di merito che avevano qualificato i fatti quali concussione o, al più, appropriazione indebita, non certo nei termini della truffa.


Con il ventesimo motivo si lamentava erronea applicazione dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 2 posto che dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella pronuncia del giudice di rinvio risultava che B.C. si era determinato a pagare a causa del dubbio e del timore in ordine alla correttezza dell'operato dei verificatori indotto da L. con il raggiro; tuttavia, sulla base di tale ricostruzione, risultava evidente l'erronea applicazione dell'art. 640 c.p. difettando sia l'errore in capo alla persona offesa, sia la causazione dello stesso mediante un artificio o un raggiro, sia un atto di disposizione patrimoniale determinato dall'errore. Invero, B. era consapevole delle violazioni alla normativa tributaria, circostanza questa confermata dalle severe sanzioni applicate a chiusura della verifica a fronte di redditi non dichiarati nella misura di 35.000 Euro complessivi; inoltre, il ricorrente non aveva posto in essere alcun artificio o raggiro e l'atto di disposizione patrimoniale della persona offesa non era determinato dall'errore indotto dal L. bensì costituiva un compenso versato al ricorrente per l'interessamento alla vicenda così che mancava uno degli elementi costitutivi della truffa.


Il ventunesimo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale quanto alla circostanza aggravante individuata nell'erroneo convincimento di dovere eseguire imposizioni pubbliche posto che le violazioni sussistevano ed erano gravi. Il ventiduesimo motivo contestava ancora la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per truffa aggravata in relazione alle dichiarazioni di B.N., fratello della presunta persona offesa, dalle quali era emerso che L. lo aveva introdotto presso un commercialista particolarmente qualificato senza trarlo in inganno.


1.8 Con l'ultimo motivo di ricorso (ventitreesimo) si lamentava vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento a tutti i punti relativi al trattamento sanzionatorio essendo state trascurate le risultanze evidenziate nel sesto motivo di appello proposto dalla difesa, ove si era sottolineata l'assenza di comportamenti gravemente minacciosi e la vita anteatta dell'imputato. Peraltro, il ricorrente aveva esercitato il proprio diritto di difesa in modo trasparente e doveva tenersi conto dell'assenza di qualsiasi precedente penale a suo carico così che la motivazione appariva manifestamente illogica anche laddove escludeva l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche.


CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Infondato appare il primo motivo non ravvisandosi, nella sentenza emessa dalla corte di appello di Bologna ex art. 627 c.p.p., la violazione dei doveri del giudice di rinvio. Con la sentenza di annullamento 14 dicembre 2017 questa corte di cassazione ha dato mandato di chiarire al giudice di rinvio:" se, al di là del richiamo a sostantivi o aggettivi evocativi della costrizione: a) vi sia stata o meno minaccia nel comportamento del Pa. e del ricorrente e, posto che vi sia stata, in cosa sia consistita; b) se davvero vi fossero irregolarità nella contabilità delle imprese rispetto alle quali fu eseguita la verifica da parte dell'Agenzia delle Entrate; 3) se, posto che vi fossero le irregolarità contabili, la somma di denaro richiesta avesse la funzione di non fare emergere tali irregolarità, ovvero di impedire che fossero rappresentate irregolarità diverse ed ulteriori, anche fittizie, rispetto a quelle accertate, ovvero, ancora, se la richiesta avesse entrambe le finalità; 4) come in concreto si conclusero le verifiche; 5) se la esibizione dei verbali di verifica avesse o meno una funzione ingannatoria e, quindi, se i privati furono indotti in errore; 5) quale sarebbe stato l'abuso costrittivo in relazione al capo c) e, quindi, la effettiva causale della dazione di denaro; 6) se davvero le parti non fossero in posizione simmetrica tra loro.


Orbene, con le specifiche e puntuali osservazioni svolte alle pagine 10 e seguenti della motivazione, la corte di appello bolognese, quale giudice del rinvio, ha proprio dato risposta ai suddetti quesiti poichè, dopo avere puntualmente richiamato le fonti di prova, costituite sia dalle dichiarazioni accusatorie provenienti dal correo Pa.Ma. che dalle precise e circostanze accuse mosse all'indirizzo del L. dalle diverse persone offese, tutte sostanzialmente convergenti in ordine alle modalità di esecuzione delle varie fattispecie delittuose, ha evidenziato il contenuto minatorio delle frasi rivolte da Pa. all'indirizzo delle vittime e tutte successive (ad eccezione del fatto di cui al capo c), la precedente verifica compiuta proprio da L.; inoltre si è sottolineata l'assenza di riscontrate irregolarità che avessero dato origine a provvedimenti sanzionatori a carico delle stesse persone offese (vedi sul punto pagina 12 della motivazione sentenza di rinvio), se non per importi minimi e comunque totalmente non proporzionati alle somme richieste e versate, e si è proceduto ad analizzare separatamente ciascuno dei fatti di reato distinguendo sempre i soggetti coinvolti e le modalità delle richieste di versamento delle somme di denaro molte delle quali pure effettuate. Ancora, la corte di appello, ha anche sottolineato la particolare attendibilità delle dichiarazioni provenienti da soggetti tutti privi di precedenti giudiziari, alcuni dei quali hanno spontaneamente denunciato i fatti, sottolineando le frasi riferite dalle stesse e dalle quali emergeva la condizione di forte timore subito per effetto della verifica prima e del successivo intervento di Pa. poi, escludendo qualsiasi condizione di parità e stigmatizzando, invece, la costante rappresentazione di gravi danni ove non si fosse accettata la perentoria richiesta di pagamento di somme non dovute. Tali plurime ricostruzioni dei fatti hanno così evidenziato proprio l'intimidazione patita dalle vittime per effetto delle ripetute richieste pervenute da L. tramite Pa. e l'effetto costrittivo patito dalle vittime che si determinavano a pagare benchè consapevoli di non versare in alcuna irregolarità ovvero responsabili di lievi violazioni per le quali erano previste sanzioni minime rispetto alle somme imposte ed anche, in alcuni casi, versate.


Così che in particolare, escludendo a pagina 12 irregolarità fiscali di rilievo, si è data adeguata risposta al dettame della sentenza di annullamento e perde qualsiasi valenza l'argomento difensivo del vantaggio ricercato dal privato; parallelamente viene certamente evidenziata la finalità costrittiva della richiesta mossa dal L. tramite il Pa. che, si ripete, aveva ad oggetto ben altre somme dietro la rappresentazione di sanzioni assai superiori a quelle effettive.


Inoltre, va evidenziato come la pronuncia del giudice di rinvio non si limiti in alcun modo a riportare o richiamare pedissequamente la sentenza di primo grado impugnata ma proceda ad una autonoma valutazione di ciascuno dei fatti delittuosi proprio seguendo le direttrici imposte dalla pronuncia di annullamento.


Sul punto, va anche richiamata la sentenza di primo grado che, a pagina 40 della motivazione, specifica il contenuto della deposizione della teste C., Direttore Provinciale dell'Agenzia delle Entrate, la quale precisava che L. era addetto ai controlli degli studi di settore e cioè alla mera verifica preliminare rispetto a più approfondite verifiche fiscali sui redditi di soggetti esercenti il commercio; i controlli degli studi di settore costituivano accertamenti preliminari al fine di verificare soltanto la rispondenza di strutture, spazi e dipendenti delle attività commerciali a quanto dichiarato dai contribuenti così che, dagli stessi, non potevano emergere direttamente contestazioni relative al mancato pagamento dei tributi, oggetto invece di altri e differenti accertamenti che potevano scaturire dagli studi di settore ma non si esaurivano in essi perchè estesi alla verifica dei componenti positivi e negati di reddito. Così ricostruita l'attività del L., ed escluso che questi avesse compiti direttamente destinati all'accertamento dei redditi evasi, ne deriva proprio l'infondatezza della ricostruzione difensiva poichè, ad eccezione del caso B., gli altri controlli portati a termine dallo stesso non potevano in alcun modo determinare l'irrogazione di sanzioni per quegli importi richiesti.


Ed in ogni caso, va anche sottolineato come, secondo le verifiche compiute dai giudizi di merito, le richieste di tali ingenti somme non erano in alcun modo giustificate in relazione a quella fase del procedimento amministrativo di controllo; difatti, l'intervento del correo Pa. avveniva prima della definizione del procedimento e della predisposizione del provvedimento conclusivo, così che a fronte di una sanzione già bene determinata nel quantum si prospettava al privato la possibilità di pagare il pubblico ufficiale ottenendo un vantaggio concreto; le richiese di denaro, essendo effettuate in una fase in cui era del tutto ignoto l'esito del procedimento, assumono carattere illecito e costrittivo poichè venivano rivolte senza che fosse stato accertata e rappresentata alcuna irregolarità; e da ciò deriva affermare che correttamente il giudice di rinvio ha ritenuto il carattere concussivo delle richieste di pagamento, proprio perchè effettuate senza connessione precisa con una violazione precedentemente accertata.


Nella valutazione delle condotte il giudice di rinvio, lungi dall'effettuare una valutazione superficiale, ha correttamente richiamato e fatto applicazione del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite secondo cui il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p. nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater c.p. introdotto dalla medesima L. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Rv. 258470).


Proprio in applicazione di tale principio generale, ed in adempimento degli oneri imposti dalla pronuncia di annullamento in precedenza richiamati, il giudice di rinvio perveniva alla riqualificazione dei fatti ai sensi del meno grave delitto di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 2 nell'unico caso, quello indicato al capo C) della rubrica con persona offesa B.C., che vide questi assumere l'iniziativa di contattare soggetti che lo potessero aiutare (poi identificati in L., che per il suo intervento riceveva 3000 Euro senza titolo) in quella verifica che si concludeva con l'effettiva irrogazione di una sanzione pecuniaria di elevato importo.


2.2 Infondato è il secondo motivo, poichè, con le osservazioni svolte alle pagine 16 e seguenti dell'impugnata pronuncia, il giudice di rinvio non si è limitato a ripercorrere le osservazioni della sentenza annullata ma, previa ricostruzione dei fatti, ha osservato gli obblighi imposti dalla pronuncia di annullamento, evidenziando proprio da quali elementi ricavare la condotta costrittiva posta in essere dal duo L.- Pa. avendo, quest'ultimo su incarico e con l'accordo del primo, ripetutamente rappresentato alla persona offesa la necessità di versare la somma di Euro 10.000 altrimenti ne sarebbero derivate conseguenze negative dal precedente controllo che proprio il funzionario dell'Agenzia delle Entrate locale, L., aveva eseguito. Con tale ricostruzione, ancorata a precisi elementi di prova descritti alle pagine 17-18, la corte di appello quale giudice di rinvio ha fornito giustificazione alla qualificazione del fatto motivata poi alle successive pagine 19-20 nei termini dell'art. 317 c.p.; ne deriva affermare la non fondatezza anche del terzo motivo posto che alcuna irregolarità risulta mai essere stata contestata all'indirizzo del P. così che la prospettazione contenuta in ricorso si fonda su una mera ipotesi alternativa, non essendo mai stata comminata alcuna sanzione nè evidenziate specifiche irregolarità. La tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui sarebbe stata prospettata la necessità di versare quella ingente somma a fronte delle irregolarità riscontrate dal L. senza amplificarne la portata, è quindi totalmente priva di qualsiasi riscontro perchè in assenza di qualsiasi contestazione, anche in sede di eventuale ripetizione dell'accertamento, tale eventualità, sulla base degli atti utilizzabili nel presente giudizio abbreviato, deve proprio essere esclusa.


Ed anche ad ammettere che fossero state correttamente rilevate delle irregolarità, va precisato come sia emerso che Pa. non indicava mai l'importo delle sanzioni nè la precisa causale delle stesse, ma faceva espresso riferimento alla necessità inevitabile di versare quel rilevante importo di denaro (10.000 Euro) per evitare l'irrogazione di multe salatissime così che, in ogni caso, non appare sussistere alcuna relazione tra la richiesta e le irregolarità non essendo mai stato accertato che tali supposte irregolarità potessero giustificare l'irrogazione di elevate sanzioni; così come anticipato in linea generale al punto 2.1 della presente motivazione ne deriva affermare che la richiesta di denaro avendo ad oggetto un rilevante importo (ben 10.000 Euro), aveva ad oggetto somme del tutto prive di qualsiasi giustificazione ed imposte al privato in forza dell'abuso della posizione di pubblico potere connessa alla funzione del L. e non anche in ragione della sanzione irrogata od anche irrogabile.


Conseguentemente, correttamente il giudice di rinvio riteneva che la richiesta di denaro fosse totalmente ingiustificata, rappresentativa un danno ingiusto, e frutto della intimidazione legata all'intervento del pubblico ufficiale presso l'esercizio commerciale così che si escludeva la più lieve fattispecie di induzione indebita richiesta sempre nel terzo motivo di ricorso.


Al proposito può essere richiamata quella pronuncia di questa Corte di cassazione secondo cui a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, la minaccia, di qualsivoglia tipo o entità, di un danno ingiusto, finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integra il delitto di concussione se proveniente da pubblico ufficiale ovvero di estorsione se proveniente da incaricato di pubblico servizio; sussiste, invece, il delitto di induzione indebita, di cui all'art. 319 quater c.p., qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della qualità o dei poteri, per farsi dare o promettere il denaro o l'utilità prospetti, con comportamenti di persuasione o di convinzione, la possibilità di adottare atti legittimi, ma dannosi o sfavorevoli (Sez. 6, n. 13047 del 25/02/2013, Rv. 254466).


Il quarto motivo appare reiterare le precedenti doglianze e propone tutta una alternativa lettura degli elementi probatori che in alcun modo il giudice di rinvio ha omesso di valutare avendo proceduto ad una precisa e puntuale ricostruzione dei fatti in forza della quale si evidenziava come la richiesta di pagamento era chiaramente ed inequivocabilmente connessa al danno conseguente il precedente accertamento compiuto da L.; la richiesta, quindi, era finalizzata a coartare la libera determinazione della vittima, secondo quei parametri in precedenza indicati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite e riconducibili quanto all'art. 317 c.p. all'abuso costrittivo e non anche a forme di persuasione, suggestione, inganno, posto che il Pa. aveva chiaramente indicato al P. che o pagavano ovvero avrebbero ricevuto sanzioni per importi rilevanti.


Sussisteva, pertanto, proprio il presupposto della soppressione della libertà di determinazione della vittima al quale veniva rappresentata l'alternativa secca: o pagare o subire elevate sanzioni, mai in effetti riscontrate o irrogate in assenza di qualsiasi accertata violazione.


Il quarto ed il quinto motivo non risultano proposti con l'originario atto di appello e non possono per la prima volta essere dedotti nella presente fase di legittimità avverso la pronuncia di rinvio della corte di appello di Bologna. In ogni caso, è appena il caso di rilevare che la richiesta di qualificazione ai sensi dell'art. 116 c.p. si fonda su una ricostruzione alternativa priva di qualsiasi riscontro avuto riguardo alle modalità della condotta posta in essere da Pa. e L., soggetti risultati costantemente in contatto, come espressamente emergente dallo scambio dei messaggi nella fase della consumazione dei gravi delitti, riportati dai giudici di merito nelle pronunce di primo e secondo grado.


Inoltre, l'avvenuta consumazione del delitto di cui all'art. 317 c.p. è poi evidente stante l'accettazione da parte del privato dell'ingiusto pagamento pure effettuato. Al proposito questa corte ha già affermato che in tema di concussione, deve qualificarsi come consumata la fattispecie nella quale il soggetto passivo abbia sollecitato l'intervento della polizia giudiziaria dopo aver già promesso l'indebita prestazione al pubblico ufficiale (Sez. 6, Sentenza n. 20914 del 05/04/2012, Rv. 252786); soluzione questa anche recentemente ribadita da quella pronuncia secondo cui, in tema di concussione, deve qualificarsi come consumata la fattispecie nella quale il soggetto passivo abbia sollecitato l'intervento della polizia giudiziaria dopo aver già promesso l'indebita prestazione al pubblico ufficiale, essendo, a tal fine, irrilevante l'eventuale riserva mentale di non adempiere; ricorre, invece, l'ipotesi tentata qualora la promessa segua la predisposizione, d'accordo con la polizia giudiziaria, di un piano diretto a individuare il funzionario infedele e risulti preordinata a tale scopo (Sez. 6, n. 30994 del 05/04/2018, Rv. 273596). L'applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame comporta la qualificazione dei fatti quale ipotesi di concussione consumata posto che, dagli atti utilizzabili nel presente giudizio abbreviato, non risulta che al momento della effettuazione della promessa di pagamento P. avesse già predisposto d'accordo con le forze dell'ordine la consegna controllata del denaro; e tale elemento non può desumersi dalla sola denuncia del 2 dicembre con la quale P. espone i fatti all'autorità di polizia poichè a quella data, ancora, non è stato preso alcun accordo tra la vittima e le forze dell'ordine. La tesi esposta dalla difesa con il sesto motivo di ricorso esposto alle pagine 19-20 dell'impugnazione e secondo cui P. non avrebbe mai accettato la proposta illecita, è pertanto, meramente assertiva e priva di qualsiasi adeguato riscontro e ciò a fronte di una circostanza, un privato che versa la somma richiesta dal pubblico ufficiale senza alcun titolo tramite un intermediario, che denota proprio il contrario e cioè che la vittima optò per il pagamento a fronte delle reiterate minacce pur nella speranza dell'intervento delle forze dell'ordine.


2.3 Quanto ai motivi proposti in relazione al capo b) dell'imputazione, la concussione in danno del G., va certamente escluso che il giudice di rinvio sia incorso nella violazione dell'art. 627 c.p.p. avendo fornito adeguata risposta a tutte le direttrici indicate dalla pronuncia di annullamento di questa Corte di cassazione; con le osservazioni svolte alle pagine 21 e seguenti, il giudice di rinvio bolognese ha prima fornito un'adeguata ricostruzione sulla base delle prove utilizzabili e, poi, proceduto alla qualificazione dei fatti ritenendoli riconducibili alla contestata ipotesi di cui all'art. 317 c.p.. Nè può ritenersi sussistere tale vizio solo perchè i fatti vengono ricostruiti in maniera sostanzialmente conforme alla prima pronuncia di appello annullata posto che le censure della corte di legittimità investivano la qualificazione degli stessi e l'individuazione dell'abuso costrittivo.


In relazione all'ottavo motivo, si osserva come il giudice di rinvio abbia esattamente sottolineato come la richiesta di pagamento di ben 10.000 Euro, anche in questo caso formulata a fronte del precedente controllo dell'Agenzia delle Entrate, veniva rivolta dal Pa. all'indirizzo delle vittime con l'esposizione di documentazione relativa alla precedente verifica, e ciò benchè la vittima fosse certa di essere in regola con gli adempimenti essendosi rivolto ad un commercialista da cui era regolarmente assistito; da ciò l'evidente sorpresa del G. ed il suo allarme, descritto da Pa. a L. nel messaggio riportato a pagina 23, che denota come in alcun modo il versamento potesse essere ricondotto a presunte irregolarità mai accertate e, soprattutto, certamente non fondanti una così rilevante richiesta di pagamento. Correttamente, pertanto, la corte di appello, in sede di rinvio, qualificava anche tale ipotesi quale concussione poichè a fronte di mere irregolarità formali vengono invece prospettati danni generici, indeterminati ed assai gravi per rimediare i quali il privato veniva messo di fronte alla sola possibile soluzione di effettuare un rilevante pagamento di denaro assolutamente ingiusto; così che anche tale ricostruzione giustifica la qualificazione della condotta in termini di abuso costrittivo poichè G. venne fortemente intimidito al punto da essersi convinto ad effettuare un forte esborso di denaro e ciò benchè, come osservato prima a pagina 22 e poi a pagina 25 della pronuncia impugnata, mancava qualsiasi irregolarità che potesse fondare l'irrogazione di elevate sanzioni pecuniarie così che il danno rappresentato è proprio contra ius.


Deve, pertanto, essere affermato che commette il delitto di concussione di cui all'art. 317 c.p. il pubblico ufficiale dipendente dell'Agenzia delle Entrate che, nel corso di un procedimento di verifica, prima della comminazione di qualsiasi sanzione ad un privato soggetto a procedimento di verifica ed accertamento fiscale richieda il pagamento di somme per evitare l'effettuazione delle contestazioni e l'irrogazione delle pene pecuniarie" quando sia accertata l'assenza di violazioni o la somma richiesta sia comunque totalmente sproporzionata rispetto all'eventuale sanzione irrogabile.


Quanto al nono motivo, con cui si muovono doglianze in punto attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, l'argomento attiene ad aspetti non decisivi della complessiva vicenda non risultando essenziale ai fini della qualificazione del fatto ed appare anche estraneo all'oggetto dell'annullamento e del conseguente giudizio di rinvio; in ogni caso, il giudice di rinvio ha risposto a tali doglianze con le osservazioni contenute a pagina 23 nelle quali evidenzia come la successiva spontanea presentazione alle forze dell'ordine e la denuncia presentata dal G. abbiano trovato integrale conferma nelle dichiarazioni collaborative del Pa.. E tale valutazione appare correttamente ispirarsi a quella regola secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575) nel caso di specie evidentemente non ravvisabili. Così che la tesi della "persecuzione fiscale" che il ricorso contesta al nono e decimo motivo appare proprio raffigurata dalla condotta posta in essere dai due correi che, sfruttando l'elevato potere intimidatorio della funzione svolta dal L., in maniera illecita e minacciosa, imponevano, tramite la condotta del Pa., il pagamento della rilevante somma.


Nè fondata appare la ricostruzione riferita in ricorso e secondo cui fu G. a contattare il ricorrente per risolvere la vicenda connessa alla verifica, posto che l'impugnata sentenza, a pagina 21 della motivazione, specifica che dopo l'accesso del L. quale funzionario delle Entrate fu proprio il correo Pa. a prendere i contatti con il G. ed a rappresentargli la necessità di pagare per evitare gravi conseguenze e ciò nonostante la persona offesa fosse sicura della regolarità della propria posizione.


Quanto alla contestata attendibilità di G.S., anche tale motivo appare attenere ad aspetti del tutto secondari della vicenda e così delineati dal giudice di rinvio a fronte di una piena confessione dei fatti resa dallo stesso Pa. e dell'accertato versamento della rilevante somma di denaro consegnata in contanti proprio al Pa.. Tale ricostruzione correttamente giustifica la conclusione cui perviene il giudice di rinvio circa la qualificazione dei fatti a pagina 24-25 nei termini della concussione consumata.


L'undicesimo motivo propone doglianze non oggetto dell'originario atto di appello con la necessaria specificità e, comunque, frutto di valutazioni ipotetiche e smentite dalla ricostruzione dei fatti che hanno sempre illuminato l'esistenza di un pieno e consapevole accordo tra Pa. e L. circa il contenuto delle richieste da muovere e le minacce da rivolgere alle vittime, come dimostrato anche per il caso di specie dai messaggi scambiati e riportati a pagina 23 della sentenza impugnata.


Conclusivamente, anche per la vicenda G. di cui al capo b), ritiene questa corte di dovere respingere tutte le doglianze.


2.4 Infondato appare il 12esimo motivo non avendo la corte di appello bolognese violato gli obblighi del giudizio di rinvio; invero, dapprima si è proceduto alla completa esposizione dei fatti alle pagine 25 e seguenti sulla base delle prove utilizzabili, poi si è sottolineata l'evidente finalità costrittiva della condotta tenuta dagli imputati ed, infine, si è proceduto alla qualificazione dei fatti così fornendo specifica risposta ai quesiti demandati dalla pronuncia di annullamento.


Quanto al 13esimo e 14esimo motivo, anche in tal caso il ricorso prospetta l'esistenza di irregolarità e contestazioni nei confronti del M., cui questi avrebbe cercato di rimediare aderendo al pagamento della somma contanti richiesta da Pa. e poi consegnata da quest'ultimo al L., che appaiono totalmente prive di qualsiasi adeguato riscontro; nel presente giudizio abbreviato non è mai emerso che al M. siano state formulate contestazioni e che venissero elevate delle sanzioni ed anzi l'impugnata sentenza afferma proprio il dato contrario, e cioè che il controllo si chiuse nel mese di ottobre con esito regolare senza che sia mai stato adeguatamente provato che tale esito fu il frutto della compravendita della pubblica funzione ovvero che la persona offesa avrebbe dovuto versare altra somma rispetto a quella imposta di 2.500 Euro.


La generica affermazione rivolta dal Pa., in occasione dei suoi incontri con M. sollecitati da L. che aveva effettuato la precedente verifica, di "non essere messo bene", non giustificano l'affermazione della difesa ricorrente secondo cui la sanzione era certamente dovuta e, correttamente, l'impugnata sentenza emessa in sede di rinvio ha spiegato come M. avesse espressamente riferito di avere pagato perchè intimorito dalla rappresentazione della situazione fatta da Pa.; anche in questo caso, quindi, la possibilità di sanzioni è del tutto strumentale all'ottenimento dell'effetto costrittivo ed alla ricezione delle somme non dovute non essendovi alcuna formale giustificazione per l'irrogazione di sanzioni nei riguardi del M. emersa nel procedimento.


Sul punto, pertanto, è il ricorso nel 14esimo motivo a travisare i fatti, in quanto la condizione di timore del M. non è idonea a provare alcuna irregolarità mai accertata e regolarmente contestata (come riferito a pagina 27), avverso la quale, comunque, il privato avrebbe potuto ricorrere ai legittimi rimedi; così che l'accettazione della richiesta di pagamento, che il ricorso in questo motivo rappresenta come libera scelta del M., fu invece frutto dell'intimidazione svolta dal Pa. dopo il controllo del L. senza che alcuna irregolarità fosse stata effettivamente confermata e contestata e, quindi, in presenza di un preciso abuso costrittivo posto in essere dal pubblico ufficiale per il tramite dell'extraneus, punibile anche in questo caso ex art. 317 c.p. secondo i parametri interpretativi forniti dalla indicata pronuncia delle Sezioni Unite. Difatti alcuna opera di convincimento o persuasione venne posta in essere bensì rappresentata l'alternativa tra pagare ovvero subire l'imposizione di conseguenze che lo stesso Pa. indicava come "pesanti", così che correttamente la corte di appello affermava l'ipotesi contestata.


2.5 In relazione al quindicesimo motivo, si osserva che la corte di appello in sede di giudizio di rinvio con le specifiche considerazioni svolte alle pagine 28-30 della pronuncia ha proceduto dapprima a ricostruire i fatti sulla base della fondamentale dichiarazione resa dalla persona offesa R., poi a riferire anche quanto ammesso dal Pa., infine ad evidenziare i messaggi scambiati tra il ricorrente ed il suo correo che denotano inequivocabilmente la riferibilità proprio a L. dell'iniziativa di inviare Pa. a richiedere somme al titolare della pizzeria "Pippo" rappresentandogli la possibilità di elevate sanzioni pecuniarie, addirittura quantificate in oltre 50.000 C. Manca, pertanto, qualsiasi presupposto per affermare la violazione degli obblighi del giudizio di rinvio poichè la corte si è attenuta alle direttive indicate dalla pronuncia di annullamento circa le attività da svolgere segnalando come, a carico del R., fossero state effettuate contestazioni di limitatissimo rilievo (mancata indicazione di redditi per soli 2.093 Euro); così che tale circostanza toglie ogni fondatezza anche ai successivi motivi con i quali si contesta la sussistenza degli elementi costitutivi il delitto di tentata concussione, poichè, avere Pa. rappresentato la possibilità di emissione di provvedimenti sanzionatori dall'importo elevatissimo a fronte di contestazioni del tutto secondarie, se non irrisorie, integra proprio la rappresentazione di un danno totalmente ingiusto per evitare il quale veniva richiesto il pagamento della somma di 3.000 Euro rifiutato coraggiosamente da R.. E la circostanza che L. non fosse il soggetto che aveva compiuto la precedente verifica presso quella pizzeria non elide la connotazione totalmente illecita della condotta posto che, anzi, ne sottolinea la completa arbitrarietà, essendo risultato che il ricorrente aveva svolto accessi abusivi al sistema informatico finalizzati ad assumere notizie su quell'esercizio commerciale e che lo stesso aveva informato tramite un messaggio whatsapp il correo Pa., invitandolo a comportarsi come già fatto con M., e cioè con il povero M. già obbligato a versare una somma di denaro contante totalmente non dovuta a vantaggio dei due. Detta ricostruzione, sposata dalla corte di appello, fonda anche la valutazione di evidente idoneità degli atti ai fini del tentativo punibile (che si contesta nel 17esimo motivo), essendo risultato che Pa., dietro la rappresentazione della emissione di sanzioni dal notevolissimo importo, fece preciso riferimento alla necessità di pagare una precisa somma indicata in 3.000 Euro per evitare il danno; così che rimane integrato proprio il tentativo punibile di concussione, contestato con il 17esimo motivo, in quanto gli imputati compivano più atti diretti a costringere il R. a versare loro somme assolutamente non dovute e, quindi, a subire un danno evidentemente ingiusto.


In relazione alla contestazione dell'attendibilità del R. il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte e secondo cui le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104). E nel caso in esame, peraltro, il giudice di rinvio ha anche elencato specifici elementi di riscontro individuati in quel messaggio che costituisce proprio la prova dell'istigazione di L. rivolta al Pa. a porre in essere la richiesta concussiva, sfruttando la conoscenza della precedente verifica da parte del personale dell'Agenzia delle Entrate a fini totalmente abusivi.


Tale ricostruzione, fondata su precisi elementi, esclude anche la fondatezza del 18esimo motivo con il quale si invoca l'applicazione del regime dell'art. 116 c.p. di cui peraltro non risulta fosse stata fatta richiesta nell'originario atto di appello.


2.6 Quanto alle doglianze relative all'affermazione di responsabilità per il reato di truffa aggravata così riqualificata l'ipotesi di concussione originariamente contestata al capo C) della rubrica, la ricostruzione dei fatti in termini analoghi a quelli operati dai precedenti giudizi di merito da parte del giudizio di rinvio, si fonda sulla corretta analisi delle fonti di prova esposta con compiutezza di argomenti alle pagine 31 e seguenti; il giudice di rinvio bolognese, accertato che nel caso del B. venne effettivamente comminata una sanzione di rilevante importo a seguito della verifica compiuta dalla Agenzia delle Entrate (per redditi non dichiarati per un importo di 35.000 Euro), individuato l'intervento del L. ed i suoi contatti con lo stesso B., accertato che il ricorrente aveva falsamente rappresentato alla persona offesa la possibilità di indicargli chi avrebbe potuto risolvere le problematiche connesse a quella verifica, accertato che vennero versati ben 3000 Euro in contanti a L., correttamente qualificava diversamente i fatti poichè, in tale ipotesi, il pagamento non era causato da minacce costrittive quanto da una artefatta rappresentazione della realtà ed, in particolare, dalla raffigurata capacità del L. di potere influenzare direttamente od indirettamente l'esito del procedimento.


Quanto al ventesimo motivo, con cui si contesta la sussistenza del ritenuto reato, ipotesi meno grave rispetto alla contestata concussione sempre invocata nell'atto di appello sotto la forma di diversa qualificazione, corrette appaiono le considerazioni svolte a pagina 36 della sentenza gravata dal presente ricorso, ove si osserva come il pagamento fu frutto dell'errore determinato dall'altrui inganno, avendo L. rappresentato circostanze false al B. che per tali ragioni si motivava al versamento della somma contante certamente non dovuta.


E poichè la rappresentazione di false circostanze avveniva da parte del pubblico funzionario proprio sfruttando la propria posizione all'interno dell'Agenzia delle Entrate, nonchè prospettando anche condotte irregolari dei colleghi accertatori, sussiste proprio l'ipotesi diversamente qualificata dalla corte bolognese in sede di rinvio (che si contesta con il 20esimo e 21esimo motivo), perchè, secondo l'interpretazione di questa Corte di cassazione, la condotta del pubblico ufficiale che, simulando l'esistenza di una situazione di pericolo immaginario per la vittima, induce la stessa a remunerarlo per ottenere la sua "protezione" non integra il reato di induzione indebita a dare o a promettere utilità di cui all'art. 319 quater c.p., stante la mancanza della condizione di assoggettamento della persona offesa all'esercizio di una potestà altrui, bensì il delitto di truffa aggravata, prevista a norma dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 2, e art. 61 c.p., n. 9, (Sez. 6, n. 17655 del 09/04/2015, Rv. 263657). Sul tema si è anche sostenuto che i reati di induzione indebita ex art. 319-quater c.p. e di truffa aggravata commessi da pubblico ufficiale, pur avendo in comune l'abuso da parte del pubblico ufficiale della pubblica funzione al fine di conseguire un indebito profitto, si differenziano per il fatto che nel primo colui che dà o promette non è vittima di errore e conclude volontariamente un negozio giuridico illecito in danno della pubblica amministrazione per conseguire un indebito vantaggio, laddove, invece, nella truffa, il pubblico ufficiale si procura un ingiusto profitto sorprendendo la buona fede del soggetto passivo mediante artifici o raggiri ai quali la qualità di pubblico ufficiale conferisce maggiore efficacia (Sez. 6, n. 44596 del 13/03/2019, Rv. 277378). Condizione, questa, ravvisabile nella condotta posta in essere da L. ai danni di B.C. che veniva indotto a versare la somma di 3000 Euro a fronte della falsa rappresentazione della realtà da parte del pubblico funzionario circa la regolarità dell'accertamento da parte dei colleghi e la capacità di intervenire sul medesimo così che devono essere respinti anche il 2lesimo e 22esimo motivo sussistendo sia l'inganno che lo sfruttamento del ruolo di funzionario pubblico al fine di attribuire maggiore efficacia allo stesso. Non decisive appaiono poi le considerazioni del teste B.N., cui fa riferimento il 22esimo motivo, in quanto esse confermano proprio come B.C. venne tratto in inganno da L. che nell'ambito della condotta artificiosa lo introduceva presso un professionista con la falsa raffigurazione della possibile risoluzione dei problemi connessi alla precedente verifica.


2.7 Inammissibili perchè manifestamente infondati sono invece tutti i motivi proposti in tema di circostanze e determinazione della pena; il giudice di appello ha, con motivazione adeguata e corretta, sottolineato le inequivocabili plurime circostanze ostative alla concessione delle attenuanti generiche nonchè determinato favorevolmente la pena in misura pari al minimo edittale con aumenti per continuazione del tutto contenuti rispetto alla notevole gravità delle condotte ed alla elevata intensità del dolo, con motivazione del tutto esente da censure non ravvisandosi certo nè violazione di legge nè difetto di motivazione.


In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020



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