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Concussione: la durata dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici va determinata in concreto


Corte di Cassazione

La massima

In tema di pene accessorie, la durata dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici ex art. 317-bis c.p. , va determinata in concreto, in base ai criteri di cui all' art. 133 c.p. e non mediante il ricorso alla perequazione automatica di cui all' art. 37 c.p. , anche in caso di applicabilità, ratione temporis , della formulazione dell' art. 317-bis precedente alle modifiche apportate dall' art. 1, comma 1, lett. m), l. 9 gennaio 2019, n. 3. (In motivazione, la Corte ha ritenuto che la determinazione in misura non fissa della pena accessoria consegue all'interpretazione costituzionalmente orientata secondo le indicazioni contenute nella sentenza della C. cost. n. 222 del 2018 - Cassazione penale , sez. VI , 16/02/2021 , n. 19108).



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 01/04/2014 , n. 25255

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Catanzaro, riformava parzialmente, ai sensi dell'art. 602 c.p.p., comma 1-bis, la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva condannato l'imputato F.G. per il reato di cui all'art. 314 c.p..


In particolare, all'imputato era stato contestato di essersi appropriato il 20 agosto 2014, in qualità di pubblico ufficiale in servizio presso la Polizia Municipale di (OMISSIS), della somma di Euro 293,50 della quale aveva il possesso o comunque la disponibilità a seguito del versamento effettuato da M.A. per il pagamento, in misura ridotta, della sanzione per un illecito amministrativo del codice stradale.


In sede di appello, la pena principale era stata rideterminata sul concordato delle parti in anni due di reclusione (con il riconoscimento anche dell'attenuante speciale dell'art. 323-bis c.p.) ed era stata inflitta, in luogo della interdizione perpetua dai pubblici uffici - che era stata revocata - la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici.


2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato denunciando, a mezzo del difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..


2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 28 c.p., comma 4 e art. 37 c.p. per la omessa indicazione della durata della pena accessoria applicata.


La Corte di appello, nel rideterminare la pena, ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p., ha omesso di indicare la durata della interdizione temporanea, che non era stata oggetto di concordato.


3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é fondato e va accolto.


2. Va preliminarmente rammentato che il giudice di appello, in caso di accoglimento dell'accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, é tenuto alla sostituzione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella dell'interdizione temporanea, ove la pena irrogata sia inferiore al limite prevista per l'applicazione della prima, anche se la sostituzione non sia stata prevista nell'accordo tra le parti (Sez. 5, n. 11940 del 13/02/2020, Guerretta, Rv. 278806).


Nella specie, la Corte di appello, in accoglimento dell'accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena principale, ha correttamente quindi provveduto, in dipendenza delle modificazioni apportate alla pena principale, a modificare anche la pena accessoria, con la sostituzione dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea.


Nel dispositivo la Corte di appello peraltro non ha indicato la durata della pena accessoria né nella motivazione ha sul punto offerto una valutazione sulla sua determinazione in concreto.


2.1. Va osservato che l'art. 317-bis c.p., nel testo precedente alla novella introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, prevedeva che la condanna per il reato di peculato alla pena della reclusione per un tempo inferiore a tre anni importasse la pena accessoria della interdizione temporanea.


La norma non fissava espressamente la durata della pena accessoria, che andava determinata secondo i criteri generali fissati dal combinato disposto degli artt. 37 e 28 c.p. (nel caso di durata della pena accessoria non espressamente determinata, questa ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, non potendo in ogni caso oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria; nella specie, per l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, fissati nella durata non "inferiore ad un anno né superiore a cinque").


Tale assetto normativo comportava quindi che la durata della pena accessoria fosse determinata, ex lege e quindi in via automatica, nella misura pari a quella della pena principale (ovvero, nella specie, in quella di anni due).


Il nuovo testo dell'art. 317-bis c.p. ha eliminato il ricorso alla perequazione automatica di cui all'art. 37 c.p. in funzione di un sistema di determinazione "in concreto" della durata della pena accessoria interdittiva - entro un limite minimo e massimo - da parte del giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p..


Peraltro, il legislatore, se da un lato ha abbandonato, quanto alla pena accessoria temporanea prevista dall'art. 317-bis c.p., il rigido meccanismo di determinazione della pena, ha dall'altro previsto al contempo un quadro edittale più severo, quanto alla durata minima e massima della pena accessoria applicabile. Il che rende la nuova disposizione inapplicabile al caso in esame in quanto in concreto più sfavorevole per il ricorrente.


2.2. Stante quindi il riferimento nella specie al vecchio testo della norma, va esaminata la questione della compatibilità del meccanismo di determinazione automatica della durata della pena accessoria, alla luce degli insegnamenti offerti sia dalla Corte costituzionale sia dalle Sezioni Unite di questa Corte (da ultimo, Corte Cost. n. 222 del 2018; Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286) sugli automatismi sanzionatori ed in particolare su quelli derivanti dalla regola dettata dall'art. 37 c.p..


Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della Fall, art. 216, u.c., nella parte in cui dispone che la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, anziché prevedere che tali sanzioni siano applicate sino ad un massimo di dieci anni.


Sulla scorta dei principi già affermati dalla propria giurisprudenza, secondo cui le pene di entità quantitativa fissa, stabilita per legge, possono essere coerenti col sistema costituzionale a condizione che l'analisi strutturale della fattispecie dimostri la loro proporzione rispetto ai comportamenti tipizzati, riconducibili alla fattispecie di reato, il Giudice costituzionale ha ritenuto che le pene accessorie previste dall'art. 216, u.c., L. Fall., costituissero un sistema sanzionatorio di identica durata non modulato né alle diverse fattispecie di reato né alla concreta condotta tenuta dall'imputato.


Essenziale, secondo la Corte costituzionale, a garantire la compatibilità delle pene accessorie di natura interdittiva con il "volto costituzionale" della sanzione penale é , infatti, che esse non risultino manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato, tanto da vanificare lo stesso obiettivo di "rieducazione" del reo, imposto dall'art. 27 Cost., comma 3.


La fissazione quindi di una unica e indifferenziata durata legale delle pene accessorie, precludendo al giudice ogni apprezzamento discrezionale sulla gravità del reato e sulle condizioni personali del condannato, é suscettibile di tradursi nell'inflizione di pene accessorie manifestamente sproporzionate al disvalore del fatto e comunque distonica rispetto al menzionato principio dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio.


Il Giudice delle leggi non si é limitato a censurare dal punto di vista costituzionale le pene accessorie di durata fissa, ma si é spinto oltre sino a indicare che la loro durata sia determinata discrezionalmente dal giudice. Ha suggerito infatti, così infrangendo un caposaldo della disciplina delle pene accessorie, che trattandosi di pene, pur di afflittività meno marcata rispetto alla pena detentiva, la loro durata vada fissata discrezionalmente dal giudice facendo riferimento, come per tutte le altre pene, ai criteri dell'art. 133 c.p..


Anche se non oggetto della questione di costituzionalità, la Corte costituzionale non ha mancato di criticare il criterio dettato dall'art. 37 c.p., ritenendolo inadatto in quanto espressione anch'esso di un automatismo punitivo sotto l'aspetto dosimetrico delle pene accessorie: la scelta del legislatore di ancorare, con un sistema di rigidità applicativa, la durata concreta delle pene accessorie a quella della pena principale inflitta, finisce viepiù per tradire la stessa funzione assegnata alle pene accessorie, almeno in parte distinta rispetto a quella delle pene detentive e marcatamente orientata alla prevenzione speciale negativa - imperniata sull'interdizione del condannato da quelle attività che gli hanno fornito l'occasione per commettere gravi reati.


Anche in tal caso, seguendo le indicazioni della Corte costituzionale, la determinazione della pena accessoria dovrebbe essere compiuta quindi "tenendo conto sia del diverso carico di afflittività, sia della diversa finalità, che caratterizzano le pene accessorie in parola rispetto alla pena detentiva: diverse afflittività e finalità che suggeriscono, nell'ottica di una piena attuazione dei principi costituzionali che presiedono alla commisurazione della pena, una determinazione giudiziale autonoma delle due tipologie di pena nel caso concreto".


2.2. Le Sezioni Unite, pronunciandosi sul contrasto creatosi sulle modalità di determinazione in concreto delle pene accessorie oggetto della sentenza della Corte costituzionale, hanno affrontato in termini generali il tema delle criticità della disciplina delle pene accessorie per i casi in cui sia prevista la determinazione automatica della loro durata, ribadendo i principi fissati dalla Corte costituzionale che pretendono elasticità nella previsione astratta e discrezionalità nella sua attuazione in riferimento alla situazione fattuale concreta, di guisa che "ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (di qualunque ne sia la specie) é per ciò solo "indiziata" di illegittimità" ed ogni automatismo sanzionatorio, che sottragga la giurisdizione il compito di apprezzare la specificità del caso e di offrirvi risposta adeguata e differenziata, va scongiurato perché in contrasto con il "volto costituzionale" della repressione penale e con la funzione rieducativa e di reinserimento sociale della punizione, che richiede il rispetto della proporzione per qualità e quantità col fatto di reato, con la sua offensività e con la personalità del suo autore, da garantire nella fase della irrogazione, così come in quella dell'esecuzione.


Muovendo da questi canoni interpretativi, che si oppongono agli automatismi ed alla rigida regolamentazione sanzionatoria, le Sezioni Unite hanno affermato un principio che va ad abbracciare tutte le pene accessorie determinate in misura fissa, offrendo una lettura fortemente critica del meccanismo parificativo vincolante, previsto dall'art. 37 c.p..


Si é stabilito che in tutti i casi in cui la legge indica un termine di durata non fissa per le pene accessorie, queste devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p..


E' stata infatti rimarcata l'importanza di una modulazione personalizzata della pena accessoria rispetto a quella principale, non necessariamente equiparata - per il diverso finalismo sanzionatorio - alla durata della pena principale.


Non hanno mancato di osservare le Sezioni Unite come il legislatore abbia mostrato un mutato atteggiamento verso l'automatismo applicativo delle pene accessorie in contrasto con la filosofia ispiratrice l'introduzione dell'art. 37 c.p., allorché ha modificato l'art. 166 c.p. o quando ha inteso attribuire una considerazione autonoma delle pene accessorie con la L. 9 gennaio 2019, n. 3.


Secondo le Sezioni Unite, sulla base dei principi sopra indicati, non é consentito interpretare l'art. 37 c.p. come prescrittivo di un automatismo che, seppur mediato dall'aggancio alla misura della pena principale, in quanto tale meccanismo rappresenta pur sempre un sistema rigido di determinazione del trattamento punitivo, che non trova giustificazione soprattutto se si considera la funzione cui assolvono le pene accessorie, l'estrema varietà delle condotte che, in violazione dei precetti penali, realizzano le condizioni per la loro inflizione ed il severo carico di afflittività che le contraddistingue.


"La perequazione automatica di cui all'art. 37 c.p. (...) non consente risposte individualizzate e graduate in dipendenza delle peculiarità del caso, delle esigenze specifiche ad esso sottese, nonché delle caratteristiche di afflittività delle singole sanzioni accessorie, incidenti in senso fortemente limitativo sul diritto al lavoro e sul diritto di iniziativa economica, oltre che su altri aspetti della vita individuale e sociale, e finisce per estendervi i sospetti di incostituzionalità, insiti in tutti gli automatismi punitivi".


2.3. Il quadro della giurisprudenza ora tracciato ha posto le basi quindi per procedere ad una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 37 c.p. che preveda un percorso di personalizzazione delle pene accessorie, nei casi in cui la legge non ne stabilisca la durata, ritenendo quindi necessario che il giudice sia chiamato anche in tale evenienza ad una loro valutazione dosimetrica in concreto, distinta da quella relativa alla pena principale, pur rappresentando quest'ultima il limite massimo edittale della durata.


3. Ciò premesso, la sentenza impugnata va annullata per un nuovo giudizio sulla pena accessoria, che si atterrà ai principi sopra indicati nella determinazione della durata della pena accessoria, colmando le omissioni riscontrate.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.


Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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