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Omessa dichiarazione IVA: Nel calcolo della base imponibile non rilevano i costi non documentati.

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Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che, ai fini della configurabilità dei reati in materia di IVA, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l'eventuale sussistenza di costi non documentati, perché l'IVA è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali.


Cassazione penale sez. III, 18/11/2022, (ud. 18/11/2022, dep. 13/12/2022), n.47051

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 26 gennaio 2022, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Como nella parte in cui aveva dichiarato la penale responsabilità di M.D.P. per i reati di omessa dichiarazione ai fini IVA per gli anni di imposta 2010 e 2011, e lo aveva condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione.


Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, M.D.P., quale titolare dell'omonima impresa individuale esercente l'installazione di impianti elettrici, avrebbe omesso le dichiarazioni fiscali obbligatorie per l'anno 2010, con evasione d'IVA pari a 63.117,48 Euro, e per l'anno 2011, con evasione d'IVA pari a 53.389,07 Euro. Il medesimo imputato, già in primo grado, è stato assolto dal reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali obbligatorie per gli anni 2010 e 2011, con riguardo all'IRPEF, e per l'anno 2012, con riguardo ad IRPEF e IVA, perché l'imposta evasa a tali titoli è risultata di importo inferiore a quello previsto dalla soglia di punibilità.


2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe M.D.P., con atto sottoscritto dall'avvocato Maria Chiara Zanconi, articolando tre motivi.


2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avuto riguardo al ritenuto superamento della soglia di punibilità.


Si deduce che la sentenza impugnata non ha in alcun modo risposto alle censure formulate nell'atto di appello, le quali chiedevano una verifica in ordine all'effettivi ammontare delle entrate sui conti correnti ai fini della determinazione della base per calcolare l'IVA, ed in particolare un apprezzamento delle indicazioni esposte nella consulenza tecnica della difesa, relative ad insoluti, duplicazioni di partite, storni o incassi relativi a fatture emesse negli anni precedenti, riportate analiticamente nel ricorso a pag. 4, e del tutto ignorate nella decisione del Tribunale in relazione ai reati per i quali è stata pronunciata condanna. Si segnala che l'approfondimento era decisivo anche per la minima entità del superamento della soglia di punibilità, pari a circa 13.000,00 Euro per il 2010 e a soli 3.000,00 Euro per il 2011, per la rilevanza riconosciuta alla consulenza tecnica della difesa ai fini dell'assoluzione dagli altri reati contestati, e per la natura induttiva dell'accertamento. Si precisa che: -) il silenzio sul punto nella sentenza di appello non può essere colmato attraverso un rinvio alla sentenza di primo grado, posto che anche questa non aveva dato risposte ai rilievi contenuti nella consulenza tecnica della difesa; -) una risposta alle osservazioni della consulenza tecnica non può essere individuata nel riferimento alla non inerenza ai costi dell'impresa di fatture relative all'acquisto di generi alimentari, siccome il giudizio di non inerenza, compiuto dalla Guardia di Finanza e ripreso acriticamente nelle sentenze di merito, risulta del tutto immotivato.


2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo.


Si deduce che il dolo specifico di evasione è stato desunto dalla totale assenza di versamenti di imposta, anche tardivi, ossia, in modo manifestamente irragionevole, da una condotta successiva alla commissione del fatto. Si osserva, poi, che la consapevolezza del superamento della soglia di punibilità non può essere fondata sulla consapevolezza dell'effettività dell'attività aziendale, perché l'esatto ammontare dell'imposta evasa è oggetto di contrasto, tanto da aver richiesto lo svolgimento di una complessa attività istruttoria, e perché la contabilità dell'impresa era tenuta dalla ex-moglie, la quale poi non ha fornito alcuna collaborazione al recupero della documentazione nemmeno durante le indagini. Si aggiunge, ancora, che del tutto illegittimamente non è stato dato alcun significato al conferimento dell'incarico ad un commercialista per la compilazione della dichiarazione relativa all'anno 2012.


2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., avuto riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.


Si deduce che il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato deciso valorizzando precedenti penali inesistenti o comunque considerati in astratto e non in concreto, e senza valutare elementi puntualmente segnalati nell'atto di appello.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, ma la costituzione del rapporto processuale impone di annullare senza rinvio la sentenza con riferimento alla contestazione concernente l'evasione di IVA per l'anno 2010, per essere il reato estinto per prescrizione, e di rinviare gli atti alla Corte d'appello di Milano per la determinazione della pena relativamente al reato relativo all'evasione di IVA per l'anno 2011.


2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l'affermazione di sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 5 con riferimento all'evasione dell'IVA per il 2010 e per il 2011, deducendo che la sentenza impugnata non avrebbe risposto alle puntuali censure contenute nell'atto di appello in ordine alla corretta individuazione dei costi e dei ricavi, ed al conseguente mancato superamento della soglia di punibilità.


2.1. La sentenza impugnata, innanzitutto, sintetizza i motivi di appello relativi alla individuazione dei costi e dei ricavi conteggiati nella sentenza di primo grado e rappresenta che le censure riguardano sia l'avvenuta considerazione di importi che avrebbero dovuto essere esclusi, secondo le indicazioni del consulente tecnico di parte, sia l'omesso computo di fatture passive prodotte dalla difesa.


La Corte d'appello, poi, spiega perché la sentenza di primo grado ha proceduto correttamente al conteggio dei costi e dei ricavi. Innanzitutto, premette che non è stata rinvenuta o esibita documentazione contabile relativa alla ditta dell'imputato. Quanto ai ricavi, poi, rappresenta che la consulenza tecnica redatta su incarico della difesa non ha analizzato tutti i conti correnti sui quali poteva operare l'imputato, né ha tenuto conto delle operazioni non transitate attraverso i rapporti bancari. In riferimento ai costi, infine, espone che: - sono state prese in considerazione solo le operazioni effettivamente documentate con riferimento all'IVA, in quanto a tali fini, per la natura del sistema di determinazione della base imponibile concernente tale tributo, non possono rilevare operazioni imponibili non registrate; - alcune delle fatture prodotte non sono state prese in considerazione perché non inerenti all'attività di impresa, come quella relativa all'acquisto di alimenti e bevande alcoliche presso la società "Metro".