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Lesioni personali: l'ematoma rientra nella nozione di malattia


Corte di Cassazione

La massima

In tema di lesioni personali, l'ematoma rientra nella nozione di malattia in quanto consiste in un versamento ematico nei tessuti sottocutanei che comporta un'alterazione anatomica alla quale segue un naturale processo riabilitativo (Cassazione penale , sez. I , 25/09/2020 , n. 31008).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. I , 25/09/2020 , n. 31008

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 settembre 2019, il Tribunale di Agrigento ha dichiarato inammissibile l'appello proposto nell'interesse di B.G.E. avverso la sentenza del Giudice di pace della medesima città, in data 24 settembre 2018, ed ha ‘disposto la trasmissione degli atti a questa Corte.


A ragione osservava che la pronuncia impugnata aveva inflitto una pena pecuniaria senza statuire alcunchè in ordine al risarcimento del danno, alle restituzioni e alla rifusione delle spese processuali, stante la mancata costituzione di parte civile della persona offesa, e che il mezzo di impugnazione doveva essere qualificato come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568 c.p.p. poichè denunziava anche vizi di legittimità.


2. Il Giudice di Pace, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto con sentenza di questa Corte del 9 giugno 2017, aveva condannato il B. alla pena di Euro 600,00 di multa per reato di lesioni commesso ai danni di D.M.A..


Secondo il giudice agrigentino, le prove acquisite a carico del B., valutate in applicazione del principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, ne dimostravano la colpevolezza in ordine al contestato reato di lesioni personali. L'imputato, infatti, era stato chiamato in causa dalla persona offesa le cui dichiarazioni, valutate credibili, avevano trovato adeguato riscontro nel certificato medico in atti, che attestava la presenza nella guancia sinistra del D.M. di un "lieve ematoma con dolore alla digitopressione". Peraltro, il certificato dava atto che il paziente aveva riferito di essere stato aggredito da persona a lui nota.


3. Con l'appello riqualificato come ricorso il B., per mezzo del difensore di fiducia, avv. Salvatore Loggia, si duole:


- del difetto di motivazione in punto di accertamento di responsabilità, sul rilevo che il Giudice di pace abbia ritenuto sufficienti le dichiarazioni accusatorie della persona offesa pur prive di riscontri, tali non potendosi ritenere il certificato medico e la deposizione del testimone G.S.;


- della mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ai sensi o del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34 e seg. o, comunque, dell'art. 131 bis c.p., nonostante l'inesistenza di condizioni ostative, la concessione delle attenuanti generiche e la natura lievissima delle lesioni personali.


- della omessa derubricazione dell'addebito nella fattispecie di percosse che è configurabile laddove, come nel caso in scrutinio, la violenza abbia prodotto al soggetto passivo una sensazione fisica di dolore senza causare una malattia nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità, ossia come "alterazione anatomica cui si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità o un processo patologico o una compromissione significativa delle funzioni dell'organismo".


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.


2. Va, preliminarmente, esaminata la questione della legittimità dell'ordinanza di trasmissione degli atti previa riqualificazione dell'impugnazione.


2.1. La disposizione contenuta nell'art. 568 c.p.p., comma 5, contrariamente a quanto ritenuto da un risalente indirizzo giurisprudenziale, non va intesa nel senso che il giudice ha il potere - dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del mezzo impugnatorio, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico, solo in caso di erronea attribuzione del nomen iuris, mentre non gli è consentito di sostituire il mezzo effettivamente voluto e propriamente denominato, ma inammissibilmente proposto, dalla parte, con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile, giacchè, in tale ultima ipotesi, non si tratta di inesatta qualificazione dell'impugnazione, suscettibile di rettifica ope iudicis, bensì di un'infondata pretesa da sanzionare con l'inammissibilità (Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, dep. 1998, Nexhi, Rv. 209336). A mente dell'art. 568 c.p.p., comma 5, se un provvedimento giurisdizionale è impugnato dalla parte interessata con un mezzo diverso dal tipo (unico) normativamente prescritto e/o proposto dinanzi a giudice incompetente, il giudice adito - prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore-ostativo o di scelta deliberata - deve limitarsi semplicemente a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento che determina l'esistenza giuridica dell'atto proposto e lascia impregiudicata la sua validità) e a trasmettere gli atti al giudice competente, con atto da inquadrarsi nella categoria della qualificazione giuridica dell'atto (diverso dalla conversione della impugnazione: istituto del quale costituiscono ipotesi specificamente disciplinate quelle di cui all'art. 569 c.p.p., commi 2 e 3 e art. 580 c.p.p.).


Nel sistema così ricostruito è, però, riservato, in via esclusiva, al giudice competente a conoscere, secondo la previsione del sistema normativo, sia dell'ammissibilità che della fondatezza dell'impugnazione, il potere di procedere alla definitiva qualificazione e di accertare l'esistenza dei requisiti di validità dell'atto. Ciò, con l'ulteriore effetto che la trasmissione degli atti al giudice competente non richiede necessariamente un provvedimento giurisdizionale, ma può avvenire anche con un atto di natura meramente amministrativa, unico limite all'operatività dell'art. 568, comma 5, cit. essendo costituito dall'accertamento di non impugnabilità del provvedimento, che esclude concettualmente qualunque possibilità di diversa qualificazione del mezzo eventualmente proposto (Sez. U, ord., n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; fra le successive, Sez. 6, n. 38253 del 05/06/2018, Borile, Rv. 273738).


Ha, pertanto, errato il Tribunale di Agrigento a delibare funditus l'impugnazione e a dichiarare inammissibile l'appello, invece di limitarsi a qualificarlo come ricorso per cassazione, con la conseguente trasmissione degli atti. Non si versa, tuttavia, nell'ipotesi in cui deve provvedersi necessariamente all'annullamento senza rinvio del provvedimento del giudice di appello che si è erroneamente pronunciato sull'impugnazione avverso una sentenza inappellabile, con conseguente necessità di una pronuncia della Corte di cassazione sull'originaria impugnazione, da qualificarsi come ricorso, dopo aver ritenuto il giudizio (Sez. 5, n. 13905 del 08/02/2017, B., Rv. 269597; Sez. 7, n. 15321 del 06/06/2016, dep. 2017, Boggione Rv. 269696).


2.2. Il Collegio, a seguito della trasmissione degli atti, è tenuto a procedere ad un autonomo giudizio sulla validità dell'atto di impugnazione sub specie di ricorso di legittimità prescindendo del tutto dalle valutazioni contenute nell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'atto di appello che, stante la sua natura abnorme, può considerarsi inesistente.


L'esito di questo preliminare giudizio depone nel senso della qualificazione dell'appello quale ricorso per cassazione.


Nell'originario atto di impugnazione sussistevano (e dunque persistono) censure legittimamente deducibili con il ricorso per cassazione come quelle inerenti la violazione dei criteri di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, l'elemento oggettivo del reato di lesioni, la ricorrenza di una causa di esclusione della punibilità. Esse, sebbene non articolate nei termini di cui all'art. 606 c.p.p., non consentono di ritenere che l'imputato avesse formulato richiesta di una rivalutazione nel merito.


D'altra parte, l'appello avverso la sentenza di condanna del Giudice di pace a sola pena pecuniaria non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, essendo necessario sempre avere riguardo - al di là dell'apparente nomen iuris alle reali intenzioni dell'impugnante ed all'effettivo contenuto dell'atto di gravame, onde, nel caso in cui, dall'esame dell'atto stesso, si tragga la conclusione che l'impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l'appello va dichiarato inammissibile (Sez. 5, n. 8104 del 25/01/2007, Parma, Rv. 236521).


3. Tanto premesso, il ricorso è fondato su censure manifestamente infondate sicchè deve esserne dichiarata l'inammissibilità.


3.1. Il Giudice di pace, peraltro uniformandosi ai principi dettati dalla sentenza della Suprema Corte che ha disposto il rinvio, nell'apprezzare le prove a carico ha correttamente valutato le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, considerando non riscontri, nei termini richiesti dall'art. 192 c.p.p., comma 3, per le chiamate in reità o correità, ma una significativa conferma della sua attendibilità, già positivamente valutata, il certificato medico in atti e la deposizione del teste G., il quale, nonostante la reticenza, aveva finito con l'ammettere che tra il B. ed il D.M. vi era stato un litigio.


3.2. Nel procedimento davanti al giudice di pace la causa di esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, non può essere dichiarata d'ufficio, in assenza di deduzione specifica della difesa, "richiedendosi ai fini del "decisum" di improcedibilità la mancata opposizione dell'imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa. Ne deriva che la doglianza sulla sua omessa applicazione non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità" (ex plurimis Sez. 1, n. 49171 del 28/09/2016, Chebouti,Rv. 268458). Nel caso in scrutinio, invero, non è stato neanche prospettato che siffatta deduzione vi sia stata nel giudizio di merito.


3.3. La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace. (Sez. U, n. 53683 del 22/06/2017, Pmp ed altri, Rv. 271587).


3.4. Infine, è giuridicamente ineccepibile la decisione di qualificare il fatto accertato come lesioni personali e non come percosse, alla luce dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui "l'ematoma" è riconducibile alla nozione di "malattia" sufficiente ad integrare il delitto di cui all'art. 582 c.p., trattandosi di un versamento ematico nei tessuti sottocutanei e quindi di un'alterazione anatomica cui fa naturalmente seguito un processo riabilitativo (Sez. 5, n. 2081 del 05/12/2008, dep. 2009, De Silvio, Rv. 242544; Sez. 1, n. 11000, del 9/5/1978, Piccinotti, Rv. 139944).


4. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 25 settembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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