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Lesioni personali lievi: con la Cartabia è illegale l'inflizione della pena della reclusione


Corte di Cassazione

La massima

In tema di lesioni personali lievi, divenute procedibili a querela per effetto dell' art. 2, comma 1, lett. b), d.lg 10 ottobre 2022, n. 150, rientrando il delitto nella competenza per materia del giudice di pace, è illegale l'inflizione della pena della reclusione, anche nel caso in cui esso sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della suddetta disposizione normativa o sia stato giudicato da un giudice diverso. (In motivazione, la Corte ha evidenziato un difetto di coordinamento tra l' art. 4, comma 1, lett. a), d.lg. 28 agosto 2000, n. 274 e l' art. 582, comma 2, c.p. , in quanto il primo, che non è stato modificato, continua a riferirsi al secondo che, invece, non individua più ipotesi procedibili a querela - Cassazione penale , sez. V , 31/01/2023 , n. 10669).

Fonte: Ced Cassazione Penale 2023


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La sentenza

Cassazione penale , sez. V , 31/01/2023 , n. 10669

RITENUTO IN FATTO

1. T.D.P.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1444/2022 della Corte di Appello di Milano, III Sezione Penale, resa all'udienza del 28 febbraio 2022, con la quale veniva parzialmente riformata la sentenza n. 306/2020, emessa dal giudice di primo grado, che lo aveva dichiarato, in sede di giudizio abbreviato, colpevole del reato di lesione personale, giudicata guaribile in giorni 25 - esclusa l'aggravante di cui all'art. 576 c.p., comma 1, n. 5, - di cui al capo 2 dell'imputazione assolvendolo da quello di maltrattamenti in famiglia contestato al capo 1; in particolare il giudice di secondo grado, concesse le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in mesi sei di reclusione, riconoscendo anche il beneficio della non menzione della condanna, nonché ridotto la somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno.


2. L'imputato, tramite il difensore di fiducia, deduce i seguenti cinque motivi.


2.1. Col primo motivo deduce violazione di legge per mancata applicazione dell'art. 62 c.p., n. 2; l'imputato ha agito in stato di ira perché provocato dalla persona offesa sia per la condotta tenuta da questa verso la madre dell'imputato un'ora prima, sia per la condotta tenuta dalla stessa nei suoi confronti nell'immediatezza della sua reazione dal momento che era stato dalla persona offesa colpito con una manata sulla spalla, e poiché la stessa nel mentre si trovavano in auto e cercavano di parcheggiare continuava ad inveire contro la madre del compagno.


2.2. Col secondo motivo deduce manifesta illogicità della motivazione essendosi esclusa la cd. provocazione da accumulo nonostante si sia dato risalto anche alle condotte irrispettose ed aggressive reiterate nel tempo da parte della persona offesa ai danni del ricorrente.


2.3. Col terzo motivo deduce la contraddittorietà tra le diverse parti della motivazione; La Corte territoriale mentre, dapprima, considera le percosse di T. brutali, sproporzionate rispetto a quelle della persona offesa, subito dopo sostiene che la predetta non ha diritto a un così elevato risarcimento del danno perché il ricorrente non poteva averle fatto così tanto male nella posizione svantaggiosa in cui si trovava, seduto sul sedile anteriore della vettura.


La motivazione è altresì contraddittoria nella parte in cuì da lato ha riconosciuto le attenuanti generiche sulla base di argomenti che ben potevano giustificare l'attenuante della provocazione e dall'altro ha invece negato tale riconoscimento.


2.4. Col quarto motivo deduce l'omessa valutazione della prova (riscontrata dalle dichiarazioni del teste M.) in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione di cui all'art. 62 c.p., n. 2, reiterando aspetti di cui ai motivi precedenti.


2.5. Col quinto motivo si lamenta che Corte territoriale ha errato anche con riferimento al risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile, in quanto con il giusto riconoscimento della provocazione, la liquidazione del danno a favore della persona offesa non troverebbe più giustificazione poiché questa con la provocazione posta in essere accetta il rischio di subire una reazione da parte dell'altro soggetto.


3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:


il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata con riferimento all'attenuante della provocazione;


il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese;


il difensore dell'imputato, nel richiamare integralmente il contenuto del ricorso e l'orientamento di questa Corte già ricordato dal Procuratore Generale nella requisitoria, insiste per l'annullamento della sentenza impugnata sul mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione ex art. 62 c.p., n. 2, con ogni conseguente statuizione sia sulla rideterminazione della pena che sull'entità del risarcimento del danno in favore della parte civile.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente alla pena applicata in relazione al reato di lesione personale - il solo per il quale è intervenuta condanna; esso è inammissibile nel resto.


1.1. Preliminarmente si osserva che per il reato di lesione giudicata guaribile in giorni 25, ossia per un tempo superiore a 20 giorni, a seguito della cd. riforma Cartabia - di cui al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, realizzato in attuazione della Legge Delega 27 settembre 2021, n. 134, ed entrato in vigore il 30.12.2022 nella pendenza del ricorso per cassazione in scrutinio, in virtù del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 6 (c.d. decreto rave), convertito in legge dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, che inserendo nel D.Lgs. n. 150 del 2022 il nuovo art. 99-bis, ha differito dal 1 novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore dell'intera riforma - non solo si procede solo a querela (profilo questo che non rileva però nel caso di specie essendovi la costituzione di parte civile della persona offesa) - ma per esso devono di conseguenza anche ritenersi - di là del difetto di coordinamento rinvenibile non risultando aggiornato il disposto di cui al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 27, art. 4, - ponendosi l'accento sul riferimento ai reati perseguibili a querela che nel testo novellato dell'art. 582 c.p. si trovano nel comma 1 -, oramai applicabili le pene del giudice di pace che diventa il giudice competente per le lesioni superiori a 20 giorni, a condizione che non siano commesse contro persona incapace per età o infermità o un sanitario (o che non si tratti delle lesioni cd. familiari - vedi art. 577 c.p. non contestato nel caso di specie - o di lesione aggravate ex artt. 583 e 585).


Ed invero, sebbene il citato art. 4 non è stato modificato e continua a riferirsi ancora all'art. 582 c.p., comma 2, che non individua più ipotesi procedibili a querela, bensì le sole ipotesi procedibili d'ufficio, sembra ad ogni modo indubbio che tanto le "vecchie" quanto le nuove ipotesi di lesioni personali, rese procedibili a querela, siano attratte nella competenza del giudice di pace e, pertanto, soggette alle pene non detentive previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 52. Ne consegue, a fronte di una sopravvenuta lex mitior di carattere non solo processuale, ma anche sostanziale, l'applicabilità dell'art. 2 c.p., comma 4 e, pertanto, delle più miti pene previste dal sistema del giudice di pace anche quando il reato, commesso prima del 30 dicembre 2022, sia giudicato da un giudice diverso.


Ne discende che la pena della reclusione applicata nel caso di specie è divenuta illegale a seguito della modifica sopra indicata introdotta dalla riforma Cartabia, e che spetta di conseguenza a questa Corte rilevare tale illegalità.


Ed invero, hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689 - 01, che spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3,13,25 e 27 Cost. il potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l'illegalità della pena determinata dall'applicazione di sanzione "ai) origine" contraria all'assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (Fattispecie relativa ad irrogazione della pena detentiva per il reato di cui all'art. 582 c.p., in luogo delle sanzioni previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, b).


Tale potere di ufficio permane anche nel caso - come quello in esame - di illegalità sopravvenuta (cfr. Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111 - 01, come riportata nella pronuncia Miraglia teste' indicata che così ne riassume il passaggio che assume rilievo ai fini che occupano, " che, introducendo profili argomentativi di sicuro rilievo, rispetto al tema del bilanciamento di valori ormai sotteso ad ogni riflessione sul giudicato, hanno stabilito che, in tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione, pur in presenza di un ricorso inammissibile, può d'ufficio ritenere applicabile all'imputato il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio, disponendo l'annullamento sul punto della sentenza di merito pronunciata prima della modifica normativa in mitius: ciò perché la finalità rieducativa della pena e il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare, sulla base dei nuovi e più miti parametri edittali, la misura della sanzione precedentemente individuata e non più legalmente conformata").


1.2. Il ricorso, che pur nella diversa declinazione dei vizi di volta in volta denunciati, si incentra sulla sussistenza della provocazione che si lamenta ingiustamente non riconosciuta, non si confronta minimante con la motivazione della sentenza impugnata della quale estrapola segmenti argomentativi per evidenziarne le asserite contraddittorietà ed illogicità.


Ed invero, dalla mera lettura della sentenza impugnata balza evidente come la corte di appello nel concedere le attenuanti generiche abbia sì fatto riferimento alla condotta irreprensibile dell'imputato ma abbia inteso riferirsi a quella complessiva di vita serbata nel tempo dal predetto, mai incline in altri casi all'uso della violenza, così facendo espressamente salva la vicenda in esame in cui l'uomo aveva invece manifestato una violenza non comune - descritta dal primo giudice secondo quanto si riporta nella sentenza impugnata e nello stesso ricorso come una sequenza di pugni risoltasi in una vero e proprio pestaggio sia pure indotta dalle contingenze venutesi a creare in conseguenza dell'atteggiamento da lui ritenuto poco rispettoso assunto dalla persona offesa nei confronti della madre dell'imputato, all'epoca suo convivente.


Tale impostazione non implica dunque, a differenza di quanto si assume in ricorso, alcuna contraddizione tra le due affermazioni né tanto meno alcuna contraddizione è ravvisabile in ordine al fatto che la corte, pur collegando in un certo qual modo l'episodio in contestazione con il comportamento irritante della persona offesa, abbia poi escluso la ricorrenza della provocazione. Ed invero, nella sentenza impugnata non si manca al contempo di evidenziare come le modeste percosse inflitte dalla persona offesa all'imputato non potessero in alcun modo definirsi proporzionate rispetto alla scomposta, violenta reazione del T. la cui esasperazione - correttamente valorizzata ai soli fini delle attenuanti generiche - in altri termini non poteva assurgere ad integrare l'attenuante in parola.


Ed invero, come ha già avuto modo condivisibilmente di affermare questa Corte la circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non è configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e ii reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d'ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira (Sez. 5, n. 8945 del 19/01/2022, Rv. 282823 - 01).


Ne' alcuna contraddizione potrebbe ravvisarsi in ordine al fatto che ai fini del riconoscimento del beneficio della non menzione abbia fatto riferimento alla condotta anteatta e al buono inserimento sociale dell'imputato nella società.


Quanto infine alla questione posta in relazione al risarcimento del danno, va evidenziato che, anzi, il giudice dell'appello motiva e spiega le ragioni per le quali ha rideterminato nella somma indicata il danno, laddove l'accenno alla posizione dell'imputato è svolto unicamente per controdedursi alla sproporzionata entità del danno indicata dalla persona offesa senza che tale posizione abbia però inciso sulla sua considerazione al punto da svilire del tutto la dimensione del danno, solo più opportunamente ancorata alle effettive conseguenze dannose verificatesi. Trattasi dunque solo di un'annotazione che mira ad evidenziare la eccessività della iniziale pretesa, ben lungi, cioè, dal disconoscere il danno e la portata delle lesioni


2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla individuazione/determinazione della pena da applicare, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio sul punto; il giudice che procede rimane invero la Corte di appello, trovando applicazione quanto disposto dall'art. 63, comma 1 (e, per analogia, dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 64, comma 2).


Nel resto la pronuncia impugnata deve essere invece dichiarata inammissibile.


Nulla per le spese di parte civile, non risultando esplicitate le ragioni poste a sostegno delle richieste conclusive rassegnate genericamente nella memoria in atti (cfr. Sez. U del 14.7.2022, Sacchettino, dep. il 12.1.2023, n. 877/2023, che in motivazione ha affermato che in relazione al giudizio di legittimità celebrato con rito camerale non partecipato, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile e risarcitoria fornendo un'utile contributo alla decisione).


In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano. Inammissibile il ricorso nel resto.


In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2023.


Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2023

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