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Lesioni personali: procedibilità d'ufficio se commesse in occasione del reato di maltrattamenti


Corte di Cassazione

La massima

Il reato di lesioni personali, quando aggravato ai sensi dell' art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen., perché commesso in occasione del delitto di maltrattamenti, è procedibile d'ufficio, anche nell'ipotesi di lesioni lievissime, per effetto del richiamo operato dall' art. 582, comma secondo, cod. pen. all'art. 585 e di questo al citato art. 576 (Cassazione penale , sez. VI , 22/01/2020 , n. 11002);

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. VI , 22/01/2020 , n. 11002

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 marzo 2019 la Corte di appello di Brescia, in accoglimento dell'appello della parte civile, ha parzialmente riformato la decisione emessa all'esito del giudizio di primo grado, dichiarando B.M. responsabile ai soli fini civili dei reati di maltrattamenti (capo 1) e di atti persecutori (capo 2) in danno della convivente A.F., con la conseguente condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili ( A.F. e Associazione "Casa delle donne" di (OMISSIS)), rideterminando, altresì, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dal P.G. relativamente all'erroneo riconoscimento delle attenuanti generiche e all'entità del trattamento sanzionatorio, la pena irrogatagli per il delitto di lesioni personali cagionate alla predetta convivente (capo 3) nella misura di Euro 2.500,00 di multa, con la conferma nel resto della decisione impugnata.


2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i motivi qui di seguito sinteticamente indicati.


2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge per il mancato rilievo della condizione di procedibilità in ordine al reato di lesioni personali lievi (capo 3), per il quale era necessaria la presentazione della querela, laddove i Giudici di merito lo hanno erroneamente ritenuto procedibile d'ufficio in quanto connesso alle imputazioni di maltrattamenti ed atti persecutori, sebbene l'imputato sia stato assolto in via definitiva dal delitto di cui all'art. 612-bis c.p. (capo 2).


2.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge in punto di omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p., comma 3, avendo la Corte d'appello ribaltato la sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado ritenendo intrinsecamente attendibile il portato narrativo della persona offesa, laddove il Tribunale aveva assolto l'imputato da entrambi i delitti di cui ai capi 1) e 2), sulla base di una diversa valutazione incentrata sulla inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.


2.3. Con il terzo motivo, infine, si lamentano violazioni di legge in relazione alle statuizioni civili inerenti ai fatti di cui ai capi 1) e 2), atteso che: a) per il delitto di atti persecutori la Corte d'appello, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale (che aveva escluso la stessa tipicità del reato), ne ha ritenuto, sia pure ai soli fini civili, la sussistenza degli elementi costitutivi, nonostante nel capo d'imputazione non figuri alcuno dei tre eventi tipicamente descritti in via alternativa dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis c.p., così violando il principio di correlazione tra accusa e sentenza; b) per il delitto di maltrattamenti di cui al capo 1) la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza delle condotte indicate nell'imputazione, pronunziando condanna, sia pure ai soli fini civili, sulla base di una ricostruzione dei fatti che induce a ritenere sussistenti le singole condotte (di molestia, percosse ed ingiurie), ma non la situazione di continuativa vessazione richiesta ai sensi dell'art. 572 c.p..


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, sia in quanto il P.M., in occasione della contestazione formulata per il reato concorrente ex art. 517 c.p.p., ha prodotto all'udienza del 3 aprile 2017 la querela del 17 ottobre 2013 ai fini della condizione di procedibilità (v. pag. 14 della sentenza di primo grado), sia in quanto nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla Corte distrettuale, deve comunque escludersi la necessità della querela, atteso il principio stabilito da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 3368 del 12/01/2016, P.G. in proc C., Rv. 266007), secondo cui il reato di lesioni personali, quando aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5, perchè commesso in occasione del delitto di maltrattamenti, è procedibile d'ufficio, anche nell'ipotesi di lesioni lievissime, per effetto del richiamo operato dall'art. 582 c.p., comma 2, all'art. 585 e di questo al citato art. 576.


Alla declaratoria di inammissibilità sul punto consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento in favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.


Da tale declaratoria discende, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa dalle parti civili sostenute nel grado: spese che, avuto riguardo alle richieste formulate e alla natura ed entità delle questioni dedotte, vanno complessivamente liquidate secondo le rispettive statuizioni decisorie in dispositivo meglio indicate.


2. Fondato, di contro, deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, atteso che il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489).


Obbligo di rinnovazione istruttoria, questo, che sussiste anche nel caso di impugnazione della sola parte civile (Sez. 5, n. 32854 del 15/04/2019, Gatto, Rv. 277000; Sez. 5, n. 38082 del 04/04/2019, Clemente, Rv. 276933).


A tale quadro di principii, invero, non si è uniformata la decisione impugnata, che ha ribaltato il giudizio assolutorio cui era pervenuto il giudice di primo grado ritenendo l'imputato responsabile ai soli fini civili dei reati di maltrattamenti (capo 1) e di atti persecutori (capo 2) in danno della predetta convivente, ma al contempo formulando, contrariamente al convincimento in parte de qua espresso dal primo giudice (che in alcuni passaggi della motivazione ha espressamente valutato come inattendibile, "fortemente contraddittorio" e "poco credibile" il contributo narrativo offerto dalla persona offesa), un giudizio di piena attendibilità del contenuto delle dichiarazioni dalla medesima rese.


3. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, l'annullamento della decisione impugnata agli effetti civili, limitatamente ai reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ex art. 622 c.p.p., dovendosi ritenere logicamente assorbito, allo stato, il secondo profilo della terza ragione di doglianza nel ricorso prospettata ed al contempo irrilevante, stante la natura del giudizio rescissorio, il primo profilo ivi enucleato (v., in narrativa, rispettivamente, il par. 2.3, lett. b) e lett. a)).


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.M. limitatamente al reato di lesioni personali e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile A.F., che liquida in Euro 3.510,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA e nei confronti dell'Associazione "Casa delle donne" di (OMISSIS) che liquida in Euro 1.785,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili limitatamente ai reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.


In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.


Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.


Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2020

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