La massima
È configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 c.p. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell' art. 576, comma 1, n. 5, c.p.: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro (Cassazione penale , sez. VI , 22/04/2022 , n. 17872).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale , sez. VI , 22/04/2022 , n. 17872
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la pronuncia di primo grado - escludendo la recidiva, rideterminando la pena inflitta all'imputato e revocando un beneficio - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 9 febbraio 2021 con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia aveva condannato C.A. in relazione ai reati di cui all'art. 572 c.p., commi 1 e 2, commesso sino al (OMISSIS) in danno della compagna convivente B.T. e del figlio minore R. (capo a), e di cui agli artt. 582 e 585 c.p., art. 576 c.p., comma 1, n. 5, commesso il (OMISSIS) in danno della B..
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C.i, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto quattro motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 572 c.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna benché le emergenze processuali non avessero dimostrato il requisito dell'abitualità delle condotte e il connesso elemento psicologico necessari per ritenere integrato il delitto in argomento: avendo l'imputato ammesso solo l'esistenza di litigi estemporanei con la propria compagna ed avendo il figlio, sentito come teste, riconosciuto l'episodicità degli episodi in cui si era manifestata la irascibilità del genitore.
2.2. Violazione di legge, in relazione alle norme di legge sostanziale contestate, per avere la Corte distrettuale erroneamente escluso la ricorrenza di una ipotesi di reato complesso, riconoscendo, invece, l'aggravante teleologica tra i reati di lesioni personali e di maltrattamenti in famiglia, benché illeciti commessi in un contesto unitario, essendo irrilevante che si tratti di reati posti a presidio di differenti beni giuridici.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis e 69 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento delle attenuanti generiche con un giudizio di prevalenza sulle aggravanti, senza tenere conto del comportamento tenuto dall'imputato dopo i fatti, dell'avvenuto risarcimento dei danni, dell'intervenuto avvio di un percorso di psicoterapia e del mantenimento economico che il prevenuto ha assicurato ai propri familiari.
2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 572 c.p., comma 2 e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello ritenuto configurabile una ipotesi di "violenza assistita", benché difettino il requisito dell'abitualità delle condotte maltrattanti e il rapporto causale con uno stato di sofferenza psichica del figlio minore che, escusso come teste, aveva escluso la ricorrenza di tale elemento fattuale.
3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, convertito dalla L. 16 settembre 2021, n. 126, ed ancora dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di C.A. vada rigettato.
2. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali. I rilievi formulati - peraltro con un certo grado di genericità - dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, inoltre, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale.
La Corte territoriale aveva chiarito, con motivazione perspicua e convincente come la versione della persona offesa - che aveva parlato di una relazione che, a partire dal 2019, era stata caratterizzata dagli abituali maltrattamenti dell'imputato ai danni suoi e del figlio, spesso tradottisi in forme di "pestaggio" causati da motivi banali o futili - avesse trovato significativo riscontro nella sostanzialmente conforme versione testimoniale offerta dal figlio R. (nonostante questi avesse ammesso che vi erano stati anche periodi di "normalità" nei comportamenti del genitore), nonché nella deposizione della teste Z., assessore del comune di residenza dei protagonisti delle vicende narrate.
3. Il secondo motivo è del ricorso è infondato.
E' certamente da escludere che, nel rapporto tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 c.p., sia applicabile il principio di specialità, in quanto è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il criterio di cui all'art. 15 c.p. richiede, ai fini della individuazione della disposizione ipoteticamente prevalente, che il presupposto della convergenza di norme possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (così, tra le tante, Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Palombarini, Rv. 232303). Condizioni di convergenza che non sono riconoscibili tra le due fattispecie in argomento, considerato che nell'art. 582 c.p., la condotta è costituita dal compimento istantaneo di atti lesivi dell'integrità fisica e l'evento è rappresentato dalla malattia nel corpo o nella mente causato alla vittima, mentre nell'art. 572 c.p., si parla più genericamente di comportamenti abituali di maltrattamenti, senza l'indicazione di uno specifico evento. Dunque, è da escludersi, per tale raffronto, che esista una norma speciale che prevale su una generale, cioè che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante.
Nel confronto delle norme oggetto del presente processo deve pure escludersi l'applicabilità dell'art. 84 c.p., che riguarda l'ipotesi del c.d. reato complesso. E ciò sia perché è la legge che deve stabilire la sussistenza degli elementi strutturali indicati da tale articolo, e cioè che un elemento costitutivo o una circostanza aggravante di un reato sia rappresentato da fatti che la legge considera di per se stessi come reati), di talché non è sufficiente che in concreto la realizzazione di un reato si sia sviluppata occasionalmente attraverso un diverso reato, che, lungi dall'essere previsto legislativamente come elemento costitutivo o circostanza aggravante del secondo, costituisce solamente una particolare modalità di esecuzione del fatto integrante l'altro reato (in questo senso, tra le altre, Sez. 5, n. 2935 del 05/11/2018, dep. 2019, Manzo, Rv. 274589; Sez. 5, n. 45965 del 10/10/2013, Muratore, Rv. 257946; Sez. 5, n. 21409 del 05/02/2008, Franchi, Rv. 240081). Sia perché occorre la presenza di un ulteriore elemento sostanziale, quello della contestualità spaziale e temporale fra i singoli fatti criminosi che compongono la fattispecie del reato complesso, nonché di una loro collocazione in una comune prospettiva finalistica, vale a dire una convergenza dei fatti in direzione di un unico risultato finale.
I due profili vanno, dunque, valutati congiuntamente: solo se è la legge a prevedere espressamente la struttura tipica del reato complesso - dunque a stabilire che l'elemento costitutivo o una circostanza aggravante di un reato costituiscano essi stessi gli elementi integranti di altro reato - si può passare ad esaminare il profilo della contestualità spaziale, temporale e finalistica dei fatti; se la legge non prevede gli elementi strutturali tipici del reato complesso, ma dovesse ravvisare - come nella specie è accaduto - una forma di connessione solo occasionale, perché la commissione di un reato (quello di lesioni) risulta in concreto una particolare modalità di esecuzione dell'altro reato (quello di maltrattamenti), manca in radice la possibilità di applicare l'art. 84 c.p., ed è inutile passare a valutare l'esistenza degli ulteriori indicati requisiti di contestualità.
Aspetti, questi, in ordine ai quali manca un adeguato sviluppo critico nel ricorso presentato nell'interesse dell'odierno imputato, impugnazione che si presenta aspecifica: con la conseguenza che, nell'impossibilità di configurare un reato complesso, tenuto conto che il reato di cui all'art. 582 c.p., risulta consumato in occasione della commissione del delitto di cui all'art. 572 c.p., appare congruamente motivata la decisione della Corte territoriale di escludere l'applicabilità dell'art. 84 c.p. e di ritenere sussistente l'aggravante in argomento; con la sola necessità di correggere, ai sensi dell'art. 619 c.p.p., comma 1, il passaggio della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stata valorizzata la disomogeneità dei beni giuridici protetti dalle due norme incriminatrici contestate, trattandosi di elemento non decisivo per affermare l'esistenza o per escludere la configurabilità di un reato complesso.
Non conduce a differenti conclusioni il principio di diritto, impropriamente richiamato nell'atto di impugnazione, enunciato da una recente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, commesso a seguito di quello di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, integra, in ragione della unitarietà del fatto, un reato complesso circostanziato ai sensi dell'art. 84 c.p., comma 1 (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973). Tale regula iuris è riferita alla specifica ipotesi del reato omicidiario aggravato ai sensi del predetto n. 5.1. dell'art. 576 c.p., comma 1, norma diversa da quella dettata dal n. 5 dello stesso comma di cui all'addebito oggetto del presente processo: in quanto la disposizione del n. 5.1., nel prevedere che il delitto di omicidio è aggravato "dall'autore del delitto previsto dall'art. 612-bis c.p. nei confronti della stessa persona offesa", richiedendo l'identità del soggetto attivo e di quello passivo, ed il mero collegamento oggettivo delle due condotte astrattamente configuranti distinti reati, uno dei quali è indicato come aggravante dell'altro, regola giustappunto una ipotesi di reato complesso; ciò a differenza di quanto accade con la disposizione del n. 5, che fa riferimento esclusivamente al fatto che l'omicidio sia stato commesso "in occasione" della commissione di uno degli altri reati ivi elencati, che conservano la loro autonomia.
D'altro canto appare determinante nel presente processo che mentre nel rapporto tra il delitto di omicidio e uno dei reati elencati nell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5, si ammette la configurabilità di un reato complesso in forza della contestualità, ad analoghe conclusioni non è possibile nel rapporto tra il delitto di lesioni personali e uno dei reati elencati nei predetti n. 5 e 5.1. dell'art. 576 c.p., comma 1: e ciò non solo perché l'art. 585, nell'elencare le ipotesi aggravate del reato di lesioni personali, opera un richiamo della sola ipotesi del n. 5 e non anche di quella del n. 5.1., ma soprattutto perché non è compatibile con il logica dello stesso istituto la configurabilità di un reato complesso in ragione dell'assorbimento del delitto di maltrattamenti in quello di lesioni personali aggravato, considerato che quest'ultimo reato è punito in misura meno grave (reclusione da sei mesi a tre anni, aumentata da un terzo alla metà, ex artt. 582 e 585 c.p.) di quanto non sia previsto per quello "assorbito" (reclusione da tre a sette anni ex art. 572 c.p.).
4. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini della comparazione tra circostanza aggravanti e attenuanti: esercizio che, lungi dal necessitare di un esame analitico di tutte le emergenze processuali, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, la oggettiva gravità di taluni episodi integranti specifici episodi di maltrattamenti, trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini della delimitazione dell'operatività dell'art. 69 c.p..
5. Il quarto motivo del ricorso, negli specifici termini in cui è stato formulato, è inammissibile perché avente ad oggetto una questione posta per la prima volta solo con il presente atto di impugnazione.
L'art. 606 c.p.p., comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
6. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità (che andranno pagate in favore dello Stato, essendo stata la prevenuta ammessa al gratuito patrocinio), la cui liquidazione va riservata ai giudici di merito che dispongono della documentazione necessaria per l'adozione di una decisione a contenuto discrezionale, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 83.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Brescia, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2022