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Messa alla prova: Va concessa per la seconda volta nel caso di continuazione del reato.

Con la sentenza di seguito riportata, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che l'imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

Corte Costituzionale, 12/07/2022, (ud. 23/06/2022, dep. 12/07/2022), n.174

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 16 giugno 2021, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta, non prevede che l'imputato ne possa usufruire per reati connessi, ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.


1.1.- Riferisce il rimettente che D. A. e D. D.V. - imputati del reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per aver effettuato, tra il 20 settembre e il 21 dicembre 2018, undici cessioni di cocaina in quantità variabile tra 0,5 e 1,7 grammi - nel corso dell'udienza preliminare hanno chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell'art. 168-bis cod. pen.


Gli imputati hanno già beneficiato della messa alla prova in altro procedimento penale relativo a un episodio di spaccio, coevo a quelli contestati nel giudizio a quo e ad essi avvinto dalla continuazione (art. 81, secondo comma, cod. pen.), trattandosi di fatti tutti commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Tale procedimento, sospeso con ordinanza del 7 gennaio 2019, si è concluso con declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.


Osserva il rimettente che la richiesta avanzata dagli imputati non può allo stato essere accolta, in quanto l'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. prevede che la messa alla prova non può essere concessa per più di una volta. Di qui la rilevanza della questione.


1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva quanto segue.


1.2.1.- Ricostruite anzitutto la genesi storica e la ratio della sospensione del procedimento con messa alla prova - istituto che sarebbe connotato da «una necessaria componente afflittiva (che ne salvaguarda la funzione punitiva e intimidatrice)» e volto a «soddisfare nel contempo istanze specialpreventive e risocializzatrici, mediante l'incentivazione dei comportamenti riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato» - il rimettente osserva che la limitazione posta dall'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. non era contenuta nel disegno all'origine della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), che ha introdotto nell'ordinamento la facoltà, per l'imputato maggiorenne, di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Prima degli emendamenti apportati al disegno di legge in Senato, era infatti prevista la possibilità di fruire per due volte della messa alla prova, salvo quando il successivo procedimento riguardasse reati della stessa indole dei precedenti.


1.2.2.- Il limite della concedibilità per una sola volta non è inoltre previsto in relazione alla sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato minorenne, di cui agli artt. 28 e 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).


Con riferimento al tale istituto, la giurisprudenza avrebbe in effetti riconosciuto che, in caso di continuazione tra reati giudicati e giudicandi, è possibile concedere il beneficio anche in relazione a questi ultimi, purché il giudice accerti la sussistenza del vincolo della continuazione e di elementi idonei a svolgere una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore, al fine di redigere un progetto idoneo al raggiungimento dell'obiettivo di rieducazione e reinserimento nella vita sociale (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 luglio 2014, n. 40312 e sezione seconda penale, sentenza 8 novembre 2012, n. 46366).


1.2.3.- Quanto alla messa alla prova per l'imputato maggiorenne, la limitazione prevista dalla disposizione censurata, secondo il giudice rimettente, «non esclude, in linea di principio, che in caso di simultaneus processus avent[e] ad oggetto più fatti di reato, il Giudice possa riconoscere il vincolo della continuazione e giungere (con adeguata motivazione) ad un giudizio di meritevolezza del programma di trattamento redatto dall'UEPE [Ufficio per l'esecuzione penale esterna] anche attraverso l'esercizio dei poteri (integrativi e/o aggiuntivi) in tema di condotte riparatorie a favore della persona offesa e di commisurazione dei tempi e modi di espletamento del lavoro di pubblica utilità».


Ove, invece, «per scelta processuale del PM nella fase delle indagini preliminari o per diversa tempistica processuale», i reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso vengano contestati in diversi procedimenti, e uno di questi si concluda con l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ciò «consuma definitivamente l'unica possibilità» dell'imputato di fruire del beneficio. E invero, la richiesta di messa alla prova successivamente avanzata in altro procedimento - pur relativo a un reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. - sarebbe destinata a una declaratoria di inammissibilità, giusta il disposto dell'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen.


1.2.4.- Sotto quest'ultimo profilo, si coglierebbe «in maniera apprezzabile l'irrazionalità del sistema conseguente alla applicazione della norma censurata: la messa alla prova, per poter essere richiesta nell'unica volta esperibile, deve riguardare solo fatti giudicati in uno stesso procedimento», mentre «[i]n caso di parcellizzazione dei procedimenti - e di esistenza di ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b) c.p.p. -, la disciplina in vigore non consente di 'agganciare' alla precedente estinzione del reato fatti per cui si sarebbe potuta compiere una prognosi favorevole di astensione futura dai reati e positivo reinserimento sociale, con riconoscimento del vincolo della continuazione e valutazione finale di esito positivo della messa alla prova».


1.2.5.- La disposizione censurata determinerebbe dunque un'irragionevole disparità di trattamento tra l'imputato sottoposto a simultaneus processus in relazione a reati connessi ex art. 12, lettera b), cod. proc. pen. - il quale potrebbe fruire della sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti i reati contestatigli - e l'imputato che affronta giudizi distinti (ancorché connessi), che invece avrebbe diritto a richiedere il beneficio solo la prima (e unica) volta.


Tale disparità sarebbe palese, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (è citata Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 novembre 2008-23 gennaio 2009, n. 3286), secondo cui il reato continuato «va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa solo esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo, così rispondendo alla ratio di favor rei dell'istituto in oggetto»; giurisprudenza in base alla quale i reati avvinti dalla continuazione sarebbero da considerare come un'unità fittizia, ad esempio, ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Stante il parallelismo - evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 91 del 2018 - tra quest'ultimo istituto e la messa alla prova, tra gli effetti favorevoli che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati comporta «non [potrebbe] non annoverarsi quello derivante dall'esito positivo della messa alla prova, ovviamente previa valutazione positiva in ordine al riconoscimento del medesimo disegno criminoso e alla meritevolezza per [l]'accesso al beneficio».