Sentenze
Cassazione penale sez. V, 03/12/2020, n.1215
La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che non costituisce causa di incompatibilità ex art. 34 c.p.p. per il giudice dell'udienza preliminare che deve vagliare la richiesta di rinvio a giudizio di un concorrente nel reato l'aver emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti di un altro concorrente nel medesimo reato, separatamente giudicato.
La sentenza
Fatto
1. Con ordinanza del 6 febbraio 2020, la Corte di appello di Venezia ha sancito l'inammissibilità della dichiarazione di ricusazione del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Vicenza Dott. V.R., formulata nell'ambito del procedimento a carico di S.S. - pendente presso l'ufficio del Giudice dell'udienza preliminare anzidetto - dai difensori e procuratori speciali di quest'ultimo.
Il Collegio di appello ha reputato l'istanza inammissibile per due ragioni.
In primo luogo, l'inammissibilità è stata collegata all'intempestività dell'istanza, siccome formalizzata il 16 dicembre 2019, quando già era avvenuta la verifica circa la regolare costituzione delle parti da parte del Giudice dell'udienza preliminare.
In secondo luogo, il Collegio di appello ha reputato comunque la mozione manifestamente infondata, in quanto la parte la basava sulla circostanza che il Giudice dell'udienza preliminare V. avesse già disposto il rinvio a giudizio del concorrente morale del reato addebitato al S. - G.E. -non evidenziando, tuttavia, profili di inscindibilità delle due posizioni nè se vi fossero eventuali specifiche valutazioni effettuate in uno all'emissione del decreto di rinvio a giudizio nei confronti del concorrente nel reato, che potessero aver compromesso l'imparzialità del decidente.
In linea con queste ultime valutazioni, la Corte di appello ha anche dichiarato manifestamente infondata e priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale che la difesa del ricusante S. invitava a sollevare.
2. Ricorrono avverso detta ordinanza i difensori e procuratori speciali del S., Avvocati Fabio Pinelli e Alberto Berardi, formulando quattro motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo deduce violazione dell'art. 38, comma 1, in riferimento all'art. 80 c.p.p., comma 2, artt. 420 e 421 c.p.p., contestando il giudizio di tardività dell'istanza di ricusazione.
Assume il ricorrente che l'udienza preliminare è caratterizzata da una struttura bifasica, segnata dall'art. 421 c.p.p., comma 1, secondo cui il Giudice dell'udienza preliminare, conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, dichiara aperta la discussione. Tale positivo accertamento non concerne, tuttavia, solo la costituzione dell'imputato, ma riguarda anche le parti civili e non può dirsi completato fino a quando il Giudice non abbia deciso anche quanto alle eventuali richieste di esclusione della parte civile che, a loro volta, devono essere formulate, ai sensi dell'art. 80 c.p.p., comma 2, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Calato questo schema teorico nel caso concreto, il ricorrente rappresenta che, all'udienza del 14 novembre 2019, i difensori avevano richiesto l'esclusione delle parti civili e che il Giudice dell'udienza preliminare non aveva deciso fino all'udienza del 26 febbraio 2020, sicchè l'istanza di ricusazione depositata il 16 dicembre 2019 sarebbe tempestiva. Aggiunge la parte - quale dato nuovo rispetto al perimetro conoscitivo della Corte di appello - che, all'udienza del 26 febbraio 2020, i difensori del prevenuto avevano anche eccepito l'omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare alla persona offesa A.B.I. e che tale eccezione, ancorchè dichiarata inammissibile, era stata comunque vagliata nel merito e non liquidata come mozione intempestiva perchè formulata dopo la conclusione della verifica della regolare costituzione delle parti.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell'art. 38 c.p.p., comma 2 e art. 39 c.p.p.. Il ricorrente rappresenta di sviluppare, con questo secondo motivo di ricorso, un ragionamento subordinato rispetto all'eventuale bocciatura della ricostruzione di cui al precedente argomento di censura. Premettendo il favor che la normativa accorda all'astensione rispetto alla ricusazione, sostiene, dunque, la parte che l'istanza di ricusazione sarebbe comunque tempestiva. La difesa, infatti, aveva sollecitato il Giudice ad astenersi e quest'ultimo si era riservato, per poi comunicare la propria decisione di non astensione all'udienza del 12 dicembre 2019. All'esito di detta decisione, la parte aveva formulato istanza di ricusazione, riservando la presentazione dell'istanza nelle forme di rito. Tale formalizzazione era avvenuta nel termine di tre giorni di cui all'art. 38 c.p.p., comma 2, in quanto il terzo giorno cadeva di domenica e, quindi, l'istanza era stata depositata il lunedì successivo.
2.3 Il terzo motivo di ricorso investe - denunziando violazione di legge e vizio di motivazione - il merito della decisione avversata, laddove la Corte di appello, pur reputando tardiva l'istanza, si era comunque soffermata sull'assenza delle condizioni per l'accoglimento dell'istanza di ricusazione.
Pretendere, come aveva fatto la Corte territoriale, che l'istanza di ricusazione fosse ancorata a specifiche valutazione del Giudice dell'udienza preliminare trascurerebbe la natura di decreto non motivato di quello di rinvio a giudizio, che impone di riguardare la sola imputazione ivi contenuta, in particolare - nel caso di specie - il reato di cui al capo N1. In quest'ultimo le posizioni di S. e di G. (l'imputato già rinviato a giudizio dal Dott. V.) sono inscindibilmente connesse, essendo il primo concorrente morale ed il secondo concorrente materiale, la cui responsabilità è essenziale per ritenere quella del primo.
2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla declaratoria di inammissibilità dell'eccezione di illegittimità costituzionale relativa sia all'art. 34 che all'art. 37 c.p.p. laddove, rispettivamente, non prevedono l'incompatibilità o la ricusazione del Giudice dell'udienza preliminare che abbia pronunziato il rinvio a giudizio nei confronti dell'unico concorrente morale di un reato e che si ritrovi a vagliare la posizione dell'unico concorrente materiale del medesimo reato, rispetto a fattispecie con condotta materiale monosoggettiva.
Opina il ricorrente che, mentre, quanto alla manifesta infondatezza, l'ordinanza della Corte di appello sarebbe del tutto immotivata, con riferimento al requisito della rilevanza, il provvedimento impugnato avrebbe operato un richiamo - del tutto inconferente - alla sentenza di non luogo a procedere.
3. Il Procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Assume il P.G. che l'istanza di ricusazione sarebbe intempestiva, il che renderebbe ultroneo l'esame degli ulteriori motivi.
4. Il 27 novembre 2020, i difensori di S. hanno depositato memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale, criticando le argomentazioni da quest'ultimo poste a sostegno della ritenuta intempestività dell'istanza di ricusazione ed accennando anche al tema dell'incompatibilità del Giudice dell'udienza preliminare.
Diritto
Il ricorso è complessivamente infondato e va, pertanto, respinto, pur con le precisazioni che seguono.
1. Occorre innanzitutto osservare che il ricorso coglie nel segno quando denunzia l'erroneità della decisione avversata laddove la Corte territoriale ha ritenuto intempestiva l'istanza di ricusazione siccome formalizzata dopo la verifica della regolare costituzione delle parti e, dunque, secondo il provvedimento impugnato, oltre il termine di cui all'art. 38 c.p.p., comma 1.
Per dare conto del percorso che ha condotto il Collegio a detta conclusione, occorre ricordare che l'art. 38 c.p.p., comma 1, prevede che la dichiarazione di ricusazione può essere proposta, nell'udienza preliminare, fino a che non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Come sottolineato dal ricorrente, tale norma va letta in uno alla scansione in fasi dell'udienza preliminare, con particolare riferimento al segmento disciplinato dall'art. 420 c.p.p. e art. 421 c.p.p., comma 1, che vede uno schema semplificato rispetto a quello previsto per l'udienza dibattimentale. Nell'udienza preliminare, infatti, il Giudice verifica la regolare costituzione delle parti e poi dà la parola al pubblico ministero ed ai difensori per la discussione, senza che sia prevista una fase dedicata alle questioni preliminari. Nel primo segmento si collocano senz'altro tutte le attività che siano funzionali al vaglio della corretta instaurazione del contraddittorio, nonchè alla verifica di quali siano le parti processuali che hanno titolo per partecipare all'udienza. In questo contesto deve senz'altro iscriversi anche la delibazione, da parte del Giudice dell'udienza preliminare, su eventuali richieste di esclusione della parte civile, richieste che, a norma dell'art. 80 c.p.p., comma 2, devono essere, appunto, effettuate, a pena di decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Quest'ultima disposizione, come osservato dal ricorrente, valida ulteriormente l'idea che la risoluzione delle questioni incidentali in tema di costituzione di parte civile si collochi all'interno della fase della verifica della regolare costituzione delle parti.
Se così è, dunque, la circostanza che l'ordinanza con cui il Giudice dell'udienza preliminare di Vicenza ha deciso sulle richieste di esclusione delle parti civili formulate dai difensori dell'imputato sia stata pronunziata, a scioglimento della riserva precedentemente assunta, solo all'udienza del 27 febbraio 2020, rende evidentemente tempestiva l'istanza di ricusazione del 16 dicembre 2019. Ciò a prescindere dalla scelta del Giudice predetto di dare la parola alle parti su altre questioni, di natura intrinsecamente preliminare, prima di rendere nota la sua decisione sull'esclusione delle parti civili, che si colloca temporalmente come sopra precisato e che segna il limite cronologico-procedimentale entro il quale poteva inserirsi l'istanza ex art. 37 c.p.p..
2. Il ricorso non è, invece, fondato, circa la propugnata fondatezza dell'istanza di ricusazione.
2.1. A questo riguardo, giova premettere che lo scrutinio in tema di ricusazione investe un profilo processuale della regiudicanda, sicchè questa Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla; con la conseguenza che il Collegio può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e, anche accedendo agli atti, deve valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand'anche non correttamente giustificata (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, Girardi, Rv. 275636; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, Iamonte e altri, Rv. 255515; in termini, Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, Ranieri FG ed altri, Rv. 221322). Per addivenire a questo risultato, alla Corte di cassazione è riconosciuto il ruolo di Giudice "anche del fatto", che, per risolvere la questione in rito, può e deve accedere all'esame dei relativi atti processuali (naturalmente di quelli presenti nel fascicolo trasmesso dal Giudice a quo o allegati al ricorso), viceversa precluso quando si tratti di vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F e altri, Rv. 273525; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304).
E, dunque, sulla scorta di questa impostazione che, pur prendendo atto che la Corte territoriale ha affidato la propria decisione a scarne proposizioni che non rendono ragione degli argomenti ampiamente illustrati dal ricusante, questa Corte deve reputare comunque l'infondatezza della mozione ex art. 37 c.p.p..
2.2. Il ricorrente sostiene le proprie ragioni predicando l'esistenza di una situazione pregiudicante rispetto alla propria posizione; tale situazione sarebbe, costituita dal fatto che il Dott. V. aveva emesso, nello svolgimento della medesima funzione di Giudice dell'udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio nei confronti di altri concorrenti nei reati e, in particolare, del vicedirettore generale della Banca Popolare di Vicenza, G.E., rinviato a giudizio per il reato di cui al capo N1, quale mero concorrente morale di condotte materialmente ascritte al solo ricusante. Più precisamente, il pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio per G. e S., per il reato di cui all'art. 110 c.p. e art. 2638 c.c., commi 2 e 3 perchè, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità, avevano inviato false comunicazioni alla CONSOB con note a firma del S., redatte d'intesa con G..
La posizione del primo, originariamente oggetto della medesima udienza preliminare, era stata separata da quella degli altri per ragioni di ordine processuale, donde l'udienza preliminare era proseguita solo nei suoi confronti dopo il rinvio a giudizio dei coimputati.
Ebbene, il ricorrente sostiene che vi sarebbe un'implicazione necessaria -dal punto di vista logico-giuridico - tra il rinvio a giudizio di G. e quello di S.. Essendo quest'ultimo unico concorrente materiale della condotta che vede il primo concorrente morale - si legge nel ricorso - il rinvio a giudizio di G. denunzierebbe un pregiudizio del Giudice dell'udienza preliminare quanto al vaglio della posizione di S., la cui responsabilità rispetto alla contestazione sarebbe coessenziale rispetto a quella di G..
2.3. Tanto premesso, il Collegio osserva, in primo luogo, che la situazione non può essere ricondotta ad alcuna delle cause di incompatibilità previste dall'art. 34 c.p.p., sicchè non può essere invocata la causa di ricusazione di cui al combinato disposto dell'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g) e art. 34 c.p.p..
Come sancito ripetutamente dalla Corte costituzionale (ex multis, sentenza n. 86 del 2013, ordinanza, n. 490 de 2002, ordinanza n. 367 del 2002, ordinanza n. 441 del 2001, sentenza n. 283 del 2000, sentenza n. 306 del 1997, sentenza n. 186 del 1992), al di là delle ipotesi limite affrontate dalle sentenze della Consulta n. 371 del 1996 e n. 241 del 1999, l'art. 34 c.p.p., comma 2, come in genere l'istituto dell'incompatibilità, si riferisce a situazioni di pregiudizio per l'imparzialità del giudice che si verificano all'interno del medesimo procedimento e concernono perciò la medesima regiudicanda. A prescindere dall'ipotesi estrema di cui alla sentenza n. 371 cit. (che riguarda una vicenda processuale sostanzialmente unitaria, che avrebbe dovuto essere giudicata nel medesimo contesto processuale), si è generalmente ritenuto che tale medesimezza non si realizza nel caso di pronunzie che riguardino concorrenti nel medesimo reato separatamente giudicati: in questi casi, soccorrono, a fronteggiare situazioni pregiudicanti, gli istituti dell'astensione e della ricusazione, i cui presupposti sono da vagliarsi caso per caso secondo il concreto atteggiarsi della valutazione già compiuta dal medesimo decidente.
In particolare, la sentenza n. 86 cit. (come già sostenuto nell'ordinanza n. 441 del 2001) ha sancito - per venire ad un tema affine a quello oggetto dell'odierna regiudicanda - che non vi è questione di incompatibilità quando il Giudice, dopo aver disposto il rinvio a giudizio di alcuni imputati, procede con il rito abbreviato nei confronti dei coimputati del medesimo reato (nel caso di specie associativo). Lo stesso la Consulta ha sostenuto (nell'ordinanza n. 367 cit.) per l'ipotesi in cui il giudice, chiamato a celebrare l'udienza preliminare nei confronti di alcuni imputati di reato a concorso necessario, abbia già emesso sentenza in esito a giudizio abbreviato nei confronti di altri imputati concorrenti nel medesimo reato.
Il principio da cui hanno preso le mosse le pronunzie appena citate è che, alla comunanza dell'imputazione, fa riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, tali da formare oggetto di autonome valutazioni, scindibili l'una dall'altra, salve le ipotesi estreme, prese in esame dalla già citata sentenza n. 371 del 1996, che giustificano l'operatività dell'istituto dell'incompatibilità anche quando le funzioni pregiudicante e pregiudicata si collocano in procedimenti diversi.
Ebbene, i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale possono essere applicati - a fortiori, si ritiene - anche all'odierna regiudicanda, in cui la valutazione in tesi pregiudicante e quella pregiudicata riguardano entrambe la transizione alla fase dibattimentale piuttosto che l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato ex art. 438 c.p.p..
Ne consegue, come anticipato, che va sgomberato il campo dall'idea che l'auspicato accoglimento della richiesta di ricusazione possa passare attraverso l'istituto dell'incompatibilità.
2.4. Occorre, quindi, verificare se vi fossero gli estremi per ritenere fondata aliunde l'istanza di ricusazione.
Come in precedenza accennato, la Corte Costituzionale, infatti, nel circoscrivere il ricorso all'istituto dell'incompatibilità nei termini sopra precisati, ha tuttavia sostenuto che non può escludersi che, per il peculiare atteggiarsi delle singole fattispecie, l'attività che il giudice abbia compiuto in un precedente procedimento possa determinare un pregiudizio alla sua imparzialità nel successivo procedimento a carico di altro o di altri concorrenti; in tal caso - ha altresì sostenuto la Consulta - gli strumenti processuali per rimuovere dette situazioni di pregiudizio sono sia l'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), sia l'art. 37 c.p.p., come risultante dalla sentenza n. 283 del'2000 della Consulta, attribuendosi in tal modo ai più duttili strumenti dell'astensione e della ricusazione il compito di realizzare il principio del giusto processo attraverso valutazioni caso per caso e senza oneri preventivi di organizzazione delle attività processuali.
Ciò posto, il Collegio ritiene che l'istanza di ricusazione non dovesse essere accolta.
Va ricordato che la sentenza n. 283 della Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 37 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. In motivazione si legge che non è sufficiente, ai fini dell'individuazione dell'attività pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio; la funzione pregiudicata - ha altresì sostenuto il Giudice delle leggi - va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perchè si verifichi un pregiudizio per l'imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa.
2.4.1. Prima di affrontare il tema della possibile riconducibilità dell'odierna questione al disposto dell'art. 37 c.p.p., come interpolato dal Giudice delle leggi, vanno poi fatte alcune osservazioni di metodo.
In linea generale, l'approccio che l'interprete deve prediligere è estremamente rigoroso. Come condivisibilmente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, le norme che prevedono le cause di ricusazione sono eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perchè determinano limiti all'esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perchè consentono un'ingerenza delle parti nella materia dell'ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e Giudice (Sez. 5, n. 21146 del 07/02/2019, Giunchiglia, Rv. 275347, in motivazione; Sez. 5, n. 5533 del 08/01/2019, Mazzieri, Rv. 275378, in motivazione; Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272845; Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013, dep. 2014, Mancuso, Rv. 258449; Sez. 1, n. 45470 del 25/10/2005, D'Ausilio, Rv. 233378).
In secondo luogo, occorre tener presente che - secondo la giurisprudenza di questa Corte - nel concorso di persone nel reato, laddove l'autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie, una scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell'uno possa influenzare quella dell'altro, non vi è spazio per la ricusazione (Sez. 5, n. 5533 del 08/01/2019, Mazzieri, Rv. 275378; Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272845, in motivazione; Sez. 6, n. 4297 del 01/12/2005, dep. 2006, Cesarano, Rv. 233690; Sez. 6, n. 39209 del 27/09/2005, Buda e altri, Rv. 232530; Sez. 6, n. 3840 del 24 novembre 1999, Musitano A, Rv. 216328). Tale principio è tanto più significativo in quanto le sentenze Mazzieri, Cesarano e Buda lo hanno affermato proprio in relazione alla ricusazione del Giudice dell'udienza preliminare che aveva disposto, in un separato procedimento, il rinvio a giudizio nei confronti di coimputati del medesimo reato. E' del pari utile ricordare che questa Corte ha espressamente escluso che possano ricorrere i presupposti di cui all'art. 37 c.p.p. quando il giudice abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni coimputati e successivamente concorra a pronunciare in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato associativo, qualora la posizione di quest'ultimo, e, dunque, la sua responsabilità penale, non sia stata oggetto di valutazione di merito nel precedente processo (Sez. 6, n. 39367 del 15/06/2017, Suarino, Rv. 270848 Sez. 5, n. 6797 del 16/01/2015, Sarli, Rv. 262730).
2.4.2. Fatte queste precisazioni e venendo al concreto della questione sottoposta al vaglio di questa Corte, si ritiene che il rinvio a giudizio di G.E. non abbia comportato una valutazione di merito quanto alla posizione di S. che possa costituire pregiudizio per la posizione di quest'ultimo nei sensi sostenuti dal ricorrente. Naturalmente il Collegio, per valutare la fondatezza del ricorso, non ha altro strumento che quello di "decodificare", per quanto possibile, la valutazione svolta dal Giudice dell'udienza preliminare e ciò non può che fare sulla base della sola imputazione elevata a carico dei due imputati, giacchè il decreto che dispone il giudizio non è motivato. Altrimenti detto, in quest'ottica deve esaminarsi il concreto rapporto tra le posizioni di G. e S. come evincibile dal solo capo di imputazione, non essendovi un atto motivato del Giudice che illustri il percorso decisionale seguito e che possa farne sondare eventuali manifestazioni di convincimento che riguardino anche la posizione ancora sub iudice.
Ebbene, nell'unica prospettiva cui questa Corte può accedere - quella predittiva, ancorata alla struttura del reato e degli apporti concorsuali di ciascuno, come evincibili dalla contestazione - il Collegio ritiene che non vi sia il preteso automatismo tra il rinvio a giudizio di G. e quello di S. legato alla ritenuta dipendenza della posizione del primo rispetto a quella del secondo. L'implicazione, descritta come automatismo, tra il transito al dibattimento di G. e quello di S. - pur sapientemente e suggestivamente rappresentata nel ricorso - non è, infatti, tanto stringente da potervi scorgere l'inesorabile manifestazione di un pregiudizio rispetto al ricorrente, suscettibile di condurre ad una decisione scontata che lo riguardi. In altri termini, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte per escludere il pregiudizio, anche in questo caso concreto si è al cospetto di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, suscettibili di autonome valutazioni, scindibili l'una dall'altra.
La descrizione della condotta del ricorrente come quella dell'unico autore materiale e di G. come autore morale, infatti, non esclude che la prospettazione accusatoria riguardo la responsabilità del concorrente materiale possa essere reputata inidonea a consentire il transito alla fase dibattimentale per carenza del coefficiente soggettivo, reputando che il solo G. debba rispondere del fatto come autore mediato.
In questo senso, va innanzitutto ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la tematica dell'autore mediato non è estranea a quella del concorso di persone nel reato, dal momento che la responsabilità ex art. 48 c.p. realizza un particolare e qualificato comportamento del tutto compatibile con il contributo sotteso dalla formula di cui all'art. 110 c.p.; il che ha condotto la giurisprudenza di questa Corte a ritenere che non vi fosse questione di diversità del fatto rispetto a quello contestato quando una fattispecie concorsuale abbia visto la condanna dell'imputato ai sensi dell'art. 48 c.p. (Sez. 2, n. 3644 del 26/10/2016, dep. 2017, Bosio e altro, Rv. 269548; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama e altri, Rv. 256577). Una logica non dissimile è alla base di quegli arresti secondo i quali l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo in capo al concorrente intraneo nel reato proprio non esclude di per sè la responsabilità del concorrente estraneo, che resta punibile nei casi di autorità mediata di cui all'art. 48 c.p. e in tutti gli altri casi in cui la carenza dell'elemento soggettivo riguardi solo il concorrente intraneo e non sia quindi estensibile (Sez. 4, n. 36730 del 20/04/2018, Eccher, Rv. 273822; Sez. 5, n. 57706 del 28/09/2017, Lorenzetti e altri, Rv. 272081; Sez. 5, n. 35884 del 20/07/2009, Lucchini e altro, Rv. 244920).
Si deve, quindi, concludere - nell'ottica del sopra richiamato rigore interpretativo che deve caratterizzare l'approccio alle cause di ricusazione - che le riflessioni appena svolte danno conto della possibilità di un'evoluzione diversificata dell'udienza preliminare per ciascuno dei due concorrenti nel reato; ne consegue che - contrariamente a quanto assume il ricorrente - l'emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti di G.E. non appare un'inequivocabile manifestazione di convincimento rispetto alla posizione del concorrente che possa tradire l'esistenza di un pregiudizio e che possa trovare albergo nell'attuale disposizione normativa, sì da fondare una richiesta di ricusazione del Giudice.
3. In ordine al motivo di ricorso che concerne la risposta della Corte territoriale a proposito delle eccezioni di illegittimità costituzionale, il Collegio osserva che - a prescindere dalle argomentazioni che sono state riservate al tema nel provvedimento impugnato - si tratta di questioni manifestamente infondate.
3.1. Quanto all'eccezione che concerne l'art. 34 c.p.p., infatti, si è già sopra osservato che la duplicità dei procedimenti in cui si sarebbero concretizzate la decisione pregiudicante e quella che potrebbe essere pregiudicata lascia escludere - tenuto conto dell'esegesi della Consulta sul punto, come sopra evocata - che vi sia spazio per detta incostituzionalità.
3.2. In ordine alla ricusazione, la Corte osserva che la tesi del ricorrente fonda sul rapporto di consequenzialità necessaria tra la responsabilità del G. e quella di S. e, più in generale, sulla possibile teorizzazione della certa portata pregiudicante della scelta di rinviare a giudizio il concorrente morale rispetto all'unico concorrente materiale. Orbene, esclusa - come innanzi osservato - detta necessaria interdipendenza nei termini prospettati dalla parte ed esclusa, quindi, la portata certamente pregiudicante della scelta del Giudice dell'udienza preliminare di rinviare a giudizio G., risulta manifestamente compromessa la fondatezza stessa dell'eccezione paventata.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021