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Resistenza a pubblico ufficiale: la condanna non può fondarsi solo sulle dichiarazioni degli agenti

Art.6 CEDU

resistenza a pubblico ufficiale

Si propone il testo della sentenza Boutaffala c. Belgio della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha condannato il Belgio per violazione degli articoli 3 e 6 CEDU.

In particolare, la Corte Edu ha sostenuto che la condanna per il reato di resistenza e aggressione a pubblico ufficiale, basata esclusivamente sulle dichiarazioni degli agenti di polizia (rese dopo operazioni di arresto che hanno comportato un trattamento degradante in violazione dell'articolo 3 della Cedu), costituisce una violazione dell'equità processuale, del diritto di difesa e della presunzione di innocenza, ai sensi degli articoli 3 e 6 della Cedu.

Le garanzie di un processo equo richiedono che i tribunali valutino in modo adeguato tutte le prove su cui si basano le accuse, garantendo alla difesa la possibilità di contestarne l'autenticità e di opporsi al loro utilizzo.


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Sentenza Boutaffala c. Belgio
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Il caso

La Corte europea è stata chiamata a valutare se il ricorrente abbia subito una violazione del diritto ad un processo equo, come sancito dall'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (Cedu).

Secondo il ricorrente, la decisione del giudice belga non sarebbe stata il risultato di un'istruzione dibattimentale completa sui fatti di cui lo stesso era stato accusato.

In particolare, i giudici non avevano considerato favorevolmente la dichiarazione del Governo belga che riconosceva la violazione dell'articolo 3 della Cedu per i comportamenti violenti tenuti dagli agenti di polizia durante l'arresto del ricorrente.

Per comprendere meglio la questione sollevata, è importante ricostruire brevemente i fatti.

In due procedimenti separati, uno contro gli agenti di polizia e l'altro contro il ricorrente, quest'ultimo veniva condannato per resistenza e aggressione nei confronti di un agente di polizia.

La sentenza si basava principalmente sulle dichiarazioni unilaterali emesse dagli stessi agenti che avevano effettuato l'arresto.

Nel procedimento contro gli agenti di polizia, che giungeva anch'esso davanti alla Corte europea, il Governo belga ammetteva che l'arresto del ricorrente era avvenuto in circostanze che costituivano un trattamento degradante, in violazione dell'articolo 3 della Cedu.

Tuttavia, il tribunale condannava il ricorrente per "ribellione e per aver colpito l'agente intervenuto in rinforzo", una decisione che veniva confermata anche dalla Corte d'appello di Bruxelles il 13 marzo 2018.

Nonostante le lamentele del ricorrente, secondo il quale "le carenze dell'inchiesta non gli hanno permesso di dimostrare la sua versione dei fatti", i giudici di secondo grado ritenevano che il suo diritto a un processo equo e il suo diritto di difesa non fossero stati violati.

Dopo aver esaminato il contenuto delle dichiarazioni, i giudici ritenevano che non vi erano motivi per dubitare delle dettagliate dichiarazioni degli agenti, ritenute sufficienti per giungere a tale decisione.

In risposta al ricorso presentato dal Boutaffala, la Corte di cassazione stabiliva che le considerazioni contenute nella sentenza impugnata non avevano compromesso l'equità complessiva dell'intero procedimento, poiché nel caso specifico tutte le prove a carico del ricorrente erano state valutate e gli era stata data la possibilità di contestarle in tribunale.

Il ricorrente presentava quindi un ricorso alla Corte europea sostenendo che i suoi diritti di difesa non erano stati rispettati e che i tribunali nazionali gli avevano imposto un onere probatorio eccessivo, violando così l'equità del procedimento ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della Cedu.

La Corte europea ha seguito un percorso argomentativo particolare per valutare se vi sia stata una violazione dell'articolo 6 della Cedu, che rappresenta un fondamento essenziale anche per il procedimento probatorio.

La Corte ribadisce che si verifica una lesione dell'equità processuale quando, in presenza di una sentenza di condanna che attribuisce un "poids prépondérant" alle dichiarazioni degli agenti di polizia fatte al momento dell'arresto, al ricorrente non viene data effettiva possibilità di contestare l'autenticità di tali prove e di opporsi al loro utilizzo.

Inoltre, la Corte sottolinea l'importanza di valutare sempre la qualità delle prove, comprese le circostanze in cui sono state ottenute, al fine di esaminarne la "crédibilité ou leur exactitude" (credibilità o esattezza).

In altre parole, la Corte europea ha stabilito che nel caso in questione la sentenza di condanna si basava principalmente sulle dichiarazioni degli agenti di polizia fatte al momento dell'arresto.

Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il ricorrente non ha avuto un'effettiva opportunità di contestare l'autenticità di tali prove e di opporsi al loro utilizzo nel corso del processo.

Inoltre, la Corte ha esaminato le circostanze in cui le prove sono state ottenute e ha considerato la qualità e la credibilità di tali prove.

Alla luce di questi elementi, la Corte ha concluso che vi è stata una violazione dell'articolo 6 della Cedu, in quanto il ricorrente non ha goduto di un processo equo e non ha avuto la possibilità di difendersi adeguatamente.

La Corte ha quindi riconosciuto la violazione del diritto del ricorrente a un processo equo e ha adottato le misure appropriate per riparare al danno subito.

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