Tribunale Nola, 18/08/2021, (ud. 23/06/2021, dep. 18/08/2021), n.1419
Giudice: Collegio B - Lucio Aschettino - presidente - Raffaella de Majo - giudice estensore - Gemma Sicoli - giudice
Reato: 572, 609 bis e 609 ter n.5 quater c.p.
Esito: Condanna
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Sezione Penale Dibattimentale
Collegio "B"
Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei giudici
- Lucio Aschettino - presidente
- Raffaella de Majo - giudice estensore
- Gemma Sicoli - giudice
alla pubblica udienza del 23.6.2021 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
(...), nato in Bangladesh il (...) e residente in San Giuseppe
Vesuviano alla (...) e ivi domiciliato ex art.161 c.p.p.; difeso di
fiducia dall'avv.to (...).
- libero, con divieto di avvicinamento alla p.o. presente:
IMPUTATO
(come da fogli allegati che costituiscono parte integrante della
presente intestazione)
PC: (...) - avv.to (...).
IMPUTATO
a) dei delitto p. e p. dagli 572 co. 2 c.p.: perché, in presenza della
figlia minore, nel corso della convivenza con la coniuge (...), usando
nei suoi confronti violenza consistita nel colpirla con l'uso di una
scopa, nel picchiarla con schiaffi, pugni al volto e al corpo, nel
tirarle i capelli, nonché con la violenza dettagliatamente descritta
nel capo b), umiliandola con le seguenti espressioni: "puttana, non sei
buona nemmeno a darmi un figlio", prospettandole che l'avrebbe uccisa se
l'avesse denunciato, maltrattava la predetta coniuge sottoponendola ad
atti di violenza fisica e morale, tenendo nei suoi confronti una condotta
abitualmente vessatoria, tale da provocarle uno stato di prostrazione
fisica e psichica e da renderle la vita impossibile.
In San Giuseppe Vesuviano da novembre 2019 con condotta perdurante.
b) del delitto p. e p. dagli artt. 609 bis e 609 ter n.5 quater c.p.
perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,
commesse anche in tempi diversi, con violenza nei confronti della moglie
(...) , consistita dapprima nel picchiarla con schiaffi e nel trascinarla
sul letto tirandole i capelli o prendendola per un braccio, poi, nello
strapparle i vestiti e nel bloccarle le mani in modo da prevenire la
manifestazione di dissenso, la costringeva a subire atti sessuali
penetrando con forza con il proprio pene nella sua vagina.
In San Giuseppe Vesuviano da novembre 2019 con condotta perdurante
(Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
Con decreto del GUP in sede del 20.4.2021, l'imputato (...), era chiamato a rispondere innanzi a questo Collegio dei delitti in epigrafe indicati per l'udienza del 4.6.2021.
Alla fissata udienza, verificata la regolare costituzione delle parti e dato ingresso alla costituita parte civile, il Presidente dichiarava aperto il dibattimento; le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie ed il Collegio, attesa la pertinenza e la rilevanza delle prove richieste, ammetteva le stesse con ordinanza. Al contempo, il Presidente, conferito l'incarico di interprete a (...) e, pertanto si procedeva all'escussione della p.o., (...) con l'assistenza linguistica. Infine, la difesa dell'imputato, chiedeva un differimento della trattazione per motivi di salute e, nulla osservando le altre parti, il Tribunale in accoglimento rinviava il processo all'udienza del 23.6.2021.
In tale data, venivano acquisiti al fascicolo del dibattimento annotazione di p.g. del 20.9.2020, denuncia-querela del 21.9.2020 con immagini della p.o., s.i.t. rese da (...), da (...), da (...) e dalla p.o. Pertanto, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le conclusioni di cui in epigrafe e questo Tribunale, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza ed allegato al verbale.
Diritto
Motivi della decisione
Ritiene questo Collegio che le risultanze processuali, offrendo adeguato riscontro dimostrativo alle ipotesi accusatorie, permettendo quindi di addivenire alla affermazione della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai delitti a lui ascritti in rubrica.
La vicenda che è all'origine del presente processo, per come è stato possibile ricostruirla attraverso le dichiarazioni, chiare, precise e concordanti, della teste escussa e della documentazione legittimamente acquisita al fascicolo dibattimentale, può essere tratteggiata nel modo che segue.
Il procedimento si innesta nella drammatica situazione familiare di (...), costretta a subire vessazioni fisiche e psicologiche da parte del coniuge, (...). Il 20.9.2020 gli operanti in forza alla Stazione dei Carabinieri di San Giuseppe Vesuviano, si portavano in Torre Annunziata alla via (...) ove era stata segnalata una lite. Giunti in loco la parte lesa riferiva di aver avuto una discussione con il marito, (...) e, che questi l'aveva colpita con uno schiaffo. Tuttavia, la donna asseriva che prima di allora il marito non l'aveva mai malmenata e che dopo averle dato lo schiaffo si allontanava dall'abitazione pertanto, non era intenzionata a sporgere denuncia. Sul posto giungeva personale del 118 che disinfettava una piccola escoriazione sulla fronte della donna, la quale rifiutava il trasporto in ospedale (cfr. annotazione di pg in atti).
Tuttavia il giorno seguente, il 21.9.2020, (...) si recava presso la Stazione dei CC di San Giuseppe Vesuviano e, dichiarando di aver mentito la sera precedente, sporgeva una formale denuncia querela, in quanto stanca delle continue vessazioni e violenze che era costretta a subire dal marito. Ella - sentita in sede dibattimentale il 4.6.2021- confermava il contenuto della denunzia sporta. Ivi premetteva di aver contratto matrimonio in Bangladesh nel 2007 da cui era nata una figlia, attualmente di cinque anni; specificava di aver vissuto anche durante il matrimonio per diversi anni nel suo paese d'origine, per poi raggiungere il marito in Italia nel novembre del 2019. Costei riferiva che i primi mesi di convivenza nel nostro Paese erano stati tutto sommato sereni sebbene l'imputato serbasse un ingiustificato rancore nei suoi confronti a causa di un aborto spontaneo avvenuto nell'agosto 2019. Invero, la donna chiariva che l'odierno giudicabile era ossessionato dal desiderio di poter avere un figlio maschio e perciò imponeva alla moglie frequenti rapporti sessuali completi anche contro la sua volontà e anche nel periodo post aborto nonostante il medico avesse prescritto alla giovane donna di non avere una gravidanza prima di un anno dall'evento.
In particolare la teste asseriva in aula "mio marito veniva a casa, sempre voleva fare sesso con me per forza, mi toccava, qualche volta mi ha schiaffeggiato e fatto sesso con forza tante volte" (cfr. verbale sten udienza del 4.6.2021, p. 11).
La convivenza familiare era degenerata nei gennaio 2020 allorquando le percosse, gli insulti e le violenze sessuali da parte del marito si erano intensificate.
Nello specifico, costei raccontava che da gennaio 2020 al 21 settembre 2020 {rectius giorno della formale denuncia) ogni fine settimana il marito, rincasando ubriaco, aveva degli accessi di ira che nascevano per i motivi più banali, ed anche in presenza della figlia minore.
La donna, inoltre, confermava di subire violenze e aggressioni allorquando si rifiutava di avere rapporti sessuali con il marito. Nello specifico la donna asseriva che "quando rincasa ubriaco e chiede di fare sesso ed io mi rifiuto, lui comincia a picchiarmi con schiaffi e mi trascina sul letto mi blocca tirandomi i vestiti e con forza mi penetra" (cfr. verbale sten cit e pag cit).
Costei, inoltre, specificava che episodi di violenza si verificavano anche perché l'odierno giudicabile pretendeva del danaro dal suocero, sebbene tra i due non ci fosse alcun tipo di accordo in tal senso. La giovane donna, come si evince dal verbale di sommarie informazioni del 26.10.2020, spiegava che solo una volta era ricorsa alle cure dei sanitari e, che nella circostanza non la trasportavano in ospedale nonostante le plurime violenze fisiche subite nel tempo, in quanto consigliata da un amico, temeva un intervento dei carabinieri che la costringessero a denunziare il coniuge. Solo col tempo ella aveva elaborato tale decisione sofferta.
Inoltre, in sede dibattimentale costei spiegava che la sera del 20 settembre 2020 all'esito dell'ennesima lite avvenuta all'interno delle mura domestiche, chiamava in aiuto ad un suo connazionale, (...), che però non poteva prestarle soccorso nell'immediato. La donna veniva raggiunta, qualche minuto dopo, dai carabinieri nonché dal personale del 118, senza però sporgere alcuna denuncia formale. La giovane, infine, specificava che quella sera erano presenti anche i fratelli del marito che, però, non interveniva per proteggerla.
Quanto riferito dalla patte civile trovava compiuto riscontro in primis nelle dichiarazioni dell'imputato all'udienza del 4.6.2021 il quale ammetteva integralmente gli addebiti e chiedeva perdono e, in secundis nei verbali di sommarie informazioni in atti.
Dal verbale di sommarie informazioni rese da (...) il 23.9.2020 in merito all'episodio del 20,9.2020 si evinceva che l'uomo veniva contattato telefonicamente dalla parte lesa che in quella circostanza, palesemente agitata, gli chiedeva aiuto perché il marito "le aveva rotto la testa"; pertanto, l'uomo impossibilitato nell'immediato a raggiungerla chiamava i carabinieri. Dopo qualche ora costui la raggiungeva presso la sua abitazione e, ivi constatava l'assenza dell'odierno giudicabile. In quella occasione la donna gli confessava che il marito l'aveva picchiata con la mazza della scopa perché, a parere suo, la moglie non aveva asciugato dell'acqua caduta a terra tutto alla presenza dei fratelli e del cugino del marito che in quella circostanza istigavano l'uomo a picchiarla.
L'uomo specificava, inoltre, che in diverse circostanze aveva assistito a delle offese profferite dall'imputato nei confronti della moglie. Ricordava, in particolare, che nel mese di settembre mentre
erano tutti e tre in macchina l'imputato l'appellava "puttana" e all'occorrenza la minaccia anche "andiamo a casa che ti faccio vedere".
Anche il proprietario della casa ove i coniugi vivevano, (...), dichiarava di aver sentito in diverse occasioni urla provenire dall'appartamento dei suoi inquilini e che la sera del 20.9.2020, intorno alle 19.30 circa, insospettito dalle urla più forti del solito, usciva fuori di casa per capire cosa stesse succedendo; pertanto, constatava che la donna era stesa a terra che piangeva, accanto vi era la figlia e il marito camminava per il cortile. Perciò, costui dapprima aiutava la donna a rialzarsi e poi la portava in casa sua mentre il marito si allontanava. Questi, nella circostanza notava la presenza di una ferita sulla nuca della donna e la stessa, a gesti, le faceva capire che il marito l'aveva picchiata (cfr. verbali di sommarie informazioni in atti).
Medesimo è il contenuto del verbale di sommarie informazioni rese dal figlio del proprietario, (...), che precisava che la sera del 20 settembre 2020, dopo che il padre aiutava la parte lesa a rialzarsi e l'accompagnava in casa ove la famiglia Sabatino la medicava, l'imputato li raggiungeva all'interno del loro appartamento e ivi si scusava con la donna per quanto accaduto. L'uomo, inoltre, ricordava che in quella occasione (...) prendeva il suo telefono cellulare ed effettuava una telefonata; a tale gesto il marito cercava di strapparle il telefono dalle mani della moglie; quindi, il teste lo bloccava e lo cacciava di casa.
Tanto esposto in fatto, ritiene il Tribunale che sia attendibile la ricostruzione dei fatti sin qui operata, sebbene il nucleo sostanziale di essa sia riferibile alla persona offesa.
Giova a tal proposito puntualizzare che, nell'attuale sistema normativo, la testimonianza della persona offesa ben può costituire una fonte di convincimento, ancorché esclusiva, del giudice. In merito alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui "le regole dettate dall'art 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni rese dalla medesima, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (ex pluns Cass. Pen., Sez. 5 n. 12920 del 13/02/2020 Ud. (dep. 24/04/2020) Rv. 279070 -01; S Cass. Pen., Sez. 2, Sentenza n. 9693 del 17/02/2016 Ud. (dep. 09/03/2016) Rv. 266656) e ciò al fine di escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi.
Nel caso di interesse, il giudizio di credibilità soggettiva di (...), che questo Tribunale ritiene di potere esprimere, emerge, anzitutto, dalla coerenza delle sue dichiarazioni, che appaiono lineari e convergenti. Le sue dichiarazioni sono connotate da una totale assenza di contraddizione rispetto a quanto dichiarato in sede di denuncia querela desumibile dalla circostanza che il PM non è stato costretto a ricorrere alla lettura delle dichiarazioni rese in sede di indagine.
D'altronde, la donna ha mostrato di non voler aggravare gratuitamente la posizione dell'imputato, precisando, ad esempio, che fino al gennaio 2020 la sua vita matrimoniale era stata tutto sommato serena e che nonostante tutto avesse perdonato il marito sebbene non era intenzionata a convivere nuovamente con lo stesso. Invero all'esito della sua confessione in sede dibattimentale, il giudicabile chiedeva perdono alla moglie e manifestava la volontà di ricongiungersi a lei e alla bambina; la p.o., sebbene manifestasse apprezzamento per il contegno assunto dall'uomo, tuttavia manteneva ferma la sua volontà di separazione, preferendo continuare a vivere presso la comunità che la aveva accolta all'esito della denunzia sporta.
Sul piano estrinseco, profili di riscontro, di specifici episodi di violenza e non solo, riferiti dalla persona offesa, si evincono dai verbali di sommarie informazioni: in primis di quelle rese da (...) il quale è stato testimone non solo indiretto (per avere raccolto le confidenze della vittima) ma anche diretto di specifici episodi aggressivi; nonché di quelle rese dai proprietari della casa dei coniugi, (...) e (...), che la sera del 20 settembre 2020 prestavano soccorso alla parte lesa battuta nella occasione dal coniuge.
Ulteriore conferma dei patiti maltrattamenti proviene dall'annotazione di pg del 20 settembre 2020 ove si legge che giunti in loco gli operanti accertavano una escoriazione sulla fronte della donna per la quale interveniva il personale del 118 sebbene la donna rifiutava il trasporto in ospedale.
Capo a)
Ciò premesso, in punto di diritto appare integrato l'elemento materiale del reato di maltrattamenti in famiglia in contestazione al capo a) della rubrica.
In sostanza, dall'istruttoria dibattimentale è emerso in modo assolutamente inequivoco che il prevenuto, in presenza della figlia minore, maltrattava e ingiuriava la moglie, tenendo nei suoi confronti una condotta abitualmente vessatoria, tale da renderle la convivenza impossibile.
Il delitto di maltrattamenti richiede, infatti, specificamente un'abituale sottoposizione della persona offesa a sofferenze psichiche e fisiche, che si estrinseca in una condotta caratterizzata da più atti realizzati in momenti successivi ma collegati tra loro da un nesso di abitualità e da un'unica intenzione criminosa.
II reato di cui all'art. 572 c.p, costituisce, invero, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, una delle ipotesi paradigmatiche di reato abituale, per il cui perfezionamento non sono sufficienti, quindi, singoli, sporadici episodi di percosse o lesioni, slegati tra loro, occorrendo, invece, una reiterazione di condotte vessatorie, lesive dell'integrità fisica, della libertà o della dignità della persona, tali da determinare, nella vittima, uno stato di prostrazione permanente, caratterizzato da sofferenze, umiliazioni e privazioni continue ed ininterrotte (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. pen., 6, Sentenza n. 15680 del 28/03./2012 Ud (dep. 23/04/2012) Rr 252586 - 01; Cass. Pen., se- IV, 4.12.2003, n. 7192). Ai fini della configurabilità dei delitto di maltrattamenti, l'art. 572 cod. pen. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che ne avviliscono la personalità. (Fattispecie in cui è multato che l'imputato aveva sottoposto la convivente ad un clima oppressivo, umiliante, vessatorio e di sistematica sopraffazione, insultandola continuamente e sentii motivo, cacciandola di casa ed infliggendole percosse e lesioni (aggiornare Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 27048 del 18/03/2008 Ud. (dep. 03/07/2008).
Ricorre nel caso dio specie l'ipotesi aggravata di cui al secondo comma della norma in esame così come contestato dal P.M. E' stato accertato che i maltrattamenti sono stati posti in essere dall'odierno imputato alla presenza della figlia minore e, quindi inevitabilmente subiti da quest'ultima seppur indirettamente.
E' appena il caso di ricordare che, secondo l'orientamento giurisprudenziale, il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolli direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi. (Cassazione penale, Sez VI, sentenza n. 18833 del2 maggio 2018).
Ebbene, ritiene il Collegio che nel caso in esame ricorrano tutti gli elementi costitutivi del delitto in contestazione. I comportamenti posti in essere dall'imputato nei confronti della moglie e alla presenza della figlia minore -per come è stato possibile in sede dibattimentale ricostruire la vicenda familiare -appaiono atti ad integrare quel "sistema di condotte offensive", consapevolmente instaurato dall'agente e caratterizzate da continuità e sistematicità atte ad ingenerare vessazioni e sopraffazioni tali da avvilire la personalità della vittima, presupposto questo che è inderogabilmente richiesto, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della configurabilità del delitto in esame. Inoltre, appare pacifico che la piccina era spettatrice, sebbene involontaria, delle liti tra i genitori che si verificavano all'interno delle mura domestiche.
Pertanto, ricorre anche l'elemento soggettivo della fattispecie in esame in quanto il dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia è generico, consistendo appunto nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di violenze e di oppressioni che ne avviliscono la personalità e determinando un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza.
Nel caso in esame l'imputato ha volontariamente sottoposto la coniuge ad un clima umiliante, vessatorio e di sistematica sopraffazione, sottomettendola con il suo comportamento violento. Ed è chiaro che tali atti di vessazione continui hanno cagionato nella vittima sofferenze, privazioni, umiliazioni, costituendo fonte di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza, al punto da indurla a denunciarlo, nella consapevolezza che quello era l'unico modo per porre fine alle sue condotte.
Capo b)
In relazione al reato di cui ai capo b) della rubrica questo Collegio ritiene, altresì, integrato il delitto di violenza sessuale aggravato, essendo provato che (...) abbia in diverse circostanze costretto la moglie a congiungersi carnalmente a lui mediante violenza (con l'impiego cioè di energia fisica in pregiudizio della vittima), ovvero consistita dapprima nel picchiarla con schiaffi e nel trascinarla sul letto con la forza, tirandole i capelli o prendendola per un braccio, poi nello strapparle i vestiti e nel bloccarle le mani, costringendola a subire atti sessuali.
Premesso che "in tema di violenza sessuale, l'esistenza di un rapporto di "coniugio" accompagnato da effettiva convivenza non esclude, di per sé, la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto stabilito dall'art. 143 cod. civ. in materia di diritti e doveri dei coniugi, che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell'istinto sessuale anche contro la volontà dell' altro coniuge, tanto più ili un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze, ponendosi queste in contrapposizione rispetto ai sentimenti di rispetto, affiatamento e vicendevole aiuto e solidarietà fra le cui espressioni deve ricomprendersi anche il rapporto sessuale" (Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 36962 del 12/07/2007 Ud. (dep. 08/10/2007) Rv. 237313 - 01).
Al riguardo la Giurisprudenza ha chiarito che in tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell'agente; né è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. (Cass. pen. Sez. 3, Sentenza n. 16609 del 24/01/2017 Ud. (dep. 04/04/2017) Rv. 269631 - 01). Peraltro l'idoneità della violenza o della minaccia in rapporto al fine detto devono essere esaminate non secondo criteri astratti o aprioristici, ma avuto riguardo, in concreto, ad ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazione particolari, si ritiene possa influire negativamente sul processo di libera determinazione della vittima, ed essere sufficiente ad integrare, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza (Cass. pen., Sez. 3, n. 14085 del 24/01/2013 o Cass. n. 1911 del 21.2.2000).
Neppure è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio fino al congiungimento: è sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta.
La violenza carnale compiuta dal marito in danno della moglie non deve presentare connotazioni diverse rispetto a quella compiuta da un soggetto estraneo. (Nella specie trattavasi di imputazione di tentata violenza carnale. I giudici del merito avevano escluso la configurabilità del tentativo stesso, evidenziando - nei due episodi ascritti - che nel primo l'uomo non aveva superato la soglia dei semplici approcci e nel secondo che non esisteva la prova dell'inizio di una azione violenta. La Corte ha rigettato il ricorso del P.M., affermando la incensurabilità della decisione d'appello, non sussistendo né carenza né illogicità manifesta della motivazione), Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 6202 del 11/06/1993). Ricorrendo tutti gli elementi in fatto e in diritto del contestato delitto non può che discenderne la responsabilità di (...) per l'ascritto.
Inoltre essendo gli abusi sessuali consumati in diverse circostanze i reati vanno avvinti dal vincolo della continuazione interna.
Inoltre, il reato contestato al capo b) è aggravato ai sensi dell'art. 609 ter n.5-quater c.p. stante il pacifico perché incontestato rapporto di coniugio e consistenza tra la vittima e l'autore delle violenze.; sul punto la giurisprudenza ha ribadito che " in tema di violenza sessuale, la relazione affettiva, la cui sussistenza integra la circostanza aggravante di cui all'art. 609-ter, comma primo, n. 5-quater, cod. pen., va limitata ai rapporti personali analoghi a quelli di tipo coniugale che abbiano facilitato il compimento del delitto, indipendentemente sia dalla convivenza con la vittima, sia dalla stabilità e/o durata della "relazione", e non va estesa fino a ricomprendere qualsiasi legame caratterizzato da intensità di sentimenti".(Nella fattispecie la S.C. ha censurato la sentenza di merito che aveva ravvisato i requisiti di siffatta relazione affettiva nella stabile ospitalità offerta dall'imputato alla persona offesa, insieme alla sorella e al loro padre, presso la sua abitazione). (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 48822 del 25 ottobre 2018). Né tantomeno può ricorrere la ed scriminante culturale, facendo leva sul diverso modello familiare proposto dalla religione musulmana e del ruolo attribuito alla donna nel rapporto di coppia e nella società
Invero, è il caso di precisare che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale quando oggetto di giudizio sono reati che ledono i diritti fondamentali dell'uomo (quali l'integrità fisica, libertà sessuale: nella specie, l'imputato era stato chiamato a rispondere - tra l'altro- dei reati di cui agli artt. 572 e 609-bis c.p.), non c'è ingresso, nel sistema penale, alla valutazione delle diversità culturali quali limiti al fatto di rilevanza penale nell'ordinamento giuridico. Infatti, nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscono o mettano in pericoli beni di maggiore rilevanza (quali 1 diritti inviolabili dell'uomo garantiti e i beni a essi collegati tutelati dalle fattispecie penali), che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l'introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino (Cass. Pen., sez. III, 20/11/2019, n.7590),
TRATTAMENTO SANZIONATOLO
Venendo alla pena, i più reati dei quali l'imputato è stato ritenuto responsabile possono essere riuniti sotto il vincolo della continuazione, in considerazione della contiguità temporale delle condotte, che appaiono espressive di un medesimo programma delinquenziale.
Innanzitutto è appena il caso di ricordare che il delitto di violenza sessuale, come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, concorre con il delitto di maltrattamenti, laddove, come nel caso di specie, "la condotta violenta, ispirata da prevalenti motivazioni di carattere sessuale, non si esaurisca nel- mero uso della molenda necessaria a vincere la resistenza della vittima per abusante sessualmente, ma s'inserisca in un contesto di sopraffazioni, ingiurie, minacce e violente di vario genere nei confronti di quest'ultima, tipiche della condotta di maltrattamenti" (sez. 3, 15.4.2008 n. 26165, Riva, RV 240542; Sez. 3, Sentenza n. 46375 del 12/11/2008 Ud. (dep. 17/12/2008) Rv. 241798).
Possono inoltre essere concesse le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., in regime di prevalenza sulle contestate e riconosciute aggravanti, in ragione del comportamento processuale, dello stato di incensuratezza dell'imputato e della necessità di meglio adeguare la pena al caso concreto. D'altronde deve considerarsi che le circostanze attenuanti generiche, stante la loro atipicità, servono proprio a consentire al giudice di valutare elementi di fatto particolarmente significativi, sia di natura oggettiva che soggettiva, capaci di far risaltare il valore positivo del fatto, elementi positivi che sono rilevabili nel presente processo per quanto appena riferito.
Valutati gli indici di commisurazione di cui all'art. 133 c.p., avuto riguardo specialmente alle modalità dei fatti, si stima equo irrogare la pena di anni 4 mesi 2 di reclusione, così determinata:
- pena base per il più grave reato di cui al capo B) della rubrica anni 6 di reclusione (pari al minimo edittale);
- ridotta in ragione della concessione delle circostanze attenuanti generiche ad anni 4 di reclusione;
- aumentata ad anni 4 mesi 1 di reclusione in ragione della continuazione interna per i diversi episodi di violenza sessuale;
- aumentata ad anni 4 mesi 2 di reclusione ex art. 81 cpv. c.p., in relazione ai delitto di cui all'art 572 c.p.
È, inoltre, il caso di ricordare che per "la determinatone della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra inoltre tra i poteri discrezionali del giudice di mento ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art, 133 c.p." (così, da ultimo, Cass. Ord. 4/3-21/4/2016 n. 16488. In senso conforme cfr., ad es., Cass. 8/1-14/3/2016 n. 10462, non massimata; Cass. 12/3/2014, Del Toso, RV 260022; Cass. 20 /3/2013, Senatore, RV 256197).
Inoltre, l'entità della pena inflitta osta al riconoscimento del beneficio della pena sospesa nei confronti dell'imputato.
Ai sensi dell'art. 609 nonies c.p. deve applicarsi nei confronti del pervenuto l'interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno, interdetto da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni ordine e grado o da uffici o servizi in strutture frequentate prevalentemente da minori per la durata di anni cinque; dispone, inoltre, la perdita del diritto agli alimenti e/o alla successione della persona offesa.
Ai sensi dell'art. 29 c.p., deve applicarsi nei confronti del giudicabile l'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Inoltre, sebbene accertato il nesso di causalità tra le condotte di (...) e il danno subito dalla parte civile, non può essere riconosciuta alla parte civile una provvisionale non ritenendosi raggiunta la prova in tali limiti, demandandosi alla competente sede civile la liquidazione complessiva del danno. L'imputato va, inoltre, condannato al pagamento delle spese processuali, nonché di quelle sostenute dalla parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese processuali che liquida in euro 1.2.00,00 in favore della parte civile oltre spese nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
In ragione del gravoso carico di lavoro pendente presso il predetto Tribunale e dunque del numero dei provvedimenti da redigere e dei pressanti impegni d'udienza appare opportuno riservare il deposito delle motivazioni nel termine di giorni novanta.
PQM
Letti gli artt. 533-535 c.p.p. dichiara (...) responsabile dei delitti a lui ascritti in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, valutate le stesse prevalenti sulla contestata aggravante, riconosciuta la continuazione interna ed esterna tra gli stessi, lo condanna alla pena di anni 4 (quattro) e mesi 2 (due) di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 609 nonies c.p. dichiara l'imputato interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno, interdetto da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni ordine e grado o da uffici o servizi in strutture frequentate prevalentemente da minori per la durata di anni cinque; dispone la perdita del diritto agli alimenti e/o alla successione della persona offesa. Letti gli artt. 29. c.p., dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., art. 110 ultimo comma DPR 115/2002 condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00 in favore della parte civile oltre spese nella misura del 15% , IVA e CPA come per legge. Rigetta la richiesta provvisionale.
Visto l'art. 544, comma 3°, c.p.p., fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.
Così deciso in Nola il 23 giugno 2021.
Depositata in Cancelleria il 18 agosto 2021.