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Tribunale di Nola - 781/21 - GM Raffaele Muzzica - Falso - Assoluzione

Tribunale Nola, 21/05/2020, (ud. 21/05/2020, dep. 21/05/2020), n.781

Giudice: Raffaele Muzzica

Reato: 81 co. 2, 473 co. 1 - 2,474 ter c.p.

Esito: Assoluzione


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI NOLA

GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

SEZIONE PENALE

Il Giudice monocratico del Tribunale, dott. Raffaele Muzzica, alla

pubblica udienza del 21/5/2020 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(con redazione contestuale dei motivi)

nei confronti di:

1) Mu.Al., nato (...), residente ed elettivamente domiciliato in

Casalnuovo di Napoli alla Via (...) - libero, presente

Difeso di fiducia dall'avv. Al.Va.

IMPUTATO

a) Del delitto p.p. dagli artt. 81 co. 2, 473 co. 1 - 2,474 ter

c.p. poiché con più azioni esecutive di un medesimo disegno

criminoso in tempi diversi, in qualità di titolare della ditta

"(...) srl", avente ad oggetto la produzione ed il commercio di

prodotti tipografici, litografici e di editoria, nonché la

produzione ed il commercio di carte da gioco, conoscendo o

potendo conoscere del titolo di proprietà industriale,

contraffaceva i marchi ed i disegni industriali detenuti in

esclusiva dalle società Di. Ltd. per il personaggio "Vi.", (...)

e (...) per il personaggio "(...)", e da Sy. per il gruppo "(...)",

ed in particolare fabbricava n. 16.941 contenitori per carte da

gioco riproducenti l'immagine di "(...)", n. 101 contenitori per

carte da gioco recanti l'immagine degli "(...)", n. 167 contenitori

per carte da gioco recanti l'immagine di "Vi.", n. 6.680 carte da

gioco con impressa l'immagine di "Vi."; n. 11 clichè con l'immagine

del gruppo "(...)". Con l'aggravante di aver commesso il fatto con

allestimento di mezzi e attività organizzata presso lo stabilimento

di Casalnuovo di Napoli via (...).

(Si omettono le conclusioni delle parti)



Svolgimento del processo

L'imputato Mu.Al. veniva citato a giudizio, con decreto emesso dal GUP in sede il 10/2/2017, per rispondere all'udienza del 12/10/2017 del reato in rubrica contestato.


In quell'udienza il difensore dell'imputato produceva certificato di ricovero rilasciato nei confronti dell'imputato, impedito nella partecipazione dell'udienza. Il Giudice, sentite le parti, ritenuto legittimo l'impedimento, previa sospensione dei termini di prescrizione e avviso all'imputato, rinviava il procedimento all'udienza del 24/1/2018 (sessantuno giorni di sospensione della prescrizione).


In quella sede, in presenza dell'imputato regolarmente citato, il difensore eccepiva l'omessa notifica del decreto di citazione ad una delle società persone offese.


Il Giudice, sentite le parti, rigettava l'eccezione con ordinanza dettata a verbale, da intendersi qui integralmente richiamata.


In assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammettendo le prove così come richieste dalle parti in quanto legittime, non manifestamente superflue o irrilevanti.


Il processo veniva rinviato, stante l'assenza dei testi, all'udienza del 18/4/2018 e, successivamente per le medesime ragioni, all'udienza del 21/11/2018.


In quell'udienza il Giudice prendeva atto dell'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Camere penali, cui il difensore dell'imputato dichiarava di aderire.


Sentito il PM, che nulla opponeva, il Giudice rinviava il procedimento, previa sospensione dei termini di prescrizione stante la presenza dei testi, edotti del rinvio, all'udienza del 14/2/2019 (due mesi e ventitre giorni di sospensione della prescrizione).


In quell'udienza il giudice onorario rinviava il procedimento, esorbitante dalle sue attribuzioni in quanto proveniente da udienza preliminare, per l'udienza del 9/5/2019.


In quell'udienza - la prima celebrata dinnanzi allo scrivente - il Giudice prendeva atto dell'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Camere penali, cui il difensore dell'imputato dichiarava di aderire. Sentito il PM, che nulla opponeva, il Giudice rinviava il procedimento, previa sospensione dei termini di prescrizione stante la presenza dei testi, edotti del rinvio, all'udienza del 25/9/2019 (quattro mesi e quindici giorni di sospensione della prescrizione).


In quella sede il difensore dell'imputato reiterava l'eccezione relativa all'omessa notifica del decreto che dispone il giudizio nei confronti della persona offesa Sy..


Il Giudice, sentite le parti, rigettava l'eccezione con ordinanza dettata a verbale, qui da intendersi integralmente riportata. In assenza di ulteriori questioni o eccezioni preliminari, il Giudice rinnovava le formalità di apertura del dibattimento, le parti si riportavano alle precedenti richieste istruttorie, ammesse da questo Giudice.


Si procedeva all'escussione del teste D'A.Er.. Al termine il PM rinunciava all'altro teste di lista ed il Giudice, sentito il difensore che si opponeva, ritenuto manifestamente superfluo escutere l'altro teste avendo svolto i medesimi accertamenti del dichiarante, revocava l'ordinanza ammissiva della prova.


Il processo veniva rinviato per il prosieguo istruttorio all'udienza del 5/12/2019.


In quell'udienza il Giudice prendeva atto dell'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Camere penali, cui il difensore dell'imputato dichiarava di aderire. Sentito il PM, che nulla opponeva, il Giudice rinviava il procedimento, previa sospensione dei termini di prescrizione, dovendosi procedere all'esame dell'imputato, all'udienza del 27/2/2020 (due mesi e ventidue giorni di sospensione della prescrizione).


In quell'udienza, con l'assistenza della p.g. procedente, veniva eseguito l'ordine di esibizione dei prodotti sequestrati, in presenza dell'imputato e delle parti processuali. Al termine l'imputato, debitamente avvisato delle sue facoltà di legge, dichiarava di volersi sottoporre all'esame dibattimentale. Il processo veniva rinviato per la discussione all'udienza dell'8/4/2020.


Con decreto d'ufficio emesso in data 3/4/2020, notificato a tutte le parti, il Giudice rinviava il procedimento in epigrafe stante le disposizioni urgenti di contrasto all'emergenza epidemiologica COVID-19, all'udienza odierna.


Alla presente udienza, non essendovi ulteriori adempimenti istruttori, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe.


Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, con contestuale redazione dei motivi.


Motivi della decisione

Ritiene questo Giudice che, alla luce dell'istruttoria dibattimentale, Mu.Al. vada assolto dal reato di cui all'art. 56 e 517 c.p., così diversamente riqualificato il fatto ascritto, perché questo non sussiste.


Giova sul punto evidenziare che gli elementi posti a fondamento del giudizio sono costituiti dalle dichiarazioni del teste escusso D'A.Er., dagli atti irripetibili versati nel fascicolo del dibattimento, ovvero il verbale di accesso, ispezione e sequestro del 25/11/2014 con successiva ordinanza di convalida, datata 1/12/2014, emessa dal GIP del Tribunale di Nola, il verbale di affidamento in custodia emesso in data 25/11/2014 del materiale sequestrato, esibito in udienza.


Completano il quadro probatorio le dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale.


Sulla base di tali fonti di prova la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.


Dalle dichiarazioni del teste di p.g., l'appuntato D'A.Er. - sulla cui attendibilità non vi è da dubitare, stante il narrato chiaro e preciso, pienamente riscontrato dagli atti irripetibili e dalle fonti documentali in atti, proveniente da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, veste, questa che lascia fondatamente ritenere assente ogni interesse privato nella vicenda - è emerso che in data 25 novembre 2014, durante un servizio di polizia economica e finanziaria gli operanti della Guardia di Finanza - Gruppo Pronto Impiego di Napoli - effettuavano l'accesso presso l'azienda del signor Mu.Al., adibita a tipografia, con tanto di strumentazione e macchinari ed insegna sulla strada.


Si trattava di un locale di circa 500 metri quadri al piano terra con un soppalco di circa 250 metri quadri, sito in Casalnuovo di Napoli alla Via (...). All'interno del locale gli agenti - oltre ad attestare la presenza di dipendenti e lavorazioni diverse da quelle per cui vi è processo - rinvenivano dei cliché, delle carte da gioco e scatole recanti alcuni marchi di impresa ad opinione dei verbalizzanti, sulla base della loro esperienza ventennale, contraffatti. A domanda del PM, l'agente precisava che il cliché era una lastra di alluminio di forma rettangolare, sulla quale vi erano impressi i disegni personaggi che poi venivano stampati sulle carte da gioco o sulle scatole.


Oltre ai 101 contenitori di carte da gioco che rappresentavano l'immagine del gruppo musicale (...), la p.g. rinveniva circa 17 mila contenitori per carte da gioco riportanti l'immagine del personaggio (...), 167 contenitori per carte da gioco e 6.680 carte da gioco del personaggio della (...), per un totale di 23.900 pezzi, che venivano sottoposti a sequestro poi convalidato dall'A.G. La p.g. chiedeva al signor (...) se avesse qualche tipo di documentazione che attestasse la provenienza di questi prodotti ma l'imputato non forniva alcuna documentazione in merito.


A domanda del PM, il teste di p.g. precisava che un possibile acquirente, non conoscendo i particolari che dettano il tipo di prodotto, poteva essere tratto in inganno e quindi acquistare il prodotto come originale, giacché il bene era perfettamente replicato, ancorché sprovvisto dei loghi che attestavano la veridicità del prodotto, di etichette indicanti l'azienda produttrice autorizzata dalla società titolare del marchio o dei cartelli riportanti il logo tipico delle produzioni originali.


A domanda del difensore, il teste dichiarava di non ricordare se le fattezze dei personaggi fossero caricaturali e se i nomi fossero alterati (Vi. anziché Vi., (...) anziché (...)). Né il teste era in grado di riferire su eventuali perizie tecniche sui prodotti oggetto di sequestro, in ogni caso non confluite negli atti del dibattimento.


A fronte di tali elementi, l'imputato ha fornito alcuna spiegazione alternativa nel corso dell'esame dibattimentale.


Il (...) ha riferito di essere titolare della sua ditta omonima dal 2008 e di dedicarsi da sempre nella produzione di carte da gioco ed in generale immagini caricaturali. A domanda del PM, l'imputato ammetteva di sapere che i marchi oggetto delle cosiddette caricature erano tutelati da diritti di privativa industriale e che, per tale ragione, aveva provveduto ad alterare le forme dei personaggi e la nomenclatura.


Il dato risulta corroborato dall'esibizione dei reperti effettuata in udienza, alla presenza delle parti, in esito alla quale poteva constatarsi effettivamente che gli oggetti in sequestro erano carte da gioco e cliché in cui le figure ed i nomi erano vagamente alterati.


Così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, preliminarmente occorre precisare che il fatto deve essere riqualificato nell'ipotesi prevista e punita dall'art. 56,517 c.p.


Ed invero, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di cui all'art. 474 cod. pen. si riferisce ai prodotti recanti marchi contraffatti, per tali dovendo intendersi i segni distintivi delle ditte produttrici ed è volto a sanzionare la contraffazione del marchio o segno distintivo, ossia la riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo, ovvero la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col marchio o col segno distintivo protetto (alterazione) (v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27376 del 17/02/2017 Ud. dep. 31/05/2017, Rv. 270312). Ai fini della configurabilità dell'elemento oggettivo del reato di cui agli arti. 473 e 474, cod. pen., dunque, non è sufficiente la mera confondibilità tra due marchi regolarmente registrati, ma è necessario un "quid pluris" rappresentato dalla materiale contraffazione o alterazione dell'altrui marchio (Sez. 1, n. 30774 del 09/09/2015, Ba., Rv. 267509).


Nel caso di specie, appare assolutamente pacifico che il (...) non ha pedissequamente riprodotto marchi registrati, né ha alterato gli stessi in modo da ricrearne l'effetto emulativo in modo lesivo.


La condotta concretatasi, come nel caso in verifica, nella produzione, prodromica alla vendita, di merci con nomi, marchi o segni distintivi con prodotti mendaci astrattamente integrerebbe il reato di cui all'art. 517 cod. pen. a livello di tentativo, atteso che la produzione della merce per la successiva vendita costituisce atto idoneo, tenuto conto della qualità del soggetto che lo effettua, imprenditore del settore, del numero dei prodotti e della concomitante produzione di prodotti simili, a porre in vendita o mettere altrimenti in circolazione i prodotti in questione.


Appare pienamente esportabile al caso di specie la giurisprudenza formatasi in tema di sdoganamento, secondo la quale "l'ampia nozione insita nell'espressione "mede altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali" adoperata nell'art. 517 c.p., a differenza di quella contenuta nell'articolo precedente mediante l'uso dei termini "pone in vendita o mette altrimenti in commercio", esprime la volontà del legislatore di impedire qualsiasi forma di diffusione di prodotti industriali che adoperano nomi, marchi o segni distintivi nazionali ed esteri atti ad indurre in inganno il compratore. Alla luce della ratio della norma - come affermato nel precedente di questa Corte - deve ritenersi, pertanto, vietata ogni attività con la quale si faccia uscire a qualsiasi titolo la "res" dalla sfera giuridica e di custodia del detentore, sicché lo sdoganamento di merci che contengano segni distintivi aventi tali caratteristiche integra certamente la fattispecie del tentativo del delitto di cui all'art. 517 c.p., allorché per la quantità del prodotto, la qualità dell'autore del fatto e le altre circostanze della condotta, quali la preesistenza di un'organizzazione di mezzi diretti alla vendita o alla diffusione di merci, l'attività si palesi idonea ed univocamente destinata alla diffusione in qualsiasi modo del prodotto stesso" (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28372 del 11/07/2006 Ud. dep. 08/08/2006, Rv. 234951)


Tanto premesso, però, dall'esibizione dei reperti si è evinto che sulle confezioni e sulle carte da gioco prodotte dalla ditta di Mu.Al. - dato pacifico e incontestato nell'istruttoria dibattimentale - erano apposti marchi figurativi costituiti da immagini e nomenclature che, per fattezze, colori e tipologia, alludevano ai ben più noti marchi "(...)", "Vi." e "(...)". Tuttavia le parole utilizzate, la mera assonanza fonetica e verbale, l'andamento grafico e la disposizione dei caratteri riportati, tipici delle produzioni caricaturali, sui beni oggetto di sequestro richiamano indubbiamente i suddetti marchi denominativi e figurativi registrati, ma, ritiene questo Giudice, in modo inidoneo ad indurre in inganno il consumatore medio sull'origine, provenienza o qualità dell'opera.


D'altronde, occorre sottolineare che sui reperti in sequestro appare la firma della madre dell'imputato, originaria titolare dell'impresa, e il logo della ditta, rappresentato da un aquilotto.


Inoltre, il giudizio valutativo della p.g., pur attendibile in ragione dell'esperienza sul campo del verbalizzante, secondo cui i prodotti in sequestro erano idonei ad ingannare il consumatore medio, non è stato corroborato da perizie o accertamenti tecnici, non esperiti nel presente procedimento, che potessero non solo e non tanto attestare la qualità della produzione ma - dato ancora più saliente - l'esistenza di prodotti analoghi effettivamente realizzati dalle società titolari del marchio.


Non è stata, in altri termini, fornita prova circa la reale esistenza di carte da gioco prodotte dalla (...), dalla Sy. e dalla (...) e raffiguranti i personaggi richiamati dalle carte del (...), dato, questo, ulteriormente corroborante l'assenza di idoneità ingannatoria della condotta dell'imputato.


Né può riqualificarsi il fatto ascritto all'imputato nel reato previsto e punito dall'art. 517 ter c.p.


Come riconosciuto in dottrina e già affermato dalla Suprema Corte, infatti, l'art. 517-ter cod. pen. si pone in sostanziale continuità normativa con l'abrogato art. 127, comma 1, D.Lgs. n. 30 del 2005, e si riferisce tanto all'ipotesi dei prodotti realizzati ad imitazione di quelli protetti dal titolo di privativa e quindi in violazione del medesimo, quanto a quella della fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di colui che non ne è titolato (cosi, in motivazione, Sez. 3, n. 8653 del 19/11/2015, Ru., Rv. 266220).


Quel che distingue tale ipotesi delittuosa da quella di cui agli arti. 473 e 474, cod. pen., è dunque la dimensione degli interessi coinvolti: pubblici nel primo caso (fede pubblica), privati nel secondo (patrimonio), il che giustifica, peraltro, il diverso regime di procedibilità, ufficioso nel primo caso e a querela nel secondo.


Il bene giuridico protetto dagli artt. 473 e 474, cod. pen. è la fede pubblica, "che si intende tutelare contro specifici attacchi insiti nella contraffazione od alterazione del marchio o di altri segni distintivi o del brevetto, disegni o modelli industriali. Bene messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato) siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento.


L'interesse pubblico, in tale situazione, è preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato). Di contro, ove (...) sia ravvisabile solo uno specifico interesse patrimoniale di un privato, leso dall'abusiva utilizzazione di un prodotto da lui brevettato, ricorre altra fattispecie di reato, ratione temporis ravvisabile nella fattispecie di cui al D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 127 (in precedenza come frode brevettuale di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88), che tutela esclusivamente il patrimonio e dunque una sfera di interessi esclusivamente privati (circostanza questa chiaramente segnalata dalla procedibilità a querela di parte) ed ha, dunque, carattere sussidiario rispetto alle ipotesi di reato previste dal codice penale, tra cui appunto quella di cui all'art. 473 c.p. (cfr. Cass. sez. 5, 26.4.2006, n. 19512, rv. 234405, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 127 non rileva la mera somiglianza del prodotto contraffatto con quello originale, idonea a generare confusione, ma è necessario ravvisare un carattere del prodotto industriale, relativo a progetto o a struttura, componenti, assemblaggio, confezione od altro che, al di là del marchio, ne rende esclusiva la fabbricazione ed il commercio)" (così, in motivazione, Sez. 5, n. 37553 del 15/07/2008, Pe., Rv. 241642; nello stesso senso, Sez. 5, n. 22503 del 07/01/2016, Sb., Rv. 266856).


Tuttavia, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte il discrimine tra l'ipotesi di cui all'art. 517 ter c.p. ed il diverso reato punito è previsto dall'art. 517 c.p. è che nel primo caso l'imitazione dei prodotti protetti dalla privativa deve essere effettuata utilizzando segni distintivi autentici e non mendaci: ciò rappresenta ulteriore conferma della natura privatistica degli interessi tutelati dall'art. 517 ter c.p. - che non vengono in discussione nel presente procedimento - e di quelli pubblicistici, tutelati dalla fattispecie di cui all'art. 517 c.p. ("In materia di delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale, la condotta di "violazione" del titolo di privativa è integrata non soltanto con la fabbricazione di merci realizzata carpendo l'idea originale insita nel titolo, ma, altresì, con l'imitazione dei prodotti protetti dalla privativa, anche utilizzando segni distintivi autentici. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica, ai sensi dell'art. 517-ter cod. pen., della condotta consistita nella esposizione per la vendita da parte dell'imputato di un veicolo avente le stesse caratteristiche di forma e linee stilistiche dell'auto Ferrari mod. 250 GTO sul quale era stato apposto il marchio Fe.) (Sez. 3, n. 8653 del 19/11/2015 - dep. 03/03/2016, Ru., Rv. 26621901).


il diverso reato di cui all'art. 517 cod. pen., posto a tutela dell'ordine economico, punisce la messa in circolazione di prodotti dell'ingegno o di opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto (v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27376 del 17/02/2017 Ud., dep. 31/05/2017, Rv. 270312). Ai fini della configurabilità del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 cod. pen.) è dunque sufficiente la mera imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché idonea a trarre in inganno l'acquirente sull'origine, qualità o provenienza del prodotto da un determinato produttore, elemento, questo, come si è già visto, mancante nel caso di specie.


Per questi motivi deve pronunciarsi sentenza di assoluzione, con formula dubitativa, nei confronti di Mu.Al. perché il fatto non sussiste.


Ordina il dissequestro e la restituzione all'avente diritto del materiale residuo in sequestro.


PQM

Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve Mu.Al. dal reato di cui all'art. 56 e 517 c.p. perché il fatto non sussiste.


Ordina dissequestro e restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro.


Motivi contestuali.


Così deciso in Nola il 21 maggio 2020.


Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2020.



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