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Responsabilità 231/01

Cassazione penale sez. V, 09/04/2024, n.21868

Costituzione di parte civile: non è ammissibile nel processo per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente

Costituzione di parte civile: non è ammissibile nel processo per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente

Nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato di un ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile, non essendo l'istituto contemplato dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (In motivazione la Corte ha chiarito che l'omissione è frutto di una consapevole scelta legislativa).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 maggio 2023 la Corte di appello di Taranto - all'esito del gravame interposto da Ba.Vi. e da Perla Nera Srl - in parziale riforma della sentenza in data 20 gennaio 2022 del Tribunale di Taranto, ha rideterminato in mitius la pena della reclusione inflitta al primo e la sanzione pecuniaria irrogata alla società, e ha confermato nel resto la prima decisione che (per quel che qui rileva): aveva affermato la responsabilità del Ba. per i reati di cui agli artt. 316 - bis cod. pen. e 2621 cod. civ., limitatamente ai bilanci degli anni 2015 e 2016 (rispettivamente capi secondo e quarto della rubrica); aveva applicato alla Perla Nera Srl la sanzione amministrativa per l'illecito contestato (al capo terzo della rubrica) in relazione al detto reato di cui al capo secondo; aveva disposto nei confronti del Ba.,oltre la sanzione accessoria dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione misura di sicurezza della confisca; e aveva condannato quest'ultimo e l'ente a risarcire il danno e a pagare le spese di costituzione in favore della parte civile Regione Puglia.

2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, con separato atto, i difensori dell'imputato e dell'ente (per i motivi di seguito esposti nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.).

2.1. Nell'interesse del Ba. sono stati presentati tre motivi.

2.1.1. Con il primo motivo sono stati denunciati la violazione dell'art. 5 cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 316 - bis cod. pen., deducendo che: il Ba., resosi conto dell'insufficienza della somma ricevuta dalla Regione Puglia a titolo di finanziamento (per raggiungere la finalità per cui era stato erogato), ne ha dato comunicazione allo stesso ente erogante, manifestando l'intenzione di restituire l'importo; la Regione Puglia ha accettato la proposta, pianificando la restituzione (totale o parziale); parte del denaro è stato speso dal Ba. per completare un altro progetto sostanzialmente connesso (per cui aveva ottenuto un precedente contributo già restituito), dunque la somma non è stata impiegata per fini personali o appropriativi; e la Corte di merito avrebbe disatteso il gravame prescindendo da qualsivoglia indagine in concreto sull'elemento soggettivo del reato, sulla scorta di una lettura dell'art. 5 cod. pen. in contrasto con la Costituzione e con quanto ritenuto dalla sentenza n. 368 del 1988 della Consulta (secondo cui l'ignoranza inevitabile della legge penale costituisce una scusante), non considerando che l'imputato è stato ingannato dalla Regione e non motivando al riguardo.

2.1.2. Con il secondo motivo sono stati denunciati la violazione dell'art. 5 cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 2621 cod. civ. sulla scorta del medesimo ordine di argomentazioni già rassegnate con il primo motivo, deducendo che il Ba. sarebbe stato ritenuto responsabile del reato in discorso per l'appostazione dei contributi pubblici (per gli anni 2015 e 2016, essendo stata dichiarata la prescrizione con riferimento agli esercizi 2012, 2013, 2014), nello stato patrimoniale della Perla Nera Srl sotto la voce riserve di capitale e non come quote di ammortamento nel conto economico, così alterando i risultati di esercizio; tuttavia egli - pur rivestendo la carica di legale rappresentante della società - non avrebbe alcuna competenza contabile, fiscale e tributaria, ragion per cui la vera responsabile sarebbe da individuare nella professionista incaricata della tenuta delle scritture.

2.1.3. Con il terzo motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e in particolare in ordine all'aumento ex art. 81, comma 2, cod. pen. per il reato di cui all'art. 2621 cod. civ., non oggetto di diminuzione nonostante sia stata ridotta la pena per il delitto più grave con cui esso è fortemente connesso.

2.2. Nell'interesse di Perla Nera Srl sono stati articolati due motivi.

2.2.1. Con il primo motivo - richiamando l'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. - è stata dedotta la violazione dell'art. 74 cod. proc. pen. e del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in ragione della ritenuta ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente e delle conseguenti statuizioni civili a carico dello stesso e in favore della Regione Puglia, nonché della mancata revoca del disposto sequestro conservativo; e ciò in contrasto con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulla natura della responsabilità degli enti a mente del D.Lgs. n. 231 cit., che presuppone la commissione di un reato ma non vi si identifica, e del tenore della regolamentazione posta dallo stesso decreto che depone per l'esclusione dell'esercizio dell'azione civile ex art. 74 cit. nei confronti degli enti, non deponendo invece nel senso voluto dalla Corte territoriale: il generale rimando alle norme del codice di procedura penale contenuto nell'art. 34 D.Lgs. n. 231 cit.; né il richiamo degli artt. 12, comma 2, lett. a), 17, comma 1, lett. a), e 19 dello stesso decreto, relativi alla riparazione del danno da parte dell'ente, che costituirebbe un profilo neutro rispetto alla costituzione di parte civile.

2.2.2. Con il secondo motivo - sub specie dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - sono state denunciate la violazione degli artt. 5 e 24 D.Lgs. n. 231 del 2001 e l'omessa motivazione, in ordine alla prospettata insussistenza dei presupposti per sanzionare la società in mancanza di due centri di interessi autonomi e distinti tra essa e Ba.Vi. (difettando sia elementi da cui trarre una "colpa di organizzazione" da parte di Perla Nera Srl sia un interesse o vantaggio di essa distinto da quello dell'autore del reato, punito già con la sanzione penale); e il gravame sul punto non potrebbe dirsi compiutamente disatteso rilevando - come ha fatto la Corte di merito, la quale nel resto ha riportato quasi integralmente la motivazione di Sez. 6, n. 45100 del 16/02/2021, New Events Srl, Rv. 282291-01 - che al momento del fatto il Ba. non era l'unico socio di Perla Nera Srl (essendolo divenuto in seguito), in quanto - a prescindere dall'originaria compagine societaria - la società si identifica nel Ba. (unico gestore); quest'ultimo, dunque, patirebbe un cumulo sanzionatorio, poiché alla sanzione penale si affiancherebbe quella all'ente che grava solo sul patrimonio dell'imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di Ba.Vi. è inammissibile. Quanto al ricorso di Perla Nera Srl, è fondato (nei termini di seguito esposti) il primo motivo ed è inammissibile il secondo.

1. I primi due motivi di impugnazione del Ba., che censurano la sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo dei delitti dei quali egli è stato ritenuto responsabile, possono essere trattati congiuntamente. Essi sono inammissibili poiché: reiterano il medesimo ordine di allegazioni già vagliate dalla Corte di appello, senza tuttavia confrontarsi con la motivazione da essa spesa; contengono allegazioni intrinsecamente generiche; sono manifestamente infondati e in parte inediti.

1.1. Il Giudice distrettuale, quanto al delitto di cui all'art. 316 - bis cod. pen. ha anzitutto escluso che il denaro ricevuto in virtù del finanziamento regionale de quo sia mai stato destinato a impieghi connessi alla realizzazione del progetto per cui era stato concesso (ossia per la realizzazione di un'opera finanziata a seguito di un precedente progetto), rimarcando come risultassero numerosi prelevamento in contanti a valere sulla giacenza in discorso. Peraltro, la Corte di merito, nel richiamare i dati valorizzati dal Tribunale, ha dato conto: di come sia stato acquistato (per un importo elevato) un macchinario per nulla attinente al progetto; dell'infondatezza della prospettazione difensiva basata su una consulenza di parte; di come, infine, fino all'ottobre del 2017 non fosse stato rispettato il piano di rientro per la restituzione della somma (per cui la Regione Puglia aveva concesso una dilazione). Rispetto a tale argomentazione, sulla scorta della quale è stato escluso il sostrato fattuale su cui la difesa ha fondato il difetto dell'elemento soggettivo, il ricorso non muove compiute critiche, non avendo neppure dedotto il travisamento della prova (cfr. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01). Inoltre, in maniera con evidenza conforme al diritto la Corte di appello ha evidenziato come il delitto di malversazione ex art. 316 - bis cod. pen. sia punito a titolo di dolo generico, da individuarsi nella consapevole volontà dell'agente di conferire al e somme ottenute (contributi, sovvenzioni, finanziamenti) una destinazione diversa da quella prevista.

1.2. Ancora, la difesa ha assunto che il Ba. versava in una situazione di ignoranza inevitabile, e dunque scusabile, perché sarebbe stato ingannato dalla Regione Puglia. Tale prospettazione è inedita e, dunque, irrituale: difatti, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01; Sez, 5, n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577; cfr. pure Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 - 01, secondo cui "non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello"). Inoltre, l'ignoranza inevitabile è stata rappresentata in maniera del tutto assertiva (non essendo dato comprendere in cosa sarebbe consistito l'inganno). Non occorre, allora, immorare per osservare che "l'ignoranza inevitabile della legge, secondo la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, vale soprattutto per chi versa in situazioni soggettive di sicura inferiorità" e non può certo essere strumentalizzata per coprire condotte superficiali o indifferenti da parte di soggetti dai quali "sono esigibili particolari comportamenti diretti a conoscere la disciplina normativa che regola l'attività svolta ed il contenuto degli atti che sottoscrivono (o compiono) nell'esercizio della loro attività", il che è a dirsi nella specie per l'imputato, amministratore di una società di capitali che ha chiesto e ottenuto diverse pubbliche erogazioni (Sez. 6, n. 15620 del 03/03/2022, Pasanisi, Rv. 283146 - 01; cfr. già Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885 - 01, la quale - a proposito dell'inevitabilità dell'ignorantia legis, ha chiarito che il c.d. ""dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia (,...) è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto").

Tanto più che, "in relazione alla sentenza della Corte Cost. n. 364 del 1988, (...) non si versa in tal caso in una ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale" quando è "noto il disvalore sociale della condotta", come nel caso di consapevole destinazione di pubbliche erogazioni a distinte finalità che - secondo la stessa allegazione difensiva - avevano condotto il ricorrente a offrirne la restituzione (Sez. 6, n. 15620/2022, cit. che richiama Sez. 3, n. 2257 del 30/11/2007 - dep. 2008, Di Stefano, Rv. 238627).

1.3. Il medesimo ordine di considerazioni conduce alla declaratoria di inammissibilità anche del secondo motivo di impugnazione, che ha inteso fondare l'ignoranza inevitabile - che escluderebbe il dolo del delitto di cui all'art. 2621 cod. civ. - sull'affidamento a un professionista esterno della elaborazione dei bilanci della Perla Nera Srl e sulla ignoranza (di cui non si indica neppure l'inevitabilità) delle relative norme e dei criteri di redazione da parte del ricorrente, che ne era amministratore (oltre che socio). Invero, anche con riguardo a quest'ultimo reato tale ordine di allegazioni è inedito; e, in ogni caso, il ricorso non si confronta in alcun modo con la motivazione della sentenza impugnata, che ha esplicitato gli elementi in ragione dei quali ha ritenuto che l'alterazione del risultato di esercizio (frutto delle appostazioni in contestazione) rispondesse a una precisa scelta dell'amministrazione della società. Ragion per cui basti solo aggiungere che il secondo motivo è manifestamente infondato poiché fonda l'esclusione della responsabilità per false comunicazione sociali sul difetto di competenze contabili e tributarie del Ba. e sull'affidamento dei relativi incombenti a un professionista, quantunque si tratti di un reato proprio - per quel che qui rileva - dell'amministratore della società, rispetto al quale (fermo quanto già osservato retro, par. 1.2. ed anzi in conformità ai princìpi sopra richiamati) deve ribadirsi che:

- coloro i quali svolgono professionalmente una determinata attività hanno l'obbligo di conoscenza delle norme che la disciplinano (cfr. Sez. 5, n. 39009 del 28/05/2018, Anselmi, Rv. 273877 - 01, in tema di bancarotta semplice documentale, che esprime un principio che vale anche per il reato in discorso);

- e l'amministratore di una società "non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall'obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite" dal titolare dell'impresa o da chi ne ha la gestione (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Marelli, Rv. 280133 - 01; Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013 - dep. 2014, Manfrellotti, Rv. 258947 -01; Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, De Franceschi, Rv. 231707 - 01, in materia di bancarotta fraudolenta documentale ma con argomenti che valgono pure per il delitto in discorso).

2. Il terzo motivo presentato nell'interesse del Ba. è manifestamente infondato. La Corte di merito, nel dar conto delle ragioni poste a sostegno della diminuzione (a due anni di reclusione) della pena base per il delitto di cui all'art. 316 - bis cod. pen. (e, dunque, dell'accoglimento in parte qua dell'appello), ha comunque rimarcato la lucidità e la pervicacia del ricorrente nel perseguire il proprio agire illecito (oltre ad escludere la sussistenza di pregnanti elementi meritevoli di favorevole apprezzamento); ragion per cui ha compiutamente argomentato in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, facendo riferimento agli elementi contemplati dall'art. 133 cod. pen. cui ha attribuito preponderanza (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01), così rendendo una motivazione senz'altro adeguata - e, dunque, qui non sindacabile - anche in relazione all'aumento ex art. 81, comma 2, cod. pen. (tre mesi di reclusione per ciascun fatto di cui all'art. 2621 cod. civ.) in conformità al dictum delle Sezioni Unite di questa (Sez, U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01), motivazione che il ricorso censura peraltro in maniera apodittica.

3. Il primo motivo di ricorso di Perla Nera Srl è fondato, nei termini che seguono.

La Corte di merito ha rigettato il gravame, con il quale si era chiesto di riformare la decisione di primo grado nella parte in cui aveva condannato Perla Nera Srl a risarcire il danno alla parte civile Regione Puglia: in particolare, il Giudice distrettuale ha espressamente disatteso la conclusione cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, secondo cui "nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 e l'omissione non rappresenta una lacuna normativa, ma corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore" (Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010 - dep. 2011, Fenu, Rv. 248791 - 01; cfr. pure Sez. 4, n. 3786 del 17/10/2014 - dep. 2015, Li Causi, n.m.; Sez. 4, n. 30175 del 6 giugno 2023, Catalano, n.m.); e ciò per il tramite di argomenti che non si confrontano con la necessaria specificità con quelli posti a sostegno del principio appena riportato e su quanto affermato pure dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea e dalla Corte costituzionale, che richiamano in maniera non puntuale quanto affermato dalle Sezioni Unite a proposito della responsabilità prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001.

Ad avviso del Collegio, deve invece ribadirsi che la disciplina v gente non consente la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente chiamato a rispondere di un illecito a mente del decreto n. 231.

3.1. Milita in tal senso, in primo luogo, lo speciale ordito normativo appena richiamato, che regola il processo nei confronti degli enti; ma è, altresì, di centrale rilievo - ed anzi, come condivisibilmente evidenziato, ha un rilievo decisivo (cfr. Sez. 6, n. 2251/2010 - dep. 2011, cit.) - il modello di responsabilità degli enti da esso contemplata.

3.1.1. Difatti, sotto il primo profilo:

- anzitutto, nel D.Lgs. n. 231 del 2001 non vi è alcun riferimento espresso né qualsivoglia richiamo alla parte civile e alla persona offesa (né tra i soggetti del procedimento a carico dell'ente, né nella disciplina delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare, dei procedimenti speciali, delle impugnazioni ovvero nelle norme sulla sentenza, "istituti che, invece, nei rispettivi moduli previsti nel codice di procedura penale contengono importanti disposizioni sulla parte civile e sulla persona offesa": Sez. 6, n. 2251/2010 - dep. 2011, cit.; a proposito della sentenza di condanna, è utile evidenziare che l'art. 69 D.Lgs. n. 231 cit. contempla unicamente l'applicazione, nel caso di responsabilità dell'ente, delle "sanzioni previste dalla legge" e la condanna al pagamento delle sole "spese processuali"); e tale "sistematica rimozione (...) porta a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica" (ivi);

- in secondo luogo, talune disposizioni del decreto n. 231 depongono nel senso della esclusione di "questo soggetto dal processo"; si tratta, in particolare, dell'art. 27 ("che nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell'ente la limita all'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare alcuna menzione alle obbligazioni civili"), dell'art. 54 (che "limita il sequestro conservativo al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria (oltre che delle spese del procedimento e delle somme dovute all'erario)", attribuendo la legittimazione a richiederlo soltanto al pubblico ministero, in ciò disponendo in maniera con evidenza difforme dall'art. 316 cod. proc. pen. che pone il sequestro conservativo "sia a tutela del pagamento della "pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario", sia delle "obbligazioni civili derivanti dal reato", in quest'ultimo caso attribuendo alla parte civile la possibilità di richiederlo)" (ivi);

- con la conseguenza che, in presenza di tale univoca opzione legislativa, difetta una ""lacuna normativa" da colmare" (Sez. 6, n. ,2251/2010 - dep. 2011, cit.), in forza del generale rinvio contenuto dell'art. 34 D.Lgs. n. 231 del 2001 (a mente del quale "per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonché, in quanto compatibili, le disposizioni del Codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271"), facendo applicazione degli artt. 74 ss. cod. proc. pen. in ragione della ritenuta compatibilità di essi con la speciale disciplina dettata dal decreto n. 231 cit. e dell'art. 185 cod. pen..

3.1.2. La correttezza di tale esegesi - si ribadisce, fondata sulla lettera della speciale disciplina in discorso - trova conferma (e non anche smentita, come assume la Corte di merito) nella natura della responsabilità degli enti - che conduce ad escludere pure i presupposti per sollevare una questione di legittimità costituzionale - e in ulteriori previsioni del decreto n. 231.

La giurisprudenza, difatti, ha già dato conto del "particolare meccanismo attraverso cui l'ente viene chiamato a rispondere per i reati posti in essere nel suo interesse o vantaggio", nel senso che "il reato che viene realizzato dai vertici dell'ente, ovvero dai suoi dipendenti, è solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la responsabilità dell'ente, che costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio che l'ente deve aver conseguito dalla condotta delittuosa posta in essere dal soggetto apicale o subordinato" (Sez. 6, n. 2251/2010 - dep. 2011, cit.): in breve, "tale illecito non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone" (Sez. 6, n. 2251/2010 - dep. 2011, cit.). E tale prospettiva ermeneutica ha ricevuto espressa condivisione da parte della Corte costituzionale, compulsata proprio sulla legittimità costituzionale della mancata previsione dell'esercizio dell'azione civile nei confronti degli enti nel procedimento celebrato nei loro confronti per gli illeciti contemplati dal D.Lgs. n. 231 del 2001, che - alla luce proprio dell'appena citata sentenza di questa Corte -, ha evidenziato come "l'illecito di cui l'ente è chiamato a rispondere ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 non coincid(a) con il reato" trattandosi di "due illeciti strutturalmente diversi" (Corte cost. n. 218 del 09/07/2014).

Ancora, le Sezioni Unite (pur dando conto delle diverse prospettive pure già espresse, oltre che in dottrina, in giurisprudenza) hanno espressamente affermato che il sistema dell'illecito degli enti "costituisce un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus" che "coniuga i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo", che è "parte del più ampio e variegato sistema punitivo" ed ha "evidenti ragioni di contiguità con l'ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto" (oltre che "della severità dell'apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento": Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261112 - 01; cfr. pure, più di recente, Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022 - dep. 2023, Società La Sportiva, Rv. 284273 - 01-02). E nel rilevarne la conformità ai principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza ("quale che sia l'etichetta che si voglia imporre su tale assetto normativo"), hanno chiarito che:

- l'ente risponde di un fatto proprio poiché "il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell'ente, in vista del perseguimento dell'interesse o del vantaggio di questo, è sicuramente qualificabile come "proprio" anche della persona giuridica, (...) in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda" (Sez. U, n. 38343/2014, cit.);

- e il sistema non viola il principio di colpevolezza, che tuttavia "deve essere considerato alla stregua delle peculiarità della fattispecie, affatto diversa da quella che si configura quando oggetto dell'indagine sulla riprovevolezza è direttamente una condotta umana", tanto che "il rimprovero riguarda l'ente e non il soggetto che per esso ha agito" e sarebbe "vano e fuorviante andare alla ricerca del coefficiente psicologico della condotta invocato dal ricorrente", venendo in rilievo una colpa d'organizzazione in quanto il rimprovero verso gli organismi de quibus si fonda sul mancato rispetto dell'"obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, adottando iniziative di carattere organizzativo e gestionale" ed è "il riscontro di tale deficit organizzativo (a) consentile la piana ed agevole imputazione all'ente dell'illecito penale" e a renderne "autonoma la responsabilità" (Sez. U, n. 38343/2014, cit.).

In altri termini, anche le Sezioni Unite hanno tratteggiato una responsabilità da illecito proprio dell'ente, sia pure connesso - nei termini predetti - con la commissione di un reato di una persona fisica ma che non si identifica con tale reato.

Il che - fermo quanto sopra esposto a proposito della disciplina del procedimento posta dal D.Lgs. n. 231 del 2001 che, come detto, non prevede la costituzione di parte civile - conduce a ritenere non riferibile all'illecito di cui deve rispondere l'ente il disposto dell'art. 185 cod. pen. - presupposto dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale - che fa riferimento al "reato" ("Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui").

3.1.3. Il piano ermeneutico appena esposto trova ulteriore conferma nella diversa disciplina della prescrizione dell'illecito dell'ente, segnatamente nella parte in cui prevede, nel caso in cui l'interruzione della prescrizione sia avvenuta "mediante la contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato", che essa "non corr(a) fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio" (art. 25, comma 4, D.Lgs. 231/2001): si tratta di una regola (modellata su quella prevista per il processo civile) con evidenza distonica rispetto alla disciplina posta per la prescrizione del reato e, segnatamente, con riguardo alla conseguente decisione agli effetti civili prevista dall'art. 578 cod. proc. pen.) che vieppiù induce ad escludere la compatibilità (che si vorrebbe fondata sul generale rimando contenuto nell'art. 34 D.Lgs. n. 231 cit.) della disciplina dell'azione civile nel processo penale per il danno derivante dal reato con la proposizione di pretese risarcitone e restitutorie nei confronti dell'ente in ragione dell'illecito ad esso ascritto.

3.1.4. Come correttamente prospettato dalla difesa, non può pervenirsi a contrarie conclusioni neppure sulla scorta degli artt. 12 e 17 D.Lgs. n. 231 del 2001, che rispettivamente: contemplano, tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria da infliggere all'ente, le ipotesi di danno patrimoniale di particolare tenuità nonché quelle in cui il medesimo ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia risarcito integralmente il danno e eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato (ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso); ed escludono l'applicazione delle sanzioni interdittive nel caso di riparazione delle conseguenze del reato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (in particolare, quando concorrono le seguenti condizioni: "a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca": art. 17, comma 1, cit.). Al riguardo è dirimente considerare che, l'incidenza delle condotte riparatone sulle sanzioni (sia sul quantum che sull'an dell'irrogazione di esse) può prescindere dall'esercizio dell'azione civile, come in effetti è previsto in generale dal codice penale (cfr. artt. 62, comma 1, n. 4; 62 - bis; art. 133, comma 1, n. 2, e comma 2, n. 3; 162 - ter cod. pen.) nonché dalla legislazione speciale, in particolare nel procedimento per i reati di competenza del giudice di pace (cfr. art. 35 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274) o per gli imputati minorenni rispetto ai quali ultimi non è ammessa la costituzione di parte civile (cfr. artt. 10 e 28, comma 2, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448). Tanto che, coerentemente, la giurisprudenza ha già affermato che, "in tema di responsabilità da reato degli enti, ai fini dell'effettività del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo, di cui all'art. 17 lett. a) D.Lgs. 231 del 2001, è necessario che l'ente si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, anche a prescindere dalla costituzione di parte civile nel giudizio eventualmente instaurato nei confronti della persona fisica responsabile del reato" (Sez. 2, n. 326 del 28/11/2013 - dep. 2014, Vescovi, Rv. 258219 - 01).

3.1.5. Inoltre, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea - cui era stata devoluta una questione pregiudiziale nel medesimo procedimento in cui poi è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale con la sentenza 218/2014 - ha affermato che l'art. 9, par. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, deve "essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell'ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato" (Corte Giust. UE, sez. II, sentenza 12 luglio 2012); e ciò non certo - come ha invece assunto la Corte di merito - nel presupposto che la responsabilità prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001 fosse unicamente una responsabilità amministrativa, bensì osservando che:

- "la decisione quadro, il cui unico oggetto è la posizione delle vittime nell'ambito dei procedimenti penali, non contiene alcuna indicazione in base alla quale il legislatore dell'Unione avrebbe inteso obbligare gli Stati membri a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche";

- "dalla formulazione letterale stessa dell'articolo 1, lettera a), della decisione quadro risulta che quest'ultima, in linea di principio, garantisce alla vittima il diritto al risarcimento nell'ambito del procedimento penale per "atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro" e che sono "direttamente" all'origine dei pregiudizi (v. sentenza del 28 giugno 2007, Dell'Orto, C - 467/05, Racc. pag. I - 5557, punti 53 e 57)";

- dall'ordinanza di rinvio era emerso "che un illecito "amministrativo" da reato come quello all'origine delle imputazioni sulla base del decreto legislativo n. 231/2001", pur definito esso stesso "reato", costituisce tuttavia un illecito "distinto che non presenta un nesso causale diretto con i pregiudizi cagionati dal reato commesso da una persona fisica e di cui si chiede il risarcimento. Secondo il giudice del rinvio, in un regime come quello istituito da tale decreto legislativo, la responsabilità della persona giuridica è qualificata come "amministrativa", "indiretta" e "sussidiaria", e si distingue dalla responsabilità penale della persona fisica, autrice del reato che ha causato direttamente i danni e a cui (...), può essere chiesto il risarcimento nell'ambito del processo penale";

- "pertanto, le persone offese in conseguenza di un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica, come quella imputata in base al regime instaurato dal decreto legislativo n. 231/2001, non possono essere considerate, ai fini dell'applicazione dell'articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro, come le vittime di un reato che hanno il diritto di ottenere che si decida, nell'ambito del processo penale, sul risarcimento da parte di tale persona giuridica" (ivi).

In altri termini, si tratta di un'esegesi che - contrariamente a quanto esposto nella sentenza impugnata - tiene conto della natura non squisitamente amministrativa dell'illecito degli enti, al di là del nomen iuris che può leggersi nel D.Lgs. n. 231 del 2001 (come palesato dall'espressa definizione di esso, nel corpo dello stesso provvedimento del Giudice europeo, anche quale "reato"). Il che esclude il paventato con la decisione quadro in discorso, su cui la Corte di appello ha fondato la propria conclusione.

3.1.6. Infine, non può ravvisarsi nella disciplina così ricostruita una disparità tra "le facoltà conferite all'offeso (recte: il danneggiato) dal reato nei confronti del soggetto fisico e quelle attribuitegli nei confronti della società" (così la sentenza impugnata), o meglio un contrasto con la Carta costituzionale, in termini di non manifesta infondatezza, a cagione dell'irragionevole esercizio da parte del Legislatore del proprio potere discrezionale. Non solo per la considerazione sopra espressa che distingue il reato dall'illecito dell'ente (che pure lo presuppone) e già palesa la non assimilabilità piena tra le rispettive situazioni soggettive del danneggiato, che comunque può esercitare l'azione civile nel processo penale nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato. Ma anche perché, come affermato e ribadito dalla Corte costituzionale: "l'assetto generale, posto a base del codice di procedura penale del 1988, è ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e civile (sentenze n. 353 del 1994 e n. 192 del 1991)" e guarda perfino la "persona offesa" ("soggetto portatore di un duplice interesse: quello al risarcimento del danno, che si esercita mediante la costituzione di parte civile, e quello all'affermazione della responsabilità penale dell'autore del reato, che si esercita mediante un'attività di supporto e di controllo dell'operato del pubblico ministero") "quale "soggetto eventuale del procedimento o del processo", e non quale parte principale e necessaria (ordinanze n. 254 del 2011 e n. 339 del 2008)"; "l'azione per il risarcimento del danno da reato o per le restituzioni ben può avere dall'inizio una propria autonomia nella naturale sede del giudizio civile, con un iter del tutto indipendente rispetto al giudizio penale (sentenza n. 532 del 1995)" (Corte cost. n. 203 del 22/09/2021, che richiama pure Id. n. 249 del 04/11/2020; cfr. pure Id. n. 182 del 07/07/2021, che fa riferimento, anche sulla scorta della giurisprudenza europea e delle Carte europee dei diritti, sia pure a proposito della decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato allorché è intervenuta per l'appunto di costituzione di parte civile, al necessario "bilanciamento tra le esigenze sottese all'operatività del principio generale di accessorietà dell'azione civile rispetto all'azione penale (...) e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato);

- dunque, non può ravvisarsi (si ribadisce, nei termini della non manifesta infondatezza) alcun vulnus ai diritti garantiti dalla Carta fondamentale nel bilanciamento tra diverse situazioni soggettive compiuto dal Legislatore, dovendosi considerare -come condivisibilmente osservato in dottrina, a proposito del rilievo assunto dalla parte civile nel processo penale in relazione alla struttura di quest'ultimo e alle sue finalità, con riferimento all'accessorietà della pretesa civilistica - il sistema nel suo complesso che, segnatamente, consente comunque l'esercizio dell'azione risarcitoria innanzi al Giudice civile; cfr. sul punto Sez. 5, n. 24830 del 21/02/2023, Rossignolo, n.m., che ha escluso i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 240 legge fall. nella parte in cui consente la costituzione di parte civile nel procedimento penale celebrato per i reati fallimentari ai creditori solo quando manchi la costituzione del curatore, del commissario giudiziale, del commissario liquidatore e del commissario speciale di cui all'articolo 37 del decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE" ovvero purché azionino una pretesa personale ma soltanto "nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta");

- e tali argomenti valgono a fortiori rispetto a un soggetto che non può dirsi persona offesa (o meglio danneggiato) dal reato bensì, in ipotesi, da un illecito che il reato presuppone ma che è distinto da esso.

4. Il secondo motivo di ricorso di Perla Nera Srl è inammissibile poiché reitera il medesimo ordine di allegazioni già disattese dalla Corte di merito per il tramite di una confutazione generica di esse.

La Corte di merito ha richiamato Sez. 6, n. 45100/2021, cit., secondo cui, "in tema di responsabilità da reato degli enti, le società unipersonali a responsabilità limitata rientrano tra gli enti assoggettati alla disciplina dettata dal D.Lgs. 9 giugno 2001, n. 231, essendo, a differenza delle imprese individuali, soggetti giuridici autonomi, dotati di un proprio patrimonio e formalmente distinti dalla persona fisica dell'unico socio", fermo restando che "nell'accertamento della responsabilità dell'ente, occorre verificare se sia individuabile un interesse sociale distinto da quello dell'unico socio, tenendo conto dell'organizzazione della società, dell'attività svolta e delle dimensioni dell'impresa, nonché dei rapporti tra socio unico e società"; ed ha ritenuto infondato l'appello in quanto soltanto successivamente alla commissione del reato di cui all'art. 316 - bis cod. pen. e dell'illecito (che presuppone il detto delitto) ascritto all'ente (il 31 dicembre 2015), in particolare il 20 luglio 2017, il Ba. è divenuto socio unico di Perla Nera Srl, a seguito della cessione delle quote da parte degli altri soci, escludendo che tale cessione sia stata atta a determinare, in relazione alla precedente condotta illecita, la sussistenza di un interesse sociale indistinto da quello del Ba.. Rispetto a tale argomentazione, congrua e logica, il ricorso muove censure prive della necessaria specificità, limitandosi in modo assertivo a negare la sussistenza di elementi da cui trarre una "colpa di organizzazione" da parte di Perla Nera Srl sia un interesse o vantaggio di essa distinto da quello dell'autore del reato e ad affermare che il Ba. ne era unico gestore, il che ex se non esclude che egli abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente.

5. All'inammissibilità del ricorso di Ba.Vi. consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dello stesso ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro tremila, atteso che l'evidente inammissibilità dell'impugnazione impone di attribuirgli profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 - 01).

L'imputato deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si stima equo liquidare in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili poste a carico della Srl Perla Nera che elimina. Dichiara il ricorso di Srl Perla Nera inammissibile nel resto.

Dichiara inammissibile il ricorso di Ba.Vi. e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il medesimo imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 9 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

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