Cassazione penale sez. VI, 13/02/2024, n.25648
In tema di responsabilità da reato degli enti, la cancellazione della società dal registro delle imprese determina l'estinzione dell'illecito previsto dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell'imputato. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'estinzione irreversibile della società che consegue alla sua cancellazione dal registro delle imprese ha portata generale, non potendosi stabilire effetti differenti a seconda che detta cancellazione sia "fisiologica" ovvero predisposta per eludere le sanzioni conseguenti agli eventuali illeciti posti in essere nel suo interesse o vantaggio).
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza dell'8 settembre 2020 ha condannato Ac.Li. per i delitti di turbata libertà degli incanti e di scelta del contraente (capo A), oltre che per corruzione (capo B), nonché le società Ace Mill Spa e High Engineering Srl in liquidazione alla sanzione pecuniaria di Euro 50.000 per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25, comma 3, D Igs. n. 231 del 2001 in relazione al reato presupposto di corruzione contestato ad Ac.Li.
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato prescritto il delitto di corruzione, ha rideterminato la pena per i delitti di cui agli artt. 352 e 353-bis cod. pen. a seguito di concordato in appello di Ac.Li. e, per quanto rileva in questa sede, ha dichiarato "non doversi procedere nei confronti di High Engineering Srl in liquidazione in ordine all'illecito amministrativo ascritto perché estinto per intervenuta cessazione della società".
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano deducendo un unico motivo.
Violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata erroneamente dichiarato l'estinzione dell'illecito amministrativo a seguito della liquidazione volontaria e della successiva cancellazione dal registro delle imprese della società High Engineering Srl, di cui Ac.Li. era amministratore unico e poi liquidatore, equiparando detto accadimento alla morte del reo ai sensi dell'art. 150 cod. pen.
Il ricorso ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la cancellazione della società non fosse avvenuta con modalità fraudolente, nonostante: a) la composizione societaria riconducibile a Ac.Li.; b) la cronologia dei fatti da cui risultava, come sostenuto dal Tribunale, che la cancellazione fosse "patologica" perché avvenuta il 9 maggio 2017 cioè dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini (del 5 maggio 2015) e dopo la richiesta di rinvio a giudizio (del 6 dicembre 2016).
Inoltre, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell'art. 70, comma 2, del D. Igs. n. 231 del 2001 secondo il quale "la sentenza pronunciata nei confronti dell'ente originariamente responsabile ha comunque effetto anche nei confronti degli enti indicati nel comma 1", norma sino ad oggi applicata a tutti i casi nei quali la vicenda modificativa dell'ente sia rimasta ignota al giudice, come quello di specie, in cui il difensore ha taciuto, sino all'ultima udienza l'intervenuta cancellazione della società, con ciò che ne consegue in termini di responsabilità per gli autori di detto atto, determinando l'insorgenza di un credito nei confronti dei soggetti indicati dall'art. 2495 cod. civ. in favore dello Stato.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La società High Engineering Srl era stata evocata in giudizio per rispondere dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25, comma 3, D. Igs. n. 231 del 2001 in relazione al reato di corruzione contestato all'amministratore Ac.Li.
la scansione temporale degli atti era stata la seguente: il 5 giugno 2015 era stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, quando la società era già stata posta in liquidazione; il 6 dicembre 2016 vi era stato il suo rinvio a giudizio e il 9 maggio 2017 era stata cancellata "per deposito del bilancio finale di liquidazione".
Il Tribunale di Milano, con sentenza dell'8 settembre 2020, aveva condannato Ac.Li. per i reati di turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente oltre che per corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e i responsabili amministrativi della società High Engineering Srl in liquidazione (e della Ace Mill S.p.a) alla pena pecuniaria di Euro 50.000 per l'illecito amministrativo sopra indicato.
La Corte di appello, dopo avere escluso che fossero enucleabili indici di fraudolenza nella cancellazione della società, avvenuta nel 2017, atteso che dalla visura camerale risultava che la procedura di messa in liquidazione volontaria fosse antecedente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della società High Engineering Srl in liquidazione in ordine all'illecito amministrativo ascritto perché estinto per intervenuta cessazione della società, equiparando la cancellazione alla morte del reo ai sensi dell'art. 150 cod. pen.
3. La questione dell'equiparazione tra società cancellata e morte del reo, con relativa cessazione di ogni rapporto processuale dipendente dall'illecito derivante dal delitto presupposto, ha visto negli anni svilupparsi un ricco dibattito giurisprudenziale e dottrinale con due diverse posizioni.
3.1. Da un lato, quella assunta dalla Corte di appello di Milano che, dichiarando l'estinzione dell'illecito amministrativo per avvenuta cancellazione della High Engineering Srl, ha aderito all'orientamento della sentenza della Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco Srl Rv. 277107; dall'altro lato, quella sostenuta dal Procuratore generale nella sua requisitoria che ha chiesto a questa Corte di escludere che la cancellazione dell'ente dal registro delle imprese determini l'estinzione dell'illecito, previsto dal D. Igs. n. 231 del 2001, commesso nell'interesse e a vantaggio dello stesso (Sez. 4, n. 9006 del 22/02/2022, Cenci, Rv. 282763 e Sez. 2, n. 37655 dell'8/06/2023, Barnaba, non mass.).
Detta posizione tende ad evitare che la compagine sociale, con cancellazioni "di comodo", paralizzi la risposta punitiva dell'ordinamento e, prima ancora, l'accertamento della responsabilità dell'ente per fatti anteriormente commessi.
Gli argomenti sono i seguenti:
1) le cause estintive dei reati costituiscono un numerus clausus e, dunque, non possono essere interpretate estensivamente;
2) il D. Igs. n. 231 del 2001 quando ha inteso fare riferimento a cause estintive degli illeciti lo ha esplicitato (art. 8, comma 2, sull'amnistia e art. 67 sulla prescrizione);
3) il fallimento (ora liquidazione giudiziale) della persona giuridica non determina l'estinzione dell'illecito amministrativo previsto dal D. Igs. n. 231 del 2001 (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa, Rv. 263682) cosicché non vi sono ragioni per un diverso esito in ordine alla cancellazione della società;
4) il rinvio operato dall'art. 35 D. Igs. n. 231 del 2001 alle disposizioni processuali relative all'imputato non è indiscriminato, ma solo "in quanto compatibili".
A questi argomenti, la requisitoria del Procuratore generale della Corte di cassazione ha aggiunto l'esclusione dell'istituto della messa alla prova alla responsabilità degli enti con richiamo all'art. 67 D. Igs. n. 231 del 2001 che si riferisce solo ai casi previsti dall'art. 60 e all'estinzione per prescrizione (Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La sportiva, Rv. 284273).
3.2. Le argomentazioni di detta seconda posizione giurisprudenziale non sono condivisibili.
3.2.1. L'origine del contrasto, come noto, risiede nel fatto che il D. Igs. n. 231 del 2001, pur occupandosi agli artt. 28-33 delle conseguenze, sul piano penale, delle vicende modificative dell'ente (trasformazione, fusione, scissione e cessione di azienda), non stabilisce quali siano gli effetti della sua estinzione, come avviene con la cancellazione della società dal registro delle imprese.
3.2.2. All'epoca di approvazione del citato decreto legislativo, la giurisprudenza di legittimità civile era unanime nel ritenere che la cancellazione avesse effetti meramente dichiarativi, tanto da far permanere una "soggettività attenuata" della società con una legittimazione processuale (attiva o passiva) tale da consentire la prosecuzione, nei suoi confronti, del processo.
A seguito della riforma delle società di capitali e cooperative, avvenuta con il D. Igs. n. 6 del 2003, la cancellazione ha assunto effetti costitutivi dell'estinzione irreversibile della società, ai sensi dell'art. 2495, secondo comma, cod. civ., anche in presenza di debiti rimasti insoddisfatti e rapporti non definiti, come ulteriormente confermato dalle Sezioni unite civili (Sez. U, nn. 4060, 4061 e 4062 del 22/02/2010 e Sez. U civ. 12/03/2013 nn. 6070, 6071 e 6072), tanto da essersi posto il problema oggetto di esame.
3.2.3. È proprio la valorizzazione del disposto della norma citata a confermare che le formalità della cancellazione dal registro delle imprese comportino il venir meno della persona giuridica, con l'inevitabile conclusione che le si estendano le disposizioni riguardanti l'imputato, ai sensi dell'art. 35 del D. Igs n. 231 del 2001, e si generino, così, gli stessi effetti della morte del reo.
3.2.4. La diversa tesi non offre adeguata risposta ad alcune questioni dirimenti, la prima delle quali è l'inutilità delle sanzioni in caso di estinzione dell'ente sia perché inflitte ad un soggetto inesistente sotto il profilo civilistico; sia perché quelle previste dall'art. 9, comma 2, D. Igs. n. 231 del 2001 mirano a limitare o inibire specifiche attività svolte dall'ente non solo per ragioni strettamente punitive, ma anche per favorirne l'adeguamento al sistema normativo, funzioni non perseguibili per assenza del soggetto destinatario. D'altra parte, lo stesso art. 14 D. Igs. n. 231 del 2001, secondo cui le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito commesso dall'ente, presuppone, dal punto di vista logico, che questo continui a svolgerla, all'attualità, al fine di inibirla, condizione non esistente rispetto ad una società cancellata dal registro delle imprese. In termini analoghi si deve concludere con riferimento alle sanzioni pecuniarie, la cui finalità è quella di colpire la disponibilità economica dell'ente necessaria per la sua operatività nel mondo giuridico, ma che, una volta venuta meno, non è più funzionale all'obiettivo perseguito.
Una volta estinto il reato, inoltre, non residuano spazi per l'eventuale responsabilità patrimoniale di terzi quali, ad esempio, i soci e i liquidatori, affinché provvedano al pagamento delle sanzioni pecuniarie inflitte alla società. Infatti, in ossequio ai principi di responsabilità personale e di colpevolezza sanciti dall'art. 27 Cost., di cui l'art. 27, comma 1, D. Igs n. 231 del 2001 ("Responsabilità patrimoniale dell'ente") costituisce espressione, detta obbligazione, derivante da reato ed irrogata all'ente, non è applicabile a terzi, atteso anche il rischio che ne rispondano soggetti estranei alla fattispecie di reato che ha generato la responsabilità della persona giuridica. A tale ultimo riguardo, inoltre, è stato rilevato che manca una norma incriminatrice concernente i liquidatori.
Alla luce di dette considerazioni, dunque, la sopravvivenza della società cancellata dal registro delle imprese ai soli effetti penali, da un lato, determinerebbe l'applicazione di sanzioni inattuabili, dall'altro finirebbe per gravare, in sede esecutiva, su soggetti terzi rispetto all'ente responsabile della violazione, persino con il pericolo della duplicazione di sanzioni a carico di questi, tanto da far retrocedere l'argomento della tassatività (o eccezionalità) delle cause estintive degli illeciti (artt. 8 e 67 D. Igs n. 231 del 2001).
3.2.5. Non si può neanche ritenere, in via interpretativa, l'estensione al caso della liquidazione successiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese dei principi statuiti dagli artt. 28-33 del D. Igs n. 231 del 2001 ("Vicende modificative dell'ente") in quanto l'estinzione produce, quale effetto costitutivo, l'irreversibile dissoluzione della società - sotto il profilo sia sostanziale che formale - e non è paragonabile alla trasformazione o fusione dell'ente o alla scissione o cessione dell'azienda in quanto le prime due presuppongono la prosecuzione del soggetto giuridico sotto una diversa forma e le altre una vicenda modificativa dell'ente. Inoltre, l'art. 27, comma 1, D. Igs n. 231 del 2001, nel sancire che dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio o fondo comune, delinea una disciplina di carattere eccezionale ed introduce una norma di stretta interpretazione che, in quanto tale, non consente analogia in malam partem.
3.2.6. Ai fini di disarticolare il ragionamento che precede non assume rilievo neanche il silenzio dell'art. 67 del D. Igs n. 231 del 2001 (sulla prescrizione) atteso che il generale rinvio operato dall'art. 34 del citato decreto prevede la declaratoria di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529 cod. proc. pen.
3.2.7. Inoltre, non appare corretta neanche I' equiparazione della cancellazione dal registro delle imprese alla liquidazione giudiziale (già "fallimento") in quanto detta procedura, in astratto, innanzitutto potrebbe comportare il ritornoin bonis della società e, comunque, la sentenza dichiarativa di fallimento: a) non determina l'estinzione della società, neanche quando diviene definitiva, perché è sempre subordinata alla cancellazione; b) non rimuove gli organi sociali che restano nelle loro funzioni, pur limitatamente alla procedura concorsuale.
3.2.8. Infine, l'art. 2495, secondo comma, cod. civ. prevede un meccanismo di portata generale che non consente di stabilire effetti differenti a seconda che le cancellazioni dal registro delle imprese siano "fisiologiche" (cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare: Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco Srl, Rv. 277107) o "fraudolente" ovverosia predisposte per eludere le sanzioni conseguenti agli eventuali illeciti posti in essere nel suo interesse o a suo vantaggio (Sez. 5, n. 25492 del 27/04/2021, Mungari, Rv. 281600; Sez. 2, n. 37655 dell'8/06/2023, Barnaba, non mass.), come ritenuto sino ad ora dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla stessa sentenza impugnata.
Infatti, è proprio la dissoluzione volontaria dell'ente, conseguenza della sua definitiva auto espulsione dal mercato a causa dell'utilizzo di pratiche corruttive, inidonee a reggere alle sue dinamiche, a realizzare, in termini ancor più incisivi, gli obiettivi special-preventivi perseguiti dal D. Igs n. 231 del 2001 con un sistema che compensa, attraverso l'eliminazione dall'universo giuridico degli enti che si sono retti su sistemi illeciti, la mancata applicazione delle sanzioni pecuniarie.
4. Infine, il richiamo del ricorso all'art. 70 del D. Igs. n. 231 del 2001 appare generico in quanto gli illeciti amministrativi vanno riferiti alle società ritenute originariamente responsabili ed è onere di chi vi ha interesse, nella specie il pubblico ministero, provvedere alla corretta instaurazione del contraddittorio degli enti subentranti per trasformazione, fusione, incorporazione o scissione, con regolare citazione contenente le ragioni da cui inferire il titolo di responsabilità, attraverso l'estrazione di una visura camerale.
5. Alla stregua di tali argomenti il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 13 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 1° luglio 2024.