La sentenza della Corte di cassazione, sez. VI penale, n. 5046 del 6 febbraio 2025, ha affrontato un tema di rilevante interesse in materia di mandato d’arresto europeo (MAE): la compatibilità tra il diritto italiano e le sentenze straniere, con particolare attenzione al principio della doppia punibilità e alle garanzie del giusto processo per gli imputati giudicati in contumacia.
La decisione ha confermato il rigetto del ricorso presentato da Zd.Ja., cittadina processata in contumacia in Repubblica Ceca e condannata per associazione per delinquere e truffa, ribadendo che la norma straniera non deve necessariamente trovare un’esatta corrispondenza nel codice penale italiano, ma è sufficiente che la fattispecie concreta sia punibile in entrambi gli ordinamenti.
La Repubblica Ceca aveva emesso un mandato d’arresto europeo (MAE) nei confronti di Zd.Ja. il 13 dicembre 2024, per consentire l’esecuzione di una condanna definitiva a sei anni di reclusione per reati di associazione per delinquere e truffa.
La Corte d’appello di Roma, tuttavia, aveva rifiutato la consegna e disposto che la pena fosse eseguita in Italia, riconoscendo la sentenza straniera.
Contro questa decisione, Zd.Ja. ha presentato ricorso per cassazione, sollevando tre principali questioni:
mancanza di conoscenza del processo: la ricorrente sosteneva di essere stata processata in contumacia senza aver avuto la possibilità di difendersi.
dubbia riconducibilità del reato alla fattispecie italiana di associazione per delinquere.
omessa acquisizione della sentenza straniera ai fini del riconoscimento della condanna.
La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo alcuni principi chiave in tema di mandato d’arresto europeo.
La Cassazione ha rilevato che il mandato d’arresto europeo conteneva esplicitamente la garanzia che, una volta consegnata alla Repubblica Ceca, la ricorrente avrebbe ricevuto notifica della sentenza e avrebbe avuto diritto a un nuovo processo o a un’impugnazione con riesame del merito.
Secondo l’art. 6, comma 2, della legge n. 69/2005, non vi è violazione del diritto di difesa se nel mandato d’arresto viene garantita la possibilità di ripetere il giudizio con piena partecipazione dell’imputato.
Il ricorrente contestava la riconducibilità della condotta ai reati previsti dal codice penale italiano, sostenendo che la sentenza ceca non corrispondeva esattamente alla fattispecie di associazione per delinquere (art. 416 c.p.).
La Cassazione ha ribadito che, ai fini della doppia punibilità, non è necessario che la norma straniera abbia un esatto corrispettivo nel diritto italiano. È sufficiente che il fatto concreto, come descritto nel mandato d’arresto, sia punibile come reato da entrambi gli ordinamenti.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che il comportamento contestato – la commissione seriale di truffe in un contesto organizzato e con una ripartizione di ruoli tra i membri – fosse chiaramente riconducibile all’associazione per delinquere finalizzata alla truffa, pienamente punibile in Italia.
L’ultimo motivo di ricorso riguardava la mancata acquisizione della sentenza straniera ai fini del riconoscimento in Italia. La Cassazione ha ritenuto questa richiesta superflua, in quanto il contenuto del MAE era già sufficiente per identificare i fatti e valutarne la punibilità nel nostro ordinamento.
La decisione della Cassazione ha importanti conseguenze in materia di mandato d’arresto europeo e cooperazione giudiziaria tra Stati membri.
Il principio secondo cui un mandato d’arresto può essere eseguito anche per processi svolti in contumacia trova conferma, purché lo Stato richiedente garantisca il diritto a un nuovo processo o a un’impugnazione con piena partecipazione dell’imputato.
Il concetto di doppia punibilità non richiede un’identità perfetta tra i reati nei due ordinamenti, ma solo che la condotta sia penalmente rilevante in entrambi. Questo principio è essenziale per evitare che differenze terminologiche o tecniche nei codici penali nazionali ostacolino la cooperazione giudiziaria.
La sentenza conferma che il MAE è un atto giuridico autonomo, sufficiente per identificare i fatti e determinare la punibilità, senza necessità di acquisire la sentenza straniera per il riconoscimento in Italia.