Un detenuto che si trova in possesso di un telefono cellulare deve essere condannato per ricettazione o per il reato specifico di accesso indebito a dispositivi di comunicazione?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4189 del 14 gennaio 2025, ha affrontato questa interessante questione.
Il caso riguarda Ma., detenuto presso un istituto penitenziario, il quale era stato trovato in possesso di un telefono cellulare, dispositivo di per sé vietato ai reclusi.
Il G.i.p. del Tribunale di Nuoro, con sentenza del 13 dicembre 2023, aveva ritenuto che la condotta del detenuto integrasse il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), condannandolo a un anno e otto mesi di reclusione e a una multa di 1.000 euro, sulla base della considerazione che la “stabile detenzione del bene” fosse sufficiente a configurare il reato.
La difesa, però, non ci sta.
Il ricorso per Cassazione si fonda sulla tesi che la condotta in esame rientrasse nell’articolo 391-ter c.p., che punisce il detenuto che “indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico”.
Insomma, secondo il ricorrente, non c’era bisogno di ricorrere al più grave reato di ricettazione: il telefono c’era, certo, ma il problema era già normativamente previsto e regolato.
La Suprema Corte, con un ragionamento che ricorda il virtuosismo di un funambolo, ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza del Tribunale di Nuoro.
Il motivo? Nonostante l’esistenza dell’art. 391-ter c.p., il detenuto aveva ricevuto il telefono come provento di un precedente reato, ossia l’introduzione illecita del dispositivo in carcere da parte di un terzo.
In altre parole, la Corte ha affermato che il fatto che il detenuto fosse in possesso del cellulare non escludeva la configurabilità della ricettazione, in quanto la ricezione del telefono era il risultato di un illecito precedente e più ampio.
La sentenza si muove su un crinale sottile. L’art. 391-ter c.p. disciplina chiaramente il possesso indebito di telefoni da parte dei detenuti, prevedendo pene da uno a quattro anni.
Tuttavia, la Corte ha valorizzato la clausola di riserva contenuta nella norma (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), ritenendo che la ricettazione fosse un reato più grave e quindi prevalente.
Secondo la Corte, la distinzione tra i due reati si gioca sulla modalità con cui il detenuto entra in possesso del telefono:
se il detenuto lo riceve direttamente dall’esterno in modo illecito, si configura il reato di ricettazione.
se il detenuto trova il telefono o lo utilizza dopo averlo ricevuto senza intermediazioni penalmente rilevanti, si applica l’art. 391-ter c.p.
Il principio stabilito è quindi chiaro: se il detenuto è partecipe dell’illecito trasferimento del telefono, si scivola nella ricettazione, reato con un regime sanzionatorio più grave.
La sentenza conferma una linea interpretativa rigorosa, volta a contrastare il fenomeno sempre più diffuso dell’uso illegale di telefoni nelle carceri.
La Cassazione ha scelto di adottare un approccio severo, ribadendo che l’illecita introduzione di telefoni in carcere può dar luogo a un reato più grave della semplice detenzione abusiva.
Dal punto di vista pratico, questa pronuncia complica non poco la difesa degli imputati in casi analoghi. Per stabilire se un detenuto con un telefono in mano sia colpevole di un reato minore o maggiore, occorrerà indagare sull’origine del dispositivo e sul ruolo del detenuto nel suo ingresso nell’istituto penitenziario.