Reati tributari
Indice:
Inquadramento giuridico della "sproporzione" e della "ragionevolezza temporale"
La confisca allargata in ipotesi di estinzione del reato per amnistia o prescrizione
La confisca allargata o estesa - oggi regolata dall'articolo 240-bis c.p. - è un istituto presente da tempo nell'ordinamento giuridico italiano.
La sua introduzione risale alla legge n. 356/1992, di conversione del d.I. n. 306/1992 che, inserendo nel corpo normativo l'articolo 12-quinquies con l'obiettivo di contrastare ulteriormente la criminalità organizzata sul piano patrimoniale, aveva previsto una specifica fattispecie incriminatrice (possesso ingiustificato di valori) correlata alla condizione di soggetto indagato per specifici delitti (in generale connessi all'appartenenza o alla contiguità ad un’organizzazione mafiosa) ovvero a quella di proposto per l'applicazione di una misura di prevenzione personale, laddove questi non fosse stato in grado di giustificare una sproporzione tra i beni posseduti, anche per interposta persona, e il proprio reddito dichiarato o l’attività economica svolta.
Tuttavia, detta previsione fu oggetto di censura di incostituzionalità, atteso che con sentenza n. 48 del 1994, la Corte Costituzionale evidenziò il contrasto della stessa con la presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della Costituzione, atteso che era stata individuata, quale fonte di responsabilità penale, oltre alla sproporzione patrimoniale, la condizione di soggetto sottoposto a procedimento penale per determinate ipotesi di reato o a procedimento di prevenzione, condizione che, tuttavia, appariva giuridicamente provvisoria. Conseguentemente, con il d.l. n. 399/1994 (recante “Disposizioni urgenti in materia di confisca di valori ingiustificati"), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 501/1994, venne introdotto l'articolo 12-sexies, che prevedeva non già una nuova figura criminosa diversamente strutturata, bensì una speciale ipotesi di confisca (c.d. “allargata”), basata non più sulla condizione di indagato per taluni delitti o di proposto per una misura di prevenzione, ma su quella di soggetto condannato e incapace di giustificare la provenienza di beni nella propria disponibilità risultanti sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica svolta.
Disposizione, questa, che poi è stata oggetto di successive modifiche.
Per quanto qui rileva, un significativo intervento legislativo sulla norma in commento è stato operato dall'articolo 31 della legge n. 161/2017 (recante “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”). In particolare, con la citata disposizione, è stato inserito, nel comma 1 dell'articolo 12-sexies, l'elenco puntuale dei reati presupposto! della confisca allargata, operando, altresi, un rinvio all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.
Inoltre, sono state anche apportate importanti innovazioni alla disciplina della misura patrimoniale, ove è stato previsto, in particolare, che il condannato non possa giustificare la provenienza legittima dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge.
Da ultimo, con l'articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 21/2018, la disciplina dell'istituto della confisca allargata è stata collocata nel codice penale, ove è stato inserito l'articolo 240- bis, e, contestualmente, sono state abrogate le corrispondenti previsioni del citato articolo 12-sexies.
In sintesi, la confisca allargata, nella sua attuale disciplina codicistica, consiste in una forma di ablazione patrimoniale con caratteristiche molto peculiari, che opera al ricorrere dei seguenti presupposti:
(1) la condanna l'applicazione della pena su richiesta ex articolo 444 c.p.p. per uno dei ‘reati-spia" previsti tassativamente dalla norma;
(2) l'individuazione di un complesso di elementi patrimoniali o di singoli beni di cui il condannato sia titolare o abbia, anche per interposta persona fisica o giuridica, la disponibilità a qualsiasi titolo;
(3) la dimostrazione della “sproporzione”, in termini di valore, tra gli elementi patrimoniali nella disponibilità del condannato rispetto ai redditi dichiarati o all'attività economica svolta dallo stesso;
(4) la mancata giustificazione della legittima provenienza dei suddetti beni.
Da ultimo, tra le più recenti novità in materia di confisca per sproporzione, va citata la legge 19 dicembre 2019, n. 157 (recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili"), la quale ha esteso l'applicabilità dell’istituto al campo dei reati tributari, mediante l'inserimento dell'articolo 12-ter (rubricato “Casi particolari di confisca") nell'ambito del decreto legislativo n. 74/2000. In particolare, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per delitti tributari tassativamente individuati”, oltre alla confisca diretta e per equivalente, è ora possibile applicare la confisca allargata di cui all'articolo 240-bis c.p.
La confisca c.d. “allargata” è un istituto per molti versi similare a quello proprio del settore delle misure di prevenzione patrimoniali regolate dal decreto legislativo n. 159/2011, atteso che i due provvedimenti ablativi (confisca penale allargata e confisca di prevenzione) sono volti a ostacolare la proliferazione di ricchezza di provenienza ingiustificata, potenzialmente idonea a inquinare il sistema economico.
Tuttavia, occorre evidenziare che:
(1) con riferimento alle misure di prevenzione, il giudizio di cognizione è teso all'inquadramento del soggetto proposto in un modello di pericolosità sociale tipizzato legislativamente (pericolosità qualificata, quando connessa ad indizi di appartenenza ad organizzazioni criminali, ovvero semplice) e la confisca, estesa anche ai beni nella disponibilità indiretta dell'interessato, dipende dall'accertamento della sproporzione della ricchezza rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero dalla sussistenza di indizi sufficienti ad evidenziare un nesso di derivazione tra i beni da confiscare e un'attività illecita;
(2) in ambito penale, la base cognitiva relativa al giudizio sulla persona è maggiormente delimitata e formalizzata, in quanto è richiesta la condanna o il patteggiamento per uno dei reati spia previsti dall'articolo 240-bis c.p., condizione, questa, che consente l'attivazione di una verifica sulla eventuale esistenza di una sproporzione patrimoniale ai fini della confisca, con {abbandono del tradizionale nesso di pertinenzialità tra i beni e i reati accertati proprio dell'articolo 240 c.p. Sostanzialmente, anche con la confisca penale allargata si va a incidere su beni che non necessariamente derivano dal reato accertato, ma che, in presenza degli indicatori normativamente individuati (condanna o patteggiamento per un reato spia, disponibilità anche indiretta di beni, mancata giustificazione della legittima provenienza degli stessi, sproporzione tra tale ricchezza e il reddito dichiarato o l’attività economica svolta), possono ritenersi ragionevolmente collegati alla presumibile continuazione dell'azione illecita da parte del soggetto, la cui condanna evidenzia una particolare pericolosità soggettiva. AI di là della differente collocazione processuale, la differenza strutturale tra i due istituti è data dalla differente base cognitiva su cui si articola il giudizio sulla persona:
(3) nella misura di prevenzione patrimoniale viene ricostruito un profilo di pericolosità sociale che può anche prescindere dall’accertamento della colpevolezza per un reato;
(4) nella confisca penale allargata, il giudizio sulla persona si basa sull'accertata colpevolezza per uno dei reati individuati dall'articolo 240-bis c.p. come possibili indicatori di accumulazione di ricchezza illecita.
Tuttavia, ferme restando le diverse modalità di ricostruzione del presupposto soggettivo per l'applicazione delle misure ablatorie in commento, in entrambi i casi, sia il sequestro che la confisca sono volti a colpire la ricchezza di provenienza ingiustificata, prescindendo da un nesso di pertinenzialità con un reato accertato. ll parallelismo tra le due misure è stato poi evidenziato ulteriormente dall’estensione alla confisca penale allargata di numerose disposizioni funzionali proprie della confisca di prevenzione. Si considerino:
(5) la legge n. 45/2001, che ha statuito una generica previsione di applicabilità alle procedure di cui all'articolo 12-sexies delle norme in tema di gestione e destinazione dei beni oggetto di sequestro e confisca di prevenzione;
(6) la legge n. 94/2009, con riferimento all'applicabilità alla confisca penale allargata di singole norme in tema di amministrazione e gestione di beni sequestrati e confiscati in base alla normativa di prevenzione;
(7) la legge n. 50/2010, che ha previsto l'intervento gestionale dell'Agenzia Nazionale sia nell'ambito delle procedure di prevenzione che in rapporto a procedimenti penali recanti beni in sequestro ai sensi dell'articolo 12-sexies;
(8) la legge n. 228/2012, che ha sancito un'ulteriore estensione al settore penale di disposizioni dettate per il sistema di prevenzione e relative alla gestione dei beni e al sistema di tutela dei terzi creditori;
(9) la legge n. 161/2017, che, oltre a consolidare il comune statuto amministrativo e gestionale dei beni e del sistema di tutela dei diritti dei terzi, ha importato in sede penale anche la regola della necessaria partecipazione al procedimento di cognizione dei soggetti terzi intestatari di beni potenzialmente incisi dalla confisca.
Ciò posto, la confisca allargata è una misura di sicurezza patrimoniale atipica, avente natura formalmente sanzionatoria, con un impatto punitivo e stigmatizzante del “delinquente professionale” rispetto al quale si applica una presunzione di illecito arricchimento.
Con riferimento all'istituto ora esaminato, risultano di interesse anche le puntuali indicazioni promananti dalla normativa della U.E., la quale da tempo ha avviato un processo di valorizzazione degli strumenti patrimoniali di lotta alla criminalità organizzata.
Costituiscono pietre miliari in tal senso, prima, la Decisione 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, e, poi, la Direttiva 2014/42/UE del 3 aprile 2014, concernente i provvedimenti di congelamento e di confisca dei beni strumentali e dei proventi di reato nell'Unione europea, con le quali è stato chiesto agli Stati membri di riconoscere all'autorità giudiziaria poteri di confisca “estesa”. In particolare, la Direttiva del 2014”, nel sancire un ampliamento dell'ambito di applicazione delle sanzioni patrimoniali a settori diversi dalla lotta al crimine organizzato e al terrorismo:
(1) trova attuazione con riferimento a tutti i reati contemplati all'articolo 3 ("Ambito di applicazione”), non necessariamente consumati in forma organizzata e suscettibili di produrre direttamente o indirettamente un vantaggio economico;
(2) stabilisce, all'articolo 5 (“Poteri di confisca”), che gli Stati membri debbano adottare “le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, laddove l'autorità giudiziaria, in base alle circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili, come il fatto che il valore dei beni è sproporzionato rispetto al reddito legittimo della persona condannata, sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose”.
L'atto normativo di diritto derivato della U.E. è stato recepito nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 29 ottobre 2016, n. 2025.
AI riguardo, occorre evidenziare che, al di là di alcuni interventi sulla pertinente disciplina codicistica, l'attuazione nazionale della Direttiva in parola non è stata particolarmente complessa, atteso che la normativa italiana in materia di confisca risultava già molto avanzata rispetto a quella unionale.
La confisca allargata italiana, infatti, si caratterizza, rispetto al modello europeo di confisca estesa definito dalla Direttiva 2014/42/UE (che, peraltro, si limita a stabilire norme minime che non impediscono agli Stati di adottare soluzioni ben più rigorose), per il diverso e più ridotto standard probatorio.
Mentre la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi legittimi del condannato costituisce solo uno dei fatti specifici e degli elementi di prova dai quali il giudice, a mente dell'articolo 5 della Direttiva, può trarre la convinzione che i beni da confiscare derivino da condotte criminose, nell'ordinamento penale domestico detta sproporzione è già sufficiente - senza che occorra alcuna altra prova dell'origine delittuosa della ricchezza - a fondare la misura ablativa in esame, allorché il condannato non giustifichi la provenienza dei beni.
Come sopra evidenziato, ai fini dell’applicazione della confisca penale c.d. “allargata” è necessaria la sussistenza di una sproporzione patrimoniale rispetto al reddito o all’attività economica del condannato.
AI riguardo, assume fondamentale rilievo l'orientamento ermeneutico sviluppato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale il concetto di sproporzione:
(1) non deve essere inteso “come una qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma come un incongruo equilibrio tra questi”;
(2) si riferisce “non al patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli beni, con la conseguenza che i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o nelle attività al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel reddito e nelle attività nei momenti dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti".
Occorre, pertanto, una ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei singoli acquisti. Una volta che la sproporzione risulti accertata, ricade in capo al condannato l'obbligo di addurre una giustificazione positiva e documentata della provenienza dei beni o delle altre utilità di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità.
Tale meccanismo non realizza un'inversione dell'onere probatorio, bensì un “onere di allegazione”, che si concretizza attraverso una dimostrazione qualificata (credibile e circostanziata) della legittima provenienza dei beni, la cui attendibilità sarà oggetto di successiva valutazione da parte del giudice secondo il principio del libero convincimento.
Sul punto, peraltro, l'articolo 240-bis c.p. è chiaro nell'affermare che il condannato non può fondare la giustificazione della legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia il provento i il reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge.
La Suprema Corte ha altresì evidenziato che, a seguito della condanna, “la confisca va sempre ordinata quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose”, a nulla rilevando “che i beni siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto, o che il loro valore superi il provento di quest'ultimo”.
Ciò posto, risulta tuttavia di fondamentale rilevanza che vi sia una “ragionevolezza temporale” tra la commissione del reato-spia e la singola acquisizione patrimoniale, al fine di evitare che i beni confiscati siano palesemente estranei al reato poiché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione.
Tale limite applicativo è stato ribadito:
(3) nella sentenza della Corte Costituzionale n. 33/2018, nella quale è stato sottolineato come la presunzione di provenienza illecita dei beni debba essere circoscritta ad un ambito temporale che permetta un collegamento tra i beni stessi ed il fatto criminoso.
Il limite temporale per l'indagine patrimoniale retroattiva, rispetto alla commissione del reato-spia:
(a) è, infatti, imprescindibile per garantire l'equilibrio, la ragionevolezza e la proporzionalità necessari negli interventi ablativi aventi ad oggetto il diritto di proprietà;
(b) non può essere individuato in modo rigido, bensi considerando tutti i fattori intervenienti, tra i quali la gravità e le modalità di consumazione del reato-spia per cui è stata emessa la condanna;
(4) nella sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019, da cui emerge come, ai fini della configurazione della ragionevolezza temporale, sia necessario “ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attività criminose nelle quali il soggetto risultava impegnato all’epoca della loro acquisizione, ancorché non sia necessario stabilirne la derivazione causale da uno specifico delitto”.
Detto orientamento emerge chiaramente anche dalla giurisprudenza di legittimità. AI riguardo, possono essere citate le sentenze della Corte di Cassazione:
(5) n. 1778/2020, con la quale è stata ritenuta illegittima la confisca penale allargata nei confronti di un soggetto condannato per il reato di usura commesso nel 1998, avente ad oggetto beni frutto di investimenti posti in essere a partire dal 1981, a cui era stata rilevata la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati;
(6) n. 41100/2014, con cui è stato ritenuto rispettato il requisito della ragionevolezza temporale in relazione ad un acquisto effettuato un anno prima rispetto all’inizio dell'attività criminosa accertato in sede penale.
Atteso che il presupposto per la confisca penale allargata è costituito dalla condanna o dall'applicazione della pena su richiesta ex articolo 444 c.p.p. per uno dei “reati-spia” individuati dall'articolo 240-bis c.p., la giurisprudenza di legittimità si è orientata ad escludere l'applicabilità dell'istituto in caso di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione o declaratoria di amnistia.
La Suprema Corte, infatti, sottolinea che “non può essere disposta la confisca ex art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992 nel caso in cui il giudice dichiari estinto il reato per prescrizione, ostandovi lo stesso tenore letterale della norma che richiede, quale presupposto indefettibile per l'applicazione della misura ablatoria, la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., e non già il mero proscioglimento per estinzione del reato, coerentemente alla natura sanzionatoria della confisca e in conformità all'interpretazione dell'art. 7 C.E.D.U. elaborata dalla Corte di Strasburgo".
La giurisprudenza ha, però, ammesso la possibilità di applicazione dell'articolo 12-sexies del d.I. n. 306/1992 convertito (ora articolo 240-bis c.p.) in presenza di una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in sede di giudizio d'appello, conseguente ad una sentenza di condanna di primo grado, ovvero in un contesto ove sia stata accertata la commissione del reato presupposto, in base alla considerazione che il codice di rito riconosca al giudice ampi poteri di accertamento del fatto, anche quando il reato sia prescritto.
Sul tema è intervenuto anche il Legislatore che, con la legge n. 161/2017, ha introdotto il comma 4-septies nel più volte citato articolo 12-sexies, con il quale si prevedeva che le disposizioni in materia di confisca allargata potessero essere applicate!5 anche quando, pronunciata una sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di Cassazione avessero dichiarato estinto il reato per prescrizione o per amnistia.
Con la complessiva riforma dell'istituto in commento ad opera del d.Igs. n. 21/2018, parallelamente all’abrogazione delle previsioni dell'articolo 12-sexies sopra citate, sono poi stati introdotti e modificati rispettivamente gli articoli 578-bis e 578 del codice di procedura penale. A seguito di tali modifiche, ora si prevede:
(1) all'articolo 578 c.p.p., che in caso di condanna, anche generica, alla restituzione o al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, debbano decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili;
(2) all'articolo 578-bis c.p.p., che in caso di confisca allargata o di confisca di cui all'articolo 322-ter c.p., il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, debbano decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.
In sostanza, dal quadro normativo e giurisprudenziale delineato, si può affermare l'applicabilità della confisca allargata anche in caso di sopravvenuta prescrizione o amnistia, purché nel corso del procedimento vi sia stata una condanna, ancorché non definitiva.
L'istituto della confisca “tradizionale” ex articolo 240 c.p. si è evoluto nel tempo, dando origine ad ulteriori misure ablative, come la c.d. “confisca per equivalente” o “di valore”, disciplinata dall'articolo 322-ter c.p., il quale è stato introdotto dalla legge 29 settembre 2000, n. 3009.
La misura ablatoria in argomento è particolarmente efficace nel contrastare la c.d. “criminalità del profitto”, atteso che permette - allorquando non sia possibile procedere alla confisca diretta dei beni costituenti il prezzo ovvero il profitto del reato - di colpire il patrimonio di cui il reo abbia anche la mera disponibilità per un valore corrispondente al suddetto prezzo o profitto del reato.
La confisca per equivalente:
(1) laddove prevista, ha sempre carattere obbligatorio, nonché carattere sanzionatorio; in particolare, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 43397/2015, ha ribadito la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, quale “forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti” avente “carattere preminentemente sanzionatorio";
(2) è una misura connotata da un evidente carattere affiittivo, che non ricorre nella confisca diretta e da un rapporto consequenziale alla condanna proprio della sanzione penale;
(3) non costituisce una pena accessoria, ma una misura ablatoria ripristinatoria, volta a privare il reo delle conseguenze patrimoniali favorevoli tratte dall’illecito.
La confisca per equivalente deve essere disposta obbligatoriamente dal giudice in caso di condanna ovvero di sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. per uno dei reati per i quali è prevista.
Ai fini della sua attuazione, è possibile ricorrere allo strumento del sequestro preventivo, disciplinato dall'articolo 321, comma 2-bis, c.p.p.
Analogamente alla confisca per sproporzione, nella confisca per equivalente non rileva il rapporto di pertinenzialità tra il bene oggetto della misura patrimoniale e il reato.
L'istituto in parola, oltre che con riferimento ai reati specificamente indicati nell'articolo 322-ferc.p., trova applicazione anche in relazione alle seguenti fattispecie criminose:
(4) usura (articolo 644 c.p.), come sancito dall'articolo 1 della legge n. 108/1996, a mente del quale la confisca si può estendere, oltre che ai “beni che costituiscono prezzo o profitto del reato” anche alle “somme di denaro, beni o utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un importo pari al valore degli interessi, o degli altri vantaggi o compensi usurari”;
(5) truffa ai danni dello Stato o di altro ente pubblico (articolo 640, comma 1, numero 1, c.p.), truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (articolo 640-bis c.p.), frode informatica (articolo 640-ter c.p.), come stabilito dall'articolo 640-quater c.p.;
(6) riciclaggio (articolo 648-bis c.p.), impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (articolo 648-ter c.p.) e autoriciclaggio (articolo 648-ter1 c.p.), come previsto dall'articolo 648-quater c.p.;
(7) delitti contro la persona individuale (Capo III — Sezione | del codice penale), violenza sessuale (articolo 609-bis c.p.) aggravata ai danni di un minore di anni 18, atti sessuali con minorenne (articolo 609-quater c.p.), corruzione di minorenne (articolo 609-quinquies c.p.), violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies c.p.) aggravata o comunque in danno di un minore di anni 18, adescamento di minorenni (articolo 609-undecies c.p.), come stabilito dall'articolo 600-septies c.p.; (8) reati in materia di società e consorzi di cui al Libro V — Titolo XI del codice civile, come previsto dall’articolo 2641 c.c.;
(9) i reati transnazionali di cui all'articolo 3 della legge n. 146/2006, come stabilito dall'articolo 11 del medesimo provvedimento legisfativo;
(10) i reati disciplinati dal Titolo I-bis (‘Abusi di mercato”) — Capo Il (“Sanzioni penali”) del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.), come previsto dall’articolo 187 del medesimo testo unico (d.Igs. n. 58/1998);
(11) i reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000, come sancito dall’articolo 12-bis del medesimo decreto legislativo;
(12) reati di contrabbando doganale (art. 301 d.P.R. n. 43/1973);
(13) ogni altra fattispecie di reato per la quale il quadro normativo vigente contempli l'applicazione dell'istituto in commento.
La confisca per equivalente è contemplata, inoltre:
(14) dall'articolo 19 del d.igs. n. 231/2001, in relazione alla responsabilità da reato degli enti;
(15) dallo stesso articolo 240-bis, secondo comma, c.p. con riferimento alla confisca penale allargata.
Nel tempo, la giurisprudenza di legittimità ha maturato un orientamento volto a ritenere possibile l'emissione, da parte del giudice dell'esecuzione, di provvedimenti di confisca penale allargata. Sul punto, risulta di fondamentale rilievo la sentenza della Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 29022 del 30 maggio 2001, con la quale è stata ritenuta possibile l'adozione del provvedimento ablatorio in commento nella fase posteriore al giudicato. In particolare, nella pronuncia veniva sottolineato che “in relazione alla disciplina contenuta nell'art. 12-sexies co. 1 e 2, parte della dottrina ha sostenuto che proprio la fase dell'esecuzione sarebbe la sede elettiva per affrontare la questione della confisca e deciderla nel contraddittorio delle parti in un momento successivo al realizzarsi del requisito soggettivo di “condannato” (in senso lato) per uno dei delitti indicati nella norma, apparendo la più aderente ai principi costituzionali, col superamento del momento di valenza della presunzione di non colpevolezza e per la garanzia più completa del concreto esercizio del diritto di difesa.
Ciò in quanto nella fase di cognizione l'imputato ha tutto l'interesse a dimostrare la propria estraneità ai reati dei quali è chiamato a rispondere, anche per le implicazioni derivanti dalla condanna (o dall’applicazione della pena) in termini di confisca antimafia”.
L'avvenuta definizione, difatti, anche in epoca risalente, del giudizio relativo al reato spia rende possibile l'accertamento degli ulteriori presupposti di legge in una fase che, seppur posteriore al giudicato, può porsi come contenitore di momenti istruttori - a carattere esclusivamente patrimoniale - e può realizzare un adeguato contraddittorio sui medesimi, sì da pervenire ad un’ablazione sul “patrimonio del soggetto al momento della condanna", in ciò evocandosi, in tutta evidenza, il tendenziale carattere sostitutivo del potere esercitato dal giudice dell'esecuzione rispetto a quello spettante (ma non esercitato) al giudice della cognizione.
Peraltro, giurisprudenza costante sostiene che la confisca allargata non debba essere necessariamente disposta con la sentenza di condanna, che ne rappresenta solo il necessario presupposto, ma lo possa essere anche in sede di esecuzione in relazione alle competenze individuate in capo al giudice dall'articolo 676 c.p.p. e secondo la procedura di cui all’articolo 667, comma 4, c.p.p., ovvero all'esito del contraddittorio a norma dell'articolo 666 c.p.p., salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione. Come evidenzia, inoltre, la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, nella sentenza n. 32353 in data 16 maggio 2014, “è assolutamente indiscusso che anche il provvedimento di applicazione della confisca d.l. n. 306/1992, ex art. 12 sexies, adottato in executivis è, secondo le regole generali, ricorribile per cassazione per tutti, indistintamente, i motivi previsti dall'art. 606 c.p.p., ivi compresi, quindi, i vizi di motivazione”.
Ulteriore conferma dell’ammissibilità della confisca allargata in executivis perviene dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 33/2018, che, chiamata a pronunciarsi, ha ritenuto pacifico in giurisprudenza, dopo l'intervento chiarificatore delle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 30 maggio - 17 luglio 2001, n. 29022, che la confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.I. n. 306 del 1992 possa essere disposta dal giudice dell'esecuzione a norma dell'art. 676, comma 1, cod. proc. pen., qualora non vi abbia provveduto il giudice della cognizione.
La competenza del giudice dell'esecuzione si ricollega, infatti, alla natura obbligatoria della confisca, senza che possa operarsi alcuna distinzione tra la fattispecie generale descritta dall'art. 240 cod. pen. e le fattispecie speciali introdotte da altre disposizioni”.
Sul solco di tali orientamenti giurisprudenziali, più recentemente si è mosso il Legislatore, il quale, intervenendo sul d.lgs. n. 271/1989 (“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”), ha inserito l'articolo 183-quater, che, al comma 1, attribuisce al giudice dell'esecuzione la competenza a emettere i provvedimenti di confisca previsti dall'articolo 240-bis c.p. o da altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano dopo l’irrevocabilità della sentenza.
Ad analoghe conclusioni si può pervenire con riferimento alla confisca per equivalente la quale, essendo dotata del carattere dell’obbligatorietà, può essere adottata anche in sede esecutiva.
Da ultimo e per quanto qui interessa, una rilevante tematica giuridica emerge dalla recentissima ordinanza n. 31209 del 18 settembre 2020 della 1 Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione della “perimetrazione temporale” in relazione all’applicabilità della confisca per sproporzione sui beni esistenti. Una prima tesi sostiene la possibilità di aggressione dei beni presenti sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. In merito, la Suprema Corte ha ritenuto che la sola irrevocabilità della sentenza di condanna determina la presunzione di accumulazione illecita, segnandone il limite temporale.
Un secondo approccio, invece, ritiene che l’ablazione debba intervenite sui beni nella disponibilità del condannato nel periodo antecedente alla sentenza. Questa tesi è stata sostenuta dalla Corte di legittimità affermando il principio della tendenziale natura sostitutiva / surrogatoria del momento esecutivo rispetto a quello della cognizione, ferma restando la necessaria definitività e fatta salva l’ipotesi di un bene acquistato successivamente alla sentenza, ma con risorse finanziarie in possesso del condannato antecedentemente al suddetto provvedimento giudiziario e risultanti da specifici elementi probatori.
FONTE: "VADEMECUM OPERATIVO IN TEMA DI CONFISCHE IN EXECUTIVIS" - Procura Generale della Repubblica Guardia di Finanza presso la Corte d’Appello di Comando Regionale Lombardia Brescia - CSM 31 marzo 2022