Reati tributari
La dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è disciplinata dall’art. 2 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in materia di reati tributari.
Il reato si configura quando il contribuente, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, utilizza fatture che attestano operazioni mai avvenute o che divergono sostanzialmente dalla realtà commerciale.
La Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 26520 del 14 marzo 2024, ha ribadito che l’utilizzo di fatture che riportano un prezzo non congruo per l’acquisto di beni non integra automaticamente il reato di dichiarazione fraudolenta, purché l’operazione commerciale sia stata realmente effettuata e il prezzo sia stato concretamente corrisposto.
In questi casi, infatti, non si verifica una discrepanza tra la realtà commerciale e la sua rappresentazione documentale, con la conseguenza che non può configurarsi il reato.
La sentenza in esame riguarda una società produttrice di vini, condannata in primo grado per il reato di dichiarazione fraudolenta, in relazione all’utilizzo di fatture che attestavano l’acquisto di uva a prezzi di molto superiori rispetto al prezzo medio di vendita di tale prodotto.
Il Tribunale aveva ritenuto che l’indicazione di tali prezzi non congrui, in assenza di una giustificazione economica evidente, costituisse una prova sufficiente per configurare il reato di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000.
In appello, la difesa aveva sostenuto che, sebbene il prezzo d’acquisto fosse più elevato rispetto alla media di mercato, l’operazione commerciale era realmente avvenuta e il prezzo pagato era quello effettivamente corrisposto.
Pertanto, la fattura non era in alcun modo falsa o fraudolenta, descrivendo esattamente l’operazione come si era svolta nella realtà. La questione principale verteva quindi sulla congruità del prezzo e sul suo eventuale rilievo penale.
La Corte di Cassazione, accogliendo le argomentazioni della difesa, ha annullato senza rinvio la condanna, stabilendo che l’indicazione di fatture che attestano un prezzo non congruo per l’acquisto di beni non integra il reato di dichiarazione fraudolenta, purché l’operazione sia effettivamente avvenuta e il prezzo indicato sia quello realmente pagato.
La Corte ha osservato che il reato di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000 richiede una dissociazione tra realtà commerciale e rappresentazione documentale.
Ciò significa che il reato si configura solo quando la fattura riporti un’operazione inesistente o ne rappresenti una diversa da quella effettivamente realizzata.
Nel caso in esame, la circostanza che il prezzo fosse superiore alla media di mercato non comporta, di per sé, alcuna alterazione della realtà documentale, poiché la transazione era reale e il prezzo corrisposto era esattamente quello indicato in fattura.
La Cassazione ha, quindi, chiarito che non è compito del giudice penale valutare la congruità economica delle transazioni commerciali, ma piuttosto verificare se vi sia stata una discrepanza tra i fatti reali e la loro rappresentazione nei documenti fiscali.
Se l’operazione è stata realmente eseguita e descritta correttamente, anche se a un prezzo non congruo rispetto ai valori di mercato, non si può parlare di dichiarazione fraudolenta.
Questa pronuncia assume rilievo, soprattutto per le imprese che operano in settori caratterizzati da oscillazioni di prezzo significative, come quello agricolo e alimentare.
La Cassazione ha affermato un principio che ridimensiona il rischio di incorrere in contestazioni penali per il semplice fatto di aver indicato in fattura un prezzo che, in base ai parametri di mercato, potrebbe apparire non congruo.
Il diritto penale tributario non può fungere da strumento per censurare scelte imprenditoriali che possono apparire non giustificate economicamente, ma che sono comunque reali e trasparenti dal punto di vista documentale.