Riforma dei reati tributari: l'ampliamento del catalogo dei reati presupposto d.lgs. 231/2001
Reati tributari
L'art. 39, comma 2, d.l. n. 124 del 2019, conv. in legge n. 157 del 2019, ha introdotto nel d.igs. n. 231 del 2001 il nuovo art. 25-quinquiesdecies in forza del quale alcuni reati tributari comportano la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e determinano l'applicazione di sanzioni pecuniarie.
Secondo la nuova disposizione:
a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 si applica la sanzione pecuniaria firio a cinquecento quote;
b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2, comma 2-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, si applica la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall'art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, si applica la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 si applica la ‘ sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
Il comma secondo della medesima norma prevede una circostanza aggravante: tutte le sanzioni sono aumentate di un terzo se, a seguito del reato tributario, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità. (art. 25- quinquiesdecies, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001). Inoltre, agli enti si applicano anche le seguenti sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e), d.lgs. n. 231 del 2001:
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
- il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Anche per questa disposizione, sebbene contenuta in un decreto legge, è stata disposta l'efficacia solo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto-legge n. 124 del 2019 che, come già è stato indicato, è avvenuta il 24 dicembre 2019 (Gazzetta ufficiale n. 301). 10.2.
L'art. 39, comma 2, d.l. n. 124 del 2019, dunque, ha stabilito che anche alcuni reati. tributari, in presenza delle condizioni appena indicate, costituiscano presupposto per la responsabilità. della persona giuridica. In tal modo sono state superate le discussioni dottrinali concernenti le ragioni della mancata inclusione di tali reati nel. catalogo degli illeciti penali che determinano la responsabilità disciplinata dal d.lgs. n. 231 del.2001, per lo più ricondotte all'esigenza di evitare la duplicazione delle risposte sanzionatorie agli illeciti tributari.
La giurisprudenza, invero, non aveva mancato di evidenziare i profili di irrazionalità derivanti dalla mancata previsione dei reati tributari fra quelli previsti dal d.Igs. appena indicato.
Nella motivazione della sentenza Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646, in particolare, era stato rilevato « come la stessa logica che ha mosso il legislatore nell'introdurre la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti finisca per risultare non poco compromessa proprio dalla mancata previsione dei reati tributari tra i reati presupposto nel d.lgs. n. 231 del 2001, considerato che, nel caso degli enti, il rappresentante che ponga in essere la condotta materiale riconducibile a quei reati non può che aver operato proprio nell'interesse ed a vantaggio dell'ente medesimo», ma era stato anche aggiunto che «tale irrazionalità non è peraltro suscettibile di essere rimossa sollevando una questione di legittimità costituzionale, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale il secondo comma dell'art. 25 Cost. deve ritenersi ostativo all'adozione di una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore».
Nella sentenza delle Sezioni Unite Gubert, più specificamente, era stato segnalato come la mancata previsione dei reati tributari tra gli illeciti presupposto della responsabilità delle persone giuridiche, escludendo l'applicazione della confisca per equivalente ex d.lgs. n. 231 del 2001, depotenziasse la portata di tale misure sanzionatoria in quanto « ... è possibile, attraverso l'intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all'ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato. occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato».
Il legislatore, con il d.l. n. 124 del 2019, ha inciso su questo aspetto, prevedendo per i reati tributari indicati l'applicazione delle sanzioni pecuniarie indicate, di quelle interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e), d.igs. n. 231 del 2001; di conseguenza è stata resa possibile, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001, l'applicazione della confisca “diretta” o “per equivalente” del prezzo o del profitto del reato (“Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato ...
Quando non é possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o. al profitto del reato").
Nella Relazione illustrativa al d.l. n.124 del 2019, su questo punto della riforma in esame, si legge che «Con l'introduzione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i più gravi reati tributari commessi nel loro interesse o a vantaggio delle medesime, si inizia a colmare un vuoto di tutela degli interessi erariali che, pur giustificato da ampi settori della dottrina con la necessità di evitare duplicazioni sanzionatorie, non può più ritenersi giustificabile sia alla luce della più recente normativa eurounitaria, sia in ragione delle distorsioni e delle incertezze che tale lacuna aveva contribuito a generare nella pratica giurisprudenziale».
L'introduzione dell'art. 25-quinquiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001, in particolare, pare rispondere anche alle richieste provenienti dall'Unione Europea, concernenti la tutela degli interessi finanziari dell'Unione mediante, tra. l'altro, l'inclusione dei reati tributari nella disciplina della responsabilità degli enti.
AI riguardo, va segnalato che la legge 4 ottobre 2019, n. 117, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018", al riguardo, all'art. 3, comma 1, lett. e), ha delegato il Governo al recepimento della Direttiva (UE) 2017/1371 (c.d. Direttiva PIF), concernente la lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.
Il Governo è stato delegato ad introdurre norme per “integrare le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del medesimo decreto legislativo”.
L'art. 39, comma 2, d.l. n. 124 del 2019, pertanto, sembra costituire l'esito di una evoluzione normativa cui ha contribuito anche la direttiva unionale indicata.
Il catalogo dei reati tributari presupposto della responsabilità delle persone giuridiche è tassativo, non essendo possibile un’interpretazione estensiva dell'art. 25-quinquiesdecies d.lgs. n. 231 del 2001 volta a estenderne il perimetro applicativo.
E’ stata prevista l'applicazione delle sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lett. c), d) ed e), d.igs. n. 231 del 2001. Tali sanzioni, ai sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 231 del 2001, si applicano soltanto ai reati per i quali sono espressamente previste.
Le sanzioni interdittive, come è noto, possono essere applicate anche in via cautelare ex art. 45 d.Igs. n. 231 del 2001.
E’ appena il caso di aggiungere che, a seguito della riforma in esame, le persone giuridiche che adottano un modello organizzativo ai sensi del d.igs. n. 231 del 2001 devono aggiornarne i contenuti, al fine di implementare efficaci sistemi di gestione del rischio fiscale ed evitare la relativa sanzione.
Al riguardo, secondo la giurisprudenza di legittimità, compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l'esistenza di un modello organizzativo e di gestione conforme alle norme nonché la sua efficace attuazione o meno nell'ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto (Sez. 4, n. 43656 del 24/09/2019, Compagnia progetti e costruzioni S.r.l., in via di mass.).
Non è idoneo ad esimere l'ente dalla responsabilità da reato, inoltre, il modello organizzativo che preveda un organismo di vigilanza non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo e che risulti sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva ed altri, Rv. 268964).
Un profilo particolarmente rilevante derivante dall'introduzione: dell'art. 25-quinquiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001, invero, riguarda l'applicazione della confisca, “diretta” e “per equivalente”, ex art. 19 del medesimo d.igs. del profitto del delitto tributario che confluisce nelle casse dell'ente a favore del quale è stato commesso il reato.
E’ noto che la giurisprudenza ha superato l'ostacolo rappresentato dalla mancata inclusione dei reati tributari tra quelli che sono presupposto della responsabilità della persona giuridica, affermando che «è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l'ente una persona estranea al detto reato» (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647).
Secondo questa impostazione giurisprudenziale, infatti, «la confisca del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa» (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, cit.). Al contrario, la stessa sentenza delle Sezioni Unite ha statuito che non è mai ammessa la confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica per la violazione fiscale commessa dal legale rappresentante, proprio perché i. reati tributari esulavano da quelli “presupposto” della responsabilità dell'ente salvo il caso in cui la persona giuridica sia un mero schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646).
All'indirizzo illustrato, sempre nella prospettiva di ampliare l’area operativa della confisca cd. “diretta”, si affianca l'orientamento secondo cui, nel caso in cui il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa si confonde con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, perdendo qualsiasi autonomia quanto alla sua identificabilità fisica.
Si afferma, in particolare, che non avrebbe alcun significato, né sul piano economico, né su quello giuridico, accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita, perché ciò che conta è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma.
La confisca del prezzo o del profitto del reato rappresentato da denaro, pertanto, è sempre “diretta”, ovunque e presso chiunque sia custodita nell'interesse del reo (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647, secondo cui «Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca - diretta»).
Pertanto, «qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437).
La giurisprudenza, dunque, ha valorizzato la natura di bene fungibile del denaro, ricavandone che, ai fini della confisca “diretta” del profitto e per individuare il necessario nesso di pertinenzialità con l'illecito, non si possa pretendere l'identità fisica delle somme rinvenute sul conto corrente, nel senso che, per la legittimità dell'ablazione, si debba trattare proprio del denaro derivante dal reato.
Il denaro che perviene su un conto corrente, infatti, si confonde immediatamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del reato, perdendo ogni autonomia e divenendo un’appartenenza del reo.
Ciò non impedisce la confisca “diretta” perché, a tale fine, conta solo che il patrimonio del reo sia stato accresciuto di un importo pari al profitto.
Da questa conclusione è stata tratta un'importante conseguenza: in considerazione della natura del bene oggetto del provvedimento, per adottare la confisca cd. “diretta” del denaro, non è necessaria la prova del nesso di derivazione tra la somma materialmente oggetto del provvedimento ablatorio e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv, 264437).
Anzi, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza, solo nelle ipotesi in cui è impossibile la confisca diretta del denaro, si può porre la necessità di procedere alla confisca degli altri beni di cui disponga l'imputato per un valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto del reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647).
La portata dell’orientamento appena illustrato, invero, è stata contenuta dalla giurisprudenza più recente che, pur affermando di fare salvi i principi espressi dalle Sezioni unite Gubert e Lucci, ha delineato alcuni limiti alla latitudine del principio secondo cui la confisca del profitto rappresentato da denaro è sempre diretta.
Secondo questa impostazione, infatti, nonostante la natura fungibile del denaro, deve ritenersi preclusa la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, qualora sia stata raggiunta la prova che le stesse non derivino dal reato, non costituendo, in tale caso, profitto dell'illecito.
E’ illegittima, pertanto, l'apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Sena, Rv. 275048; Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, Rv. 274307; Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2018, P.M. in proc. Barletta e altro, Rv. 272353).
In altri termini, «... il tema si sposta sul terreno della prova posto che il .. ricorrente ha l'onere di allegare circostanze da cui desumere che l'accrescimento del conto è frutto di rimesse successive alla commissione del reato e con questo non collegabili» (Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, cit.).
A tale proposito, un dato rilevante è rappresentato dalla considerazione del momento in cui il denaro è confluito sul conto, che va confrontato con l'epoca di consumazione dell'illecito penale che ha generato il profitto.
E’ il caso, ad esempio, in tema di confisca del profitto dei reati tributari, delle somme corrispondenti a rimesse effettuate da terzi dopo la scadenza del termine per il versamento delle imposte dovute.
Nell'ipotesi di reati tributari, infatti, integra il profitto del reato il solo saldo attivo esistente sul conto corrente al momento della scadenza del termine previsto per adempiere l'obbligazione fiscale.
Tale importo equivale al ‘risparmio di spesa” determinato dal mancato versamento e può ritenersi direttamente derivato dal reato. Le somme che fossero state versate sul conto dopo la scadenza del termine dell’obbligazione tributaria non possono essere ritenute il profitto del reato.
Rispetto ad esse, difatti, manca qualsivoglia collegamento con l'illecito che possa giustificare la confisca “diretta” o, meglio, può ritenersi raggiunta la prova che non derivino dal reato, proprio perché è dimostrato che sono state versate sul conto in un momento | successivo al perfezionamento dell'illecito (Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2018, P.M. in proc. Barletta e altro, cit.; Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, cit.).
Seguendo l'indirizzo illustrato, dunque, ai fini della ricostruzione della disciplina applicabile alla confisca del denaro presente sul conto corrente dell'imputato, in particolare in tema di reati tributari, diviene essenziale l'accertamento del saldo esistente alla data di consumazione del reato, perché permette di qualificare il provvedimento con il quale è disposta l’apprensione in termini di confisca “diretta” o “per equivalente” (Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 2019, Torelli, Rv. 274859, in una fattispecie in tema di reati tributari in cui, secondo la decisione di legittimità, è mancato qualsiasi accertamento all'entità dei saldi presenti sui conti correnti e sui libretti di deposito oggetto di sequestro alla data di scadenza dell'obbligazione tributaria e, dunque, alla data di consumazione del reato di omesso versamento dell'Iva dovuta).
Nel caso in cui il profitto del reato sia integrato da una somma di denaro, dunque, la confisca diretta può legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entità comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell'autore del reato, purché si tratti di denaro già confluito nel conto corrente o nel deposito bancario al momento della commissione del reato (a meno che, ovviamente, per il denaro che fosse pervenuto dopo il perfezionamento del reato non sia stata acquisita la prova della derivazione dell'illecito).
Solo in tale ipotesi è possibile ragionevolmente sostenere che il denaro è confiscabile in via diretta come profitto “accrescitivo” delle disponibilità dell'imputato, indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato.
La relazione di pertinenzialità rispetto al reato, invero, è ritenuta fittiziamente sussistente - ovvero si presume esistente fino a prova contraria - proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo.
Diversamente argomentando, cioè ammettendo che il vincolo reale possa estendersi anche a importi di denaro accreditati sui conti o nei depositi dell'autore del reato sulla base di crediti lecitamente maturati in epoca successiva al momento della commissione del reato, si finirebbe per. trasformare una confisca “diretta” in una “per equivalente” (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Sena, cit.).
D'altro canto, «se la finalità della confisca diretta è quella di evitare che chi ha commesso un reato possa beneficiare del profitto che ne è conseguito, bisogna ammettere che tale funzione è assente laddove l'ablazione colpisca somme. di denaro entrate nel patrimonio del reo certamente in base ad un titolo lecito ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, e non risulti in alcun modo provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all'illecito commesso» (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Sena, cit.).
A seguito dell'inclusione dei reati tributari nel catalogo degli illeciti penali che possono essere presupposto della responsabilità dell'ente ad opera dell'art. 39 d.l. n. 124 del 2019 si dovrebbe poter procedere alla confisca cd. “diretta” o a quella “per equivalente” del profitto o dei prezzo dell'illecito nel patrimonio dell'ente ex art. 19 del d.igs. n. 231/2001 (nonché al sequestro preventivo di cui all'art. 53 dello stesso decreto prodromico a detta confisca).
Tale innovazione normativa potrebbe comportare un mutamento dei parametri alla base degli indirizzi giurisprudenziali illustrati, nel senso che la confisca “diretta” nel patrimonio dell'ente potrebbe essere fondata su una diversa base normativa, rappresentata proprio dall'art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001, piuttosto che sulla descritta argomentazione concernente la mancata estraneità al reato dell'ente nell'interesse o a vantaggio del quale il reato è stato compiuto dall'organo.
Va segnalato inoltre che, secondo l'indirizzo accolto dalla giurisprudenza, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, la confisca, diretta o per equivalente, in quanto sanzione principale e autonoma, è obbligatoria e non oggetto di una scelta discrezionale del giudice (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland S.p.a. ed altro, Rv. 263680).
E’ opportuno evidenziare anche che la commissione di un illecito tributario dotato di rilevanza penale comporta l'irrogazione di una sanzione amministrativa che colpisce il contribuente - persona giuridica, mentre destinataria della sanzione penale è la persona fisica autrice del fatto tipico.
Tale situazione escludeva in radice, secondo la giurisprudenza della Corte, che potessero porsi questioni di violazione dell'art. 4, Prot. 7, CEDU, perché i destinatari delle risposte sanzionatorie (amministrativa e penale) erano comunque soggetti differenti (cfr. Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939; Sez. 3, n. 23839 del 07/11/2017, dep. 2018, Passaro, Rv. 273107; Sez. 3, n. 24309 del 19/01/2017, Bernardoni, Rv. 270515; Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014, dep. 2015, Gabbana ed altri, Rv. 265118; Sez. 2, n. 13901 del 25/02/2016, PG in proc. Castiglioni, Rv. 266669). Con la riforma introdotta dal d.l. n. 124 del 2019, la commissione di un reato tributario comporta l'irrogazione in capo all'ente sia delle sanzioni amministrative già previste ai sensi dell'art. 11 d.lgs. n. 472 del 1997 (1), sia di quelle previste dal 30 d.lgs. n. 231 del 2001.
Di conseguenza si potrebbe determinare una potenziale frizione con il principio del ne bis in idem, configurabile qualora, alla luce dei noti criteri elaborati dalla giurisprudenza di Strasburgo (i noti criteri Engel), si riconoscesse la natura “sostanzialmente” penale, oltre che delle sanzioni amministrative tributarie, già contemplate in precedenza, anche, oggi, delle misure previste dal d.lgs. n. 231 del 2001.
A tal proposito, sarebbe tuttavia necessario rimeditare l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui il sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura invece un "tertium genus" di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261112; più di recente, Sez. 4, n. 43656 del 24/09/2019, Compagnia progetti e costruzioni; Sez. 4, n. 38072 del 9/05/2019, S.M.; Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, C.M. ed altri) (2)
Anche nel caso in cui si ritenesse che il medesimo fatto inteso in senso “storico - naturalistico” comporti l'applicazione di un duplice ordine di sanzioni “punitive”, solo formalmente amministrative, non sarebbe comunque per ciò solo ravvisabile di per sé la violazione del ne bis in idem. Infatti, occorrerebbe considerare l'evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU scandita dalla sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo, 15/11/2016, A. e B. c. Norvegia e della giurisprudenza della Grande sezione della Corte di giustizia, nelle tre sentenze coeve del 20 marzo 2018 (rispettivamente in causa C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri, in cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma e CONSOB, e in causa C-524/15, Menci, quest’ultima relativa alla materia tributaria), pronunce richiamate dalla Corte costituzionale 2/03/2018 n. 43.
Alla stregua di tale evoluzione, «il ne bis in idem convenzionale cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo. procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento procedimenti, perché in presenza di una "dose connection" è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell'altro. Inoltre neppure si può continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è proprio quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata».
Si è così potuto affermare che non sussiste la violazione del "ne bis in idem" convenzionale nel caso della irrogazione, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale definitiva, di una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta la natura sostanzialmente penale, ai sensi dell'art. 4, Prot. n. 7, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU nelle cause "Grande Stevens e altri contro Italia" del 4 marzo 2014, e "Nykanen contro Finlandia" del 20 maggio 2014, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale efficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema sanzionatorio, secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione "A. e B. contro Norvegia" del 15 novembre 2016 (Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Giannino, Rv. 275833; Sez. 3, n. 6993 del 22/09/2017, dep. 2018, Servello, Rv. 272588).
In questa prospettiva, quindi, potrebbe rendersi necessario valutare di dare maggiore rilievo ai meccanismi di coordinamento tra l'attuale sistema sanzionatorio amministrativo tributario e la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti anche al fine di evitare un eccesso della risposta sanzionatoria in contrapposizione con l'esigenza di promuovere un apparato di tutela che appaia legittimo e giusto (3).
Si tratta di dare attuazione ai principi, peraltro anche recentemente ribaditi dalla Corte costituzionale, secondo i quali non vi è violazione del bis in idem laddove le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l'interessato; quando esista un coordinamento, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; e quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l'interessato, in rapporto alla gravità dell'illecito (cfr. Corte cost., 24 ottobre 2019, n. 222, in una fattispecie relativa all'applicazione alla persona fisica tanto della sanzione penale di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, quanto della sanzione prevista dall'art. 13, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471).
A tal proposito, al fine di realizzare il coordinamento tra i procedimenti e in mancanza di specifiche riforme normative, possono essere valorizzate alcune norme che regolano i rapporti tra procedimento amministrativo e procedimento penale in materia tributaria. Si allude, ad esempio,
- all'art. 13, comma 1, d.igs. n. 74 del 2000, relativo alla causa di non punibilità costituita dalla volontaria estinzione del debito tributario e della sanzione amministrativa;
- alle disposizioni che prevedono obblighi di comunicazione degli illeciti . tributari da parte della Guardia di Finanza all'autorità giudiziaria (art. 331 cod. proc. pen.) e, specularmente, da parte dell'autorità giudiziaria alla Guardia di Finanza (art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante «Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi») e all'Agenzia delle entrate (art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di . finanza pubblica», come modificato dall'art. 1, comma 141, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»), miranti ad assicurare una sostanziale contestualità dell'avvio dell’accertamento tributario e di quello penale;
- alle disposizioni che consentono forme di circolazione del materiale probatorio raccolto dall'indagine penale all'accertamento tributario e viceversa (art. 63, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante «Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto», e art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e, specularmente, art. 220 delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).
Il coordinamento tra i giudizi, inoltre, è certamente favorito dagli indirizzi giurisprudenziali relativi all'utilizzabilità del materiale istruttorio raccolto in ciascun procedimento, come elemento di prova e fonte di convincimento da parte del giudice che istruisce l’altro procedimento (ex p/urimis, Sez. 5 civ., n. 19859 del 14/11/2012; Sez. 5 civ., n. 6918 del 20/03/2013; Sez. 6 civ., (ord.), n. 20255 del _ 25/7/2019; Sez. 3 civ., (ord.) n. 19521 del 19/07/2019, in relazione alla possibilità che gli elementi probatori acquisiti nel procedimento penale siano posti dal giudice tributario a base del proprio convincimento; Sez. 5 civ., n. 17258 del 27/06/2019; Sez. 5 civ., n. 10578 del 22/05/2015, relative alla possibilità che la sentenza penale irrevocabile, pur non spiegando efficacia di giudicato, possa essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario; nonché Sez. 3, n. 39358 del 24/09/2008, Schiaccitano, Rv. 241038; Sez. 6, n. 10210 del 24/02/2011, PG in porc. Musumeci, Rv. 249592; Sez. 3, n. 1628 del 28/10/2015, dep. 2016, Campedelli, Rv. 266328; Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 274131 relative alla possibilità che gli elementi probatori acquisiti nel processo tributario facciano ingresso nel processo penale, ex art. 234 o 238-bis cod. proc. pen., quali prove valutabili ai sensi degli artt. 187 e 192 cod. proc. pen.).
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Ai sensi dell'art. 11 d.Igs. n. 472 del 1997, intitolato “Responsabili per la sanzione amministrativa”, “nei casì in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell'adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall'amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”.
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Si segnala che l‘indirizzo illustrato è accolto anche dalla giurisprudenza amministrativa. Si veda, Cons. Stato, Sez. 4, 18/01/2016, n. 143, Fastweb S.p.a. c. Telecom Italia S.p.a.
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La stessa Corte di giustizia, nella sentenza Menci dapprima citata, nondimeno, ha affermato che la disciplina italiana in materia di omesso versamento di IVA, riservando la perseguibilità in sede penale alle sole violazioni superiori a determinate soglie di imposta evasa e attribuendo tra l’altro rilevanza, in sede penale, al volontario pagamento del debito tributario e delle sanzioni amministrative, appare conformata in modo tale da «garantire» - sia pure «con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio» — che «il'cumulo di procedimenti e di sanzioni chie essa autorizza non eccede quanto è strettamente necessario ai fini della realizzaziorie dell'obiettivo» di assicurare l'integrale riscossione dell'IVA
Fonte: Relazione su novità normativa La legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”: Profili penalistici. Rel.: 3/20 Roma, 9 gennaio 2020