Autoriciclaggio: conta l’idoneità “ex ante” a ostacolare la provenienza, non la tracciabilità “ex post” (Cass. Pen. n. 34970/25)
- Avvocato Del Giudice

- 30 ott
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La massima
Integra l’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) l’impiego dei proventi di reato tramite bonifici disposti da un conto intestato a società terza, formalmente non riferibile all’agente, poiché tale schema è idoneo, ex ante, anche solo ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa; non rileva che le operazioni siano poi tracciabili o rechino causali contabili.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 22/10/2025, (ud. 22/10/2025, dep. 27/10/2025), n.34970
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 4 marzo 2025 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza in data 5 ottobre 2020 del Tribunale di Modena pronunciata nei confronti di Sc.Ma., ha:
- dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv., 640, 61, nn. 2 e 7, cod. pen. di cui al capo A della rubrica delle imputazioni per mancanza di querela, revocando le statuizioni civili relative a tale reato;
- dichiarato non doversi procedere in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 48 cod. pen. e 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 (capi B e C) e 12, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998 (capo G) per essere estinti per intervenuta prescrizione, ma confermando le statuizioni civili relative al capo B;
- confermato nel resto la penale responsabilità dell'imputato in relazione ai residui reati di cui ai capi D, E, ed F della rubrica delle imputazioni.
In sintesi, all'esito dei giudizi di merito, è residuata nei confronti dello Sc.Ma., l'affermazione della penale responsabilità in relazione ai seguenti reati:
- delitto di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen. per aver fatto dapprima trasferire i proventi illeciti dei reati di truffa e di violazioni fiscali di cui ai capi A e B (quantificati in 181.405,75 Euro) su di un conto corrente bancario intestato alla società San Marco Società Cooperativa della quale era legale rappresentante e, quindi, di avere impiegato 51.780,62 Euro in attività economiche ed imprenditoriali a lui riconducibili e di cui ad un elenco indicato in atti (capo D), fatto accertato dal 2 aprile 2015;
- delitto di omissione di presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno 2014 della società Compagnia Finanziaria Italiana Srl ex art. 110 cod. pen., 5, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, commesso il 31 dicembre 2015 (capo E);
- delitto di omissione di presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno 2014 della Fondazione Cofit Onlus ex art. 110 cod. pen., 5, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, accertato il 22 dicembre 2015 (capo F).
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 585, comma 4, cod. proc. pen. e con riferimento al capo D per erronea declaratoria di inammissibilità del secondo dei motivi nuovi depositati in data 20 giugno 2024, nonché in relazione alla ritenuta sussistenza di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen. in quanto l'unica condotta penalmente rilevante è quella di impiego di 51.780,62 Euro bonificati ai dipendenti delle società Kelion, Cofit e Uniservice, tuttavia priva di concreta capacità dissimulatoria (come evidenziato dalla difesa detti motivi ancorché rubricati separatamente possono essere tratti unitariamente).
Quanto al profilo della declaratoria di inammissibilità del secondo dei motivi nuovi depositati in data 20 giugno 2024 rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello sarebbe partita dall'erroneo presupposto che "la concreta capacità dissimulatoria delle operazioni dei trasferimenti non è stata oggetto di rilievo nell'atto di appello principale".
In realtà, osserva la difesa del ricorrente, avendo impugnato la condanna relativa al capo D della sentenza di primo grado, i motivi nuovi (depositati da un secondo difensore) non erano altro che portatori di nuovi elementi a sostegno della assoluzione nel merito.
In ogni caso, la Corte di appello, pur sostenendone l'inammissibilità, si è pronunciata nel merito sul nuovo motivo dedotto per stabilirne l'infondatezza.
Quanto poi alla contestazione del reato di cui al capo D, rileva parte ricorrente che il trasferimento delle somme di denaro sul conto della società San Marco non era un seguito della consumazione del reato presupposto me era un segmento di condotta già coperto dalla contestazione del delitto di truffa di cui al capo A dato che i proventi originati da quest'ultimo reato (pari ad Euro 181.405,75) erano stati versati sul citato conto direttamente dai clienti cessionari, con la conseguenza che tali versamenti costituivano il perfezionamento del reato presupposto e non si trattava di versamenti operati successivamente ed in autonomia da parte dallo Sc.Ma.
Ne conseguirebbe che l'unica condotta astrattamente idonea ad integrare la fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen. non potrebbe che essere consistita dell'impiego della somma di 51.780,60 Euro bonificata ai dipendenti della Kelion Cofit e della Uniservice, condotta che, tuttavia, non avrebbe assunto alcuna capacità dissimulatoria in presenza di specifiche causali sottostanti ai movimenti delle somme di denaro che recavano espressamente l'indicazione delle società dello Sc.Ma. per conto delle quali avveniva il trasferimento del denaro.
In presenza di tali deduzioni difensive, prosegue la difesa del ricorrente, la Corte di appello si sarebbe limitata a produrre una motivazione apparente non tenendo conto, in particolare, delle specifiche causali sottostanti ai movimenti delle somme di denaro che, come detto, erano idonee ad escludere la capacità dissimulatoria di dette operazioni.
2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione ai capi E ed F, per contraddittorietà della stessa con atti probatori decisivi ignorati (il verbale di operazioni della Guardia di Finanza del 30.12.2015 ed il verbale di s.i.t. di Pa.Cr. del 12.6.2015 in atti).
Rileva al riguardo la difesa del ricorrente, con riguardo alle contestazioni di cui ai capi E ed F, che lo Sc.Ma. non aveva potuto adempiere alle obbligazioni tributarie per una causa di forza maggiore rappresentata dall'intervenuto sequestro, nel presente ed in altri procedimenti, di personal computer (ed altra documentazione) ove erano conservati i dati contabili ed amministrativi delle società.
Al riguardo, evidenzia parte ricorrente, avrebbe errato la Corte di appello nell'affermare che l'oggetto dei sequestri preventivi non riguardava documentazione contabile o server, che la Guardia di Finanza aveva accertato che le società di cui ai capi E ed F non avevano istituito e tenuto alcuna scrittura o documento contabile e che detta documentazione non era stata neppure reperita in occasione delle perquisizioni compiute.
In realtà il ragionamento sul quale si fondano le affermazioni dei Giudici di merito sarebbe smentito dal verbale di operazioni compiute dalla Guardia di Finanza in data 30 novembre 2025 dal quale è emerso che vi era un server in sequestro che, secondo l'imputato, conteneva la documentazione contabile delle società e che, né l'imputato, né gli ufficiali di P.G. riuscirono ad avviare.
A ciò si aggiunge che, sempre secondo la difesa del ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nel punto in cui si afferma che l'impiegata Pa.Cr. non era depositaria dei dati contabili amministrativi della società essendo addetta solo alla compilazione delle buste paga, ciò in quanto dalla lettura integrale del relativo verbale della predetta impiegata è emerso che la stessa possedeva sul proprio personal computer copia dei dati della Cofit Srl
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all'omessa pronuncia circa la richiesta di applicazione delle pene sostitutive.
Evidenzia parte ricorrente che la richiesta di applicazione di pene sostitutive era stata formulata dall'imputato nel corso dell'udienza di discussione del 4 marzo 2025 e rinnovata dal difensore in sede di discussione orale e che la Corte di appello sul punto ha omesso di pronunciarsi ed aggiunge che detta richiesta alla luce della più recente giurisprudenza poteva ben essere formulata anche nel corso dell'udienza di discussione in appello.
2.4. Occorre per solo dovere di completezza dare atto che in data 7 ottobre 2025 ed in data 21 ottobre 2025 sono pervenuti mediante trasmissione per via telematica dalla Casa Circondariale di G "(Omissis)" un iniziale documento manoscritto e sottoscritto personalmente dall'imputato costituito da una memoria integrativa con allegati e, successivamente, un elenco sempre manoscritto di allegati ritenuti utili ai fini del decidere.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve in via preliminare rilevarsi l'inammissibilità della memoria contenente motivi integrativi e della indicazione e produzione degli allegati di cui si è detto al superiore par. 2.4 in quanto l'atto risulta sottoscritto personalmente dall'imputato e non da un avvocato cassazionista e gli allegati sono documenti non producibili direttamente innanzi alla Corte di cassazione da parte dell'imputato personalmente.
2. I primi due motivi di ricorso devono essere oggetto di trattazione congiunta stante l'intrinseca correlazione tra gli stessi ed occorre al riguardo premettere una breve ricostruzione delle condotte come emergenti dalle sentenze di merito.
Risulta incontestatamente da entrambe le sentenze di merito che il meccanismo truffaldino veniva realizzato mediante la vendita alle persone offese di inesistenti crediti di imposta proposti di cessione attraverso diversi canali.
Una volta contattati i potenziali acquirenti e raggiunti gli accordi, i soggetti cessionari predisponevano la necessaria documentazione fiscale e le relative quietanze che trasmettevano o consegnavano personalmente agli acquirenti.
Successivamente alla consegna delle quietanze di versamento e dopo la visualizzazione da parte degli acquirenti della conferma dell'avvenuta compensazione dei debiti nel proprio cassetto fiscale, i cessionari provvedevano al pagamento del corrispettivo.
Quanto a detti pagamenti, a seguito di sequestri preventivi nel frattempo intervenuti in data 19 marzo 2015, lo Sc.Ma. proseguiva nell'attività truffaldina ed invitava i cessionari degli inesistenti crediti di imposta ad eseguire i versamenti sul conto corrente bancario indicato nel capo D della rubrica delle imputazioni acceso presso la Unicredit il 2 aprile 2015 ed intestato alla San Marco Soc. Coop. in cui era delegato ad operare il legale rappresentante Ob.Ak. ma di fatto a disposizione esclusiva dell'odierno ricorrente.
I relativi importi, come detto quantificati in 181.405,75 Euro, nel giro di soli due mesi, venivano, poi, prelevati quasi completamente ed utilizzati per spese personali dell'imputato oltre che per effettuare i bonifici per l'importo di 51.780,62 Euro di cui si è già detto.
2.1. Ciò doverosamente premesso si duole, come detto, la difesa del ricorrente dell'erronea declaratoria di inammissibilità del secondo dei motivi nuovi depositati in data 20 giugno 2024 nel quale, al di là della questione riguardante la capacità dissimulatoria delle operazioni di movimentazione di denaro sopra descritte e sulle quali si tornerà a breve, si era evidenziato che i versamenti della somma complessiva 181.405,75 Euro operati direttamente dalle vittime delle truffe - su richiesta dell'imputato - sul conto corrente della società San Marco rappresentavano al più il tassello finale delle truffe stesse e quindi, in relazione alla stesse, non poteva ritenersi configurabile il reato di autoriciclaggio difettando in tal caso ed in quel momento un reimpiego di tali somme in attività economiche, finanziarie o speculative.
Non v'è dubbio che la questione giuridica posta con detto motivo nuovo di ricorso presentava e presenta interessanti spunti di riflessione.
Purtuttavia la stessa non consente di superare il vaglio di inammissibilità rilevato dalla stessa Corte di appello.
È, infatti, sufficiente leggere gli originari motivi di appello di cui all'atto datato 7 gennaio 2021 (v. in particolare pagg. 17 e 18) per rendersi conto come nei termini descritti solo nei "motivi nuovi", depositati solo in data 20 giugno 2024, la questione di diritto non era stata originariamente proposta.
Infatti, nell'originario atto di appello, le questioni relative al capo di imputazione relativo al reato di autoriciclaggio vertevano esclusivamente sulla tracciabilità delle operazioni riguardanti le transazioni finanziarie de quibus, sull'ulteriore reimpiego dei fondi e sull'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato. Questioni, all'evidenza, del tutto differenti rispetto a quella in fatto ed in diritto dedotta nel motivo nuovo qui in esame.
In punto di diritto deve poi essere ricordato il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale "In materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione" (ex ceteris: Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Tobi, Rv. 280294 - 01).
Né si potrà sostenere che solo perché la Corte di appello, pur dopo avere dedotto l'inammissibilità del motivo di gravame, lo ha comunque affrontato in sede di motivazione, per ciò solo detta inammissibilità sarebbe in qualche modo sanata essendo pacifico che se un motivo di ricorso è inammissibile ab origine, la presenza di una motivazione al riguardo non è idonea a sanare il vizio processuale.
Corretta è quindi da ritenersi l'inammissibilità rilevata dalla Corte territoriale e, di conseguenza, è manifestamente infondata la doglianza difensiva sul punto.
Quanto appena evidenziato ha, poi, incidenza diretta anche in relazione al sovrapponibile motivo di ricorso ribadito anche in questa sede di legittimità concernete le questioni legate alla contestazione relativa alla somma di complessivi 181.405,75 Euro: il motivo inammissibile in sede di appello rende la questione non legittimamente dedotta in quella sede e determina in sede di legittimità l'applicazione della sanzione processuale di cui all'art. 606, comma 3, cod. pen.
2.2. Manifestamente infondata è, poi, la questione relativa alla capacità dissimulatoria dei trasferimenti della somma complessiva di 51.780,60 Euro utilizzata attraverso l'esecuzione di bonifici a soggetti assunti dalle società Kelion, Cofit e Uniservice, trasferimenti anch'essi contestati nel capo D della rubrica delle imputazioni.
Come correttamente, quanto condivisibilmente, osservato dai Giudici di merito la capacità decettiva di tali operazioni è da ritenersi sussistente.
Ricorda il Collegio che "Ai fini dell'integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre che l'agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza" (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il reato in presenza di un trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare su conti stranieri di una società controllante di quella fallita) (Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, PMT c/Draebing, Rv. 276974 - 01).
E, ancora, più nel dettaglio, che "In tema di autoriciclaggio, l'intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l'idoneità "ex ante" della condotta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa" (Fattispecie di trasferimento di ingenti somme di denaro tramite bonifici in favore di una costellazione di società estere che, a loro volta, effettuavano nuove operazioni di trasferimento a soggetti fisici e giuridici riconducibili all'indagato) (Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, PMT c/Ventola, Rv. 276419 - 01).
Osserva, ancora, il Collegio che la doglianza sollevata dalla difesa secondo la quale le operazioni di bonifico comportanti l'impiego della somma di 51.780,60 Euro non avrebbero assunto alcuna capacità dissimulatoria in presenza di specifiche causali sottostanti ai movimenti delle somme di denaro che recavano espressamente l'indicazione delle società dello Sc.Ma. per conto delle quali avveniva il trasferimento del denaro è del tutto priva di fondamento nel momento in cui i bonifici partivano da un conto corrente di una società (la San Marco), amministrata da un soggetto terzo e non riconducibile all'imputato, conto sul quale erano state fatte confluire le somme provento delle truffe legate alla cessione di crediti inesistenti da parte di società diverse dalla stessa San Marco.
Non v'è chi non veda che tali modalità operative erano tali da ostacolare "concretamente" la provenienza delittuosa delle somme trasferite Il fatto che quindi la Corte di appello non ha tenuto conto che si trattava di bonifici che indicavano specifiche causali diventa pertanto privo di rilevanza e risulta essere elemento non idoneo a smontare sul punto l'impalcatura accusatoria relativa al reato di cui al capo D della rubrica delle imputazioni.
3. Manifestamente infondato è, poi, il secondo motivo di ricorso relativo ai capi E ed F della rubrica delle imputazioni.
Al riguardo deve, innanzitutto, evidenziarsi che entrambe le sentenze di merito risultano congruamente e logicamente motivate sui punti oggetto di contestazione e che, anche dalla lettura degli atti allegati al ricorso, non emerge alcun travisamento del materiale probatorio tale da mettere in dubbio la tenuta degli elementi posti a fondamento dell'affermazione della penale responsabilità dell'odierno ricorrente in relazione ai fatti di cui ai capi di imputazione in esame.
In particolare, la Corte di appello (pagg. da 17 a 19 della sentenza impugnata) ha dato atto di avere preso in considerazione le deduzioni difensive ed in particolare quella relativa al fatto che l'imputato non avrebbe potuto procedere alla presentazione delle dichiarazioni fiscali di cui ai capi E ed F in quanto privato, per effetto dei sequestri intervenuti, della documentazione delle società Compagnia Finanziaria Italiana Srl e della Fondazione Cofit Onlus e vi ha dato adeguata e logica risposta.
Già il Tribunale (pagg. da 21 a 23 della relativa sentenza) in cd. "doppia conforme" era giunto alle medesime conclusioni.
Sul punto osserva il Collegio anche i documenti richiamati nel motivo di ricorso in esame ed allegati in copia al ricorso stesso non appaiono dirimenti: rimane, infatti, a solo livello del dichiarato dell'imputato il fatto che la documentazione contabile di interesse era contenuta negli apparati informatici in sequestro e non risulta altrimenti provato quale fosse l'eventuale esatto contenuto della "copia" della documentazione informatica consegnata all'impiegata Pa.Cr., persona che, come hanno evidenziato i Giudici di merito - è appena il caso di ricordarlo - non si occupava della contabilità delle società ma era solo addetta alla compilazione delle buste paga.
A ciò si aggiunge che la Corte di appello (pag. 18) ha evidenziato che la Pa.Cr. ha dichiarato in udienza (24 giugno 2019) di aver messo a disposizione dello Sc.Ma. il backup dei dati contenuti nel proprio computer personale e riguardanti solo le buste paga, ma che l'imputato non si è preoccupato di recuperali in alcun modo.
Inoltre, osserva l'odierno Collegio che essendo l'imputato l'unico depositario delle scritture contabili delle società - peraltro tenute in maniera informatica - sarebbe stato suo onere indicarne la chiave di accesso ovvero indicare chi era il possessore della stessa al fine di consentire agli inquirenti l'esame delle scritture contabili (qualora realmente esistenti e complete), non potendosi di certo utilizzare come mero escamotage per addurre una situazione di forza maggiore il fatto di non essere in grado di fornire elementi per consentire tale consultazione.
Non può pertanto ritenersi in alcun modo acquisita la prova che nei server sequestrati fosse presente una contabilità aggiornata ed adeguata tale da consentire la compilazione delle dichiarazioni fiscali e da impedire che l'imputato potesse incorrere nelle violazioni di cui ai capi E ed F della rubrica delle imputazioni, con l'ulteriore conseguenza che i vizi denunciato nel ricorso in esame risultano privi di concreta rilevanza.
4. Inammissibile per genericità è, infine, il terzo motivo di ricorso.
Sebbene risulti dagli atti che l'imputato personalmente ed il suo difensore avevano formulato solo in sede dibattimentale istanza alla Corte di appello di applicazione di pena sostitutiva di pena detentiva breve (v. verbale di udienza del 4 marzo 2025) e che nessuna motivazione al riguardo è contenuta nella sentenza impugnata, non può non rilevarsi l'assoluta genericità sia della richiesta stessa, sia del motivo di ricorso in esame che si limita a richiamarla senza indicare alcun elemento che avrebbe potuto rendere l'imputato meritevole dell'accoglimento della stessa.
In proposito occorre ricordare che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che è onere dell'appellante supportare la richiesta di sostituzione delle pene detentive brevi con specifiche deduzioni e che il mancato assolvimento di tale onere comporta l'inammissibilità originaria della richiesta (in tal senso, in motivazione: Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025, Consoli, Rv. 287820 - 01; Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025, Lo Porto, Rv. 287460 - 01).
5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, il 22 ottobre 2025.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2025.




