Il confine tra errore gestionale e illecito penale: offensività e dolo specifico nella bancarotta distrattiva e preferenziale (Cass. Pen. n. 31702/2023)
- Avvocato Del Giudice

- 26 ago
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1. Premessa
La sentenza n. 31702/2023 della Quinta Sezione penale offre un duplice spunto di riflessione: da un lato, riafferma i criteri di accertamento dell’elemento soggettivo nella bancarotta distrattiva; dall’altro, pur respingendo le doglianze della parte civile, chiarisce i requisiti stringenti della bancarotta preferenziale, riaffermando la sua autonomia concettuale rispetto alle altre ipotesi di illecito concorsuale.
2. L’elemento soggettivo nella bancarotta distrattiva
La Corte ribadisce un orientamento ormai consolidato: il dolo della bancarotta patrimoniale non si esaurisce nella mera volontà dell’atto distrattivo, ma abbraccia la rappresentazione della pericolosità di tale atto rispetto alla garanzia dei creditori.
La “fraudolenza” consiste dunque nella consapevolezza che l’operazione – per la sua irragionevolezza economica, per l’entità delle somme coinvolte, per il contesto gestionale – fosse idonea a porre in pericolo concreto la tenuta patrimoniale dell’impresa.
Non è richiesto un fine specifico di nuocere ai creditori, ma la capacità di prefigurarsi l’evento pregiudizievole, anche solo come rischio ragionevolmente percepibile.
Nel caso concreto, l’ingente drenaggio di risorse (oltre un milione e mezzo di euro dirottato all’estero per finalità estranee) costituiva indice evidente di tale fraudolenza.
3. La bancarotta preferenziale: insolvenza e dolo specifico
Più complesso si rivela, invece, il tema della bancarotta preferenziale, evocato dal ricorso della curatela fallimentare. La Corte d’appello aveva assolto l’imputato sul rilievo che, al momento della cessione immobiliare destinata a soddisfare integralmente un istituto bancario, non fosse dimostrata la sussistenza di uno stato di insolvenza conclamato.
La Cassazione conferma tale approdo, cogliendo l’occasione per ribadire i presupposti oggettivi e soggettivi della fattispecie.
Sul piano oggettivo, l’atto deve collocarsi in un contesto di insolvenza attuale, che non può ridursi a un mero squilibrio finanziario o alla prospettiva di un dissesto futuro. Nel caso esaminato, pur in presenza di segnali di tensione di liquidità, mancava la prova che la società fosse già giunta a uno stato di insolvenza effettiva.
Sul piano soggettivo, la Corte riafferma la necessità del dolo specifico, inteso come volontà di favorire un determinato creditore, accettando l’eventualità del danno per gli altri.
La semplice consapevolezza delle difficoltà aziendali non basta: occorre che l’agente persegua – o almeno accetti consapevolmente – la finalità selettiva di privilegiare un creditore a scapito della massa.
Ne consegue che, quando il pagamento è riconducibile, anche solo in via prevalente, al tentativo di salvaguardare la continuità aziendale o di evitare l’immediata dichiarazione di fallimento, l’elemento soggettivo difetta e la condotta non integra il reato.
L’insegnamento che se ne ricava è chiaro: non ogni atto di pagamento “anomalo” compiuto in costanza di crisi assume rilevanza penale.
A delimitare l’area dell’illecito concorsuale è la rigorosa verifica della compresenza di due fattori: l’insolvenza attuale e la finalità di favoritismo.
Solo in questa combinazione si realizza l’offesa tipica alla par condicio creditorum che la norma penale intende presidiare.
4. Considerazioni conclusive
La sentenza n. 31702/2023 consente di ribadire alcuni tratti fondamentali della responsabilità penale in materia concorsuale, restituendo al sistema un disegno di insieme più coerente.
Al centro rimane il principio di offensività, che non è mera formula retorica, ma criterio sostanziale di delimitazione dell’intervento penale.
Tanto nella bancarotta distrattiva quanto in quella preferenziale, infatti, ciò che rileva non è l’astratta violazione di un dovere gestorio, bensì il rischio concreto di pregiudizio arrecato alla massa dei creditori, che costituisce l’interesse protetto dalla norma.
In questa prospettiva si colloca la distinzione – mai puramente nominalistica – fra errore gestionale e illecito penale.
Nella bancarotta per distrazione il discrimine passa attraverso la rappresentazione, da parte dell’agente, della pericolosità dell’atto per l’integrità patrimoniale della società: la condotta diventa fraudolenta non perché economicamente discutibile, ma perché consapevolmente estranea a qualsiasi logica imprenditoriale ragionevole e idonea a compromettere la garanzia dei creditori.
Nella bancarotta preferenziale, invece, la linea di demarcazione è data dall’intenzionalità selettiva: non basta l’anomalia del pagamento, occorre che l’agente persegua o accetti la finalità di privilegiare un creditore in danno della par condicio, in un momento in cui l’impresa versi già in stato di insolvenza attuale.
Il ruolo del dolo specifico si fa qui decisivo: la preferenziale non è una mera variante della distrattiva né può ridursi a una forma di autofinanziamento improprio; essa richiede un quid pluris, ossia la prova rigorosa del favoritismo, inteso come scelta consapevole di infrangere l’eguaglianza dei creditori.
Solo in presenza di questa finalità la condotta assume rilevanza penale, evitando che il diritto concorsuale penale diventi un surrogato del diritto societario o una sanzione ex post di scelte imprenditoriali discutibili ma non penalmente rilevanti.
La Corte, con questa decisione, riafferma così la necessità di un approccio rigoroso e selettivo: il diritto penale fallimentare non deve trasformarsi in uno strumento generalizzato di controllo delle crisi d’impresa, ma conservare il proprio statuto di extrema ratio, limitato a quelle condotte che, per la loro concreta pericolosità o per la loro intenzionalità distorsiva, minano le basi stesse della par condicio creditorum.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V, 17/05/2023, (ud. 17/05/2023, dep. 20/07/2023), n.31702
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 febbraio 2022 la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva: a) ritenuto S.C. colpevole dei reati ascrittigli al capo 1.A, punti 1) e 4), in quest'ultimo assorbito il punto 5); b) assolto lo S., R.V. e V.G. dalle imputazioni di cui ai capi 1.A, punti 2) e 3) e ai capi 1.B, 1.C, 2, 3, 4, 6, 7 perché il fatto non sussiste e al capo 5 perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
In sintesi e per quanto ancora rileva alla luce del contenuto dei ricorsi, allo S., nella qualità di "amministratore e controllore di fatto della (Omissis) s.p.a.", dichiarata fallita in data 2 aprile 2015, è stato contestato al capo 1.A di avere cagionato e aggravato il dissesto della società, mediante: (punto 1) condotte distrattive consistite (lett. a) nell'imputare alla società costi estranei all'attività d'impresa e riferibili a proprie esigenze personali (ristrutturazione e manutenzione di una villa sita in (Omissis)); (lett. b) nel trasferire all'estero tra il 2005 e il 2009 somme non inferiori a circa 1.690.000 Euro, sotto forma di pagamento di prestazioni della società neozelandese Yandan & Co. Ltd., giustificate da fatture fittizie, dal momento che quest'ultima, ricevute le somme, le dirottava su conti svizzeri riconducibili allo S.; (punto 2) condotte di false comunicazione sociali consistite a) nell'annotare nelle scritture contabili le false fatture emesse dalla menzionata società neozelandese; nell'operare, nei bilanci dal 2004 al 2013, una sistematica sopravvalutazione del magazzino, delle partecipazioni e dei crediti, in modo da occultare le perdite della società; (punto 3) condotte di pagamento preferenziale, consistite nell'estinguere, in una situazione di insolvenza conclamata, il debito chirografario di 4.793.748,82, vantato dalla Credito Valtellinese s.p.a., attraverso la cessione di un immobile in favore della Credito Artigiano s.p.a. (controllata dalla Credito Valtellinese s.p.a. e da questa poi incorporata), per il prezzo di sette milioni di Euro, parte dei quali (2.206.251,18 Euro) destinati ad estinguere un contratto di leasing e la restante parte versata sul conto corrente dell'alienante presso il Credito Valtellinese s.p.a. a tacitazione del debito esistente; (punto 4) condotte dolose consistite nella reiterata omissione, negli anni dal 2010 al 2013, del versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa; (punto 5) condotte omissive, per non avere, a fronte della totale perdita del capitale sociale, manifestatasi sin dall'esercizio 2009, convocato l'assemblea per l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. e comunque per non avere richiesto per anni il fallimento della società.
Con i capi 1.B e 1.0 era stato contestato al R. e al V. (componenti del consiglio di amministrazione della (Omissis) s.p.a. rispettivamente, il primo, dal 14 maggio 2007 al 24 aprile 2012 e dall'8 aprile al 2 agosto 2013 e, il secondo, dal 14 luglio 2006 al 28 maggio 2010) di avere aggravato il dissesto mediante: 1) condotte di false comunicazioni sociali consistite nell'operare, in ciascuno dei bilanci approvati negli anni di svolgimento dell'incarico, una sistematica sopravvalutazione del magazzino, delle partecipazioni e dei crediti, in modo da occultare le perdite della società; 2) condotte omissive, per non avere, a fronte della totale perdita del capitale sociale, manifestatasi sin dall'esercizio 2009, convocato l'assemblea per l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. e comunque per non avere richiesto per anni il fallimento della società.
I capi 2, punto 2 e 3, punto 2, richiamati nel primo motivo del ricorso proposto nell'interesse della curatela riguardano la contestazione allo S., rispettivamente quale amministratore di fatto della Tessitura Elmex s.r.l., dichiarata fallita in data 11 maggio 2015, e di amministratore ci fatto e di diritto della Lucky Printing Mill s.r.l., dichiarata fallita in data 11 maggio 2015, di avere cagionato e aggravato il dissesto delle due società mediante condotte di false comunicazioni sociali, consistite nell'operare, in ciascuno dei bilanci dal 2009 al 2014, la sistematica sopravvalutazione del magazzino e dei crediti, in modo da occultare le perdite registrate.
I capi 2, punto 4, e 3, punto 4, richiamati nel terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse della curatela riguardano la contestazione allo S., rispettivamente quale amministratore di fatto della (Omissis) s.r.l., dichiarata fallita in data 11 maggio 2015, e di amministratore di fatto e di diritto della (Omissis) s.r.l., dichiarata fallita in data 11 maggio 2015, di avere cagionato e aggravato il dissesto delle due società, omettendo, sino all'inizio del 2015, a fronte della totale perdita del capitale sociale, manifestatasi nel 2009, di convocare l'assemblea per l'adozione dei provvedimenti imposti dall'art. 2482-bis c.c. e comunque astenendosi dal richiedere il fallimento delle due società.
I capi 4 e 5, richiamati, come si vedrà nel quinto motivo del ricorso proposto nell'interesse dello S. e per i quali è intervenuta pronuncia assolutoria, riguardano rispettivamente: a) il reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis per avere, nella qualità di legale rappresentante della (Omissis) s.p.a., omesso negli anni dal 2010 al 2013, di versare, entro il termine di legge, le ritenute operate quale sostituto d'imposta; b) il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, per avere nella medesima qualità, omesso di versare, entro il termine di legge, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per l'esercizio 2011.
2. Nell'interesse dello S. e della curatela del fallimento, costituita parte civile, è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Ricorso S..
3.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali, per omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, eseguita non presso il nuovo domicilio eletto di via (Omissis), quale comunicato all'autorità procedente, ossia al Tribunale di Como, con lettera raccomandata del 9 novembre 2018, pervenuta in data 22 novembre 2018, ma presso il precedente domicilio.
3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1.A, punto 1, lett. a), per avere la Corte territoriale affrontato in termini apodittici il tema della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, alla luce della natura di reato di pericolo concreto della bancarotta distrattiva. La Corte d'appello, infatti, si era limitata a precisare che non rilevava "la mancanza di debiti in seno alla società, né l'andamento del fatturato né l'incidenza delle somme distratte sul fatturato, ma soltanto la consapevolezza dello S. di avere utilizzato le predette somme per scopi differenti da quelli propri dell'attività d'impresa".
3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, sempre con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1.A, punto 1, lett. a), per avere la Corte territoriale estromesso dal fuoco dell'accertamento dell'elemento soggettivo il profilo della rappresentazione della pericolosità della condotta, alla luce del momento in cui la condotta era stata posta in essere (un decennio prima della dichiarazione di fallimento) e della situazione di relativa tranquillità aziendale nella quale si trovava la società.
3.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1.A, punto 1, lett. b), rilevando che, nel corso del processo, non è stata acquisita la necessaria prova della falsità delle fatture emesse dalla società Yandan & Co. Ltd. e che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad una mera elencazione degli indizi indicati dal giudice di primo grado, senza operare una rivalutazione critica alla luce delle censure sviluppate nell'atto di appello.
Il ricorrente, dopo avere ribadito il carattere congetturale dei rilievi svolti dalla sentenza impugnata, aggiunge che quest'ultima aveva apoditticamente ritenuto "isolati e neutralizzati" gli elementi contrari all'ipotesi accusatoria, emergenti dalla nota di credito depositata dalla difesa e dal fax di sollecito del pagamento trasmesso nell'aprile del 2004. Tali documenti dovevano, invece, essere considerati incompatibili con il ritenuto carattere fittizio delle prestazioni.
3.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1.A, punto 4, rilevando che la contestazione era stata, per effetto della scelta del pubblico ministero, correlata alle violazioni tributarie di cui ai capi 4 e 5, per le quali era intervenuta, come detto, pronuncia assolutoria.
4. Ricorso della curatela della (Omissis) s.p.a.
4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, violazione di legge e mancata assunzione di prova decisiva, in relazione ai reati di cui ai capi: 1.A, punto 1, lett. a); 1.B, punto n. 1; 1.C, punto 1, 2, 3, n. 2.
Rispetto alla questione della correttezza della valorizzazione degli oneri indiretti, si osserva che il rigetto, da parte della Corte territoriale, della richiesta di acquisizione della relazione di c.t.u. espletata nell'ambito del giudizio civile promosso dalla curatela, era stato argomentato alla luce della mancata conclusione di quest'ultimo procedimento. Ciò comporta, secondo il ricorrente, la violazione degli artt. 234 e 238 c.p.p., alla luce del carattere documentale della relazione menzionata.
Sotto altro profilo, si osserva che illogicamente e contraddittoriamente la Corte territoriale non aveva disposto la rinnovazione istruttoria, attraverso l'acquisizione della relazione indicata, dalla quale emergeva come l'inclusione nel valore delle rimanenze delle spese generali, nonostante l'espresso divieto previsto dal principio contabile OIC13, avesse condotta ad una sopravvalutazione del magazzino.
Quanto al tema dell'inserimento degli oneri nel calcolo delle rimanenze e del criterio del costo medio ponderato, si ribadisce la necessità di una consulenza
tecnica, precisando che i chiarimenti che sarebbero giunti e in questo si giustifica il successivo rilievo concernente la mancata assunzione di prova decisiva - dai sollecitati approfondimenti istruttori avrebbero superato le perplessità della sentenza impugnata quanto al nesso di causalità tra falso e dissesto: tema affrontato, secondo i rilievi del ricorrente, in termini contraddittori e illogici.
Ancora sotto altro profilo, si lamenta il travisamento della prova costituita dalle deposizioni del curatore e della sua consulente, che avevano sottolineato come il criterio del costo medio ponderato fosse stato applicato in modo non conforme alle regole invocate dagli stessi imputati e la contraddittorietà delle valutazioni che avevano investito la stima del magazzino operata dal perito G..
Con una considerazione conclusiva, si osserva che le medesime considerazioni valgono per le partecipate (Omissis) s.r.l. e (Omissis) s.r.l..
4.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione all'assoluzione dal reato di cui al capo 1.A, punto 3, sottolineando che le considerazioni dedicate dalla Corte territoriale all'assenza di prova in ordine al momento in cui il dissesto si era verificato collidono con il rilievo assegnato dalla giurisprudenza al mero pericolo di insolvenza e con il fatto che quest'ultimo, alla luce di una serie di indici tratti dalla condotta dello S., era sussistente sin dal 2010, quando erano iniziate le condotte di autofinanziamento mediante omissione contributiva e fiscale, le condotte distrattive e i falsi in bilancio. Irrilevante era invece l'assenza di cartelle di pagamento per crediti tributari scaduti.
4.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione all'assoluzione dai reati di cui ai capi: 1.A, punto, 5; 1.B, punto 2, 1.C, punto 2, 2, punto 4, e 3, punto 4, ossia dalle ipotesi di bancarotta semplice.
Si osserva: a) che illogicamente la Corte territoriale aveva valorizzato l'assenza di prova dell'omessa convocazione dell'assemblea e della mancata richiesta della dichiarazione di fallimento; b) che il momento della perdita del capitale sociale, nonostante i dubbi espressi dalla Corte d'appello, era da collocarsi nel 2012; c) che le condotte di bancarotta semplice erano autonome rispetto a quelle fraudolente ritenute a carico dello S..
4.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione al reato di cui al capo 1.A, punto 2, lett. a), sottolineando che le false fatture erano rifluite, per il tramite delle pertinenti scritture, nel bilancio e che contraddittoriamente la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza del nesso di causalità rispetto al dissesto, pur riconoscendo che la vicenda risaliva al 2009, ossia a ridosso della "spaventosa esplosione" delle passività nel 2010.
4.5. Con un'ultima argomentazione si censura la motivazione dedicata dalla sentenza impugnata alla mancata conferma della misura cautelare reale, sottolineando come, in realtà, il sequestro conservativo a favore della parte civile sia stato confermato dalla Corte territoriale.
5. Sono state trasmesse, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176: a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Tassone Kate, la quale ha chiesto l'accoglimento del primo motivo del ricorso proposto nell'interesse dello S. e il rigetto del ricorso proposto nell'interesse della curatela; b) memoria nell'interesse del R., con la quale si chiede la declaratoria di inammissibilità del primo e del terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse della curatela, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese.
6. All'udienza del 17 maggio 2023 si è svolta la trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ricorso S..
1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, a fronte del dedotto difetto di notifica all'imputato del decreto di citazione, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, mentre non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 c.p.p. (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269028; Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, R.I. 229539).
In tale contesto, deve solo rilevarsi che all'udienza del 10 novembre 2021 lo S., alla stregua delle non contestate risultanze del verbale, risulta comparso unitamente al suo difensore di fiducia.
Ne discende che sono del tutto fuori campo le considerazioni dedicate alla violazione del diritto fondamentale dell'imputato di poter partecipare al processo e di contraddire.
2. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, per la loro stretta connessione logica, in quanto investono, da diversi angoli prospettici, in relazione alla sopra descritta bancarotta distrattiva di cui al capo 1.A, punto 1, lett. a), il tema della sussistenza dell'elemento soggettivo alla luce del principio di offensività.
Le doglianze sono inammissibili per difetto di specificità.
Non è in discussione la consolidata acquisizione per la quale, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763 - 01). Così come, va ribadito, secondo la puntualizzazione contenuta nella motivazione di Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550 - 0, che per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale, è necessaria la rappresentazione da parte dell'agente della pericolosità della condotta, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi, Rv. 263800-263805), per cui tale elemento soggettivo non si esaurisce affatto nella rappresentazione e nella volizione del fatto distrattivo o dissipativo, investendo anche la pericolosità di tali fatti rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori; in ciò, per l'appunto, consistendo la fraudolenza, connotato interno alla condotta, che involge la consapevolezza, da parte del soggetto agente, del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare danno ai creditori, pur non essendo richiesto dalla norma alcun fine specifico di arrecare pregiudizio ai creditori. In altri termini, ciò che viene richiesto è che l'agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo, anche remoto ma concreto.
E, tuttavia, rispetto al fatto del quale si discute (la distrazione di Euro 301.119,90, assolutamente non giustificata alla luce delle previsioni negoziali che regolamentavano la ripartizione delle spese relative all'immobile), le inesattezze motivazionali della sentenza impugnata che non abbiano avuto influenza decisiva sulla decisione raggiunta restano irrilevanti, ai sensi dell'art. 619 c.p.p., comma 1. E quest'ultima conclusione va correlata al fatto che, indipendentemente dalle tensioni che presto si sarebbero registrate, se non in termini di conclamata insolvenza, per quanto accertato dai giudici di merito, quantomeno come bisogno di liquidità nei primi mesi del 2010 (in tal senso le ammissioni dello stesso S. ricordate dalla sentenza impugnata), la condotta distrattiva si colloca in un contesto temporale (dal 2005 al 2009) accompagnato dalla distrazione di oltre un milione e mezzo di Euro di cui al capo 1.A, punto 1, lett. b), di cui si dirà subito infra. In altri termini, il complessivo ingente drenaggio di risorse per finalità estranee agli scopi imprenditoriali, quale emerge dal complesso della motivazione della sentenza impugnata, dà conto non solo della fraudolenza della condotta ma dell'immediata percepibilità del pericolo concreto che quest'ultima era suscettibile di provocare al ceto creditorio.
Tale conclusione si fonda su criteri di ragionevolezza, tenuto conto del fatto che la prova dell'elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (di recente, v. Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01, con riguardo alla fattispecie di truffa, ma in applicazione di principi di carattere generale).
3. Il quarto motivo è inammissibile, poiché, al netto del richiamo a condivisi principi giurisprudenziali in tema di rilievo probatorio degli indizi, si risolve in una atomistica valutazione di singoli dati fattuali che la Corte territoriale ha esaminato unitariamente, al fine di giungere alla conclusione che le transazioni con la società Yandan & Co. Ltd. erano puramente fittizie e finalizzate a giustificare la distrazione di somme ingenti in favore dello S.. Nel ricorso non si registra alcuna critica specifica al secondo segmento delle transazioni che vedevano una società americana, riconducibile allo S. e recante la denominazione di (Omissis), trasferire compensi al primo sino all'acquisizione da parte di altro gruppo, cui si era correlata cronologicamente la cessazione dei rapporti con la Yandan & Co.
Il silenzio del ricorso sulla fase finale della distrazione e sulla sostanziale equivalenza dei corrispettivi retrocessi allo S., al netto di una percentuale del 10%, esime dall'indugiare oltre sul tema.
In tale contesto, del tutto razionalmente la Corte territoriale ha operato una valutazione unitaria dei molteplici elementi che caratterizzano la vicenda, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il giudice, nell'apprezzamento dei risultati probatori, deve esaminare tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv. 260071). Così come razionalmente la Corte territoriale, ricostruita la dinamica sostanziale delle operazioni, ha ritenuto assolutamente irrilevanti meri documenti privi di qualunque corrispondenza con la realtà effettuale accertata (quali le nota di credito e il fax di sollecito dei pagamenti).
4. Il quinto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità.
Come si desume dall'analisi della sentenza di primo grado, l'assoluzione dal reato di cui al capo 5) è derivata dal mancato superamento della soglia di punibilità introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 8, mentre quella dal reato di cui al capo 4) dalla mancanza di un requisito della fattispecie, ossia la certificazione rilasciata ai sostituiti. Cionondimeno, la sentenza ha precisato che è stata raggiunta la piena prova delle omissioni tributarie e contributive nella loro materialità.
Ora, le "operazioni dolose" di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, non richiedono affatto la qualificazione delle condotte in termini di illeciti penali, ma soltanto l'accertamento di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero di atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (v., ad es. Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684 - 01).
Ricorso della curatela della (Omissis) s.p.a..
5. Il primo motivo è inammissibile per la sua indeterminatezza e, comunque, per manifesta infondatezza.
Si legge in ricorso che "il tema giuridico riguarda valore e funzione della CTU che è stata acquisita agli atti nel corso del giudizio di appello, prodotta dalla difesa della parte civile e da uno degli imputati".
Sennonché il seguito del motivo censura il rigetto della richiesta - peraltro formulata dal Procuratore generale, con la conseguenza che non s'intende quale sia il fondamento della legittimazione della parte civile a dolersi del mancato accoglimento di una richiesta che non ha avanzato - in ordine all'introduzione "nel presente procedimento della relazione della C.T.U. espletata nell'ambito del procedimento civile dalla curatela del Fallimento (Omissis)".
Ma vi è di più.
Il motivo non coglie che le considerazioni espresse dalla Corte territoriale, quanto al fatto che la consulenza è stata espletata in processo "ad oggi non ancora concluso" non valorizza affatto una preclusione di ordine processuale all'acquisizione, ma intende sottolineare, in linea con il resto degli argomenti svolti a sostegno delle decisioni assunte, il carattere ancora provvisorio delle valutazioni esposte al contraddittorio processuale. Si potrà discutere della fondatezza o non del rilievo, ma esso è sicuramente estraneo alla questione dell'applicabilità o non dell'art. 234 c.p.p..
Per il resto, si ripete, escluso che ci si possa dolere del rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria avanzata da altra parte processuale, resta da considerare che la doglianza relativa al mancato esercizio di poteri officiosi da parte della Corte territoriale che, tuttavia, richiedono una puntuale deduzione dei profili di assoluta necessità dell'approfondimento istruttorio per colmare le lacune motivazionali della decisione che, nel caso di specie, vengono affidati a singoli brani dell'indicata consulenza.
Il tema della mancata assunzione di prova decisiva viene poi prospettato in termini, oltre che generici, anche manifestamente infondati, giacché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cessazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 - 01). Infine, il ricorso invoca in termini impropri la nozione di travisamento della prova, che, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406).
In realtà, la critica del ricorso si appunta sulla concreta valutazione delle risultanze istruttorie, sia quanto al tema delle falsità valutative sia - e in termini di assoluta genericità: ciò che appare assorbente per concludere nel senso dell'inammissibilità della doglianza - quanto al profilo nel nesso di causalità tra i primi e il dissesto.
6. Il secondo motivo e', nel suo complesso, infondato.
Va premesso che, ancora di recente, questa Corte ha sottolineato la centralità, ai fini della sussistenza della bancarotta preferenziale, della verifica della situazione di insolvenza al momento del compimento dell'atto (v., ad es., Sez. 5, n. 26412 del 26/04/2022, Farruggia, Rv. 283526 - 0).
Ne discende che, pur dovendosi prendere atto del compimento anche in epoca precedente di atti distrattivi concretamente pericolosi per la situazione della società e dell'esigenza di liquidità nei primi mesi del 2010 - si vedano i rilievi svolti supra sub 2 - resta da considerare: a) che non emerge, se non nelle asserzioni di parte ricorrente, una situazione di insolvenza nel momento in cui è stata posta in essere l'operazione de qua; b) non si registra un reale confronto con le considerazioni per le quali, in tema di bancarotta preferenziale, l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188 - 01).
7. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità, dal momento che non intende come l'affermata assenza di prova delle condotte contestate rimprovera la mancata dimostrazione non di un fatto negativo, ma di un fatto positivo nel momento in cui si sarebbe registrata la perdita del capitale sociale. E' l'aspetto cronologico ad assumere rilievo centrale come reso palese dalla spiegazione della conclusione ("in quanto l'istruttoria non ha dimostrato a quando risale la perdita integrale del capitale sociale").
Parte ricorrente assume che quest'ultima si sarebbe verificata nel 2009, secondo il curatore (ciò che, però, presuppone la dimostrazione e la rilevanza dei falsi valutativi, quale presupposti dall'inammissibile primo motivo del ricorso), o nel 2012, secondo la sentenza di primo grado.
Quest'ultima, però, proprio occupandosi della bancarotta semplice della quale si tratta, osserva a pag. 38 che "le difficoltà di ricostruzione della situazione finanziaria e patrimoniale di (Omissis) e delle due partecipate (...) e l'insufficiente materiale informativo disponibile non consentono di individuare univocamente e con sicurezza un momento nel quale il capitale sociale di (Omissis) e delle controllate pote' dirsi perso": su tale conclusione non si registra alcuna critica del ricorso, con conseguente inammissibilità delle doglianze per assenza di specificità.
8. Inammissibile per genericità è anche il quarto motivo, dal momento che assertivamente assume, rispetto al contrario rilievo della Corte territoriale, che le fatture delle quali si tratta siano refluite nel bilancio e soprattutto istituisce una non dimostrata effettiva correlazione tra le stesse e il dissesto (altra questione, evidentemente è quella della concreta pericolosità dell'operazione da valutare ex ante).
9. La puntualizzazione finale concernente la misura cautelare - che, per quanto la ricorrente ammette, è stata confermata per ciò che concerne i propri interessi - non identifica alcun vizio denunciabile in cassazione.
10. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso proposto nell'interesse dello S. consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. Alla pronuncia di rigetto del ricorso proposto nell'interesse della curatela consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Quanto alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità nei rapporti fra le parti, tenuto conto, per un verso, dell'esito del processo e, per altro verso, della complessità delle questioni esaminate, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti per disporre la compensazione integrale delle stesse.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di S.C. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023




